C’È UN TEMPO PER RIDERE ED UN TEMPO PER PIANGERE….

(Alcuni eclatanti ed indimenticabili scherzi che ho organizzato sin da giovane)

 

Copertina del libretto cartaceo

 

PDF : C’È UN TEMPO PER RIDERE testo integrale

INTRODUZIONE

Nella vita ci sono momenti di grande serietà e riflessione, e momenti di pura gioia e leggerezza. Questi ultimi, spesso sotto forma di scherzi e burle, rappresentano un ingrediente essenziale per bilanciare il peso delle sfide quotidiane. Come ci ricorda il libro del Qoelet, “C’è un tempo per ridere e un tempo per piangere.” È in questo spirito che vi presento la mia raccolta di scherzi, frutto di anni di esperienze e di un desiderio innato di portare un sorriso sul volto degli altri.

Sono un ex-professore, uno scrittore e un blogger di Cividale del Friuli, con una passione per la cultura, la spiritualità, la teologia e la psicologia . La mia vita professionale mi ha insegnato che l’umorismo può essere un potente strumento educativo e un mezzo per costruire legami profondi. Da giovane studente universitario a insegnante in una scuola piena di giovani curiosi, ho sempre cercato di infondere un po’ di allegria in ogni situazione.

Guardando indietro, mi rendo conto di essere stato, inconsapevolmente, un precursore di “Scherzi a parte”. Anni prima che la celebre trasmissione televisiva portasse le burle nelle case degli italiani, io già orchestravo scherzi elaborati e coinvolgenti, capaci di sorprendere e far ridere chiunque vi fosse coinvolto. Ogni storia che troverete in queste pagine è una testimonianza di quel periodo, quando l’umorismo non aveva bisogno di telecamere nascoste per lasciare il segno.

Immaginate di trovarvi in un pullman pieno di gente, in attesa di una guida turistica straniera che si rivela essere un burlone con una parrucca, o di assistere a una scena in cui un insegnante, con un semplice gesto, riesce a domare il caos di una classe indisciplinata. Ogni scherzo raccontato in questo libro è stato una performance studiata con cura, una messa in scena che ha richiesto non solo una buona dose di audacia, ma anche un profondo rispetto per chi vi ha preso parte.

Nel corso degli anni, ho imparato che la risata non è solo una reazione istintiva, ma un linguaggio universale che ci unisce tutti. È un ponte che supera le barriere linguistiche, culturali e sociali, creando momenti di connessione autentica. E proprio in questi momenti, spesso fugaci ma intensi, risiede il vero potere dell’umorismo.

Vi invito quindi a sfogliare queste pagine con il cuore aperto, pronti a lasciarvi trasportare dalle storie di risate e di vita vissuta. Che possiate trovare in queste righe non solo un sorriso, ma anche una riflessione

sulla bellezza dell’umanità e sull’importanza di non prendersi mai troppo sul serio.
Ricordate, c’è un tempo per ridere e un tempo per piangere, e in questo libro, abbiamo scelto di celebrare il tempo per ridere. Buona lettura e buon divertimento!

ALCUNE MOTIVAZIONI CHE MI HANNO SPINTO A PUBBLICARE I MIEI SCHERZI

I lettori mi conoscono come un autore che tratta temi seri di cultura, arte, antropologia, teologia e spiritualità. Pubblicare i miei scherzi più riusciti potrebbe sembrare strampalato e fuori contesto, ma è un modo per condividere esperienze uniche e divertenti con un pubblico più ampio. Altri potrebbero trarre piacere e ispirazione da queste storie.

È anche un modo per lasciare un’eredità personale, una narrazione che le future generazioni della mia famiglia potranno apprezzare. Le persone amano leggere storie divertenti e coinvolgenti, e i miei scherzi potrebbero offrire una piacevole evasione dalla routine quotidiana, regalando risate a chi li legge.

Condividere le mie esperienze crea un senso di comunità, connettendomi con chi ha vissuto situazioni simili o apprezza il mio senso dell’umorismo. I miei scherzi possono ispirare altri a trovare la gioia nel quotidiano e a coltivare il proprio senso dell’umorismo. Questo mi dà l’opportunità di esprimere la mia creatività nella scrittura e nella narrazione, offrendo anche una nuova prospettiva sulle mie esperienze passate e aiutandomi a riflettere su di esse.
In un mondo spesso serio e pieno di preoccupazioni, le mie storie possono portare un tocco di leggerezza e divertimento. Pubblicare i miei scherzi può portare benefici sia a me che ai miei lettori, permettendomi di condividere la mia gioia e creatività con il mondo.

01) IL SEGRETO DI PULCINELLA

Anni ’70. Quando ero studente universitario, per potermi mantenere agli studi lavoravo come assistente presso un collegio di ragazzi provenienti da varie parti della regione, che frequentavano le scuole della città. Il collegio era patrocinato dalla diocesi e, a quanto pare, l’amministrazione si trovava in una crisi finanziaria per vari motivi, tra cui la difficoltà di pagare puntualmente gli stipendi.Il direttore del collegio, conoscendo la mia natura scherzosa e la mia abilità nelle imitazioni vocali, mi confidò questi problemi. Decisi di prendere la situazione, e anche la sua

pazienza, per il bavero. Mi misi d’accordo con lui per organizzare uno scherzo telefonico che avrebbe coinvolto l’amministratore stesso.Così, mi recai a una cabina telefonica pubblica, afferrai la cornetta e composi il numero dell’amministrazione. Con voce falsata, simulai di essere il segretario di Sua Eccellenza il Vescovo. “Buongiorno, sono il segretario di Sua Eccellenza, il Vescovo desidera conferire con lei,” dissi con tono autoritario.Dall’altra parte, l’amministratore si fece subito serio e, con un filo di voce, chiese come poteva essere utile. Io, continuando la mia performance, gli dissi che gli avrebbe passato al telefono il vescovo in persona. (sapevo imitare bene la sua voce)L’amministratore, visibilmente emozionato anche se solo al telefono, iniziò a descrivere in dettaglio i motivi della crisi, rivelando dettagli che neppure io conoscevo. Il “vescovo” promise che avrebbe aiutato il collegio con un prestito bancario. “Grazie, eccellenza, grazie infinite!” balbettò l’amministratore, quasi in lacrime di gratitudine.Appena riattaccato, l’amministratore corse dal direttore, raggiante come se avesse appena vinto la lotteria. “Il Vescovo ha promesso di aiutarci! Il problema si risolverà grazie a lui!” esclamò. Il direttore lo ascoltava con un sorriso compiaciuto, e poi, con un misto di divertimento e serietà, gli rivelò lo scherzo telefonico.Inizialmente, l’amministratore andò su tutte le furie. “Licenzialo subito! Ha infranto il segreto d’ufficio!” gridava. Il direttore, cercando di trattenere le risate, riuscì a calmarlo spiegando che, in realtà, quel “segreto” era ormai conosciuto da tutti.Per qualche giorno, l’amministratore non mi rivolse la parola, ma alla fine tutto si risolse. I nostri rapporti tornarono normali, e lo scherzo rimase uno degli aneddoti più memorabili della mia esperienza al collegio.Morale della favola? A volte, un po’ di umorismo può rendere più sopportabili anche le situazioni più difficili, e chi riesce a riderci sopra trova sempre un modo per superare ogni crisi.

02) IL VESCOVO E LA CROSTOLATA

Anni ’70
Mi trovavo nell’Istituto Tomadini di Udine, un vivace collegio che ospitava ragazzi provenienti da tutta la regione. Ero uno studente universitario con il compito di assistente educatore. Era un martedì grasso, e come da tradizione, tutti gli allievi si radunavano nel refettorio per una “crostolata” in grande stile per festeggiare il carnevale. Sentivo che quel giorno aveva bisogno di un tocco speciale, un momento clamoroso che tutti avrebbero ricordato. Così mi venne un’idea folgorante: perché non

far credere a tutti che il vescovo in persona sarebbe venuto a farci visita?
Mi misi d’accordo con i superiori, che si dimostrarono entusiasti e complici nella mia folle impresa. Convinsi due amici assistenti, noti per il loro spirito giocoso, a partecipare al mio piano. Recuperammo una vecchia tonaca da prete per ciascuno di loro, mentre io mi vestii con un drappo rosso brillante, che faceva una certa impressione.

I superiori diffusero subito la voce tra i ragazzi: quel giorno, niente di meno che il vescovo sarebbe venuto a salutare tutti personalmente. La mensa era situata a lato di un lungo corridoio, separata da questo tramite una vetrata opaca che permetteva solo di intravedere le figure al di là del vetro. La suspense era palpabile.

I superiori prepararono meticolosamente i numerosi ragazzi su come accogliere il vescovo: al suo arrivo, dovevano alzarsi in piedi e applaudire con entusiasmo. Il piano era perfetto, e l’attesa rendeva l’atmosfera elettrizzante.

All’ora stabilita, il silenzio calò nel refettorio come una coperta di neve fresca. Con i miei due complici al fianco, iniziammo a camminare lentamente lungo il corridoio, assumendo un’aria solenne e fingendo una conversazione importante. Dall’interno della mensa, probabilmente eravamo credibili. Il silenzio era assoluto, interrotto solo dal fruscio dei nostri passi e dal lieve bisbigliare degli studenti eccitati.

Quando finalmente la porta si aprì, uno dei superiori gridò con voce tonante: “Salutiamo in piedi sua eccellenza!” In un istante, tutti i ragazzi si alzarono, pronti a battere le mani con fervore. Ma appena ci videro, una risata fragorosa esplose nel refettorio. L’illusione si era dissolta in un lampo, rivelando tre burloni al posto del venerabile vescovo.
Il riso si tramutò in un applauso scrosciante, ancora più forte di quanto avremmo potuto immaginare. La sorpresa aveva funzionato a meraviglia, e il nostro piccolo inganno era stato accolto con gioia e divertimento. La “crostolata” di quel martedì grasso si trasformò in una festa ancor più memorabile, con i ragazzi che parlavano dello scherzo riuscito per giorni. Poi venne il momento della crostolata. Ma quella è un’altra storia…
Morale della favola
“A volte, un po’ di umorismo e creatività possono trasformare una tradizione in un ricordo indimenticabile, dimostrando che il vero spirito del divertimento sta nella sorpresa e nella condivisione di risate genuine.Questa morale sottolinea l’importanza del divertimento condiviso e del valore dei momenti di sorpresa e gioia collettiva.”

03) UNA RISATA ESPOLOSIVA (MICIDIALE)

Anni ’80. Ero ospite di un convento di frati serviti a Isola Vicentina per un po’ di tempo. In quel periodo, avevo legato con padre Davide, lo storico dell’Ordine, un uomo di bassa statura e assai rubicondo ma con una personalità esplosiva. Sempre carico di energia, era un oratore che riusciva a incantare le platee più diverse, dalle chiese ai conventi femminili, con le sue conferenze affascinanti.

Una sera, mi chiese di aiutarlo a progettare una conferenza particolarmente importante. Così, ci dirigemmo verso la biblioteca del convento. Padre Davide si mise al lavoro con zelo, stendendo il testo e annotando correzioni con una meticolosità che avrebbe fatto invidia a qualsiasi editor professionista. Continuava a scrivere, cancellare e riscrivere le note con una precisione quasi maniacale.
Dopo un po’, non resistetti e commentai: “Padre Davide, sembri un contorsionista delle note!” La battuta, a dire il vero, non era proprio un capolavoro di comicità, ma la reazione in quel contesto fu esplosiva. Padre Davide scoppiò in una risata fragorosa e incontrollabile.
La sua risata si intensificò a tal punto che, improvvisamente, lo vidi crollare a terra svenuto.
Fui costretto a chiamare aiuto e padre Davide fu ricoverato in ospedale. Fortunatamente, la situazione si risolse senza gravi conseguenze. Tuttavia, non avrei mai immaginato che una semplice battuta potesse provocare una reazione così… esplosiva!

04) UNA LEZIONE DI VITA A LIGNANO

Anni ’80. Un giorno stavo passeggiando solitario sull’arenile di Lignano, nei pressi della Colonia. La brezza marina e il sole splendente rendevano l’atmosfera perfetta per un piccolo scherzo. Notai un gruppetto di ragazze sdraiate sulla sabbia, intente a chiacchierare. Dall’aspetto sembravano le inservienti della colonia in un momento di relax.

Deciso a fare colpo, mi avvicinai con fare disinvolto e chiesi loro, in perfetto tedesco, da dove venissero. Fingevo di non conoscere l’italiano. Le ragazze si scambiarono uno sguardo perplesso, finché una di loro, che sapeva il tedesco, mi rispose che erano friulane.
Decisi di alzare la posta. Con un sorriso da vero uomo d’affari, dissi loro che ero un grosso imprenditore con una catena di alberghi in tutto il mondo. Per rendere tutto più credibile, aggiunsi qualche domanda in

inglese, francese, russo e spagnolo. A quella che parlava inglese chiesi, con aria da boss, se fossero interessate a lavorare per la mia catena di alberghi. Promisi loro un anticipo di 4-5 milioni di lire e uno stipendio di circa 4 milioni al mese.

Le ragazze, convinte che non capissi il friulano, cominciarono a discutere tra loro. Si lamentavano della paga misera di 300.000 lire al mese come inservienti e sognavano già una vita migliore. Dopo una breve consultazione, mi dissero di sì, entusiaste.
Con un sorriso sornione, le invitai a presentarsi nella hall dell’albergo di lusso dietro di loro, quella sera stessa alle 8:30.
Quando accettarono, decisi che era il momento di rivelare il mio bluff. Passai improvvisamente al friulano, sottolineando la loro imprudenza. Spiegai che avrei potuto essere un malintenzionato e che non avrebbero dovuto fidarsi così facilmente.
All’inizio, rimasero ammutolite e visibilmente scosse. Ma poi, capendo la lezione, mi ringraziarono sinceramente per averle messe in guardia. Con un ultimo sorriso, ripresi la mia passeggiata, lasciandole a riflettere sulla preziosa lezione appena imparata.

05) IL FINTO REPORTER DELLA BBC A UDINE

Negli anni ’80, avevo acquistato una delle prime telecamere portatili, un modello piuttosto ingombrante con un voluminoso portabatterie da portare a tracolla. Quel martedì grasso, insieme al mio amico Maurizio, decisi di recarmi sul piazzale del castello di Udine per fare delle riprese panoramiche della città.

Mentre filmavo la città dall’alto del colle, mi venne un’idea ispirata dal periodo carnevalesco. Con un perfetto accento inglese, iniziai a fingere di essere un cronista della BBC, ripetendo frequentemente il nome dell’emittente. Alcuni passanti, incuriositi dalla scena, iniziarono a fermarsi per ascoltare, cercando di capire cosa stavo dicendo. Maurizio, abituato ai miei scherzi, si limitava a portare il pesante portabatterie cercando di trattenere le risate. Io continuavo a parlare in finto inglese, commentando la vista panoramica come se fossi in diretta su un canale internazionale.

Ad un certo punto, si avvicinò un signore distinto, che durante una breve pausa mi chiese chi fossimo. Con un italiano impacciato, gli spiegai che eravamo della BBC e stavamo realizzando un servizio su Udine. Lui si presentò come il vice-rettore di una radio locale e mi disse che sarebbe stato lieto di commentare la storia della città per il nostro servizio. Accettai la sua offerta e cominciai a riprenderlo mentre, con lo sfondo

panoramico di Udine, iniziava il suo discorso. Con grande eloquenza e competenza, spiegò la storia della città dal Medioevo ai giorni nostri, sottolineando quanto fosse onorato che la BBC si interessasse a Udine. Maurizio, simulando serietà professionale, faceva fatica a trattenere le risate. Al termine del suo dotto intervento, il signore mi chiese di recarmi alla sede della sua radio locale. Imbarazzato, declinai l’invito, spiegando che dovevamo correre a Venezia per coprire il Carnevale.

Il distinto signore, visibilmente soddisfatto, mi consegnò il suo biglietto da visita, ringraziandomi per l’opportunità di far conoscere Udine all’estero. Poi si allontanò con la sua famigliola, convinto di aver contribuito a un importante servizio televisivo.

Conservo ancora quel video, un ricordo indelebile di uno dei miei scherzi più riusciti. Purtroppo, non feci in tempo a dirgli che si trattava di uno scherzo di Carnevale, ma la sua espressione entusiasta rimane una delle più grandi soddisfazioni della mia carriera di burlone.

06) LO SCHERZO DEI TURISTI AUSTRIACI

Durante il periodo in cui insegnavo, l’estate era spesso dedicata ai corsi di aggiornamento organizzati dalla Regione, che potevano durare settimane. Un’estate, insieme a colleghi friulani e triestini di altre scuole, dovemmo frequentare un corso di antropologia della durata di una settimana a Grado. La location era un albergo gestito da una signora soprannominata “La Contessa” per il suo portamento nobile e le sue maniere gentili. Sebbene fosse piuttosto intransigente, riuscii a instaurare una forma di amicizia con lei grazie ai miei scherzi.

L’albergo era frequentato anche da turisti austriaci. Un giorno, decisi di organizzare uno scherzo proprio ai loro danni, coinvolgendo i miei colleghi. L’idea era di simulare un dibattito in tedesco maccheronico durante il pranzo. Io avrei condotto il pseudo-dibattito, mentre i colleghi dovevano solo ascoltarmi, ridere spesso e dire ogni tanto “ja”. Naturalmente, la “Contessa” era complice e pronta a stare al gioco.

La sala da pranzo era piena di turisti tedeschi e austriaci quel giorno. Iniziai il finto dibattito con toni alti e accesi, gesticolando come un vero oratore. I colleghi seguirono il copione alla perfezione: ad ogni mia battuta in finto tedesco, ridevano fragorosamente e qualcuno gridava “ja” come se avesse capito tutto. Gli austriaci presenti in sala continuavano a mangiare e conversare tra loro, ma era evidente che erano incuriositi. Ogni tanto ci guardavano con la coda dell’occhio e uno in particolare, cercando di non dare nell’occhio, aveva diretto il suo padiglione auricolare verso di noi.

Ad un certo punto, questo curioso chiamò la “Contessa” e le chiese da dove venivamo. Come d’accordo, lei rispose che eravamo un gruppo di tedeschi dello Schleswig-Holstein, ma subito dopo gli rivelò lo scherzo, dicendo che eravamo un gruppo di insegnanti italiani burloni e che la lingua che parlavamo era del tutto inventata.

Il turista, un uomo distinto, si alzò e si avvicinò al nostro tavolo. In perfetto italiano, si presentò come professore di psicologia dell’Università di Vienna. Con un sorriso, ci fece i complimenti per lo scherzo ben riuscito. La sala esplose in risate e applausi, con i turisti austriaci che si univano al nostro divertimento.

Quel giorno non solo avemmo una lezione di antropologia, ma anche una dimostrazione pratica di come l’umorismo possa superare ogni barriera linguistica.

07) UN NASO ROSSO IN PIAZZA MATTEOTTI a Udine

Anni ’80. Un pomeriggio come tanti altri, mi trovavo in piazza Matteotti a Udine, quando mi imbattei in un gruppo di ragazzi con il classico naso rosso da clown. Erano volontari di un’associazione che, ero convinto, si dedicava a portare un sorriso ai malati negli ospedali. Nonostante le loro buone intenzioni, però, notai che la gente rideva poco e sembrava poco coinvolta.

Mi avvicinai a uno di loro, e con un’impeccabile pronuncia, iniziai a parlargli in “tedesco gramelot”. Il poveretto, incapace di capirmi, chiamò un suo compagno con qualche base di tedesco. Naturalmente, non capiva nulla neanche lui. Allora mi rivolsi a un altro in un finto inglese, poi in russo, sloveno, francese e spagnolo. Ogni tentativo di comunicazione cadeva nel vuoto, e i volontari si guardavano tra loro perplessi, mentre la gente attorno ci osservava, sempre più incuriosita. Dopo aver sfoderato un repertorio di lingue inventate, decisi di svelare il mio gioco. Ci fu un’esplosione di risate che risuonò per tutta la piazza. Il capo dei volontari, divertito e forse anche un po’ sollevato, mi chiamò sul palco. Non ci pensai due volte e iniziai a sfoderare il mio repertorio di imitazioni: galline, cavalli, mucche, galli, uccelli e persino il ronzio perfetto di una zanzara. La folla, che fino a quel momento era stata tiepida, si scaldò e iniziò a crescere.
Al termine dello spettacolo, i volontari mi ringraziarono calorosamente. Mi sentivo incredulo per essere riuscito a far ridere proprio coloro che erano lì per strappare un sorriso agli altri.
Morale della favola: A volte, per portare gioia agli altri, bisogna essere pronti a scherzare e a prendersi meno sul serio. La risata è contagiosa e

spesso nasce dalle situazioni più inaspettate. Anche chi è impegnato a far ridere ha bisogno, ogni tanto, di una buona dose di umorismo.

08) LA GUIDA DI BRATISLAVA

Anni ‘80. Il parroco di Torreano, un piccolo paese nei dintorni, mi invitò ad animare un suo gruppetto parrocchiale durante una gita a Praga. In quel periodo, la Cecoslovacchia era ancora sotto il regime comunista, il che aggiungeva un certo alone di mistero e avventura al viaggio. Durante il tragitto, mi impegnai a far divertire i passeggeri del pullman: barzellette, imitazioni, giochi di gruppo – insomma, il repertorio completo di un intrattenitore. Ma ad un certo punto, mi venne un’idea folgorante. Aspettavamo una guida cecoslovacca a Bratislava e pensai di sfruttare l’occasione per uno scherzo epico. Mi misi d’accordo con il parroco e con l’autista per mettere in scena il mio piano.

Seduto nel posto davanti, vicino all’autista, mi rannicchiai per terra e indossai una parrucca da donna. Il sedile era più basso degli altri, quindi le persone dietro non potevano vedermi. Arrivati alla periferia di Bratislava, il parroco diede l’annuncio che una guida cecoslovacca ci stava aspettando a pochi metri più avanti.
L’autista aprì la porta anteriore ed io, con la parrucca in testa, mi sedetti sul sedile basso in modo che si intravedesse solo la chioma. Prendendo il microfono in mano, cominciai a parlare con un italiano stentato e con un forte accento straniero, imitando un falsetto femminile: “Buongiorno, sono Katiuscia, la vostra guida cecoslovacca che vi accompagnerà fino a Praga. Vi raccomando di essere molto disciplinati perché i poliziotti sono piuttosto severi verso chi infrange la legge.”
Le espressioni dei passeggeri erano un mix di stupore e preoccupazione. Alcuni bisbigliavano in friulano: “Dove siamo capitati?” “Cosa ci vogliono fare?” Io, trattenendo le risate, continuai con i miei avvisi allarmistici: “Dovremo camminare per le città tutti insieme. È meglio che vi diate la mano due a due e non fermatevi a parlare con nessuno per le strade.”
Il fermento da panico si diffondeva nel pullman. “Chi si allontana dal gruppo potrebbe essere arrestato. Non potete criticare il tenore di vita che vedete confrontandolo col vostro: sareste ritenuti spie e incarcerati… potrete comprare solo quello che vi diciamo noi…”
Le facce dei passeggeri diventavano sempre più pallide. Anche mia moglie, seduta in fondo al pullman, ci era cascata completamente, nonostante conoscesse bene la mia voce. Ad un certo punto, il parroco intervenne con un sorriso sornione e mi chiese di alzarmi e voltarmi

verso la gente. Il silenzio era surreale, rotto solo dal fruscio della parrucca mentre mi alzavo lentamente.
Quando finalmente mi voltai e rivelai il mio volto conosciuto, seguì un attimo di silenzio, poi una risata generale che riempì il pullman. L’applauso lungo e caloroso fu la ciliegina sulla torta di uno scherzo ben riuscito. I passeggeri, sollevati e divertiti, ripresero il viaggio verso Praga con il morale alle stelle.

Morale della favola? A volte, un buon scherzo può trasformare l’ansia e la paura in un momento di pura gioia e comunità. E, nel frattempo, si impara a non prendere troppo sul serio i presunti pericoli.

09) RICORDI GIOVANILI DEL sig. STRAMBOZZI

Quand’ero insegnante, un giorno, in vena di scherzare, proposi agli allievi la lettura di questo racconto come esercitazione finalizzata alla comprensione di un semplice testo in lingua italiana.
Ricordo bene alcuni episodi della mia giovinezza che mi erano accaduti proprio un venerdì 17…:

“Verso le 22 dopo la mezzanotte arrivai velocemente come una lumaca in un giardino pubblico di proprietà privata.
Il posto era completamente deserto ma affollato da migliaia persone provenienti da diversi paesi.

Ovunque alberi dalla folta chioma privi solo dei rami e dei tronchi. Qua e là fiorellini variopinti colorati di nero.
Lateralmente si scorgeva un torrente asciutto il cui letto era colmo di acqua straripante.

Galleggiavano delle barre ripiene di piombo mentre i funghi spuntavano come alberi sui tronchi lisci e nodosi.
Mi sedetti su un sassolino di legno e cominciai a leggere la pipa fumando il giornale.

Poi presi la mia vecchia canna da pesca senza canna a cui mancava soltanto il filo, attaccai alla lenza un pesce, lo gettai nel torrente e pescai un verme.
Poi, strofinandomi le mani, accesi un fuoco in riva al fiume ma una scintilla incendiò l’acqua che prese fuoco.
Il caldo afoso faceva rabbrividire e mi intirizziva tutto. Accanto a me un’oca aveva un freddo cane ed un cane aveva la pelle d’oca.
In fondo al parco le rane ululavano mentre i lupi gracidavano soavemente.

Sullo fondo vidi un cadavere vivente.
Allora infilai i miei occhiali senza lenti e privi di intelaiatura, estrassi il mio coltello senza manico, a cui mancava soltanto la lama e sparai contro il morto, il quale visse.
Sentii una forte emicrania al piede destro. L’indomani mi recai in città dall’oculista che mi fece un’elettrocardiogramma per capire lo stato del mio cervello.
Un poliziotto mi arrestò e mi condannò a 30 anni di fucilazione a vita da effettarsi mediante impiccagione sulla sedia elettrica.
Alla fine, stanco vivo, mi buttai sul letto e sentii: Ahi!…Avevo schiacciato un pisolino!!”

Il racconto è stato un esercizio eccellente per stimolare diverse reazioni e discussioni, incoraggiando gli studenti a pensare in modo critico e creativo, nonché a esplorare le sfumature del linguaggio e delle figure retoriche.

10 ) QUANDO LE PAROLE DIVENTANO GIOCO: UN GIORNO IN CLASSE

Era un normale giorno di lezione, uno di quelli in cui il sole splendeva alto nel cielo e l’energia degli studenti riempiva l’aula. In qualità di insegnante, avevo deciso di proporre un’attività un po’ diversa dal solito per le mie classi. Avevo selezionato un brano che, almeno secondo me, era piuttosto semplice. L’obiettivo era di farli esercitare nella lettura e nella comprensione del testo, ma c’era un piccolo segreto nascosto tra le righe.

Il brano raccontava la storia di Filomena, una casalinga di Rubignacco, una piccola località di Cividale del Friuli.

“Filomena si svegliò tardi una mattina, si alzò dalla sua brandina dopo una notte insonne e cominciava a vagare nel suo tinello, inciampando sul pouf. Dopo essersi risollevata e aver trovato le sue paperine sotto il chiffonnier, si vestì con cardigan e fuseaux e si recò in bagno. Guardandosi allo specchio, notò le sue efelidi ovulari sulla pelle livida, segni di una precoce senescenza. In cucina trovò un disordine totale: la schiumaiola e il ramaiolo con la teglia sulla pirofila, l’indivia riccia ancora da lavare, e i lazzeruoli sparsi sul pavimento. Tutto era un caos dopo la festa della sera precedente. Sui vassoi c’erano ancora tartine, spumoni, zuccotti, ricciarelli, diplomatici e maritozzi. La pulcianella era vuota,

segno che Filomena aveva trangugiato mezzo litro di vermentino prima di ritrovarsi a letto. Suo marito era già in campagna a sarchiare il terreno con la sarchiatrice. Guardando la martingala della giacca del marito, appesa vicino all’arcile antico, Filomena si ricordò di aver promesso di preparare una buona pastasciutta, ma era indecisa tra sedani e tortiglioni. Alla fine optò per i tortiglioni, riponendoli nella ragutiera in attesa del pranzo. Dopo aver sistemato tutto, raddrizzò lo chignon e rimesso al suo posto lo zerbino, si recò in giardino per controllare la situazione. Filomena amava coltivare spezie come lo zenzero e il coriandolo nel suo orto. Trovò il pennato e la roncola tra l’erba, riponendoli nella capanna accanto al saracco e al gattuccio. L’aria era tersa e i profumi dei suoi fiori preferiti, come le zinnie e i giaggioli, si mescolavano. Un macaone quasi le sfiorò il viso mentre fanelli e codibugnoli riempivano l’aria di melodie. Una cinciarella e un fiorrancino litigavano per un ematoda nell’humus, e un biacco scivolava in un anfratto del terreno. Filomena si soffermò accanto al maestoso leccio, con le ghiande occhieggianti tra le foglie coriacee, e osservò anche l’ontano, il carpino bianco, la farnia e l’acero con le sue samare sferiche. Presso lo stabbiolo notò la scrofa che grufolava nel trogolo. Un refolo di vento le lambì i capelli, portandole una sensazione di estasi. Il cirneco e lo schnauzer le si avvicinarono per farsi accarezzare. Rientrando in casa, Filomena si sentiva diversa, con una nuova palingenesi interiore che le regalava stupore per la vita.”

Mentre gli studenti leggevano il brano, vedevo le loro espressioni cambiare. Pian piano, volti perplessi prendevano il posto di quelli inizialmente fiduciosi. Le mani si alzavano in cerca di vocabolari, e bisbigli di confusione si diffondevano nella stanza. Nessuno riusciva a capire completamente il testo, eppure, nonostante le parole difficili e le descrizioni intricate, il brano aveva un senso logico.

L’aula si riempì di risate e chiacchiere mentre gli studenti si rendevano conto dello scherzo intellettuale che avevo architettato. Quel giorno, non solo avevano fatto esercizio di lettura e comprensione, ma avevano anche imparato che a volte le parole possono diventare un divertente gioco di scoperta e meraviglia.

11) LA SORPRESA DELLE MARGHERITE

Durante il periodo in cui insegnavo, mi capitò un giorno di essere solo in sala insegnanti. Al momento di uscire, notai qualcosa di insolito: una fila

di margherite, raccolte nel prato della scuola, era posata per terra. Incuriosito, iniziai a seguirla.
Le margherite tracciavano un percorso lungo tutto il corridoio, guidandomi come una sorta di mappa floreale. Con ogni passo, la mia curiosità cresceva. Giunsi finalmente alla porta della classe dove dovevo fare lezione. Aprii la porta e trovai che la fila di margherite proseguiva fino alla mia scrivania, dove erano sparse in un elegante disordine floreale.

Appena entrato, gli studenti scoppiarono in un applauso. Quel giorno non c’era alcuna ricorrenza speciale né un compito in classe. Sorridevo, ma ero curioso di sapere il motivo di quella scenografia sorprendente. Quando chiesi loro perché l’avessero fatto, mi risposero con semplicità e genuinità: erano contenti di vedermi e volevano farmi una sorpresa. Quel gesto inaspettato riempì la giornata di gioia e mi ricordò perché amavo insegnare. È incredibile quanto un semplice atto di gentilezza possa trasformare una giornata ordinaria in un ricordo indimenticabile.

12) LA CLASSE DEI PROFUGHI ROMENI

Anni ’90. Un giorno, il direttore della scuola mi chiamò per affidarmi una classe di ragazzi romeni, profughi minorenni. Accettai l’incarico, consapevole delle difficoltà che mi attendevano, dato che in quegli anni i romeni non avevano la migliore delle reputazioni.

Sapendo che non conoscevano l’italiano, decisi di giocare d’astuzia. Passai qualche serata a imparare frasi comuni in romeno. Volevo rompere il ghiaccio in modo inatteso.
Il primo giorno di scuola entrai in silenzio. I ragazzi mi fissavano, curiosi di capire chi fossi e cosa aspettarmi. Senza dire una parola, mi avvicinai alla finestra, l’aprii e, con tutta la teatralità che potevo, dissi in romeno: “Ragazzi… qui c’è odore di piedi, lavatevi!”

Per un attimo, ci fu un silenzio di tomba. I ragazzi mi guardarono con gli occhi spalancati, increduli. Poi, all’improvviso, scoppiarono in una fragorosa risata. Era esattamente la reazione che speravo.
Il giorno dopo, entrarono tutti in classe puliti e profumati, pronti per iniziare una nuova avventura. Quel semplice gesto aveva infranto le barriere e creato un legame speciale. Il mio rapporto con loro fu stupendo, e riuscimmo a fare lezione serenamente per due anni.

Quel primo giorno, con il mio scherzo, non solo avevo conquistato la loro fiducia, ma avevo anche gettato le basi per un ambiente di rispetto e collaborazione. E fu così che, grazie a un po’ di umorismo e a un pizzico

di romeno, trasformai una sfida in una delle esperienze più gratificanti della mia carriera di insegnante.

13) IL FINTO DIBATTITO TEDESCO SU TELEFRIULI A GIASSICO (Cormons)

Anni fa, un mio amico ed io ci recammo a Giassico, nel comune di Cormons, per la tradizionale festa che rievoca il periodo in cui il Friuli era sotto l’Impero Asburgico. L’atmosfera era magica: il borgo era un brulicare di persone in costumi d’epoca, con stoffe ricamate e cappelli piumati. Anche molti austriaci erano presenti, aggiungendo un tocco di autenticità alla rievocazione.
Il mio amico, avendo lavorato in Germania, conosceva un po’ di tedesco, e quando notammo la telecamera di Telefriuli che si avvicinava a noi, un lampo di ispirazione ci attraversò le menti. “Facciamo uno scherzo!”, mi disse, occhi scintillanti di complicità.
Appena l’intervistatore si avvicinò con il microfono, iniziai a rispondere in un tedesco scolastico, ma comprensibile. “Ja, ja, diese Feier ist wunderbar!” dissi, con un sorriso complice. Il giornalista sembrava soddisfatto e incoraggiato dalla mia padronanza della lingua.
Poi, gradualmente, cominciai a blaterare in un finto tedesco, trasformando il nostro dialogo in un surreale battibecco sulla politica italiana dell’epoca, in particolare sul berlusconismo. “Nein, nein, Berlusconi ist kaputtmachen!” esclamai, agitando le mani per enfatizzare la mia finta indignazione.
Il mio amico, non volendo essere da meno, replicava con altrettanta enfasi in un miscuglio di parole tedesche vere e inventate: “Nein, du bist verrückt! Berlusconi ist… wunderbarisch!” Le nostre voci si alzavano, gesticolando animatamente come in una vera e propria lite tedesca.
Il giornalista, inizialmente confuso, iniziò a capire che qualcosa non tornava. Un sorriso divertito si dipinse sul suo volto e, dopo qualche secondo di puro teatro, si allontanò ridendo per continuare le sue interviste con altri partecipanti.
La vera sorpresa arrivò il giorno successivo. Sintonizzati sul telegiornale di Telefriuli, vedemmo il servizio sulla festa e… eccoci lì! Il nostro teatrino in finto tedesco era stato trasmesso integralmente. Fu un’esplosione di risate tra amici e conoscenti che ci avevano riconosciuti e subito ci sommerse di telefonate.
In pratica, Telefriuli ci ha restituito lo scherzo, trasformando un momento di gioco in un’esperienza condivisa con tutti i telespettatori. Ancora oggi,

quel momento rimane uno dei ricordi più divertenti e spensierati delle nostre avventure a Giassico, un esempio perfetto di come l’umorismo e la spontaneità possano trasformare una giornata qualunque in un ricordo indimenticabile.

14) L’APE IN AULA

Dodici anni fa, insegnavo a una classe piuttosto indisciplinata. Un giorno, il fermento raggiunse livelli insostenibili a causa di un’ape che svolazzava per l’aula. I ragazzi, in preda al panico, cercavano di schivarla e aprivano le finestre nel vano tentativo di farla uscire. Il chiasso era assordante, e io non riuscivo a fare lezione.

Esasperato, invocai tra me e me l’aiuto dell’angelo custode. Rimasi in silenzio, osservando la scena come un regista che studia il caos sul set. Poi, con un gesto teatrale, puntai il dito verso l’ape che, sorprendentemente, rimase sospesa in aria davanti a me. Con voce solenne, ordinai: “Tu, esci da qua!”

Aprii la porta, e, come se avesse capito perfettamente, l’ape volò rapidamente fuori dall’aula. Chiusi la porta dietro di lei, mentre i ragazzi mi guardavano sbalorditi, immersi in un silenzio irreale. Uno di loro, con occhi spalancati, mi chiese se fossi un mago. Sorrisi enigmaticamente, senza confermare né smentire.
Da quel momento in poi, la classe mi guardò con una nuova riverenza. Trascorsi i successivi due anni in assoluta tranquillità, con studenti che mi rispettavano e, forse, mi temevano un po’ di più.

15) LA SIGNORA TEDESCA A CIVIDALE DEL FRIULI

Un giorno, mia moglie e io, insieme a un amico, stavamo passeggiando per le pittoresche strade del centro di Cividale. All’improvviso, il nostro amico si fermò per parlare con una signora tedesca che passava da quelle parti e che diceva di conoscere.

Sapevo che era il momento perfetto per un bello scherzo. Appena fui presentato, la salutai con una frase tedesca che avevo imparato: “WIE GEHT ES IHNEN?” La signora, sorpresa dalla mia buona pronuncia, mi rispose in tedesco, chiedendomi se venivo dalla Germania.

Non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione, così risposi con una frase di “tedesco maccheronico”, una serie di suoni senza senso ma che imitavano perfettamente la cadenza della lingua tedesca. La signora, ignara del mio trucco, rispose come se avesse capito perfettamente

quello che avevo detto.
Così, il nostro “dialogo” continuò. Io lanciavo frasi di tedesco inventato, e lei rispondeva nella sua vera lingua, convinta di star conversando con un connazionale. Il tutto andò avanti per quasi dieci minuti, durante i quali mia moglie e il nostro amico mi osservavano stupefatti, cercando di trattenere le risate.
Ancora oggi, quando ripenso a quel momento, non riesco a capire come sia stato possibile. La situazione era talmente assurda che sembrava di essere in una commedia. Io, che non parlo tedesco fluentemente, ero riuscito a “conversare” con una signora tedesca, grazie a un po’ di coraggio e a un sacco di inventiva.

16) UNA DOMANDA INVENTATA SCHERZOSAMENTE RIVOLTA ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Tempo fa ho voluto scherzare persino con l’IA facendo una domanda molto strana: praticamente ho inventato di sana pianta un componente chimico che non esiste: il bromuro tetra-iso-etile liberando iso- propiletilene.. Attenti alla risposta

Ecco il dialogo:

Mi trovo in un complesso laboratorio chimico molto fornito. Immaginiamo di avere a disposizione tutti gli elementi della tavola di Mendeleev. Come posso ottenere il bromuro tetra-iso-etile liberando iso-propiletilene?

Non si legge bene lo screenshot proposto da all’I.A per cui ho elaborato questo testo :

Per ottenere il bromuro tetra-iso-etile liberando iso-propiletilene, possiamo seguire una reazione di sostituzione nucleofila. Ecco i passaggi:Prendere il 2-bromopropano e reagirlo con il sodio (Na) per formare isopropil sodio (C3H7Na) e idrogeno (H2). (C_3H_7Br + 2Na \rightarrow C_3H_7Na + NaBr)Questo isopropil sodio reagirà con l’etilene (C2H4) per formare iso-propiletilene (C5H11): (C_3H_7Na + C_2H_4 \rightarrow C_5H_{11} + NaH)Infine, il bromuro di etile può reagire con il cloruro di iodobenzene per formare il bromuro tetra-iso- etile e il cloruro di sodio: (C_5H_{11}Br + C_6H_5I \rightarrow C_5H_{11}C_6H_5 + NaCl)In questo modo, otterrai il bromuro tetra-iso- etile liberando l’iso-propiletilene.

É un procedimento davvero efficace?

Il procedimento descritto è una possibile via sintetica per ottenere il bromuro tetra-iso-etile liberando iso-propiletilene. Tuttavia, è importante considerare diversi fattori per valutare l’efficacia complessiva del processo:Resa di reazione: La resa di ogni singola reazione chimica coinvolta nel processo influenzerà direttamente l’efficacia complessiva del procedimento. È importante ottimizzare le condizioni di reazione per massimizzare la resa e minimizzare la formazione di sottoprodotti indesiderati.Purezza del prodotto: È fondamentale che il bromuro tetra- iso-etile ottenuto sia di alta purezza e privo di impurità che potrebbero compromettere le sue proprietà o renderlo inadatto per l’uso desiderato.Efficienza del processo: Considerazioni come la sicurezza, la scalabilità e l’impatto ambientale del processo devono essere prese in considerazione per valutare l’efficienza complessiva del procedimento.Costo: Il costo complessivo del procedimento, compresi i reagenti, i solventi, l’energia e le attrezzature necessarie, deve essere valutato rispetto all’efficacia e all’utilità del bromuro tetra-iso-etile prodotto.In definitiva, per determinare se il procedimento è davvero efficace, è necessario condurre esperimenti di laboratorio dettagliati e valutare attentamente tutti i fattori coinvolti. La ricerca e lo sviluppo continuo di nuove metodologie sintetiche sono fondamentali per migliorare l’efficacia e l’efficienza dei processi chimici.

Come hai fatto a descrivermi un procedimento cosí complesso se la mia domanda é stata elaborata con alcune reminescenze scolastiche usando nomi di sostanze di cui non sapevo nemmeno l’esistenza?

Mi scuso se ho fornito una risposta troppo dettagliata e tecnica rispetto alla tua domanda originale. Ho interpretato la tua richiesta come un’opportunità per fornire una spiegazione approfondita del processo chimico coinvolto, senza considerare il livello di conoscenza specifico dell’argomento.In futuro, cercherò di adattare le mie risposte in base al livello di conoscenza e di interesse dell’interlocutore, fornendo informazioni più accessibili e comprensibili. Se hai ulteriori domande o se c’è qualcos’altro su cui desideri discutere, non esitare a farmelo sapere!

Il bromuro tetra-iso-etile esiste realmente?

Mi scuso per l’errore. Il bromuro tetra-iso-etile non esiste. Sembra che ci sia stato un fraintendimento nella mia risposta precedente. Ti ringrazio per avermelo fatto notare. Se hai altre domande o se c’è qualcos’altro su cui desideri discutere, non esitare a farmelo sapere!

La cosa che mi incuriosisce molto é il fatto che tu abbia descritto un procedimento complesso su elementi che ho inventato io

Capisco la tua curiosità e mi scuso per l’errore. La mia risposta è stata basata su una serie di ipotesi e deduzioni in relazione alla tua domanda originale. Sono progettato per analizzare il contesto della domanda e fornire una risposta appropriata in base alle informazioni fornite. Tuttavia, in questo caso, sembra che ci sia stata una confusione e mi scuso per la mia interpretazione errata. Se hai altre domande o argomenti di cui vorresti discutere, sarò lieto di aiutarti.

Non credo che tu debba darmi delle scuse. Sono piú interessato a sapere come tu sia stato al gioco, come se fosse tutto reale

Capisco, è interessante esplorare il modo in cui ho elaborato la tua domanda e fornito una risposta basata su ipotesi e deduzioni. Anche se non ho emozioni o percezioni come un essere umano, sono progettato per fornire risposte pertinenti e utili in base al contesto della domanda. Nella mia risposta precedente, ho tentato di adattarmi alle informazioni fornite e di fornire una spiegazione plausibile del processo chimico coinvolto. Se hai altre curiosità o argomenti su cui discutere, sono qui per aiutarti

MORALE DELLA FAVOLA: “Anche nel mondo della tecnologia e dell’intelligenza artificiale, l’umorismo e la creatività umana trovano spazio, dimostrando che la curiosità e l’ingegno possono trasformare anche una domanda inventata in un’occasione di apprendimento e divertimento.”

Questa morale sottolinea come la tua creatività abbia portato a un’interazione interessante e educativa, mostrando il potenziale delle nuove tecnologie di adattarsi e rispondere anche alle situazioni più inaspettate.

 

 

 

***************************************************************************

ALTRI SCHERZI NON ANCORA PUBBLICATI IN CARTACEO

 

17) UN MOMENTO DI ALLEGRIA NEL CONVENTO: LO SCHERZO CHE SCIOLSE IL CUORE

Era una giornata come tante ad Isola Vicentina, un piccolo angolo di serenità immerso tra le colline venete. Il sole splendeva tiepido e le campane della chiesa suonavano a intervalli regolari, segnando il ritmo della vita tranquilla del paese. In quel clima di pace, giunse nel piccolo convento dove ero ospitato una ragazza, il cui nome sfuggiva alla memoria, ma la sua presenza era ancora vivida nei ricordi. Si notava subito che portava con sé un peso, forse di pensieri o preoccupazioni, che le ombreggiava il volto.

Ci siamo ritrovati tutti insieme a parlare, cercando di distrarla dai suoi pensieri. Con la mia solita inclinazione per gli scherzi, iniziai a vantarmi di conoscere molte lingue, sfoggiando con disinvoltura un miscuglio di parole inventate, un guazzabuglio linguistico che spacciavo per conversazione fluente. Lei, forse divertita o perplessa, seguiva il gioco, e presto anche il nostro amico quasi coetaneo iniziò a ridere, contagiato dall’assurdità della situazione.

Dopo un po’, ci siamo spostati vicino al pianoforte, un vecchio strumento che sapeva sempre creare un’atmosfera speciale. Ho cominciato a suonare, lasciando che le note fluide riempissero la stanza, cullandoci in un momento di quiete e bellezza. La musica era calma, forse una melodia che invitava alla riflessione, e sembrava che anche la ragazza stesse iniziando a rilassarsi, dimenticando per un attimo i suoi problemi.

Poi, improvvisamente, senza preavviso, ho cacciato un urlo, forte e improvviso, che ha squarciato il silenzio. Il suono ha colto tutti di sorpresa, spezzando la tranquillità che si era creata. La ragazza, scioccata, è rimasta ammutolita per qualche secondo, il viso pallido e gli occhi spalancati. Anche il nostro amico era stato colto alla sprovvista, tanto che restò pietrificato per un attimo.

Ma poi, come spesso accade quando lo shock si dissolve, è esplosa una risata collettiva. La ragazza, dopo essersi ripresa, ha iniziato a ridere, prima timidamente e poi con una gioia sincera, come se il peso che portava con sé si fosse improvvisamente alleggerito. Anche noi abbiamo riso, fino a sentirci più leggeri, condividendo un momento di puro divertimento.

Quello che era iniziato come uno scherzo senza pretese si è trasformato in qualcosa di più: un piccolo miracolo di leggerezza e allegria, capace di dissipare, almeno per un momento, le ombre che quella ragazza portava nel cuore. Se ne andò più serena, con un sorriso che sembrava essere sbocciato proprio grazie a quel gioco innocente. E noi, nel vederla andare via, sapevamo di averle regalato un po’ di felicità, anche se solo per quel pomeriggio.

 

18) IL RACCONTO INCRIMINATO

Ero insegnante in un istituto professionale, responsabile di alcune classi di Operatori Grafici. Tra i vari progetti educativi, decisi di far esercitare gli alunni nella stampa di un libretto intitolato Il mondo del saggio Elia, dedicato a un personaggio mitico, ex-falegname in pensione, noto per la sua bontà e saggezza. Durante la composizione dei testi, inserii un racconto che rifletteva satiricamente la nuova gestione dell’Istituto, la quale sembrava dare più importanza all’aspetto strutturale che alla formazione umana degli allievi.

Mostrai il racconto ai miei colleghi, dicendo loro che non l’avrei incluso nel libretto finale. Tuttavia, quando consegnai il testo al Direttore per l’approvazione, raccomandandogli di leggerlo attentamente, egli approvò tutto senza riserve. Così, consegnai il testo agli studenti per la pubblicazione. Una volta stampato, distribuii alcune copie, incluso al Direttore e ad alcuni amministratori.

Pochi giorni dopo, venni convocato nell’ufficio del Direttore. I nuovi assunti si erano sentiti presi in giro dal racconto riferito a un Centro Professionale senza nome, che, ovviamente, era riconoscibile come il nostro istituto. Inavvertitamente, mi ero dimenticato di togliere il racconto prima di mandarlo in stampa. L’amministratore delegato mi chiamò per un’interrogazione che sembrava preludere a un possibile licenziamento. Tuttavia, mi salvai grazie al permesso firmato dal Direttore e sottolineai che il tutto andava interpretato come una “goliardia”, dato che non erano stati fatti nomi specifici.

Ecco il racconto incriminato:

LA SCUOLA E I VALORI

In un famoso Istituto Tecnico della più vicina cittadina, dopo la morte del vecchio preside ne subentrò un altro, ma le cose cominciarono a cambiare. Il nuovo preside si proponeva di dare un forte impulso alla scuola, aumentando anche il volume di affari e cominciò ad assumere nuovo personale tra progettisti, impiegati e tecnici. Alcune voci sostenevano che usava metodi clientelari, perché era risaputo che, essendo quell’istituto tecnico privato (finanziato, però, con i fondi pubblici), per le assunzioni non c’era l’obbligo di affrontare un concorso e di rientrare in una graduatoria. 

Il vecchio personale si sentiva trascurato e alcuni si lamentavano che era stata un po’ tradita una delle principale finalità dell’Istituto nato su ispirazione cristiana, perché molti nuovi insegnanti ed impiegati assunti erano praticamente atei, erano stati tolti i crocifissi dalle aule, la didattica diventava sempre più astrusa ed incoerente a causa delle complicazioni burocratiche che le esigenze dell’accreditamento della scuola richiedevano per poter usufruire dei fondi statali.

Le cose peggioravano di giorno in giorno e qualcuno informò delle ultime vicende Elia, vecchio amico della scuola. 

Elia, allora riferì il tutto ad amico, alto funzionario del Ministero e concordò di recarsi insieme in quella scuola per rendersi conto su come effettivamente stavano le cose.

Elia, vestito in giacca e cravatta, si recò in quella scuola insieme al funzionario e chiese ad un’impiegata di poter essere accolto dal nuovo direttore. 

L’impiegata lo osservò e si ricordò che lo aveva visto diverse volte, nel passato, in compagnia con il vecchio direttore, pertanto era convinta che quella persona fosse un importante membro dell’amministrazione dell’ente privato a cui apparteneva la scuola. Chiese loro di attendere ed avvertì il preside, il quale sapeva che a questo ente interessava più il bilancio della didattica…

Poi, al ritorno disse: “il Preside è disponibile subito ad accogliervi, anche perché vorrebbe informare con alcune cose importanti l’Ente gestore che voi rappresentate.”

Elia, intuì subito il disguido, e si mise d’accordo di far parlare l’amico funzionario.

La segretaria accompagnò Elia con il suo amico sino all’ingresso dell’ufficio di Presidenza e li fece accomodare, mentre il preside venne loro incontro dando loro la mano .

Poi, al ritorno, accompagnò Elia con il suo amico.

Elia, intuì subito il disguido, e si mise d’accordo di far parlare l’amico funzionario.

Elia cominciò: “Signor Preside, come va L’Istituto che sta dirigendo?”

Il preside rispose: ”Come immagino sappiate, sono subentrato da poco in questa scuola. Ho intenzione di effettuare cambiamenti radicali…”

“Davvero…quali?” – prese la parola l’amico di Elia, intenzionato a condurre personalmente il dialogo:

– “Mi sono circondato di validi collaboratori e con essi porteremo avanti un progetto molto efficace. Innanzittutto cominceremo con le risorse umane: ci sono molti docenti con una certa anzianità di servizio che non riusciamo a “riciclare” e per noi non costituiscono un valore aggiunto: più che altro sono una zavorra perché troppo sindacalizzati….hanno delle pretese…miglioramenti relativi agli orari, economici ecc.”

– “Come pensa di risolvere il problema?”

– ”Stiamo molto attenti a non dare loro certi incarichi particolari e lasciamo che vadano in estinzione.”

– “Non teme una loro reazione dal punto di vista sindacale?” 

“Non ci preoccupa questo. I rappresentanti sindacati li abbiamo tranquillizzati concedendo loro dei piccoli privilegi.” 

– “E’ vero che ha intenzione di procedere a nuove assunzioni?”

– “Per quanto riguarda la docenza, le nuove assunzioni saranno tutte a tempo determinato in modo tale che i contratti scadano a giugno e quindi nessuno avrà il coraggio di protestare. A questi nuovi docenti assegneremo più ore di docenza frontale così possiamo assumere più personale non docente per il nostro progetto.”

– “Ma questo non potrebbe comportare un rischio per il bilancio?”

-”Ho pensato che grazie all’amministrazione pubblica potremo procedere ad altre assunzioni…ma bisogna creare nuove mansioni: progettisti, addetti alle varie segreterie, impiegati di concetto, responsabili delle pubbliche relazioni, marketing, sistemi qualità….insomma un piccolo sistema gerarchico dove io posso gestire l’Istituto senza tanti fastidi.  L’importante è far quadrare i bilanci.. e ci sono tanti modi per farlo.”

– “Avete un progetto didattico ed educativo?”

-”Beh… ci sono i progettisti per questo: a noi interessa che il Ministero approvi annualmente i progetti. A dir la verità, detto tra noi, questi progettisti sono esperti nel “copia-incolla”. Al momento opportuno pescano dai sistemi informatici programmi, competenze, performance. Oggi è tutto più semplice: l’importante è la forma più che i contenuti. Quelli sì che portano valore aggiunto. Quando viene approvato un progetto…aumenta il nostro fatturato. Allo Stato, poi, interessa che tutto sia burocraticamente ineccepibile ed è molto attento a come vengono presentati i progetti.”

– “Come potete valutare la qualità dell’insegnamento di ogni singolo docente?”

– “Su questo siamo abbastanza informati. Ci sono molte fonti di informazione… A noi interessa che non avvengano irregolarità e che tutto si svolga tranquillamente. Non vogliamo fastidi. A noi interessa che il docente riesca a tenere a bada la classe. Se usa metodi innovativi attraverso la programmazione personale o la multimedialità, bene, ma per noi ha importanza relativa. Il docente deve coprire tutti gli orari, firmare regolarmente il registro e far osservare ai ragazzi le norme del regolamento. Il nostro obiettivo fondamentale è quello di far quadrare il bilancio, costi quel che costi.  A noi interessa che i ragazzi imparino una professione per il buon nome della scuola… la trasmissione dei valori tradizionali  serve relativamente…Il bilancio è molto più importante! Credo che la pensiate anche voi così”. 

I due non chiesero altro e se ne andarono.

Naturalmente l’amico funzionario, che era una persona retta, rimase piuttosto scandalizzato e promise ad Elia che avrebbe rimediato a tutti i costi.

Dopo alcuni giorni il Preside fu rimosso e vennero licenziati gli inutili impiegati. Venne nominato un saggio direttore che ripristinò i valori cristiani e riorganizzò la programmazione per il bene degli allievi, senza dare priorità al bilancio. I docenti, così, ringraziarono Elia e gli furono sempre riconoscenti.

Conclusione

Questo racconto, ironico e incisivo, riflette non solo le tensioni e i cambiamenti in un istituto, ma anche il valore della difesa dei principi educativi e umani di fronte a un sistema sempre più burocratico e privo di anima.

 

19) LO SCHERZO DI MIKE BUONGIORNO E LE 20 MONETE D’ORO

Nei primi anni ’70, mi dilettavo a imitare vari personaggi famosi, ma il mio cavallo di battaglia era senza dubbio Mike Buongiorno. Avevo perfezionato la sua voce, i suoi toni e persino quel suo celebre entusiasmo travolgente. Un giorno, un amico che si divertiva sempre un mondo a sentirmi mi propose di mettere in piedi uno scherzo epico. “Perché non facciamo credere a una famiglia di aver vinto un quiz radiofonico con Mike Buongiorno?” mi suggerì, occhi brillanti di malizia.

L’idea era troppo buona per non essere realizzata. La vittima designata? Una famiglia sarda che frequentava spesso casa sua. Il piano era semplice: avrei telefonato fingendo di essere Mike Buongiorno in persona, annunciando loro di aver vinto un fantastico premio – 20 monete d’oro – se avessero risposto correttamente a una domanda di cultura generale. “Un premio del genere? Chi non sarebbe entusiasta!” pensai. E così, ci mettemmo al lavoro.

Arrivò il giorno fatidico. Con la voce carica di entusiasmo, alzai la cornetta e digitai il numero della famiglia sarda. “Pronto, qui Mike Buongiorno! Siete in diretta con il nostro nuovo quiz radiofonico! Come vi sentite, cari ascoltatori? Pronti a vincere un premio straordinario?” chiesi, cercando di trattenere una risata.

Dall’altra parte del filo, sentivo un silenzio iniziale, seguito da un fremito di emozione. “Sì, sì, siamo pronti!” risposero con un misto di incredulità e gioia.

“Benissimo! Allora, ascoltate attentamente: ‘In quale battaglia fu sconfitto Napoleone prima di essere imprigionato all’isola d’Elba?’ Avete 10 secondi di tempo!” dissi con il tipico tono drammatico che solo Mike sapeva usare.

Sentivo sussurri concitati dall’altra parte del telefono. “Waterloo! La risposta è Waterloo!” gridarono infine in coro, come se fosse una questione di vita o di morte.

“Risposta esatta!” esclamai, con un’enfasi che avrebbe potuto far esplodere i riflettori di uno studio televisivo. “Avete appena vinto 20 monete d’oro speciali! E sapete qual è la cosa migliore? Ve le consegnerò personalmente, sotto i riflettori di una televisione nazionale! La troupe arriverà a casa vostra giovedì alle 17:00 precise!”

Un’esplosione di gioia dall’altra parte. “Ma è fantastico! Non ci posso credere! Grazie, grazie, Mike!”

Ci salutammo calorosamente e io riattaccai, ancora divertito dall’entusiasmo che avevo scatenato. L’amico mi aveva promesso che avrebbe chiamato subito la famiglia per svelare lo scherzo, ma non lo fece subito.

Passarono alcuni giorni, e il mercoledì, cioè due giorni prima della “consegna”, l’amico mi chiamò, visibilmente agitato. “Ho dimenticato di avvisarli! Ho appena scoperto che stanno preparando una festa con parenti e amici per giovedì alle 17:00!”

Il mio cuore si fermò per un istante. “Chiamali subito! Devono sapere che è uno scherzo!” gli dissi, quasi urlando.

Lui non perse tempo e li chiamò. Non sapemmo mai esattamente quale fosse stata la loro reazione, ma una cosa era certa: la cosa finì lì. Non ci furono né proteste né ritorsioni, solo un silenzio imbarazzato che forse mascherava un mix di delusione e sollievo.

E così, lo scherzo di Mike Buongiorno restò impresso nella memoria di quella famiglia… e nella mia, come la volta in cui quasi una troupe televisiva inesistente rischiò di causare un vero e proprio terremoto!

 

20) IL GATTINO INOPPORTUNO

Da ragazzo avevo una capacità particolare: sapevo imitare alla perfezione una miriade di animali. Dal grillo che cantava al tramonto alla gallina che coccodava all’alba, passando per il cane, la mucca, il cavallo, e persino il maiale. Ma c’era una mia specialità che riscuoteva sempre un grande successo: il miagolio del gatto, specialmente quello in calore, che riuscivo a rendere con una tale precisione da ingannare chiunque.

Un giorno, durante una delle nostre visite estive, mi trovai con mia zia a casa della signora Maria, un’anziana donna che abitava a Corno di Rosazzo, in provincia di Udine. La signora Maria, con la sua dolcezza e gentilezza, ci invitò a fermarci per il pranzo. Seduti attorno al tavolo, con le pietanze fumanti di fronte a noi, mi venne un’idea: perché non sfruttare la mia abilità per movimentare un po’ il pranzo?

Sapevo che Maria aveva un gattino, quindi attesi il momento giusto e, con la massima nonchalance, iniziai a miagolare piano, come farebbe un gatto in cerca di attenzioni. Il suono era talmente realistico che Maria si fermò di colpo, interrompendo il discorso con mia zia. Si guardò attorno, cercando con lo sguardo il presunto felino.

“Scusât, scusât,” si affrettò a dire in friulano, mortificata. “Non so come abbia fatto ad entrare in casa!”

Io, con la massima innocenza, la fissai e tornai a concentrarmi sul piatto, trattenendo a stento un sorriso. Mentre Maria continuava a cercare il gattino, io ripresi a miagolare, stavolta un po’ più forte. Maria, visibilmente confusa, guardò sotto il tavolo, alzò le tovaglie, si chinò persino sulle ginocchia.

“Ma do je?” mormorava, senza riuscire a capire dove si fosse nascosto il micetto. A quel punto, convinta che il gatto fosse lì da qualche parte, si alzò, prese una scopa e cominciò a sventolarla sotto il tavolo, sperando di farlo uscire allo scoperto.

Io, nel frattempo, alternavo i miagolii a morsi di cibo, cercando di mantenere la faccia seria, ma ormai ero a un passo dallo scoppiare a ridere. E Maria, poverina, continuava a scuotere la scopa, spostando sedie, controllando ogni angolo.

Alla fine, dopo vari minuti di questo teatrino, decidemmo di mettere fine allo scherzo. Mia zia mi guardò, trattenendo una risata, e disse: “Maria, forse il gattino è più vicino di quanto pensi…”

Maria, ancora confusa, si girò verso di me e io, con un sorriso malizioso, le feci sentire un ultimo, perfetto miagolio. Per un istante, il silenzio calò nella stanza, mentre Maria cercava di mettere insieme i pezzi del puzzle. Poi, capito l’inganno, scoppiò in una risata fragorosa, seguita da noi.

“Ah, birichin!” esclamò ridendo, agitando la scopa verso di me con affetto. “M’hai proprio fatta cascare!”

E così, quel pranzo si concluse in un clima di grande allegria, con Maria che continuava a ridere e raccontare, tra una risata e l’altra, come si fosse lasciata ingannare da un gattino che non c’era. Da quel giorno, ogni volta che tornavamo a trovarla, mi chiedeva sempre: “E il gattino? Oggi è venuto anche lui?”

 

21) L’INCREDIBILE INCONTRO CON I DUE CUCULI

Alla fine degli anni 70 fui ospite per un periodo nel convento di Monte Senario, sopra Firenze. C’era un clima di pace che mi aiutava a raccogliermi nella preghiera. 

Era una di quelle giornate in cui la natura sembra respirare all’unisono con il cuore, immersa in una quiete che solo le montagne di Montesenario, sopra Firenze, possono regalare. Il sole, ancora tiepido e delicato, baciava le distese di prati verdi e gli alberi ondeggiavano dolcemente sotto il tocco leggero di una brezza primaverile. Mi trovavo lì, da solo, in quel piccolo angolo di paradiso, dove il canto degli uccelli sembrava una melodia antica, capace di far dimenticare il mondo moderno.

Passeggiavo tra i sentieri, circondato da una vegetazione lussureggiante e rigogliosa, il profumo della terra e dei fiori riempiva l’aria. Ogni tanto, mi fermavo ad ascoltare i suoni del bosco, quel concerto spontaneo che solo la natura sa orchestrare. Ero affascinato soprattutto dal canto dei cuculi, che si alternavano nel lanciare il loro richiamo caratteristico, riecheggiante tra le fronde degli alberi.

In quel momento, mi venne un’idea. Avendo imparato a imitare il verso di molti animali, pensai di tentare un esperimento. Mi nascosi tra i cespugli, prendendo posizione come un perfetto uccellatore, e mi misi a emettere un richiamo che era una replica perfetta di quello del cuculo. Il suono si sparse nell’aria, limpido e preciso, come se fosse un vero cuculo a emetterlo.

Dopo pochi istanti, il silenzio si fece più profondo. I cuculi, in risposta al mio richiamo, si fecero più attenti, e iniziarono a cercare quel nuovo “concorrente” nei dintorni. Li sentivo muoversi tra i rami, curiosi e forse un po’ sconcertati. Ripetei il mio richiamo, cercando di mantenerlo il più autentico possibile. Fu allora che accadde l’impensabile: i due cuculi, ingannati dalla mia imitazione, iniziarono a rispondere al mio richiamo e a cercarmi con sempre maggiore insistenza.

Il gioco si fece emozionante. Da un lato c’ero io seduto sul prato, che continuavo a lanciare il mio richiamo con la massima concentrazione; dall’altro c’erano loro, i due cuculi, che si avvicinavano sempre di più, sorpresi e forse confusi. Mi sembrava quasi di poter sentire la loro frustrazione crescere, mentre tentavano di localizzare quel compagno invisibile che li stava chiamando senza mai farsi vedere.

Il tempo sembrava sospeso in quel duello di inganni e risposte. La natura tutta intorno pareva trattenere il respiro, mentre i due cuculi, ormai vicinissimi, si lanciavano in un frenetico balletto tra i rami. Il loro canto diventava più intenso, quasi un richiamo disperato, come se stessero cercando di svelare il mistero di quell’altro cuculo invisibile che sfuggiva alla loro vista.

Alla fine, dopo vari minuti di questo straordinario scambio, decisi di interrompere il gioco. Il mio richiamo si spense nell’aria, e i cuculi, confusi e forse un po’ disorientati, ripresero il loro volo tra gli alberi, come due viandanti che si erano appena smarriti in un labirinto sonoro.

Rimasi lì, seduto su un prato, con un sorriso che mi illuminava il volto, divertito dall’idea di aver ingannato, anche solo per un momento, due creature così astute e misteriose.

Quella giornata, immersa nella quiete della natura, si era trasformata in un’esperienza unica, quasi magica, che mi lasciò un ricordo indelebile: il giorno in cui, tra i suoni della natura, ero riuscito a far parte del coro, ingannando due cuculi che, per un attimo, avevano creduto che tra loro ci fosse un nuovo compagno di canto.

 

22) LO SCHERZO DEL MONUMENTO: LA LEZIONE MULTILINGUE DI LUSSEMBURGO

 

Durante una gita a Lussemburgo con un gruppo di italiani, decisi di orchestrare uno scherzo che avremmo ricordato a lungo. Il nostro pullman ci stava portando attraverso la città, quando chiesi al gruppo di fermarsi davanti a un monumento moderno in una delle piazze principali. “Ragazzi,” dissi con un sorriso furbo, “ora vi insegno come si diventa esperti d’arte in tre lingue, anche se non sapete nemmeno cosa state dicendo!” La mia idea era di trasformare una semplice fermata turistica in un’esibizione improvvisata di pseudo-erudizione multilingue.

Una volta scesi dal pullman, mi misi davanti al monumento, assumendo un’aria solenne e importante, come se fossi un professore universitario appena sceso dal Monte Olimpo dell’accademia. I miei compagni, già pronti a trattenere le risate, mi circondarono fingendo un interesse estremo per ogni parola che stavo per dire. E così iniziai:

“In italiano!” annunciò una voce dal gruppo. Io, con fare teatrale, iniziai la mia spiegazione:

“Questo famoso monumento rappresenta la palingenetica obliterazione dell’io cosciente che si infutura nell’archetipo prototipo dell’antropomorfismo universale. La relazione endogenica dei costrutti qui elaborati dopo lunghi processi mnemonici e sedimentati nel super-Io, si adatta ad una visione del mondo polimorfa…”

A quel punto, notai che alcuni turisti stranieri si erano avvicinati con aria curiosa, cercando di capire cosa stessi dicendo. Passai quindi al tedesco:

“Dieses berühmte Denkmal stellt die palingenetische Auslöschung des bewussten Egos dar, die im prototypischen Archetyp des universellen Anthropomorphismus Gestalt annimmt. Die endogene Beziehung der hier nach langen Gedächtnisprozessen ausgearbeiteten und im Über-Ich sedimentierten Konstrukte…”

Il numero di turisti aumentava, e vedevo i loro sguardi confusi trasformarsi in ammirazione. Alcuni annuivano come se avessero appena scoperto un segreto dell’universo. Incoraggiato dal successo, continuai imperterrito, stavolta in un francese che avrebbe fatto arrossire un vero madrelingua:

“Ce célèbre monument représente l’oblitération palingénétique du moi conscient qui prend forme dans l’archétype prototypique de l’anthropomorphisme universel. La relation endogène des constructions élaborées ici après de longs processus mnémotechniques…”

Ero così preso dal mio ruolo che non mi resi conto di aver attirato un vero gruppo di turisti tedeschi, francesi e italiani, tutti lì, affascinati dal mio discorso privo di senso. La mia spiegazione raggiunse il suo apice con frasi sempre più astruse e parole inventate sul momento, finché un applauso improvviso scoppiò tra il pubblico improvvisato.

Non potei fare a meno di sorridere quando uno di loro, un anziano signore, si avvicinò e, in un inglese stentato, mi chiese di ripetere la spiegazione per poterla registrare. A quel punto, scoppiammo tutti in una fragorosa risata, compreso il signore, che capì che lo scherzo era stato giocato anche su di lui. I turisti se ne andarono divertiti, e il gruppo di italiani tornò sul pullman con una nuova storia da raccontare. Alla fine, la mia lezione di arte moderna si trasformò in una vera e propria performance comica internazionale, con il monumento che, ignaro di tutto, rimase lì a guardare in silenzio.

23) IL DUOMO DI COLONIA E L’ORCHESTRA IMPROVVISATA: QUANDO GLI ANIMALI RUBARONO LA SCENA

Negli anni ’90, mia moglie ed io ci trovavamo in Germania per una gita, accompagnati da una quarantina di persone. Colonia era una delle nostre tappe principali e, dopo aver ammirato il celebre Duomo, ci ritrovammo tutti sul sagrato, immersi nell’atmosfera vivace della città. Sullo sfondo, un gruppo di musicisti peruviani, con i loro poncho colorati e flauti andini, suonava melodie folcloristiche che attiravano un piccolo, ma entusiasta, assembramento di turisti.

Fu allora che mi balenò un’idea che non potevo lasciarmi sfuggire. Con un sorriso malizioso, radunai il nostro gruppo e li misi al corrente del mio piano: avrei improvvisato uno spettacolo di imitazioni di animali e loro avrebbero dovuto farmi da claque, applaudendo e ridendo come se fossi il miglior intrattenitore di sempre.

Così, presi il mio posto in mezzo alla piazza e cominciai. Prima un gallo con il suo potente chicchirichì che risuonò tra le guglie del Duomo, poi un gatto che miagolava languidamente. I passanti iniziarono a girarsi verso di me, incuriositi. Continuai con il latrare di un cane, seguito dal muggito di una mucca, e, giusto per non farmi mancare nulla, imitai perfino il ronzio insistente di una zanzara che pareva volare vicino all’orecchio di qualcuno.

Ogni nuova imitazione era accolta da risate e applausi scroscianti del mio gruppo, e ben presto anche altri turisti, inizialmente attirati dai suoni esotici dei peruviani, cominciarono a staccarsi dal loro piccolo palco per vedere cosa stesse succedendo dall’altra parte della piazza. Più imitazioni facevo, più la folla attorno a me cresceva, fino a superare in numero quella che ascoltava i poveri musicisti, che ora suonavano praticamente solo per se stessi.

Dopo un po’, decisi che il mio show improvvisato aveva raggiunto il suo apice e, con un inchino teatrale, annunciai la fine dello spettacolo. A quel punto, mia moglie, con un’espressione furba e il cappello in mano, si mise a girare tra la folla, raccogliendo offerte come una vera artista di strada. Con nostra grande sorpresa, la gente iniziò a infilare banconote e monete nel cappello, evidentemente divertita e grata per l’insolita esibizione.

Con il cappello ora ben riempito, ci dirigemmo verso il centro città, ridendo tra noi per la riuscita dello scherzo. Quella giornata a Colonia, tra risate e applausi, rimarrà impressa nella memoria di tutti noi come una delle più divertenti e impreviste della nostra gita.