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Osservate il vestito che indossava S. Francesco d’Assisi il giorno in cui ricevette le stigmate. Cosa vedete? Un saio di tessuto grezzissimo con buchi e toppe. Lui figlio di un commerciante di stoffe vestiva così….

Perché? Aveva capito che l’unico vestito che conta è quello dell’anima… questo ce lo spiega non la vita ma la morte…che la tua cassa sia di mogano o druciolato la sostanza non cambia, che il carro funebre sia una jaguart o un carretto dov’è la differenza? Che tu muoia miliardario o povero dove sta la vera ricchezza?

Tutta la differenza sta nell’amore che hai seminato, l’unica valuta spendibile davanti al Signore. Francesco con la sua estrema povertà ha arricchito il mondo e continua a farlo, quel capitale che è stata la sua vita, ormai terminata nel 1226, continua a produrre “reddito” a cui noi continuiamo ad attingere.

Da qui la domanda: Tu con i tuoi pochi o tanti soldi, pochi o tanti talenti chi stai arricchendo? C’è chi attinge da te amore donato?

Perché in paradiso si va con ciò che si è perso, non con ciò che si è trattenuto, ce lo spiegano Francesco e il Vangelo che poi sono la stessa cosa…

 

(da un’omelia di NICOLA ZIGNIN inviata da Bruno Temil)

 

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Sii sempre consapevole che il Signore ti ha creato dal nulla così come sei. Sei debole, incostante, pauroso, vizioso, egoista, orgoglioso,volubile, pigro, spesso inquieto ecc.

Questo il Signore lo sa infinitamente meglio di te. Devi crederlo: Egli sa perfettamente chi realmente sei e quali sono i tuoi pensieri e le tue intenzioni più recondite.

Chiedi sempre allo Spirito Santo di aiutarti a prendere consapevolezza di chi realmente sei. Però non scoraggiarti se scopri sempre di più l’abisso di miseria che c’è in te.

Il Signore ti ama molto di più di quello che pensi. A Lui interessa il tuo cuore e la tua fiducia nella sua incommensurabile Misericordia.

Devi credere che Egli si commuove quando una sua creatura confida completamente in Lui, nonostante la sua miseria ed avesse commesso molti peccati nella sua vita.

Questi sono davvero dimenticati da Lui per un solo atto di puro amore nei suoi confronti. Se tu gli offri il tuo tempo Egli è contento, ma se gli offri la tua stessa miseria Egli sussulta di tenerezza e ti abbraccia con grande gioia.

Chiunque tu sia, quindi, riconosci quanto sei amato dal tuo Creatore e contraccambia ringraziandolo sempre.

 

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Dalla profonda oscuritá della notte, simbolo della nostra cecitá interiore, spunta una luce:

É quella di un bimbo indifeso che sorregge il mondo…

É quella di un bimbo senza fissa dimora, eppure é Lui stesso la nostra vera casa…

É quella di un bimbo che non possiede nulla, eppure Lui possiede tutto…

É quella di un bimbo che non sa ancora parlare, ma é Lui stesso la Parola…

É quella di un bimbo che necessita di tutto, eppure é il Re dell’universo…

É quella di un bimbo emarginato, eppure é il Cuore di ogni uomo…

É quella di un bimbo nel freddo di una stalla, eppure é Colui che scalda i cuori di tutto il mondo…

 

 

From the deep darkness of the night, a symbol of our inner blindness, a light emerges:

It is that of a defenseless child who supports the world …

It is that of a homeless child, yet he himself is our real home …

It is that of a child who possesses nothing, yet He possesses everything …

It is that of a child who does not yet know how to speak, but He himself is the Word …

It is that of a child who needs everything, yet he is the King of the universe …

It is that of a marginalized child, yet it is the Heart of every man …

It is that of a child in the cold of a stable, yet it is the One who warms the hearts of the whole world …

 

 

 

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(Dal Diario di un pellegrino carnico – p.Albino Candido)

7 Aprile 1979

Non posso assicurarmi se il mio sia un amore vero e puro, libero. Tu lo sai. Aiutami nel desiderio di un amore libero… È tutto grazia, è tutto gratuito.

Non importa! C’è Lui che vede e porta la mia povertà. Ciò che vale è portarla con Lui questa povertà che mi mette paura e tristezza determinate, in ultima analisi, da una punta di orgoglio. Sono piccolo e povero, e solo. Ma faccio così di proposito; mi faccio piccolo e povero per farti pena e farmi proteggere. Ma nel fondo c’è questa povertà? Se la povertà reclama la ricchezza, non è più povertà schietta. Ma io Ti amo. Mettiti sopra tutte le mie cose. (p.107)

Egli soltanto merita di essere ricordato e tenuto continuamente davanti agli occhi della mente e del cuore.

Egli è la bontà infinita, quella bontà che, essendo infinita, tiene conto e apprezza anche un filo solo di bontà che riusciamo a mantenere in noi.

Egli è povero. Uno che ama si rende povero.

Egli è mendicante, viene a chiedere, a implorare la nostra bontà; l’amore suo lo rende povero e si accontenta anche delle briciole.

Non è vero?
(p.108)

 

 

 

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Fb 22 novembre 2020

XXXIV domenica

TOCCO IL POVERO E SFIORO IL CIELO

di p.Ermes Ronchi

Matteo dipinge una scena potente e drammatica, che siamo soliti chiamare il giudizio universale, ma che sarebbe più esatto definire “la rivelazione della verità ultima, sull’uomo e sulla vita”.

Padre nostro sei nei cieli, noi preghiamo, ma i cieli del Padre sono i suoi figli. Il povero è il cielo di Dio. Quando la tua mano tocca un povero dalla vita piagata, le tue dita sfiorano il cielo di Dio.

Perché il Signore sta nel posto dove noi non vorremmo mai essere, nell’ultimo, all’ombra delle retrovie; in coloro che incarnano non i tuoi sogni, ma le tue paure, i tuoi dolori.

Venite, benedetti: nel cielo di Dio entreremo solo passando attraverso quella creatura dall’odore acre, dagli occhi dai mille colori come le mille sfumature della povertà.

Matteo elenca sei opere, vaste quant’è vasto il campo del dolore umano. legata sempre a doppio nodo alla solitudine.

Una cosa mi affascina del vangelo: argomento del giudizio su di me, saranno solo le cose buone, non la mia fragilità colma di paure. Matteo elenca sei opere buone, ma vaste quanto è vasto il dolore umano.

L’umiltà del bisogno è così importante che Dio vi ha legato la salvezza, stretta a un po’ di pane per il viaggio, un bicchiere d’acqua, un vestito donato, ai passi di una visita, a un po’ di coraggio per oggi e per domani. Non alle cose, ma al cuore detto dalle cose.

Se guardi il povero, ti senti naufragare. Perché ti obbliga a confrontarti con le cose estreme, con la vita a rischio; entra nel tuo orizzonte come una metafora vivente di fallimento e di morte. Ma è anche maestro di fede perché incarna l’evidenza che l’uomo vive solo perché custodito da altri, che esiste solo perché accolto; solo se accolto.

Misura dell’uomo e di Dio, senso della storia è il bene. Davanti a Lui non temo la debolezza, ho paura solo delle mie mani vuote.

La verità ultima dice anche che è possibile fallire la vita: Andatevene da me, maledetti.  Gli allontanati, che male hanno commesso?

Non quello di aggiungere male a male; il loro peccato è ben più grave, è non aver fatto niente. Non basta limitarsi a non fare del male alle persone. Si uccide anche in silenzio, restando alla finestra. Non impegnarsi per il bene comune, contro la fame e l’ingiustizia, lo stare a guardare, è farsi complici della corruzione, legittimare il peccato sociale, lasciare campo libero alle mafie. Il vero peccato di oggi, dice papa Francesco, è la “globalizzazione dell’indifferenza”.

Esigente bellezza di questo Vangelo.

Ora è il tempo in cui prendersi cura, ed è così importante e, in fondo, così facile… Il nostro cielo, il nostro avvenire, è quel bene che io e te doneremo al povero, all’invisibile, all’ultimo. Il nostro futuro non si attende, come una sentenza, ma si genera!

Se c’è qualcosa di eterno, se qualcosa di noi rimarrà, questa cosa è solo l’amore, perché oltre l’uomo non c’è nulla, tantomeno il Regno di Dio.

 

 

Avvenire XXXIII A

Una scena potente, drammatica, quel “il giudizio universale” che in realtà è lo svelamento della verità ultima del vivere, rivelazione di ciò che rimane quando non rimane più niente: l’amore.

Il vangelo risponde alla più seria delle domande: che cosa hai fatto di tuo fratello? Lo fa elencando sei opere, ma poi sconfina: ciò che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me! Straordinario: Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da arrivare a identificarsi con loro: l’avete fatto a me! Il povero è come Dio, corpo e carne di Dio. Il cielo dove il Padre abita sono i suoi figli.

Evidenzio tre parole del brano:

La fede non si riduce però a compiere buone azioni, deve restare scandalosa: il povero come Dio! Un Dio innamorato che ripete su ogni figlio il canto esultante di Adamo: “Veramente tu sei carne della mia carne, respiro del mio respiro, corpo del mio corpo”.

Poi ci sono quelli mandati via. La loro colpa? Hanno scelto la lontananza: lontano da me, voi che siete stati lontani dai fratelli. Non hanno fatto del male ai poveri, non li hanno umiliati, semplicemente non hanno fatto nulla. Indifferenti, lontani, cuori assenti che non sanno né piangere né abbracciare, vivi e già morti (C. Péguy).

XXVI – Anno C

Lc 16, 19-31

 

Basilio Magno rivolto ai cristiani di Cappadocia:

Il pane che si spreca sulla tua tavola, è pane sottratto all’affamato;

a chi è scalzo spettano le scarpe allineate nei tuoi armadi;

a chi è nudo spettano i vestiti che le tarme mangiano nei tuoi bauli;

è del povero il denaro che si svaluta nella cassaforte delle banche.

Dalla nostra indifferenza, liberaci Signore

Dal non saper più piangere, Liberaci Signore

Dal non saper condividere, liberaci Signore

 

OMELIA

Una parabola dura e dolce, con la morte a fare da spartiacque tra due scene.

Prima scena: C’era una volta un uomo ricco… e uno povero. In questo avvio, con il sapore di una favola, c’è già il messaggio: il mondo è spaccato, ci sono due mondi e in mezzo una voragine. È così che la vogliamo questa terra? Con uno avvolto di porpora, uno vestito di piaghe; uno che si rimpinza ogni giorno e spreca; uno con occhi tristi e affamati, a gara con i cani, a vedere se è caduta a terra qualche briciola. Ricordo una struggente canzone di Branduardi con due versi che dicono:

e si mangiava come due fratelli, una briciola l’uomo ed una il cane.

Morì il povero e fu portato nel seno di Abramo, morì il ricco e fu sepolto nell’inferno. Una domanda si impone con forza a questo punto: perché il ricco è condannato nell’abisso di fuoco? Per il lusso, gli abiti firmati, gli eccessi della gola? No. Il suo peccato è l’indifferenza totale verso il povero: non uno sguardo, non una briciola, non una parola.

Lazzaro è così vicino, sulla soglia di casa, che inciampa in quel fagotto e il ricco neppure lo vede; magari va e torna dal tempio tutti i sabati, canticchia i salmi e non lo vede, legge Mosè e i profeti, e non lo vede.

Manca però l’essenziale. Mancano tre verbi: vedere, fermarsi, toccare. Tre verbi umanissimi, i primi tre gesti del Buon Samaritano. Mancano, e allora tra le persone si scavano baratri, si innalzano muri.

Questo è il comportamento che san Giovanni chiama, senza giri di parole, omicidio: chi non ama è omicida.

La parabola racconta un modo iniquo di abitare la terra, un modo profondamente ateo. Un mondo così, dove uno vive da dio e uno da rifiuto, è quello sognato da Dio? E’ umano che una creatura sia ridotta in condizioni disumane per sopravvivere, come un cane, come una bestiolina?

Lo sguardo di Gesù non si posa sui comandamenti e le regole, ma sulla evidenza della realtà, che è malata, da cui sale un disagio, uno stridore, un conflitto, un orrore che avvolge tutta la scena. E che ci fa provare vergogna.

La realtà viene prima della legge, la legge è piccola cosa davanti al cuore di Dio.

Di quale peccato si è macchiato il ricco? Che male ha fatto al povero Lazzaro?

Chiaro: non lo ha fatto esistere. L’ha ridotto a un rifiuto, a un nulla, una carta per terra. Nel suo cuore l’ha ucciso. Nessuno ha il diritto di ridurre a nulla l’uomo, un’ombra fra i cani,

Quanti invisibili delle nostre città, e anche dei paesi! Attenzione agli invisibili, vi si rifugia l’eterno.

Il male è questo: “Se mi chiudo nel mio io, anche adorno di tutte le virtù, ma non partecipo all’esistenza degli altri, se non sono sensibile e non mi dischiudo agli altri, posso essere privo di peccati eppure vivo in una situazione di peccato” (Giovanni Vannucci).

È tempo di smetterla con i nostri esami di coscienza negativi a sfogliare la margheritina delle regolette, e domandarci invece nella lingua del vangelo: non che male ho fatto? Ma che bene ho fatto? Chi ho aiutato, ieri, oggi, adesso?

Prendersi cura delle creature è la sola misura dell’eternità.

 

Seconda scena. Morì il povero e fu portato in alto. Morì anche il ricco e fu sepolto nell’inferno. Lazzaro è portato sulle mani degli angeli, accolto nel grembo di un Abramo più materno che paterno,

Questa parola materna: grembo, seno, è usata per proclamare il diritto di tutti i poveri ad essere trattati come figli. Ma “figlio” è chiamato anche il ricco, anche lui con la dignità di figlio per sempre, nonostante l’inferno, figlio di un Abramo dalla dolcezza di madre.

Tra noi e voi è posto un grande abisso, dice Abramo, rimane la grande separazione già creata in vita.

Perché l’eternità inizia qui, l’inferno è già qui, nutrito dalle nostre scelte senza cuore:

L’inferno è il prolungamento delle voragini che abbiamo scavato in vita.

 

Padre, una goccia d’acqua sopra l’abisso!

Che cosa risolve una goccia d’acqua sulla punta del dito? Non spegne i fuochi, non estingue l’arsura della sete, ma… attraversa l’abisso. Forse ora il ricco comincia a capire: il senso della vita è avvicinare, sconfinare, passare porte, abbattere distanze tra le persone.

Una parola sola per i miei cinque fratelli! E invece no, perché non è un morto che converte, ma la vita. Non è la morte o la punizione che ammaestra, ma la vita reale, ascoltino quella.

Hanno Mosè e i profeti, hanno il grido dei poveri, che sono la voce e la carne di un Dio, che sono i principi del Regno. Prendete il loro punto di vista come faceva Gesù, con quel suo sguardo amoroso e forte davanti al quale ogni legge diventa piccina, e piccina è perfino quella di Mosè (R. Virgili).

Che ti costa, padre Abramo, un piccolo miracolo! Ma non sono i miracoli a cambiare la nostra storia, non sono le apparizioni a cambiare la vita, la terra è già piena di miracoli, la terra è già piena di profeti: hanno i Profeti, ascoltino quelli, hanno il Vangelo, ascoltino! Di più ancora: la terra è piena di poveri Lazzari, li ascoltino, li guardino, li tocchino. Non c’è miracolo che valga il grido dei poveri.

Il primo miracolo è accorgerci che l’altro esiste (S. Weil).

nelle loro piaghe è Dio che è piagato,

ogni volta che avete fame sono io che ne sento i morsi e l’ululato nel ventre;

ogni volta che vi trattano con dolcezza sono io che ne sento la carezza; ogni volta che avete fatto del bene a uno dei miei fratelli più piccoli è a me che l’avete fatto.

Se l’altro ha sete, e tu gli dai da bere aceto o disprezzo, invece è il Golgota, il Calvario del mondo, con te protagonista del male.

Due giorni fa leggevamo una lettera di San Vincenzo de Paoli che dice: “Se stai pregando e un povero ha bisogno di te, corri da lui. Il Dio che lasci è meno sicuro del Dio che trovi” (San Vincenzo de Paoli). Il Dio che laasci in chiesa è meno sicuro del Dio che trovi nel povero Lazzaro.

 

 

 

 

PREGHIERA ALLA COMUNIONE

 

Vuoi dare onore al corpo di Cristo?

Dopo averlo onorato in chiesa,

non disprezzarlo quando è coperto di stracci

fuori della porta della chiesa.

 

Colui che ha detto: «Questo è il mio corpo»

ha detto anche: «Questa è la mia fame».

 

Che importa che la mensa del Signore

scintilli di calici d’oro mentre lui muore di fame?

Che senso ha offrirgli porpora e oro

e rifiutargli un bicchiere d’acqua?

 

Rendi bella la casa del Signore

ma non disprezzare il mendicante,

perché il tempio di carne di tuo fratello

è più prezioso del tempio di pietre!

 

(Giovanni Crisostomo)

 

 

 

 

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi (da Avvenire)
XXVI Dom. T.O. anno C – 2019

Il peccato del ricco? Non vedere i bisognosi
Vengelo (Luca 16, 19-31)

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui (…).

Una parabola dura e dolce, con la morte a fare da spartiacque tra due scene: nella prima il ricco e il povero sono contrapposti in un confronto impietoso; nella seconda, si intreccia, sopra il grande abisso, un dialogo mirabile tra il ricco e il padre Abramo. Prima scena: un personaggio avvolto di porpora, uno vestito di piaghe; il ricco banchetta a sazietà e spreca, Lazzaro guarda con occhi tristi e affamati, a gara con i cani, se sotto la tavola è caduta una briciola. Morì il povero e fu portato nel seno di Abramo, morì il ricco e fu sepolto nell’inferno. Una domanda si impone con forza a questo punto: perché il ricco è condannato nell’abisso di fuoco? Di quale peccato si è macchiato?

Gesù non denuncia una mancanza specifica o qualche trasgressione di comandamenti o precetti. Mette in evidenza il nodo di fondo: un modo iniquo di abitare la terra, un modo profondamente ateo, anche se non trasgredisce nessuna legge. Un mondo così, dove uno vive da dio e uno da rifiuto, è quello sognato da Dio? È normale che una creatura sia ridotta in condizioni disumane per sopravvivere? Prima ancora che sui comandamenti, lo sguardo di Gesù si posa su di una realtà profondamente malata, da dove sale uno stridore, un conflitto, un orrore che avvolge tutta la scena. E che ci fa provare vergogna. Di quale peccato si tratta? «Se mi chiudo nel mio io, anche adorno di tutte le virtù, ma non partecipo all’esistenza degli altri, se non sono sensibile e non mi dischiudo agli altri, posso essere privo di peccati eppure vivo in una situazione di peccato» (Giovanni Vannucci).

Doveva scavalcarlo sulla soglia ogni volta che entrava o usciva dalla sua villa, e, impassibile, neppure lo vedeva! Non gli ha fatto del male, no. Semplicemente Lazzaro non c’era, non esisteva, lo ha ridotto a un rifiuto, a nulla. Ora Lazzaro è portato in alto, accolto nel grembo di un Abramo più materno che paterno, che proclama il diritto di tutti i poveri ad essere trattati come figli. Ma “figlio” è chiamato anche il ricco, nonostante l’inferno, anche lui figlio per sempre di un Abramo dalla dolcezza di madre. Padre, una goccia d’acqua sopra l’abisso! Una parola sola per i miei cinque fratelli! E invece no, perché non è la morte che converte, ma la vita.

Hanno Mosè e i profeti, hanno il grido dei poveri, che sono la voce e la carne di un Dio che si identifica con loro (ciò che avete fatto a uno di questi piccoli, è a me che l’avete fatto). Si tratta allora di prendere, come Gesù, il punto di vista dei poveri, di «scegliere sempre l’umano contro il disumano» (David Turoldo), con quel suo sguardo amoroso e forte davanti al quale ogni legge diventa piccina, perfino quella di Mosè (R. Virgili).

(Letture: Amos 6, 11-16; Salmo 145; 1 Timoteo 6,11-16; Luca 16, 19-31)

 

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/il-peccatodel-ricco-non-vederei-bisognosi

 

Ripensiamo per qualche minuto alla giornata trascorsa: se non siamo riusciti a rendere felice qualcuno facciamo contento almeno Gesú.

Egli ci pensa sempre perché ci ama infinitamente.

Basta riconoscerlo: Lui si accontenta anche di un nostro sguardo interiore, perché é così umile e mite che, pur essendo anche Dio, si fa più povero di noi mendicando il nostro amore…

 

 

PER CHI DESIDERA PREGARE:

 

Signore, eccomi arrivato al termine del giorno. In te tutto è presente, noi invece siamo nel tempo per glorificarti e per renderci conto della tua grande bontà. Rendimi consapevole di tutti i benefici che ho ricevuto da te oggi per poterti lodare con gratitudine. Che non mi sfugga alcun beneficio: sei tu che sostieni la mia vita ogni istante, perché senza di te sarei una nullità. Grazie a te ho potuto usare i sensi del corpo e della mente. Nulla ti sfugge, mentre nella mia ingratitudine a me sfuggono molte cose che mi stai continuamente donando, oltre alla stessa esistenza. Ti lodo, mio Dio, perché sei davvero prodigioso. Fa’ che questa lode sincera arrivi al tuo cospetto, per glorificarti sempre.

PREGHIERA DI RINGRAZIAMENTO PER LA SERA

Signore Gesù, eccomi arrivato al termine del giorno. Ti ringrazio di cuore per avermi donato anche questa giornata. Grazie per la vista, l’udito, il tatto, il gusto e l’olfatto. Grazie per la mente e per l’anima immortale che mi hai donato. Grazie per la tua continua e discreta protezione anche tramite il mio angelo custode che tu mi hai affidato. Grazie per tutti i santi protettori. Grazie perché sei sempre pronto a perdonare le mie colpe e le mie omissioni. Grazie perché mi dai sempre nuove opportunità per contraccambiare il tuo amore. Grazie per i miei familiari, amici e conoscenti che oggi mi hai fatto incontrare, si compia anche in loro la tua volontà. Grazie perché continui a sostenermi, nonostante le mie meschinità e le mie numerose omissioni ed indifferenze. Grazie perché mi dai sempre la possibilità di dialogare con te nella preghiera incessante. Grazie che mi dai la possibilità di coricarmi sereno confidando in Te. Che io ti possa lodare per tutta l’eternità

 

 

LITURGIA DELLE ORE:

http://www.liturgiadelleore.it/

 

 

Sei molto anziano?
Non vantartene credendoti migliore degli altri: può darsi che Dio, nella sua infinita Misericordia, ti abbia donato più tempo per la conversione interiore a causa del tuo orgoglio o del tuo egoismo.

Sei in salute?
Non disprezzare chi ne è privo. Ringrazia continuamente il Signore vivendo nell’umiltà e soccorrendo i poveri ammalati e i disabili.

Sei ammalato o disabile?
Accetta la volontà del Signore. Può darsi che la tua sofferenza, oltre che a salvare te stesso per l’eternità, in virtù della comunione dei santi costituisca un beneficio spirituale per altre anime che nemmeno conosci e che un giorno ti ringrazieranno per sempre.

Sei benestante?
Le tue ricchezze, anche se le consideri meritate, vengono permesse dal Signore per soccorrere anche i bisognosi.

Sei molto povero ed indigente?
Non invidiare il ricco ma confida sempre nella Provvidenza ricordandoti che sei infinitamente amato dal Signore Gesù, il quale visse nella povertà.

Sei un peccatore incallito?
Non disperare mai della Misericordia divina e metti tutta la buona volontà per cercare di migliorarti, ma confidando sempre nel Signore…

ALCUNI LIBRI DI PIER ANGELO PIAI

GUARIRE LA MENTE PER GUARIRE IL CORPO:
http://www.edizionisegno.it/libro.asp…

LA SPIRALE DELLA VITA (riedizione) :
http://www.edizionisegno.it/libro.asp…

L’ANIMA ESISTE ED È IMMORTALE ed. Segno
http://www.edizionisegno.it/libro.asp…

“LA FORZA DELLA FRAGILITÀ” ed.Segno (In questo mio libro troverete preghiere per molti stati d’animo e situazioni personali)
http://www.edizionisegno.it/libro.asp….

VERSO L’ETERNITÀ (commenti su 4 anni di messaggi della Regina della Pace)
http://www.edizionisegno.it/libro.asp…

LA STIMMATIZZATA DI UDINE (Storia autentica di Raffaella Lionetti, dotata di speciali carismi)
http://www.edizionisegno.it/libro.asp…

FIAMMA D’AMORE DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA
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CONCETTA BERTOLI – La donna che vide la terza guerra mondiale
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IL RESPIRO DELL’ANIMA INNAMORATA
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MARCELLO TOMADINI  il pittore fotografo dei lager
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DIARIO DI UN PELLEGRINO CARNICO
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GESÙ CHIEDE TOTALE FIDUCIA IN LUI (nel “Colloquio interiore” di suor Maria della Trinità)
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È nato di notte perchè tu creda che può illuminare qualsiasi realtà.

È nato in una stalla perchè tu impari a santificare ogni ambiente.

È nato persona, perchè tu non abbia mai a vergognarti di essere te stesso.

È nato uomo perchè tu possa essere “Dio”.

È vissuto povero perchè tu possa considerarlo l’unica ricchezza.

È stato debole, perchè tu non abbia mai paura di Lui.

È vissuto per amore perchè tu non dubiti mai del suo amore.

È stato perseguitato perchè tu sappia accettare le difficoltà.

È vissuto nella semplicità perchè tu smetta di essere complicato.

È entrato nella tua vita, per portare tutti alla casa del Padre.

 

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Il Vangelo – Ermes Ronchi

Le piaghe del povero, carne di Cristo

XXVI Domenica – Tempo Ordinario – Anno C
25 Settembre 2016

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”». (…)

La parabola del ricco senza nome e del povero Lazzaro è una di quelle pagine che ci portiamo dentro come sorgente di comportamenti meno disumani.
Un ricco senza nome, per cui il denaro è diventato l’identità, la seconda pelle. Il povero invece ha il nome dell’amico di Betania. Il Vangelo non usa mai dei nomi propri nelle parabole. Il povero Lazzaro è un’eccezione, una felice anomalia che lascia percepire i battiti del cuore di Gesù.

Morì il povero e fu portato nel seno di Abramo, morì il ricco e fu sepolto nell’inferno. Perché il ricco è condannato? Per il lusso, gli abiti firmati, gli eccessi della gola? No. Il suo peccato è l’indifferenza verso il povero: non un gesto, una briciola, una parola. Il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza, per cui l’altro neppure esiste, e Lazzaro è nient’altro che un’ombra fra i cani.

Il povero è portato in alto; il ricco è sepolto in basso: ai due estremi della società in questa vita, ai due estremi dopo. Tra noi e voi è posto un grande abisso, dice Abramo, perdura la grande separazione già creata in vita. Perché l’eternità inizia nel tempo, si insinua nell’istante, mostrando che l’inferno è già qui, generato e nutrito in noi dalle nostre scelte senza cuore: il povero sta sulla soglia di casa, il ricco entra ed esce e neppure lo vede, non ha gli occhi del cuore. Tre gesti sono assenti dalla sua storia: vedere, fermarsi, toccare. Tre verbi umanissimi, le prime tre azioni del Buon Samaritano. Mancano, e tra le persone si scavano abissi, si innalzano muri. Ma chi erige muri, isola solo se stesso.

Ti prego, manda Lazzaro con una goccia d’acqua sul dito… mandalo ad avvisare i miei cinque fratelli… No, neanche se vedono un morto tornare si convertiranno!
Non è la morte che converte, ma la vita. Chi non si è posto il problema di Dio e dei fratelli, la domanda del senso, davanti al mistero magnifico e dolente che è la vita, tra lacrime e sorrisi, non se lo porrà nemmeno davanti al mistero più piccolo e oscuro che è la morte.

Hanno Mosè e i profeti, hanno il grido dei poveri, che sono la parola e la carne di Dio (ciò che avete fatto a uno di questi piccoli, è a me che l’avete fatto). Nella loro fame è Dio che ha fame, nelle loro piaghe è Dio che è piagato.

Non c’è apparizione o miracolo o preghiera che conti quanto il loro grido: «Se stai pregando e un povero ha bisogno di te, corri da lui. Il Dio che lasci è meno sicuro del Dio che trovi» (San Vincenzo de Lellis).

Nella parabola Dio non è mai nominato, eppure intuiamo che era presente, che era vicino al suo amico Lazzaro, pronto a contare ad una ad una tutte le briciole date al povero, pronto a ricordarle e custodirle per sempre.

(Letture: Amos 6, 1.4-7; Salmo 145; 1 Timoteo 6,11-16; Luca 16,19-31).

 

 

1 Giugno 2016

Messaggio della Madonna di Medjugorje

 

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I 10 SEGRETI DI MEDJUGORJE (di Padre Livio Fanzaga):

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VIDEO RELATIVI AI MESSAGGI DELLA MADONNA DI MEDJUGORJE

PLAYLIST RELATIVA A MEDJUGORJE (MESSAGGI E COMMENTI IN VIDEO)
https://www.youtube.com/playlist?list=PL_I8V9Z5YmOY_O1E9krjhlTo3O_k-L-6y

LE APPARIZIONI DELLA MADONNA A PORZUS – Nuova versione

6 luglio 2005

Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO

5 Gennaio 2010

REPORT SUL 21° SECOLO

Attraverso un
fantascientifico viaggio nel tempo, l’autore del libro, Pier Angelo
Piai, desidera sensibilizzare il lettore a prendere coscienza del
nostro comune modo di pensare ed agire, noi del 21° secolo che ci
vantiamo di essere progrediti. In che cosa consiste, allora, la vera
evoluzione della specie umana?
Quando l’uomo potrà diventare davvero integrale?
Report
cerca di dare alcune risposte ai moltissimi interrogativi che emergono
in queste pagine scritte attraverso riflessioni e  considerazioni
sociologiche, antropologiche e filosofiche.

6 Luglio 2005

6 luglio 2005 Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO
Catechesi e omelie di padre Lino Pedron