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(di p. Ermes Ronchi)

Termina qui il vagabondaggio libero e felice sulle strade e lungo le sponde del lago: all’orizzonte si staglia Gerusalemme.

Si profila la follia sconosciuta della croce. Dio non vuole assomigliare ai potenti, lui è venuto per le vittime e i torturati del mondo, e da allora la nostra storia con Lui ruota attorno allo scandalo della croce.

Accettare Gesù come Messia è ammissibile, ma che lui debba morire in modo orrendo, è inaccettabile, e Pietro si rifiuta. Gesù allora lo invita ad aprirsi al nuovo che irrompe: “Pietro, torna a metterti dietro a me. Seguimi nel modo giusto, il tuo cuore ne è capace”.

Non è solo Pietro ad opporsi, ma anche gli altri. E allora Gesù allarga a tutti lo stesso invito e ne detta le condizioni.

Se uno “vuol” venire… Ma perché dovrei volere questo? Qual è la molla? Lo rivelerà poco dopo: se vuoi salvare la tua vita.

Grande energia della sequela, istinto vitale e bello!

…rinneghi se stesso. Parole pericolose. Non significa annullarsi, diventare sbiadito o incolore. Gesù non vuole dei frustrati al suo seguito, ma gente dai pieni talenti. Non vuole uno sterminato corteo di gente con la croce addosso, ma l’immenso andare insieme verso più vita.

Significa che non sei tu la misura di tutto, e che il segreto è ben oltre te.

Sostituiamo la parola croce con la parola amore, e la frase diventa: chi vuole venire con me, prenda tutto il “suo” amore, tutto quello di cui è capace, e mi segua. Dice Gesù: vivi le mie stesse passioni e lì troverai vita.

Gesù guarda all’orizzonte dei giorni supremi, sapendo che il male si scioglierà solo portandolo, sulla croce. Croce da “prendere”, da scegliere: ricordati che non avere nessuno per cui valga la pena perdere la vita è già morire. Perdere per trovare. È la fisica dell’amore.

Tutti, io per primo, abbiamo paura del dolore; ci sia concesso però di non aver paura del dolore che viene dall’amore. Dimentica che esisti quando dici che ami ( J. Twarkowski), e troverai vita.

E quando all’orizzonte intravedo una croce io non ci sto, e con Pietro mi sento un po’ tradito. Allora mi soccorre Geremia, il profeta sedotto, che tuttavia si sente solo e incompreso, e protesta la sua amarezza. Pietro è deluso nel suo entusiasmo. Dio che seduce e poi delude? Sì, perché ti chiama a pensare come lui, a seguire le sue vie lontane dalle nostre vie, lontane dal tuo vecchio cuore.

Dove trovare l’energia per seguirlo? Ancora Geremia: “nel mio cuore c’era un fuoco ardente, mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo… Anche il profeta vuole “trovare vita”. Quella cosa che tutti cerchiamo, ovunque, in tutti i giorni sotto il sole. E la vita è ciò che arde.

Senza il fuoco di Dio per me, io sarei niente. Guadagnerei il mondo ma perderei me stesso.

 

Avvenire XXII anno A Matteo 16,21-27

Se qualcuno vuole venire dietro a me… Vivere una storia con lui, ha un avvio così leggero e liberante: se qualcuno vuole.  Se vuoi. Tu andrai o non andrai con Lui, scegli, nessuna imposizione; con lui “maestro degli uomini liberi”, “fonte di libere vite” (Turoldo), se vuoi. Ma le condizioni sono da vertigine. La prima: rinnegare se stessi. Un verbo pericoloso se capito male. Rinnegarsi non significa annullarsi, appiattirsi, mortificare quelle cose che ti fanno unico. Vuol dire: smettila di pensare sempre solo a te stesso, di girarti attorno. Il nostro segreto non è in noi, è oltre noi. Martin Buber riassume così il cammino dell’uomo: “a partire da te, ma non per te”. Perché chi guarda solo a se stesso non si illumina mai.

La seconda condizione: prendere la propria croce, e accompagnarlo fino alla fine. Una delle frasi più celebri, più citate e più fraintese del vangelo. La croce, questo segno semplicissimo, due sole linee, lo vedi in un uccello in volo, in un uomo a braccia aperte, nell’aratro che incide il grembo di madre terra. Immagine che abita gli occhi di tutti, che pende al collo di molti, che segna vette di monti, incroci, campanili, ambulanze, che abita i discorsi come sinonimo di disgrazie e di morte. Ma il suo senso profondo è altrove. La croce è una follia. Un “suicidio per amore”, sosteneva Alain Resnais. Gesù parla di una croce che ormai si profila all’orizzonte e lui sa che a quell’esito lo conduce la sua passione per Dio e per l’uomo, passioni che non può tradire: sarebbe per lui più mortale della morte stessa.

Prendi la tua croce, scegli per te qualcosa della mia vita. Di lui, il coraggioso che osa toccare i lebbrosi e sfidare i boia pronti a uccidere l’adultera; il forte che caccia dal tempio buoi e mercanti; il molto tenero che si commuove per due passeri; il rabbi che ama i banchetti e le albe nel deserto; il povero che mai è entrato nei palazzi dei potenti se non da prigioniero; il libero che non si è fatto comprare da nessuno; senza nessun servo, eppure chiamato Signore; il mite che non ha vinto nessuna battaglia ed ha conquistato il mondo. Con la croce, con la passione, che è appassionarsi e patire insieme. Perché “dove metti il tuo cuore là troverai anche le tue ferite” (Francesco Fiorillo).

Se vuoi venire dietro a me… Ma perché seguirlo? Perché andargli  dietro?  È il dramma di Geremia: basta con Dio, ho chiuso con lui, è troppo. Chi non l’ha patito? Beato però chi continua, come il profeta: nel mio cuore c’era come un fuoco, mi sforzavo di contenerlo ma non potevo. Senza questo fuoco (roveto ardente, lampada, o semplice cerino nella notte), posso anche guadagnare il mondo ma perderei me stesso.

 

 

Fb 9 agosto XIX

PAURA SCIOLTA NELL’ABBRACCIO

Vangelo di paure, vangelo di grida: umanissimo vangelo. Gesù dapprima assente, poi come un fantasma, infine come una mano salda che afferra. Un crescendo di fede.

Gesù fatica a lasciare la gente, non se ne va finché non li ha salutati tutti. Era stato un giorno speciale, quello, il laboratorio di un mondo nuovo: un fervore, un moltiplicarsi di mani e di cure per dare pane a tutti.

La fame dei poveri saziata, il suo sogno realizzato.

Ora, desidera l’abbraccio del Padre. Congedata la folla salì sul monte, in disparte, a condividere con lui la gioia: sì, Padre, si può! Portare il tuo regno sulla terra si può! Un colloquio festoso, un abbraccio che dura fino all’alba, quando risente il desiderio dei suoi.

Di abbraccio in abbraccio: così si muoveva Gesù.

Pietro, coraggioso e insieme scriteriato, domanda due cose, una giusta e una sbagliata: che io venga da te! Richiesta bella e perfetta, andare verso Dio. Ma poi sbaglia chiedendo di andarci camminando sulle acque.

A cosa serve uno sfoggio di potenza fine a se stesso, un intervento divino il cui scopo non è il bene comune? A che serve l’opposto di ciò che si era verificato la sera prima, con i pani e i pesci per tutti? E’ infatti un miracolo che fallisce in fretta, e Simone affonda.

Pietro si rivela uomo di poca fede non quando ha paura delle onde nella notte, ma prima, quando chiede questo genere di segni per il suo cammino di fede. E tutto vacilla.

Dubbio, fede, grido. Mi piace questo rude pescatore, uomo d’acqua e di roccia, oscillante tra fede grande, che sfida la tempesta, e fede piccola, impaurita. Ma è proprio lì che Gesù ci raggiunge, al centro del nostro vuoto, per salvarci dalla paura.

Pietro vive sulla sua pelle come il camminare sul mare non serva affatto a rafforzare la fede. Cammina e già dubita. E io lo ringrazio per questo suo grido estremo: Signore, salvami!

Ora so che ogni dubbio può essere sciolto anche da un solo mio grido nella notte, come il suo. Se guardo con occhi bassi le mie difficoltà e i miei fallimenti, scendo nel buio.

Pietro tu andrai verso il Signore, ma non nel brillare illusorio di acque prodigiose, lo farai scendendo nella polvere della strada da Gerusalemme a Gerico.

Forse a Pietro serviva davvero questa paura d’affogare nell’acqua della disperazione, per trovare il coraggio di affidarsi, gridando a Gesù.

Un giorno lo seguirà non più attratto dai segni, ma dal suo calvario; andrà da chi sa far tacere non tanto il vento e il mare, ma tutto ciò che non è amore.

Pietro, emblema dei credenti, imparerà ad affidarsi non contando su imprevedibili miracoli, ma sull’amore quotidiano che resiste, sulla bellezza di una fede nuda.

E noi, con Pietro, a fissare Gesù che ci viene incontro nel buio della bufera, a sentire le sue consolanti parole: Vieni! Tutto è ancora possibile, con me. Vieni!

 

 

Avvenire 19 A

Matteo 14,22-33.

“Subito dopo”, dopo i pani che traboccavano dalle mani e dalle ceste, “costrinse i discepoli”, che vorrebbero star lì a godersi il successo, “a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva”. Li deve costringere, non vogliono andarci sull’altra riva, è terra pagana, c’è il rischio di essere rifiutati, è già successo.  Infatti: la barca era sbattuta dalle onde, perché il vento era contrario. Un vento che non soffia da fuori, ma da dentro i Dodici, come resistenza a quel viaggio verso gli stranieri.

“Sul finire della notte egli andò verso di loro, camminando sul mare”. Non ha fretta Gesù: tre giorni ha atteso per Lazzaro, attende quasi una notte intera di tempesta, tre giorni aspetterà per risorgere. Ha sempre fretta invece quando in vista c’è una esaltazione, una ovazione. Fretta di andarsene e di portar via i discepoli. Perché il posto vero dei credenti non è nei successi e nei risultati trionfali, ma in una barca in mare, mare aperto, dove prima o poi, durante la navigazione della vita, verranno acque agitate e vento contrario. Ma non saranno lasciati soli.

«Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». All’invito di Gesù, Pietro, coraggioso fino all’incoscienza, abbandona ogni riparo e cammina nel vento e sulle onde. Sì, ma verso dove? Pietro non vuole tanto andare da Gesù, quanto metterne alla prova la potenza. Andrà davvero verso Gesù, quando lo seguirà, non sedotto dal suo camminare sul mare, bensì dal suo camminare verso lo scandalo e la follia della croce. Andrà dietro a lui, non perché sa far tacere il vento, ma perché fa tacere tutto ciò che in noi non è amore. Andrà verso il Samaritano buono, nella polvere dei sentieri del tempo e non sul luccichio di acque miracolose. Andrà verso il servo, non verso il taumaturgo.

E venne da Gesù” dice il Vangelo. Pietro, fino a che ha occhi solo per quel volto visibile anche nella notte, cammina sulle acque. Quando volge lo sguardo al vento, alle onde, al buio, inizia ad affondare. Guardo al Signore, lo ascolto, e vado dovunque, faccio miracoli. Guardo a me, a tutte le difficoltà, e sprofondo.

Se guardo a perché sono qui, a chi mi ha mandato su questa terra, non mi ferma nessuno. Se guardo alla mia storia accidentata, il dubbio mi blocca.

Pietro, in pieno miracolo, dubita: “Signore affondo”; in pieno dubitare, crede: “Signore, salvami!”. Dio salva, qui è tutta la fede: Egli non è un dito puntato, ma una mano che ti afferra.

Un grido nel vento. Che se ne fa Pietro del catechismo mentre affonda? Basta un grido per varcare l’abisso tra cielo e terra. Fino a che, in fondo a ogni nostra notte, il grido di paura diventerà abbraccio tra l’uomo e il suo Dio.

Ci sono grandi onde, molto vento… ma c’erano anche prima, all’inizio del miracolo, per tutta la notte. Da dove viene il dubbio?

Dalle tempeste della vita, dalla fatica del cuore, da Dio assente. Da Gesù come un fantasma, e non come una voce e una mano.

Ma è proprio là che il Signore ci raggiunge, al centro della nostra debole fede. Non attende, non pretende che abbiamo una fede grande. Ci raggiunge e non punta il dito per accusarci ma stende la mano per afferrarci.

Dubbio e fede. Indivisibili. A contendersi in vicenda perenne il cuore. Non viene a risolvere i miei problemi, sono io che devo essere risolto.

 

 

 

Fb 8 marzo 2020

(p.Ermes Ronchi)

 

Per capire la Trasfigurazione, bisogna leggere ciò che è successo prima.

Gesù ormai ha capito di avere davanti la Passione e comincia a parlarne apertamente ai dodici. Il risultato è disastroso. Gesù tratta Pietro da Satana (avversario) e si ritrova da solo.

Solo e incompreso.

Lo stato d’animo di Pietro e compagni non è meglio. L’aria si carica di silenzi e musi lunghi. Chissà quante ne avranno pensate sul maestro in questi “sei” giorni riportati da Matteo: segno che se li ricorda bene.

Succede anche a noi di litigare perché non si capiscono le intenzioni dell’altro. Figuriamoci se la persona sulla quale mi appoggio mi dice che se ne deve andare, o sacrificarsi per una giusta causa!

C’è un parallelo con la storia di Abramo. Sarà stato difficile per lui seguire la voce che lo invitava a partire; ma non meno difficile per il suo clan accettare l’idea di prendere una strada sconosciuta, lasciando le abituali fertili pianure. Chissà quali discussioni!

Anche per noi è cosi, ogni volta che le vie del Signore vengono a contrastare le nostre.

Per provare a porre rimedio a questa situazione di disagio, Gesù invita Pietro e compagni ad andare a pregare sul monte. Perché “su un alto monte”? Forse perché sul monte si posa il primo raggio di sole e vi indugia l’ultimo, e là il giorno è più lungo e la notte più corta.

Il monte come luogo della luce.

I suoi ancora non capiscono il discorso della Passione, ma si fidano e si rimettono in cammino.

Gesù oggi invita noi a fermarci e pregare, affinché possa aiutarci a contemplare e accogliere il dono di Dio.

E’ così che la Quaresima, più ancora che a penitenza, ci chiama a conversione: a girarci verso la luce, così come l’inverno in questi giorni si gira verso la primavera. Allora smettiamola di sottolineare l’errore negli altri! Staniamo, snidiamo in noi e in ognuno la bellezza della luce, invece di fustigare le ombre!

Qui siamo di casa, altrove siamo sempre fuori posto; e come Pietro, stordito e sedotto da ciò che vede, balbettiamo: altrove non è bello, ci possiamo solo camminare, ma non stare! Qui è la nostra identità, qui la fine del viaggio dell’esule che ritorna a casa. Trovare Cristo è trovare senso e bellezza del vivere.

Ma come tutte le cose belle la visione non fu che la freccia di un attimo: una nube li coprì e venne una voce: ascoltate lui.

Il Padre prende la parola, ma per scomparire dietro quella di suo Figlio. La fede biblica è fede d’ascolto, non di visione: Shemà, ascolta Israel.

Sali sul monte per vedere, e sei rimandato all’ascolto.

Scendi dal monte, e ti rimane nella memoria l’eco dell’ultima parola: ascoltatelo.

Beati coloro che hanno il coraggio di essere ingenuamente luminosi nello sguardo, nel giudizio, nel sorriso. Davvero è bello per noi stare qui, accanto a loro.

2° Riflessione

La quaresima ci sorprende: la subiamo come un tempo penitenziale, mortificante, e invece ci spiazza con questo vangelo vivificante, pieno di sole e di luce. Dal deserto di pietre (prima domenica) al monte della luce (seconda domenica); da polvere e cenere, ai volti vestiti di sole. Per dire a tutti noi: coraggio, il deserto non vincerà, ce la faremo, troveremo il bandolo della matassa.

Gesù prese con sé tre discepoli e salì su di un alto monte. I monti sono come indici puntati verso il mistero e le profondità del cosmo, raccontano che la vita è ascensione, con dentro una fame di verticalità, come se fosse incalzata o aspirata da una forza di gravità celeste: e là si trasfigurò davanti a loro, il suo volto brillò come il sole e le vesti come la luce.

Tutto si illumina: le vesti di Gesù, le mani, il volto sono la trascrizione del cuore di Dio. I tre guardano, si emozionano, sono storditi: davanti a loro si è aperta la rivelazione stupenda di un Dio luminoso, bello, solare. Un Dio da godere, finalmente, un Dio da stupirsene. E che in ogni figlio ha seminato la sua grande bellezza.

Che bello qui, non andiamo via… lo stupore di Pietro nasce dalla sorpresa di chi ha potuto sbirciare per un attimo dentro il Regno e non lo dimenticherà più.

Vorrei per me la fede di ripetere queste parole: è bello stare qui, su questa terra, su questo pianeta minuscolo e bellissimo; è bello starci in questo nostro tempo, che è unico e pieno di potenzialità. È bello essere creature: non è la tristezza, non è la delusione la nostra verità.

San Paolo nella seconda lettura consegna a Timoteo una frase straordinaria: Cristo è venuto ed ha fatto risplendere la vita. E’ venuto nella vita, la mia e del mondo, e non se n’è più andato. È venuto come luce nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta (Gv1,5). In lui abitava la vita e la vita era la luce degli uomini (Gv1,4), la vita era la prima Parola di Dio, bibbia scritta prima della bibbia scritta.

Allora perdonate “se non sono del tutto e sempre / innamorata del mondo, della vita / sedotta e vinta dalla rivelazione / d’esserci d’ogni cosa (….)/ Questo più d’ogni altra cosa perdonate / la mia disattenzione” (Mariangela Gualtieri). A tutte le meraviglie quotidiane.

La condizione definitiva non è monte, c’è un cammino da percorrere, talvolta un deserto, certamente una pianura alla quale ritornare. Dalla nube viene una voce che traccia la strada: “questi è il figlio mio, l’amato. Ascoltatelo”. I tre sono saliti per vedere e sono rimandati all’ascolto. La voce del Padre si spegne e diventa volto, il volto di Gesù, “che brillò come il sole”. Ma una goccia della sua luce è nascosta nel cuore vivo di tutte le cose.

 

Non solo il viso e le vesti, non solo i discepoli o i nostri sogni, ma la vita, qui, adesso, quella di tutti.

Ha riacceso la fiamma delle cose. Ha messo nelle vene del mondo frantumi di stelle. Ha dato splendore e bellezza all’esistenza. Ha dato sogni e canzoni bellissimi al nostro pellegrinare di uomini e donne. Basterebbe ripetere senza stancarci: ha fatto risplendere la vita, per ritrovare la verità e la gioia di credere in questo Dio, fonte inesausta di canto e di luce. Forza mite e possente che preme sulla nostra vita per aprirvi finestre di cielo.

Noi, che siamo una goccia di luce custodita in un guscio d’argilla, cosa possiamo fare per dare strada alla luce? La risposta è offerta dalla voce: Questi è il mio figlio, ascoltatelo. Il primo passo per essere contagiati dalla bellezza di Dio è l’ascolto, dare tempo e cuore al suo vangelo.

L’entusiasmo di Pietro ci fa inoltre capire che la fede per essere forte e viva deve discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un ‘che bello!’ gridato a pieno cuore. Perché io credo? Perché Dio è la cosa più bella che ho incontrato, Perché credere è acquisire bellezza del vivere. Che è bello amare, avere amici, esplorare, creare, seminare, perché la vita ha senso, va verso un esito buono, che comincia qui e scorre nell’eternità.

Quella visione sul monte dovrà restare viva e pronta nel cuore degli apostoli. Gesù con il volto di sole è una immagine da conservare e custodire nel viaggio verso Gerusalemme, viaggio durissimo e inquietante, come segno di speranza e di fiducia.

Devono custodirla per il giorno più buio, quando il suo volto sarà colpito, sfigurato, oltraggiato. Nel colmo della prova, un filo terrà legati i due volti di Gesù. Il Volto che sul monte gronda di luce, nell’ultima notte, sul monte degli ulivi, stillerà sangue. Ma anche allora, ricordiamo: ultima, verrà la luce: ‘sulla croce già respira nuda la risurrezione’ (A. Casati).

 

 

 

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

III Domenica di Pasqua – Anno C – 2019

Alla fine saremo tutti giudicati sull’amore

Vangelo – Gv 21, 1-19

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.

Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare (…)

Commento di p. Ermes

In riva al lago, una delle domande più alte ed esigenti di tutta la Bibbia: «Pietro, tu mi ami?». È commovente l’umanità del Risorto: implora amore, amore umano. Può andarsene, se è rassicurato di essere amato. Non chiede: Simone, hai capito il mio annuncio? hai chiaro il senso della croce? Dice: lascio tutto all’amore, e non a progetti di qualsiasi tipo. Ora devo andare, e vi lascio con una domanda: ho suscitato amore in voi?

In realtà, le domande di Gesù sono tre, ogni volta diverse, come tre tappe attraverso le quali si avvicina passo passo a Pietro, alla sua misura, al suo fragile

entusiasmo.

Prima domanda: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gesù adopera il verbo dell’agápe, il verbo dell’amore grande, del massimo possibile, del

confronto vincente su tutto e su tutti. Pietro non risponde con precisione, evita sia il confronto con gli altri sia il verbo di Gesù: adotta il termine umile dell’amicizia, philéo. Non osa affermare che ama, tanto meno più degli altri, un velo d’ombra sulle sue parole: certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene, ti sono amico!

Seconda domanda: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Non importano più i confronti con gli altri, ognuno ha la sua misura. Ma c’è amore, amore vero per me? E Pietro risponde affidandosi ancora al nostro verbo sommesso, quello più rassicurante, più umano, più vicino, che conosciamo bene; si aggrappa all’amicizia e dice: Signore, io ti sono amico, lo sai!

Terza domanda: Gesù riduce ancora le sue esigenze e si avvicina al cuore di Pietro. Il Creatore si fa a immagine della creatura e prende lui a impiegare i nostri

verbi: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene, mi sei amico?». L’affetto almeno, se l’amore è troppo; l’amicizia almeno, se l’amore ti mette paura. «Pietro, un po’ di affetto posso averlo da te?».

Gesù dimostra il suo amore abbassando ogni volta le sue attese, dimenticando lo sfolgorio dell’agápe, ponendosi a livello della sua creatura: l’amore vero mette il tu prima dell’io, si mette ai piedi dell’amato. Pietro sente il pianto salirgli in gola: vede Dio mendicante d’amore, Dio delle briciole, cui basta così poco, con la sincerità del cuore.

Quando interroga Pietro, Gesù interroga me. E l’argomento è l’amore. Non è la perfezione che lui cerca in me, ma l’autenticità. Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore (Giovanni della Croce). E quando questa si aprirà sul giorno senza tramonto, il Signore ancora una volta ci chiederà soltanto: mi vuoi bene? E se anche l’avrò tradito per mille volte, lui per mille volte mi chiederà: mi vuoi bene? E non dovrò fare altro che rispondere, per mille volte: sì, ti voglio bene. E piangeremo insieme di gioia.

 

(Letture: Atti 5,27-32.40-41; Salmo 29; Apocalisse 5,11-14; Giovanni 21, 1-19).

Commento al Vangelo domenica III di Pasqua – 5 maggio – p.Ermes

 

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/alla-finesaremo-tuttigiudicatisull-amore

 

 

 

 

 

di p. Ermes Ronchi

 

XXIV domenica Mc 8,27-35

 

Carovana multicolore, per strade e villaggi. E per la strada interrogava. Stare con Gesù non era andare a lezione di dottrina, da mandare a memoria, ma essere incalzati da domande. Così libere, così creative.

Per la strada Gesù interroga i suoi, quasi per un sondaggio d’opinione: La gente, chi dice che io sia? E l’opinione della gente è bellissima e sbagliata: Dicono che sei un profeta! Una creatura di fuoco e di roccia, come Elia o il Battista; bocca di Dio e bocca dei poveri.

Ma Gesù non è un uomo del passato, fosse pure il più grande di tutti, che ritorna.

Allora cambia domanda, la fa esplicita, diretta: “e domandava loro: Ma voi, chi dite che io sia?”

Prima di tutto c’è un ‘ma’, ma voi, una avversativa, quasi in opposizione a ciò che dice la gente. Non accontentatevi di una fede “per sentito dire”, non si crede perché in famiglia si è sempre fatto così, perché credeva tua madre o tuo padre.

Ma voi, voi con le barche abbandonate sulla riva del lago, voi che avete camminato con me per tre anni, voi miei amici, che ho scelto a uno a uno, chi sono io per voi?

E lo ripete adesso qui, a noi, a ciascuno.

È il cuore pulsante della fede: chi sono io per te?

Come risposta, Gesù Non cerca parole, cerca persone;

non gli interessano nuove definizioni, ma coinvolgimenti:

che cosa ti è successo, quando mi hai incontrato?

Chi sono io per te? Assomiglia tanto alle domande che si fanno gli innamorati: “quanto posto ho nella tua vita, quanto conto, cosa sono per te? E l’altro risponde: Tu sei la mia vita. Sei la mia donna, il mio uomo, il mio amore”.

 

Il Maestro del cuore non dà lezioni, non suggerisce già le risposte,

ti conduce con delicatezza a cercare dentro di te. E insiste, vedete il verbo all’imperfetto “egli domandava loro”, che indica una azione continuata, ripetuta più volte, insistita…

Non gli interessa un nome come risposta. La Bibbia è piena di nomi di Dio – pastore, sorgente, fuoco, rugiada, vino, amante, vignaiolo, sole, sposo, liberatore, raccoglitore di lacrime, braccio forte, carezza.

Un Salmo lo chiama «roccia e nido» (84,4); un altro lo chiama «sole e scudo» (5, 13), ma sono ancora i nomi degli altri; è ancora ciò che la gente dice, anche se gente santa, anche se con parole ispirate, come il salmista.

Nella Bibbia ci sono mille nomi di Dio, ma c’ è un ultimo nome, il nome segreto, quello più importante, quello che è tuo e che nessun altro conosce, è il tuo affetto per lui, è il tuo sapore di Dio, quella scintilla che ti viene dall’averlo qualche volta sentito in te, e qualche volta anche tradito.

L’ultimo mio maestro di fede, è stato un bambino nella chiesa di San Carlo al Corso, in Milano. Era entrato con la nonna, avrà avuto 5 anni. La nonna è andata ad accendere una candela, il bambino girava col naso all’aria. Dopo un po’ si è fermato davanti al grande crocifisso del ‘400; mi si avvicina, mi tira per la manica, e mi fa: chi è quello lì?

Mi ha spiazzato. Quella domanda, improvvisa e assoluta, mi ha bloccato. Volavano via tutte le risposte dei catechismi e del Credo.

A un bimbo che non ha mai sentito parlare di Dio (mi confermava poi la nonna che i genitori avevano escluso la formazione religiosa, per non condizionarlo: sceglierà lui da grande…) non puoi fornire formule di libri.

Ho sentito che la domanda di quel bambino toccava il cuore della mia fede: chi è quello lì?

Ho chiuso mentalmente tutti i libri, ho aperto la mia vita, ho guardato dentro e qualcosa ho visto.

Allora mi sono abbassato, occhi negli occhi, e gli ho detto: sai chi è quello lì? Uno che ha fatto felice il mio cuore. È Gesù.

Davanti a quel bambino sconosciuto, che mi ascoltava con gli occhi spalancati, ho fatto la mia dichiarazione d’amore al Nazzareno.

Qualsiasi cosa il bimbo se ne faccia, quelle parole mi confortavano, suonavano come la mia risposta a Gesù, anch’io uno fra i dodici, in cammino verso Cesarea di Filippo, lassù alle sorgenti del Giordano…

 

Gesù non ha bisogno della opinione di Pietro per avere informazioni, per sapere se è più bravo dei profeti di prima, ma per sapere se Pietro è innamorato, se gli ha aperto il cuore. Cristo è vivo, solo se è vivo dentro di noi. Il nostro cuore può essere la culla o la tomba di Dio.

Può fare grande o piccolo l’Immenso. Perché l’Infinito è grande o piccolo nella misura in cui tu gli fai spazio in te, gli dai tempo e cuore. Cristo non è ciò che dico di Lui ma ciò che vivo di Lui. Cristo non è le mie parole, ma ciò che di Lui arde in me. La verità è ciò che arde (Ch. Bobin). Mani e parole e cuore che ardono.

 

Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.

La sua, ciascuno la sua. Il progetto è unico, ma ognuno percorrerà la sua strada libera e creativa; la sua, diversa da tutte, che deve tracciare, che non è già segnata. Non siamo operai che eseguono gli ordini di un padrone, ma artisti sotto l’ispirazione dello Spirito (J. Maritain).

 

Il termine “croce” non indica le pene o le prove della vita, e “prendere” non significa sopportare con pazienza. Croce è la sintesi della vita di Gesù. Prendi per te la vita di Gesù, scegli un destino da messia, da annunciatore, da donatore di vita, da liberatore, da uomo o donna della pace, della giustizia, della misericordia…

Il sogno di Dio non è uno sterminato corteo di uomini, donne, anziani e bambini, che portano croci sulle spalle, incespicano, cadono, si rialzano, e non si lamentano. Che brutta idea di Dio! Pagana, atea…

E mi segua… Seguire Cristo vuol dire incamminarsi verso la sua vita, che era una vita buona bella e beata, buona lieta e creativa. Che è il volto alto e puro dell’uomo, il fiorire della vita in tutte le sue forme. Questo è il Regno e non il moltiplicarsi delle croci sul mondo.

Rimane certo una porzione di fatica e dolore, in ogni vita: perché là dove metti il tuo cuore, là troverai le tue ferite.

 

In ogni caso, la risposta a quella domanda di Gesù deve contenere una piccola parola, l’aggettivo possessivo “mio”, come Tommaso alla sera di Pasqua: Mio Signore e mio Dio.

Un ‘mio’ che non vuol dire possesso, ma passione;

non appropriazione ma appartenenza. Come chi ama: il mio amato è mio e io sono sua.

Mio, come lo è il respiro e, senza, non vivrei.

Mio, come lo è il cuore e, senza, non sarei.

 

 

Cristo, mia dolce rovina

Impossibile amarti impunemente (Turoldo).

 

 

 

 

 

 

Il Vangelo – a cura di Ermes Ronchi

L’ineffabile luce di Dio per noi mendicanti di senso

II Domenica di Quaresima – Anno B

Vangelo – Marco 9,2-10

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. […]

La Quaresima ci sorprende con il Vangelo della Trasfigurazione, pieno di sole e di luce, che mette ali alla nostra speranza. Una pagina di teologia per immagini: si tratta di vedere Gesù come il sole della nostra vita, e la nostra vita muoversi sotto il sole di Dio. Gesù chiama di nuovo con sé i primi chiamati: tutto è narrato dal punto di vista dei discepoli, di ciò che accade loro, del percorso che loro e noi possiamo compiere per giungere a godere la bellezza della luce. Li porta su di un alto monte e fu trasfigurato davanti a loro: i monti nella Bibbia sono dimora di Dio, ma offrono anche la possibilità di uno sguardo nuovo sul mondo, colto da una nuova angolatura, osservato dall’alto, da un punto di vista inedito, il punto di vista di Dio.

La nostra comprensione, la nostra intelligenza, la nostra luce non ci bastano, le cose attorno a noi non sono chiare, la storia e i sentieri del futuro per nulla evidenti. Come Pietro e i suoi due compagni, anche noi siamo mendicanti di luce, mendicanti di senso e di cielo. E la fede che cerchiamo è «visione nuova delle cose» (G. Vannucci), «vedere il mondo in altra luce» (M. Zambrano).

Pietro ci apre la strada con la sua esclamazione straordinaria: maestro che bello qui! E vorrei, balbettando come il primo dei discepoli, dire che anch’io ho sfiorato, qualche volta almeno, la bellezza del credere. Che anche per me credere è stato acquisire bellezza del vivere. La fede viva discende da uno stupore, da un innamoramento, da un «che bello!» che trema negli occhi e nella voce. La forza del cuore di Pietro è la scoperta della bellezza di Gesù, da lì viene la spinta ad agire (facciamo, qui, subito…). Succede anche a me: la vita non avanza per ordini o divieti, ma per una seduzione. E la seduzione nasce da una bellezza, almeno intravista, anche se per poco, anche solo la freccia di un istante: il volto bello di Gesù, sguardo gettato sull’abisso di Dio. Guardano i tre, si emozionano, sono storditi: davanti a loro si è aperta la rivelazione stupenda di un Dio luminoso, bello, solare. Un Dio da godere, un Dio da stupirsene. E che in ogni figlio ha seminato la sua grande bellezza.

Venne dal cielo una nube, e dalla nube una voce: ascoltate lui. Gesù è la Voce diventata volto. Il mistero di Dio è ormai tutto dentro Gesù. E per noi cercatori di luce è tracciata la strada maestra: ascoltatelo, dare tempo e cuore alla Parola, fino a che diventi carne e vita. E poi seguirlo, amando le cose che lui amava, preferendo coloro che lui preferiva, rifiutando ciò che lui rifiutava. Allora vedremo la goccia di luce nascosta nel cuore vivo di tutte le cose, vedremo un germoglio di luce spuntare e arrampicarsi in noi.

(Letture: Genesi 22,1-2.9.10-13.15-18; Salmo 115; Romani 8,31-34; Marco 9,2-10)

 

 

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Gesù è il re che non ha mai assoldato mercenari, non ha mai arruolato eserciti, non è mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero.

“Metti via la spada” ha detto a Pietro, altrimenti avrà ragione sempre il più forte, il più violento, il più armato, il più crudele.

Di che cosa hanno bisogno quelli che uccidono il loro re? Della condanna, della pena di morte? No, di un supplemento d’amore: perdona loro, Padre, Per i regni di quaggiù, per il cuore di quaggiù, l’essenziale è vincere, nel mio Regno l’essenziale non è vincere o perdere, ma amare o no. La parola di Gesù è vera proprio perché disarmata, perché non ha altra forza che se stessa.

La potenza di Gesù è di essere privo di potenza, nudo, povero, debole. La sua regalità è di essere il più umano, il più ricco in umanità, il volto più alto e puro dell’uomo. Il vangelo ci ha portato al calvario, non distogliamo lo sguardo: “il cristianesimo nasce lì dalla contemplazione del volto del Dio crocifisso” (C.M.Martini).

 

(Ermes Ronchi – Cristo Re – 2016)

 

 

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XXI domenica Matteo16,13-20

 

di p. Ermes Ronchi

Ogni anno, verso la fine dell’estate, ritorna questa bellissima domanda di Gesù. Ogni anno con un evangelista diverso: “ma voi chi dite che io sia?”.

Siamo nell’estremo Nord della Palestina, ai piedi dell’Ermon, nel punto più lontano da Gerusalemme, e dalla istituzione religiosa, in zona pagana. Qui Gesù interroga i suoi, quasi per un sondaggio d’opinione: La gente, chi dice che io sia? La risposta della gente è bella e sbagliata insieme: Dicono che sei un profeta! Una creatura di fuoco e di luce, come Elia o il Battista; sei bocca di Dio e bocca dei poveri. Hai una storia di azione e passione per la Parola. Hanno una bella opinione di lui. Ma Gesù non è un uomo del passato, fosse pure il più grande di tutti, che ritorna. Anche oggi nessuno, o quasi nessuno, parla male di Gesù, se togli qualche provocatore cinico, nessuno dice che fosse un imbroglione o uno attaccato al potere o ai soldi; forse un sognatore, un illuso, un cacciatore di farfalle, ma dicendolo con una sorta di tenerezza.

A questo punto la domanda arriva esplicita, diretta: Ma voi, chi dite che io sia? Prima di tutto c’è un ‘ma’, una avversativa, quasi in opposizione a ciò che dice la gente. Come se dicesse: non si crede “per sentito dire, non per tradizione, non perché lo dicono i migliori”.

Ma voi, voi con le barche abbandonate, voi che siete con me da anni, voi amici che ho scelto a uno a uno, che cosa sono io per voi?

Ricordo brandelli di poesie di padre Turoldo: Come dire chi tu sia Signore? gioia e tormento insieme tu sei, figlio di Dio e uomo come noi… sei il mio ininterrotto rimorso, sei la mia gioia mattinale, la mia folle gioia…

In questa domanda, che mi mette in imbarazzo, un imbarazzo buono, che devo lasciar lavorare dentro, sta il cuore pulsante della fede: chi sono io per te? Gesù non cerca formule o parole, cerca un rapporto (“io per te”). Non vuole definizioni ma coinvolgimenti: che cosa ti è successo, quando mi hai incontrato? La sua domanda assomiglia a quelle degli innamorati: quanto conto per te? Che posto ho, che importanza ho nella tua vita? Gesù non ha bisogno della risposta di Pietro per sapere se è più bravo degli altri profeti, ma per sapere se Pietro è innamorato, se gli ha aperto il cuore. Cristo è vivo, solo se è vivo dentro di noi. Il nostro cuore può essere la culla o la tomba di Dio. Cristo non è le mie parole, ma ciò che di Lui arde in me.

La risposta di Pietro è duplice: Tu sei il Messia, sei la mano di Dio, Dio agisce nella storia per mezzo tuo, sei il suo progetto di libertà per il popolo; e poi –bellissimo-: sei il figlio del Dio vivente.

Figlio nella bibbia è un termine tecnico: è colui che fa ciò che il padre fa, che gli assomiglia in tutto, che ne prolunga la vita. Tu sei Figlio del Dio Vivente, equivale a: Tu sei il Vivente, il vivificante, colui che comunica vita. Sei grembo gravido, fontana da cui la vita sgorga potente, inesauribile e illimitata, sorgente di vita che non verrà mai meno, disponibile sempre.

Da dove nascono queste parole? Se scendiamo al loro momento sorgivo, credo che possiamo ancora ascoltare l’eco di una dichiarazione d’amore. Pietro dice a Gesù: tu sei la mia vita! Con te ho trovato la vita.

Ma tu chi dici che io sia? E sento in me una esitazione, faccio fatica a rispondere, ma è bello questo, bella la fatica: prendiamoci del tempo per vivere bene la domanda, che come un amo da pesca (la forma del punto di domanda ricorda l’amo), scende dentro di noi per agganciare la risposta profonda.

Un filosofo amico che si dichiara non credente, un neopagano, mi diceva: sai qual è la differenza tra te e me? anch’io ritengo Gesù di Nazaret un grande della storia. La differenza è che tu lo ritieni vivo, per me invece è morto sotto Ponzio Pilato, verso l’anno 33, purtroppo. Invece io con Pietro ridico la mia fede: Tu sei il vivente donatore di vita.

Pietro riconosce Gesù e Gesù riconosce Pietro: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa. Pietro riceve un regalo, un attributo divino che i salmi cantano spesso: Dio tu sei per noi roccia e nido (sentite che bello! Roccia salda e sicura, nido morbido che da calore) e il cantico di Anna: non c’è roccia come il nostro Dio.

Pietro capisce Cristo e riceve in dono la sua immagine alta e pura. L’ho scoperto anch’io: ogni volta che mi sono fermato con lui, che mi sono avvicinato a lui, che l’ho pregato con il cuore, ho scoperto qualcosa di me, ho capito meglio chi sono e che cosa sono venuto a fare in questo mondo.

Darò a te le chiavi del regno dei cieli. Il regno dei cieli è il regno di Dio, un mondo nuovo che Dio sogna; non è il paradiso, l’altra vita, è questa vita. Pietro ha le chiavi, ma non lui solo, ogni credente come lui, tutta la chiesa pur con la sua fatica e la sua povertà. Non è il potere di assolvere, scomunicare, riammettere alla comunione questo o quello, il divorziato o il pentito. Il potere di legare e sciogliere non è il potere giuridico dell’assoluzione, è il potere di diventare una presenza trasfigurante anche nelle esperienze più squallide, più impure, più alterate dell’uomo. Diventare presenza trasfigurante…

Poter fare cose che Dio solo sa fare: perdonare i nemici, trasfigurare il dolore, immedesimarsi nel prossimo, queste sono cose divine, che possono trasformare le relazioni e il mondo…

È il potere trasfigurante che fa sì che tu porti Dio nel mondo, e il mondo in Dio, che tu puoi fare azioni e gesti che hanno eternità, che meritano di non morire. Allora anche tu e io possiamo diventare piccola roccia su cui si può costruire qualcosa, chiave del regno. Nessuna piccola pietra è inutile.

L’ultimo mio maestro di fede, è stato un bambino nella mia chiesa di San Carlo al Corso, in Milano. Era entrato con la nonna, avrà avuto 5 anni. La nonna è andata ad accendere una candela, il bambino girava col naso all’aria. Dopo un po’ si è fermato davanti al grande crocifisso del ‘400; mi si avvicina, mi tira per la manica, e mi fa: chi è quello lì?

Mi ha spiazzato. Quella domanda, improvvisa e assoluta, mi ha bloccato. Volavano via tutte le risposte dei catechismi e del Credo.

A un bimbo che non ha mai sentito parlare di Dio (mi confermava poi la nonna che i genitori avevano escluso la formazione religiosa, per non condizionarlo: sceglierà lui da grande…) non puoi fornire formule di libri.

Ho sentito che la domanda di quel bambino toccava il centro della fede: chi è quello lì?

Ho chiuso mentalmente tutti i libri, ho aperto la mia vita, ho guardato dentro. Allora mi sono abbassato, occhi negli occhi, e ho detto al bambino: sai chi è quello lì? Uno che ha fatto felice il mio cuore. È Gesù.

Davanti a quel bambino sconosciuto, che mi ascoltava con gli occhi spalancati, ho fatto la mia dichiarazione d’amore al Nazzareno.

Qualsiasi cosa il bimbo se ne faccia, quelle parole mi confortavano, suonavano come la mia risposta a Gesù, anch’io ero uno fra i dodici, in cammino verso Cesarea di Filippo, lassù alle sorgenti del Giordano. Anche per me è la risposta di Gesù’: tu sei piccola pietra su cui costruirò qualcosa.

Qualcosa sarò, Signore, se tu farai del mio nulla qualcosa che serva a qualcuno.

 

 

Alla comunione

 

Ma voi chi dite che io sia?

Come dire chi tu sia, Signore?

Sei il fuoco che mi divora,

sei il mio ininterrotto rimorso,

e insieme sei la mia gioia,

la gioia mattinale del mondo,

la gioia silente della luce sul mare la sera.

Sei l’Emmanuele, il Dio con noi,

cielo lievito della terra,

sei la fiamma delle cose.

Sei colui che non finisce mai di sorprenderci,

l’aurora di una storia nuova,

sei la porta che resta sempre aperta.

sei la meta del nostro viaggio.

sei il nostro fedele innamorato,

sposo che rende felice l’amore.

Grande ala della nostra speranza,

prima gemma che fa fiorire la foresta del mondo,

nel tempo e nell’eterno

Amen.

 

p. Ermes Ronchi

 

 

XIX domenica A Mt 14, 22-32

 

di p. Ermes Ronchi

Gesù dapprima assente, poi come un fantasma sul mare,

poi come voce che incoraggia, infine mano salda che ti afferra.

Un crescendo nell’esperienza di Dio, dentro una liturgia cosmica di onde, di vento, di buio, storia delle nostre tempeste e paure, dei miracoli invocati, ricevuti e subito dimenticati, perché i miracoli non bastano mai.

Siamo sul lago di Galilea. Il paesaggio che Gesù più amava.

Un paesaggio d’acque è il primo di tutti i paesaggi, la Bibbia comincia con una immagine d’acqua. Una danza dello Spirito sull’acqua è il primo movimento della Bibbia.

Se portiamo questa immagine nel campo della nostra vita personale essa diventa il simbolo dei nostri oceani interiori che ci minacciano e al tempo stesso ci generano.

Il contesto. Gesù ha appena moltiplicato i cinque pani e i due pesci. È stata una festa, tutti insieme in quella cucina, anzi in quella cattedrale con l’erba per pavimento e il cielo per soffitto, e dietro il lago come abside.

Ma ad un certo punto Gesù, dice Matteo, costrinse i suoi a salire sulla barca. Costrinse, notiamo il verbo inusuale, aspro. Ma lui, Maestro del cuore, ha fretta, è brusco quando c’è aria di trionfi, di successi, di ovazioni, non è quella la scuola di formazione che vuole per i suoi, e allora li costringe ad andare via. Invece non ha mai fretta quando c’è da curare, da sfamare, da ascoltare.

Il nostro posto non è nei successi e nei grandi risultati, ma in una barca in mare, mare aperto, dove prima o poi durante la navigazione della vita verranno acque agitate e vento contrario.

Una grande nave ormeggiata nel porto è indubbiamente al sicuro. Ma non è per questo che le grandi navi sono state costruite.

Lui rimane a terra per congedare la folla, bellissimo, per salutarli bene, a uno a uno, occhi negli occhi, i cinquemila uomini appena sfamati e lui certamente aggiunge anche le donne e i bambini (invento lo so, ma è lo stile di Gesù) bambini e donne che gli evangelisti non hanno neanche considerato.

È commovente questo Gesù che passa di incontro in incontro; saluta tutti e poi profumato di abbracci e di gioia, si reca sul monte, in disparte, a pregare, desidera l’abbraccio del Padre, e sarà lungo una notte intera.

Poi, verso l’alba, sente il desiderio di tornare dai suoi. Di abbraccio in abbraccio: così si muoveva Gesù.

A questo punto il vangelo racconta una storia di burrasca, di paure e di miracoli che falliscono.

Sul finire della notte venne verso i suoi.

E a noi pare, invece, di essere abbandonati, soli con le nostre sole forze, dentro le burrasche della vita. Eppure dire: da solo con le mie sole forze, è una affermazione cristianamente insensata, perché intrecciata alla mia forza c’è sempre la sua forza.

Gesù non è mai assente, è già con i discepoli, da subito. Lui è la sorgente della forza dei rematori che non si arrendono al vento contrario, lui è nella presa robusta del timoniere, lui è nel coraggio condiviso, è negli occhi di tutti fissi a Oriente a scrutare quanto manca della notte.

E la barca, simbolo di me e della mia vita fragile, di me e della mia fede corta, della mia comunità e dei suoi problemi, intanto resiste e avanza.

E non per il morire del vento, non perché finiscono i problemi, ma per il miracolo umile dei rematori che non mollano i remi, che sostengono ciascuno la speranza del compagno.

Primo prodigio: Dio non agisce al posto nostro, non ci toglie dalle tempeste ma ci sostiene dentro le tempeste: non abbiate paura!

Non salva dalla sofferenza ma nella sofferenza,

non protegge dal dolore ma nel dolore.

L’espressione è di Bonhoeffer: Dio non salva dalla croce, ma nella croce.

Un semplice cambiamento di preposizione e tutto acquista un’altra luce. Dio non porta la soluzione dei nostri problemi, porta se stesso dentro i problemi.

E poi entra in scena Pietro, con la sua tipica irruenza: se sei figlio di Dio, comandami di venire verso di te camminando sulle acque.

Venire verso di te, bellissima richiesta. Camminando sulle acque, richiesta infantile, che vuole un prodigio fine a se stesso, una esibizione come quella chiesta dal diavolo sul pinnacolo del tempio: se sei figlio di Dio buttati giù e verranno gli angeli, uno spettacolo che non ha di mira il bene di nessuno.

Pietro, che ha grande coraggio e grandi paure, come noi, scende dalla barca e comincia a camminare sulle acque.

Ma in quel preciso momento, proprio mentre vede sente tocca il miracolo, comincia a dubitare e ad affondare. Uomo di poca fede perché hai dubitato? Pietro è uomo di poca fede non perché dubita del miracolo, ma proprio perché lo cerca. I miracoli, segni, visioni, apparizioni, non servono alla fede.

È il lamento di Gesù su quelli di Cafarnao: se a Tiro e Sidone avessi fatto un decimo…I miracoli si impongono, stupiscono, ma non convertono.

Lo mostra Pietro stesso: fa passi di miracolo sulle onde e nel vento, eppure proprio nel momento in cui sperimenta la vertigine del prodigio sotto i suoi piedi, in quel preciso momento la sua fede va in crisi: “Signore affondo!”.

Quando Pietro guarda al Signore e alla sua parola: “Vieni!” può camminare sul mare.

Quando invece guarda al vento che è forte, alle difficoltà, alle onde, alle crisi, si blocca nel dubbio. Così accade sempre.

Se noi guardiamo al Signore e alla sua Parola, se abbiamo occhi che puntano in alto, se mettiamo il cuore in progetti che sono buoni, noi avanziamo.

Se guardiamo alle difficoltà, se teniamo gli occhi bassi, fissi sulle macerie, ai nostri complessi, ai fallimenti di ieri, sulle depressioni, iniziamo la discesa nel buio.

Mentre la paura dà ordini che mortificano la vita, i progetti danno ordini al nostro futuro.

Pietro, dentro il miracolo, dubita e ha paura: “Signore affondo”; dentro il suo dubbio, crede: “Signore, salvami!”. Ringrazio Pietro per questo suo intrecciare fede e dubbio; per questo suo oscillare fra miracoli e abissi. Dubbio e fede. Indivisibili. A contendersi in vicenda perenne il cuore umano.

Ma è proprio là che il Signore ci raggiunge, al centro della nostra debole fede. Non attende, non pretende che abbiamo una fede grande.

Ci raggiunge e non punta il dito per accusarci, ma stende la sua mano salda per afferrarci. Verrà: dentro la nostra poca fede, a salvarci da tutti i nostri naufragi se appena tendiamo la mano.

E la piccola barca di canne, il cuore,

avanzerà verso la fine della notte,

dove la paura diventa carezza,

dove il grido diventa abbraccio.

Abbraccio tra l’uomo e il suo Dio.

 

 

 

Signore, oggi è tempo di paure, non di fede.

Siamo tutti sommersi in un mare di dubbi:

Ma tu avvicina ancora un po’ quella mano

che non hai mai cessato di tenderci,

Signore, non ti chiedo miracoli,

non ti chiedo di camminare sulle acque,

ma di attraversare le valli della paura con te,

col tuo bastone che mi dà sicurezza.

Non ti chiedo di camminare sul mare,

ma il calore della tua mano che conforta,

della tua parola che incoraggia.

Tu sei con noi, Signore,

fino alla fine della notte,

fino alla fine del tempo.

Vieni dentro la mia poca fede

a salvarmi da tutti i naufragi.

E la piccola barca di canne che è il nostro cuore

avanzerà verso la fine della notte,

ove il nostro grido di paura diventerà

un abbraccio tra l’uomo e il suo Dio.

Amen.

 

p: Ermes Ronchi

 

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

Trasfigurazione del Signore
Anno A – 2017
L’uomo, icona di Cristo dipinta lungo una vita

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete» […]. Matteo 17,1-9

Commento di p. Ermes Ronchi
«Un fiore di luce nel nostro deserto» (Turoldo), così appare il volto di Cristo sul Tabor. Ed è il volto ultimo e alto dell’uomo. In principio, in ogni uomo è stato posto non un cuore d’ombra, ma un seme di luce, sepolto in noi come nostro volto segreto.
Gesù prende con sé Pietro e Giovanni e Giacomo, i primi chiamati, e li porta con sé, su un alto monte. Li conduce là dove la terra s’innalza nella luce, dove è la nascita delle acque che fecondano ogni vita.

Il suo volto brillò come il sole: il volto è come la grafia del cuore, la sua espressione. Il volto alto dell’uomo è comprensibile solo a partire da Gesù. Ogni uomo abita la terra come un’icona di Cristo incompiuta, che viene dipinta progressivamente lungo l’intera esistenza su un fondo d’oro già presente dall’inizio e che è la somiglianza con Dio. Ogni Adamo è una luce custodita in un guscio di fango.

Vivere altro non è che la fatica aspra e gioiosa di liberare tutta la luminosità e la bellezza sepolte in noi.

E le sue vesti divennero bianche come la luce: la gloria è così eccessiva che non si ferma al volto, neppure al corpo intero, ma tracima verso l’esterno e cattura la materia degli abiti e la trasfigura. Se la veste è luminosa sopra ogni possibilità umana, quale sarà la bellezza del corpo?
Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia: Mosè sceso dal Sinai con il volto imbevuto di luce e di vento, Elia rapito in un carro di fuoco e di luce.

Allora, Pietro, stordito e sedotto da ciò che vede, balbetta:
È bello per noi essere qui. Stare qui, davanti a questo volto, che è l’unico luogo dove possiamo vivere e sostare. Qui siamo di casa, altrove siamo sempre fuori posto. Altrove non è bello, e possiamo solo pellegrinare, non stare. Qui è la nostra identità, abitare anche noi una luce, una luce che è dentro la nostra creta e che è il nostro futuro.
Non c’è fede viva e vera che non discenda da uno stupore, da un innamoramento, da un: che bello! Gridato a pieno cuore, come Pietro sul Tabor.

Ma come tutte le cose belle la visione non fu che la freccia di un attimo: e una nube luminosa li coprì con la sua ombra.
Venne una voce: quel Dio che non ha volto, ha invece una voce. Gesù è la Voce diventata Volto. Il Padre prende la parola, ma per scomparire dietro la parola di suo Figlio: ascoltate Lui. Fede fatta d’ascolto: sali sul monte per vedere, e sei rimandato all’ascolto. Scendi dal monte, e ti rimane nella memoria l’eco dell’ultima parola: Ascoltatelo.
La visione del volto cede all’ascolto del volto. Il mistero di Dio è ormai tutto dentro Gesù. Così come anche il mistero dell’uomo. Quel volto parla, e nell’ascolto diventiamo come lui, anche noi imbevuti di cielo.

(Letture: Deuteronomio 7,9-10.13-14; Salmo 96; 2 Pietro 1,16-19; Matteo 17,1-9)

https://buff.ly/2wsHxRg

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/l-uomo-icona-di-cristo-dipinta-lungo-una-vita

http://www.cercoiltuovolto.it/p-ermes-ronchi/

Il suo volto brillò come il sole:
il volto è come la grafia del cuore, la sua espressione.
Il volto alto dell’uomo è comprensibile
solo a partire da Gesù.
Ogni uomo abita la terra
come un’icona di Cristo incompiuta,
che viene dipinta progressivamente
lungo l’intera esistenza su un fondo d’oro
già presente dall’inizio
e che è la somiglianza con Dio.
Ogni Adamo è una luce
custodita in un guscio di fango.

… La visione del volto cede all’ascolto del volto.
Il mistero di Dio è ormai tutto dentro Gesù. Così come anche il mistero dell’uomo.
Quel volto parla, e nell’ascolto diventiamo come lui, anche noi imbevuti di cielo.

– Ermes Ronchi – (Trasfigurazione del Signore)

https://buff.ly/2wsHxRg
 

 

II domenica di quaresima(Mt 17, 1-9)

(a cura di p. Ermes Ronchi)

La quaresima ci sorprende, ci spiazza con un vangelo pieno di sole e di luce, che mette energia, dona ali alla nostra speranza.

Gesù prese con sé tre discepoli e salì su di un alto monte. I monti sono come indici puntati verso il mistero e le profondità del cosmo, raccontano che la vita è un ascendere verso più luce, più cielo: e là si trasfigurò davanti a loro, il suo volto brillò come il sole.

Non è che Gesù si toglie la maschera Gesù, e mostra chi è davvero, ma indica un percorso, una esperienza possibile anche a noi.

Guardiamo Pietro e la sua esclamazione stupita: è bello qui, è bellissimo, non andiamo via… gli occhi sgranati come bambino… è bello, ma non è definitivo.

Può essere successo anche a noi in una giornata particolare, un pellegrinaggio, un ritiro, o in montagna, o nell’abbraccio amoroso con la persona che si ama, momenti di gioia pura, momenti perfetti, in cui fai l’esperienza che così dovrebbe essere Dio,

ti pare di aver potuto sbriciare per un attimo dentro il Regno.

Eppure non è la condizione definitiva, c’è un cammino da percorrere, talvolta un deserto, certamente una pianura alla quale ritornare.

Dei giovani chiesero un giorno al card Marini: “padre, quando partecipiamo a un momento forte, una preghiera intensa, a un ritiro bello, ci sentiamo carichi e pronti, c’è entusiasmo. Poi si torna a casa e pian piano quella energia, quel sentimento si spegne. Come si può fare per mantenere acceso il cuore, più a lungo?”

Il cardinale rispose così: non sempre si può avere l’incandescenza del cuore, ma sempre possiamo avere la memoria dell’incandescenza. Si può rivivere il ricordo di quei momenti.

Noi tutti abbiamo archivi interiori colmi di momenti belli, ma che non sappiamo sfruttare, non sappiamo gustare la nostra storia, trascuriamo le nostre piccole trasfigurazioni. Abbiamo vissuto fatti e persone, parole e gesti bellissimi, che però abbandoniamo, lasciamo languire nella memoria, fino a che si dissolvono e scompaiono.

La più bella penitenza che io ho ricevuto andando a confessarmi? Adesso fermati un momento, cerca dentro di te quale è stata la gioia più bella che hai provato in questo mese, la tiri fuori, la rivivi davanti a Dio e lo ringrazi…

Dobbiamo imparare da santa Maria: per due volte è detto che custodiva e meditava tutto ciò che le era accaduto: angeli e pastori, Giuseppe e i magi, quel dodicenne ribelle…e cercava il filo d’oro che tutto avrebbe cucito insieme e spiegato.

È quello che accade per i tre apostoli sul monte: quella visione dovrà restare viva e pronta nel cuore. Gesù con il volto di sole è una immagine da conservare e custodire per il giorno più buio, quando il suo volto sarà colpito, oltraggiato, umiliato, non più trasfigurato, ma sfigurato. Nel colmo della prova, un filo terrà legati i due volti di Gesù. Il Volto che gronda di luce, e quello che stillerà sangue.

Ma anche allora, ricordiamo: ‘sulla croce già respira, nuda, la risurrezione’ (A. Casati).

 

L’entusiasmo di Pietro ci fa inoltre capire che la fede per essere forte e viva deve discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un ‘che bello!’ gridato a pieno cuore.

Perché io credo? Perché Dio è la cosa più bella che ho incontrato, Perché credere è acquisire bellezza del vivere. Che è bello amare, avere amici, esplorare, creare, seminare, perché la vita ha senso, va verso un esito buono, che comincia qui e scorre nell’eternità.

 

«È bello per noi stare qui»: in quel momento ogni cosa è illuminata.

Vorrei per me la fede per ripetere queste parole:

è bello stare su questa terra, su questo pianeta minuscolo e bellissimo;

è bello in questo nostro tempo, che è unico e pieno di potenzialità.

È bello essere uomini: non è la tristezza, non è la delusione la nostra verità.

È bello stare con Cristo, che è luce da luce, come dice il Credo. E se Cristo è in me, se ho il suo cromosoma nel sangue, il suo DNA, allora anch’io sono in qualche misura luce da luce.

Il nostro lavoro più importante è liberare tutta la luce sepolta in noi. E in quelli accanto a noi. Liberare bontà, generosità, talenti, speranze.

“Il vostro male, fratelli, è che non sapete quanto siete belli!” (Dostoiewski).

 

Paolo oggi scrive al suo amico Timoteo una frase di emozionante bellezza: «Cristo Gesù ha fatto risplendere la vita» (2 Tm 1,10).

Gesù ha fatto splendida l’esistenza, non solo il suo volto e le sue vesti, non solo il futuro o i desideri, ma la vita qui e adesso, la vita di tutti, la vita segreta di ogni creatura.

Ha riacceso la fiamma delle cose, ha fatto risplendere l’amore, ha dato splendore agli incontri e bellezza alle vite, sogni nuovi e bellissime canzoni al nostro sangue. «E i sensi sono divine tastiere» (D.M. Turoldo) che provano gli accordi di una sinfonia che parla di alleanza gioiosa con tutto ciò che vive.

 

Se di questa domenica potessimo portare con noi una parola, sia questa: «Il Signore ha fatto risplendere la vita».

Ripeterla come un’eco di speranza e di bontà: la trasfigurazione è già iniziata; nelle vene del mondo già corrono frantumi di stelle.

E seminare i segni della bontà e della luce, seminare occhi nuovi che sappiano vedere e ringraziare

e gustare le creature, che sono buone e luminose, che hanno passione di giustizia e che danno la vita.

E beati coloro che hanno il coraggio di essere ingenuamente luminosi nello sguardo, nel giudizio, nel sorriso.

Davanti a loro puoi dire «è bello per me stare qui», accanto a te, insieme a voi.

Basterebbe ripetere senza stancarci: ha fatto risplendere la vita, per ritrovare la gioia di credere in questo Dio, fonte di canto e di luce. Forza mite e possente che preme sulla nostra vita per aprirvi finestre di cielo.

Un filo di luce collega il monte della trasfigurazione all’orto degli Ulivi: la sfida dell’amore. E’ la sfida di Gesù che Pietro, Giacomo e Giovanni debbono raccogliere.

Essi sono chiamati a cucire di fede e di speranza, quella distanza lunghissima tra Tabor e Gerusalemme, tra la luce ed il buio, fra quel volto bellissimo di Gesù sul Tabor e il volto sfigurato di un crocefisso.

E’ la sfida che ogni credente oggi è chiamato ed è costretto a raccogliere quando dinanzi a ciò che è brutto e inaccettabile come la malattia, la solitudine, la violenza, l’impotenza del corpo, la morte, il credente è chiamato a credere e ad “amare sino alla fine”, a consegnare se stesso, a non aver paura di perdere la propria vita consegnandola all’amore, contraendo legami di amore che vadano sino in fondo. Poi, ultima, verrà la luce!

p. Ermes Ronchi

1 Giugno 2016

Messaggio della Madonna di Medjugorje

 

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I 10 SEGRETI DI MEDJUGORJE (di Padre Livio Fanzaga):

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VIDEO RELATIVI AI MESSAGGI DELLA MADONNA DI MEDJUGORJE

PLAYLIST RELATIVA A MEDJUGORJE (MESSAGGI E COMMENTI IN VIDEO)
https://www.youtube.com/playlist?list=PL_I8V9Z5YmOY_O1E9krjhlTo3O_k-L-6y

LE APPARIZIONI DELLA MADONNA A PORZUS – Nuova versione

6 luglio 2005

Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO

5 Gennaio 2010

REPORT SUL 21° SECOLO

Attraverso un
fantascientifico viaggio nel tempo, l’autore del libro, Pier Angelo
Piai, desidera sensibilizzare il lettore a prendere coscienza del
nostro comune modo di pensare ed agire, noi del 21° secolo che ci
vantiamo di essere progrediti. In che cosa consiste, allora, la vera
evoluzione della specie umana?
Quando l’uomo potrà diventare davvero integrale?
Report
cerca di dare alcune risposte ai moltissimi interrogativi che emergono
in queste pagine scritte attraverso riflessioni e  considerazioni
sociologiche, antropologiche e filosofiche.

6 Luglio 2005

6 luglio 2005 Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO
Catechesi e omelie di padre Lino Pedron