In certe parti della Sacra Scrittura ci sono delle espressioni che incoraggiano a ricordare i benefici del passato per lodare Dio…
Nella Sacra Scrittura ci sono molte espressioni che incoraggiano a ricordare i benefici del passato come un modo per lodare e ringraziare Dio. Questi passi sottolineano l’importanza della memoria storica della salvezza e degli atti meravigliosi compiuti da Dio in favore del Suo popolo. Ecco alcuni esempi:
Deuteronomio 8:2: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se avresti osservato o no i suoi comandi.”
Questo versetto invita il popolo d’Israele a ricordare il lungo viaggio nel deserto, durante il quale Dio li ha guidati e provati, affinché possano apprezzare la fedeltà di Dio e lodarlo.
Salmo 77:11-12: “Ricorderò le opere del Signore, sì, ricorderò le tue meraviglie di un tempo. Mediterò su tutte le tue azioni e ripenserò alle tue opere.”
Qui il salmista si impegna a ricordare e meditare sulle grandi opere di Dio nel passato, riconoscendole come fonte di speranza e lode.
Salmo 103:2: “Benedici, anima mia, il Signore e non dimenticare tutti i suoi benefici.”
Il salmista esorta la sua anima a benedire Dio e a non dimenticare i Suoi benefici, sottolineando l’importanza di riconoscere e ricordare le benedizioni ricevute.
Deuteronomio 4:9: “Solo bada a te stesso e guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto e dal fartele uscire dal cuore per tutti i giorni della tua vita; anzi, insegnale ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli.”
Un invito a non dimenticare le opere di Dio e a trasmetterle alle future generazioni, affinché continuino a lodarlo.
Salmo 105:5: “Ricordate le meraviglie che egli ha compiuto, i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca.”
Un comando a ricordare i prodigi di Dio, che serve come base per lodarlo e rendergli grazie.
Esodo 13:3: “Mosè disse al popolo: Ricordate questo giorno, nel quale siete usciti dall’Egitto, dalla condizione servile, perché con mano potente il Signore vi ha fatto uscire di là.”
Mosè ricorda agli israeliti di tenere a mente il giorno della loro liberazione dall’Egitto, per lodare Dio per la Sua potenza salvifica.
Isaia 46:9: “Ricordatevi delle cose passate di un tempo, perché io sono Dio e non c’è nessun altro; sono Dio e nessuno è simile a me.”
Qui Isaia invita il popolo a ricordare le grandi opere di Dio nel passato, come segno della Sua unicità e potenza.
Lamentazioni 3:21-23: “Questo voglio richiamare alla mia mente, ciò che mi dà speranza: le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue compassioni; esse sono rinnovate ogni mattina, grande è la tua fedeltà.”
Le Lamentazioni ricordano la bontà e la compassione di Dio, rinnovata ogni giorno, come motivo per lodarlo.
Questi passi dimostrano quanto sia fondamentale nella fede biblica il ricordo delle azioni salvifiche di Dio. Ricordare il passato diventa un modo per alimentare la fiducia e la speranza nel presente e nel futuro, oltre che un’occasione per lodare Dio per la Sua fedeltà e bontà.
(Luca Alberti è uno pseudonimo. La storia è vera ed i personaggi sono reali)
PRIMA INFANZIA DI LUCA ALBERTI
Alla fine degli anni ’40, nacque a Udine un bambino di nome Luca, il quale ebbe un inizio di vita piuttosto difficile. Perse subito il padre dopo la nascita. La madre, una donna coraggiosa e determinata, si trovò sola e dovette fare una scelta dolorosa: iscrivere il piccolo Luca in un collegio per poter lavorare e mantenersi. Ogni fine settimana, con il cuore pieno di amore e tristezza, andava a trovarlo.
A tre anni, Luca entrò nell’asilo dell’Istituto delle Ancelle della Carità, gestito da suor Antonietta. I suoi ricordi di quel periodo sono vaghi, ma ricchi di immagini dolci: il grande cedro che svettava nel cortile, con le tortore che gemevano sui suoi rami; la chiesetta dedicata a San Giuseppe, dove le sue preghiere infantili si perdevano tra le navate; e i giochi semplici con i rollini delle macchine fotografiche, che per lui erano come tesori preziosi.
A sei anni, Luca venne trasferito in un nuovo reparto per i più grandicelli, gestito da suor Vittoria, una bresciana di carattere forte e severo, ma con un cuore materno nascosto sotto la veste religiosa. Era incredibile come quella suora riuscisse a gestire un centinaio di maschietti vivaci, molti dei quali orfani come lui. La vita in collegio era semplice e sobria, ma mai noiosa.
Il “Prato” era il loro paradiso: un piccolo parco verdeggiante pieno di cedri, olmi e magnolie. C’era persino un giuggiolo che in autunno regalava frutti dolcissimi, che i bambini raccoglievano con entusiasmo. Qui Luca e i suoi compagni vivevano mille avventure: si arrampicavano sugli alberi come piccoli Tarzan, costruivano fortini di pietra che per loro erano vere fortezze, e giocavano a fare gli indiani sotto i rami dei cedri, sognando le storie viste nei film. Le guerre tra bande erano epiche: pigne che volavano come proiettili, fortini rinforzati con pietre, e le assistenti che urlavano disperate cercando di riportare la calma.
Non lontano, il cortile chiamato “Sotto le piante” era un altro dei loro luoghi preferiti. Gli enormi platani che ombreggiavano il cortile erano testimoni di innumerevoli mercatini improvvisati. Con foglie, pigne ed erba che diventavano merce di scambio, Luca, con il suo spirito organizzativo, si autoproclamava “sindaco”. Con piccoli bigliettini creava una moneta tutta sua, con cui mercanteggiavano felicemente. E quando non organizzava mercati, Luca era un perfetto conduttore di quiz, con domande prese dai suoi amati libri di scuola.
Suor Vittoria, con il suo piglio autoritario, non mancava mai di far rispettare la disciplina con bacchetta alla mano e sguardi severi. Ma, stranamente, nutriva un affetto speciale per Luca. Lo chiamava spesso a darle una mano in refettorio e sceglieva per lui vestiti migliori. Era evidente che Luca fosse uno dei suoi favoriti, anche se lui rimaneva spesso turbato dal trattamento riservato ai suoi compagni.
Ogni giorno, in fila e con la stessa uniforme modesta, Luca e i suoi compagni andavano alla scuola elementare esterna. Il loro rifugio, però, rimaneva il parco del collegio, dove potevano sfogare la loro energia repressa. Le visite dei parenti erano rare, e molti bambini non ne ricevevano affatto. Luca era tra i fortunati, e ogni visita della madre era per lui un momento di gioia pura.
Ma un giorno, come un raggio di sole in una giornata nuvolosa, arrivò suor Eugenia, una giovane suora dal viso angelico e dal cuore grande. Era subito diventata il loro punto di riferimento, la madre che molti di loro non avevano mai avuto. Con il suo sorriso dolce e la sua infinita pazienza, conquistò il cuore di tutti, compreso quello di Luca. Le sue storie bibliche, i racconti di aneddoti edificanti, restituivano ai bambini la speranza e la gioia di vivere.
Ogni estate, Luca si preparava con entusiasmo per un mese intero nella colonia estiva di Villa Ostende a Grado. Era un periodo che aspettava con impazienza, un’oasi di spensieratezza lontano dalle mura del collegio. Le giornate erano un susseguirsi di avventure sulla spiaggia, bagni rinfrescanti nelle acque salate del mare, e passeggiate lungo le vie del centro. La cucina, diversa dal solito, era un ulteriore piacere che arricchiva la sua esperienza estiva.
Tra le amicizie che coltivava durante quelle estati, una in particolare gli era cara: Giuseppe Filipig. Giuseppe era un bambino curioso e attento, sempre pronto a osservare ciò che accadeva intorno a loro e a condividere con Luca le sue riflessioni. Insieme, i due amici discutevano dei piccoli e grandi eventi che punteggiavano le loro giornate, rendendo quei momenti ancora più significativi.
C’era poi Francesco, l’uomo alto e robusto che svolgeva il doppio ruolo di bagnino e manutentore della colonia. Con la sua fisarmonica, Francesco animava le serate, regalando a tutti i bambini un po’ di allegria con le sue melodie coinvolgenti. La sua musica era una colonna sonora perfetta per le serate estive, e Luca adorava lasciarsi trasportare dalle note che riempivano l’aria.
Ma uno dei ricordi più vividi di Pier Angelo era legato a suor Eugenia, la “suora bella”, come la chiamavano tutti. Ogni tanto, mentre giocava sulla spiaggia, Luca notava suor Eugenia che si ritirava in un angolo tranquillo, rivolta verso l’immensità del mare. La sua figura, avvolta nella contemplazione, emanava una serenità che affascinava il bambino. Quella scena, intrisa di una sorta di misticismo, lasciò un’impronta profonda nel cuore di Luca, avviandolo, senza che lui ne fosse ancora del tutto consapevole, su un percorso di riflessione filosofica e teologica che avrebbe influenzato tutta la sua vita.
Col tempo, Luca iniziò ad avvicinarsi a suor Eugenia durante questi momenti di contemplazione. Con la curiosità tipica dei bambini, le poneva domande sull’immensità del mare e sui misteri della vita. Suor Eugenia, sempre assorta ma mai distaccata, rispondeva con garbo e umiltà, condividendo con lui il suo stesso stupore per il mondo.
Luca Alberti sentiva crescere dentro di sé un affetto profondo per quella suora che, con la sua presenza dolce e rassicurante, lo aiutava a esplorare i grandi temi dell’esistenza. Anche se ancora bambino, intuiva che suor Eugenia era una persona speciale, una guida ricca di saggezza e spiritualità che lo avrebbe accompagnato nei suoi anni a venire.
Gli anni passarono, e suor Eugenia venne trasferita in un asilo di Chioggia, per poi finire in una struttura di accoglienza tra le Alpi Carniche. Lì, tra le montagne, era amata e rispettata per il suo lavoro instancabile e il suo spirito cristiano. Per Luca, suor Eugenia rimane un esempio vivente di fede e amore, un faro che continua a illuminare il suo cammino nella vita.
E così, la prima infanzia di Luca è una storia di crescita, di amore, di sofferenza e di speranza. Una storia che ci ricorda come, anche nelle difficoltà, possiamo trovare persone speciali che ci guidano e ci aiutano a scoprire il vero significato della vita.
Suor Eugenia: La Madre Silenziosa
Nell’estate dorata di Grado, mentre i bambini si rincorrevano sulla spiaggia e le onde sussurravano segreti al vento, il giovane Luca Alberti osservava una figura solitaria e assorta sul bordo del mare. Era suor Eugenia Pizzutti, una suora che, con il volto rivolto all’infinito blu, sembrava dialogare con l’eterno. Quell’immagine, impressa a fuoco nell’animo sensibile di Luca, avrebbe dato inizio al suo percorso filosofico e teologico, un cammino di ricerca che si nutriva di quelle stesse onde che vedeva infrangersi ai piedi della suora.
Gli anni passarono, e suor Eugenia, ormai anziana e debilitata, trovò riparo nell’infermeria delle Ancelle della Carità di Santo Spirito a Udine. Ma prima di quel periodo, era stata una presenza luminosa nell’oscurità del collegio IPMI, dove Luca trascorse la sua prima infanzia. In quel luogo, la disciplina era rigida e impietosa. I bambini, un centinaio, venivano trattati con una severità che non lasciava spazio ai sorrisi. Ogni giorno, in fila, con le stesse povere divise, si recavano alla scuola esterna, la Ippolito Nievo, dove venivano accolti con scherni e sguardi di disprezzo dagli altri compagni. Erano i più miseri, gli emarginati.
Ma nel grigiore di quel collegio, un giorno arrivò suor Eugenia, giovane e splendente, con un viso angelico che i bambini non potevano credere vero. La chiamavano “la suora bella”. In lei, vedevano una madre che non avevano mai conosciuto, una figura capace di alleviare le loro sofferenze con una parola dolce, un sorriso accogliente. Con pazienza infinita, suor Eugenia si dedicava a loro, ascoltando le loro paure, consolando i loro cuori afflitti. Era la luce in un mondo di ombre, il calore in un ambiente freddo e ostile.
Anche la caporeparto, nota per la sua rigidità, non poté fare a meno di essere influenzata dall’amore e dalla dolcezza di suor Eugenia. Sebbene spesso in disaccordo con lei, dovette ammorbidire il suo approccio, osservando come quella giovane suora riuscisse a trasformare la vita dei piccoli con la sola forza della gentilezza. Suor Eugenia radunava i bambini e raccontava loro storie bibliche, aneddoti pieni di speranza, cercando di restituire loro la gioia di vivere, nonostante le difficoltà che ognuno di loro portava nel cuore.
Per Luca, suor Eugenia era molto più che una semplice educatrice. Era una guida spirituale, una presenza che sapeva valorizzare ogni bambino, soprattutto quelli che, come lui, dimostravano un po’ di buona volontà. Quando Luca iniziò a frequentare le superiori al collegio Tomadini di Udine, suor Eugenia continuò a chiamarlo durante le estati, chiedendogli di aiutare a prendersi cura dei bambini nella colonia estiva di Grado. I loro dialoghi, spesso immersi nella contemplazione del mare, spaziavano tra i misteri della fede e la grandezza di Dio, riflessa in quell’orizzonte infinito che entrambi ammiravano con stupore.
Il tempo passò, e suor Eugenia fu trasferita prima in un asilo a Treviso, poi a Chioggia, e infine a Zovello, tra le Alpi Carniche. In quel piccolo paese, divenne un faro di carità e amore cristiano, amata da tutti per la sua instancabile dedizione ai più poveri, ai malati, ai soli. Per Luca, suor Eugenia è sempre stata l’incarnazione del cristianesimo vissuto, un esempio di fede silenziosa ma potente, che si manifestava attraverso azioni semplici e umili: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare…”.
Anche oggi, Luca porta nel cuore l’immagine di quella giovane suora che, in silenzio e con umiltà, ha fatto tanto bene. Ricordarla significa onorare non solo una persona, ma un modo di vivere la fede, che ha illuminato la vita di tanti, donando amore dove c’era sofferenza, speranza dove c’era disperazione. Suor Eugenia non era solo la “suora bella”, ma la madre spirituale di tanti, una presenza che continua a vivere nei cuori di chi l’ha conosciuta.
E così, la prima infanzia di Luca è una storia di crescita, di amore, di sofferenza e di speranza. Una storia che ci ricorda come, anche nelle difficoltà, possiamo trovare persone speciali che ci guidano e ci aiutano a scoprire il vero significato della vita.
BUTTRIO
Nel 1961, dopo aver concluso la quinta elementare, Luca Alberti fu trasferito al collegio Mutilatini di Buttrio per proseguire gli studi alle scuole medie. Era un cambiamento che lo riempiva di un misto di tristezza e incertezza. Il collegio, diretto da don Pietro Bortolotti, si trovava su una collina incantevole, nell’antica villa Di Toppo – Florio, un luogo che, con il tempo, sarebbe diventato una parte indimenticabile della sua vita.
All’inizio, il cambiamento pesava sul cuore di Luca, che sentiva la mancanza della sua vecchia vita. Tuttavia, la malinconia si alleviò quando incontrò Maurizio, un ragazzo che attirò subito la sua attenzione per una risata unica e contagiosa, capace di infondere sicurezza e allegria. Da quel momento, Luca e Maurizio diventarono inseparabili, cementando un’amicizia che sarebbe durata per tutta la vita.
Il collegio stesso offriva a Luca una sorta di rifugio: un parco vasto e ricco di vegetazione, dove la natura sembrava abbracciarlo ogni giorno. Gli alberi secolari, le piante rigogliose, i reperti archeologici sparsi nel parco e il placido laghetto popolato da anatre e cigni offrivano una tregua alla sua anima inquieta. Spesso, Luca si ritirava in zone appartate del parco con una piccola radiolina in mano, lasciando che le note della musica classica si fondessero con i suoi pensieri. In quei momenti, nacque il suo amore per la poesia di Leopardi, Pascoli e Carducci, poeti che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita.
Dalla finestra dell’aula, lo sguardo di Luca si perdeva verso l’orizzonte, dove si intravedeva il romantico Castello di Morpurgo. Quel panorama, quasi magico, risvegliava in lui un senso di meraviglia e di possibilità, rendendo le giornate scolastiche meno grigie e monotone.
Con il tempo, Luca riuscì a superare la sua iniziale timidezza, diventando una figura amata sia dai compagni che dagli adulti. La sua vena umoristica e il suo talento per l’intrattenimento lo portarono a organizzare piccoli spettacoli teatrali, dove imitava animali e personaggi con una precisione che faceva ridere tutti. Era un maestro nel raccontare barzellette, e persino il cappellano don Luigi trovava irresistibile il suo francese maccheronico, che divenne presto un motivo di risate e di complicità tra loro.
Don Pietro, riconoscendo le doti di Luca, gli affidò il compito di leggere libri d’avventura durante i pasti nel refettorio. Con un microfono in mano, Luca catturava l’attenzione di tutti, mentre la grande sala si riempiva di un silenzio carico di attesa. Le avventure di Collodi e Salgari prendevano vita attraverso la sua voce, trasportando i giovani ascoltatori in mondi lontani e affascinanti.
Le giornate di maggio portavano con sé una tradizione amata da Luca: insieme al direttore e ad altri ragazzi, andava a raccogliere ciliegie sulle colline sovrastanti. Per Luca, arrampicarsi sugli alberi era una gioia, un modo per sentirsi libero e vicino alla natura. D’estate, passava qualche giorno a Corno di Rosazzo, ospite della zia Elena, che viveva nella storica villa Cabassi. Anche lì, Luca trovò nuovi amici e nuovi giochi, arricchendo la sua infanzia con ricordi indelebili.
Un’altra estate gli regalò l’opportunità di viaggiare in Svizzera, dove fu ospite per più di due mesi da Maria Rossato, un’amica di sua madre che lavorava a Marin – Saint Blaise, vicino a Neuchatel. Qui, in un ambiente nuovo e affascinante, Luca apprese il francese, frequentando i figli del vicino e esplorando il paese con la curiosità di chi è sempre alla ricerca di nuove esperienze.
Quando Luca terminò le scuole medie, la vita prese una nuova piega. Sua madre sposò Renzo, un muratore che, nonostante le difficoltà economiche, decise insieme a lei di ritirarlo dal collegio per mantenere la promessa di farlo tornare a casa. Si trasferirono tutti insieme in vicolo Taschiutti di via Grazzano a Udine, dove viveva anche nonna Albina, la madre di Renzo. Poco dopo nacque Lorenza, una nuova vita che portò gioia e nuove responsabilità.
Luca venne infine iscritto all’Istituto Tomadini di Udine, pronto ad affrontare un nuovo capitolo della sua vita, ma portando sempre con sé i ricordi di un’infanzia ricca di scoperte, amicizie e momenti di profonda riflessione.
A BUTTRIO E VILLA TOPPO FLORIO
(Poesia in quartine a rime alternate di Luca Alberti)
Sulla via da Udine a Manzano
c’è un paese che serbo nel cuore,
dalla mia Cividale non lontano
alle volte lì passo delle ore.
È Buttrio il suo attuale nome
che ha origini assai antiche,
dei suoi alberi sui colli le chiome
sin dall’infanzia mi sono amiche.
Da quelle verdi e dolci alture
ornate di viti assai preziose
si ammirano ricche sfumature
e non mancano a maggio le rose.
La villa dei nobili Toppo Florio
simil a quelle del veneto stile,
aveva cucina e dormitorio
per poveri di età infantile.
Fui ospite tra bimbi sfortunati
ben noti col nome “Mutilatini”,
da post-bellici residui segnati
a quel dolore li sentivo vicini,
perché il mio cuore mutilato
da un’infanzia con pochi affetti,
partecipe al lor mondo straziato
non vedeva i fisici difetti.
Eppure si correva spensierati
tra quegli alberi, vero diletto,
ma tra i luoghi più desiderati
furon quelli attorno al laghetto
dove l’anatre e i cigni bianchi
rallegravano i limpidi occhi,
eravam vispi come saltimbanchi
nel mitico paese dei balocchi.
Poi nel parco proibito sconfinavo
l’armonia del bel “Cigno di Tuonela”
dalla piccola radio ascoltavo,
magici momenti ancor mi svela.
Sull’erba estasiato camminavo
tra antiche rovine collocate.
Le piante che io tanto ammiravo
dai conti Florio furon curate.
Andavo stupito e contemplavo
quel piccolo lembo di paradiso.
Al Creatore lì spesso pensavo,
il mistero m’accendeva il viso.
Quei magici momenti eran brevi
perché poi lo studio ci impegnava,
pur insieme ai compagni allievi
tante belle cose si imparava.
Dal balcone fissavo il castello
dai conti Morpurgo ricostruito,
con la torre merlata era bello,
quel maniero per me era un mito.
Al poeta Leopardi pensavo,
con la sua triste solitudine.
Le belle poesie rimeditavo,
pregne di tanta inquietudine.
Poi sui colli di Buttrio al mattino,
a primavera bene inoltrata
le ciliege erano il bottino
per farmi una bella scorpacciata.
Il paese che spesso frequentavo
nella mia mente è sempre impresso.
Sul campanile mi interrogavo
per lo stran orologio manomesso.
Quei tre anni da adolescente
di Buttrio mi fecer innamorare,
questo paese è in me presente
davver mai lo potrò più scordare.
IL VECCHIO TOMADINI DI UDINE
Quando Luca Alberti venne trasferito al vecchio Istituto Tomadini di Udine, l’unica figura che riusciva a tranquillizzarlo nella nuova situazione era il suo amico d’infanzia, Beppino Filipig, affettuosamente chiamato “Gubana.” Beppino era già ospite del collegio da tempo e, con la sua presenza rassicurante, aiutò Luca ad ambientarsi gradualmente in quel nuovo ambiente.
Il Tomadini non era certo un luogo accogliente. La struttura mostrava i segni del tempo, con un cortile asfaltato troppo piccolo per contenere le centinaia di ragazzi che lo frequentavano. La mensa offriva pasti modesti, e i dormitori avevano soffitti pericolanti, instillando una costante sensazione di precarietà. Tuttavia, il collegio compensava queste mancanze con una vasta gamma di attività sportive e culturali, offrendo ai ragazzi opportunità di crescita personale e di sviluppo delle loro passioni.
Fu in questo contesto che Luca incontrò monsignor Primo Fabbro, un uomo di grande cultura e discrezione. Monsignor Fabbro utilizzava un metodo pedagogico unico: se c’era qualcosa che non andava, invece di rimproverare pubblicamente, scriveva a ciascun ragazzo un biglietto personalizzato. Questo approccio, delicato e rispettoso, fece breccia nel cuore degli allievi, che si sentivano valorizzati e considerati come individui, piuttosto che come parte di una massa indistinta. Tuttavia, la disciplina al Tomadini rimaneva ferrea. Luciano Marangoni, il “censore” del collegio, riusciva a mantenere l’ordine tra i ragazzi, dalle medie alle superiori, suddivisi in classi, ciascuna con un proprio istitutore.
Luca frequentava le scuole superiori a Udine e, grazie agli orari rigidi del collegio, riusciva a studiare con profitto. L’anno successivo, un nuovo censore, Aldino Tosolini, portò una ventata di novità. Tosolini era una persona eclettica, capace di suonare, dipingere e organizzare spettacoli teatrali. Con lui, Luca strinse subito amicizia e iniziò a collaborare attivamente, recitando a teatro, partecipando alle para-liturgie delle grandi festività e contribuendo a molte altre iniziative culturali. Tosolini riuscì a stimolare in Luca forme di creatività che non aveva mai esplorato prima, aprendo nuove strade per la sua espressione personale.
Durante le estati per tre anni consecutivi, Luca ricoprì l’incarico di assistente educatore presso una colonia estiva a Grado. Questo impegno estivo gli valse la stima dei superiori del Tomadini, che, durante il quinto anno, gli affidarono un incarico eccezionale: diventare assistente nella stessa classe dei suoi coetanei. Nonostante la delicatezza del ruolo, Luca fu sempre rispettato dai compagni, che lo apprezzavano per la sua pazienza e per l’aiuto che offriva nelle difficoltà scolastiche.
Nel luglio del 1969, proprio il giorno dello sbarco sulla luna, Luca conseguì il diploma di scuola superiore e si iscrisse all’Università di Lingue e Letterature Straniere di Udine, mantenendosi agli studi continuando a lavorare come assistente al Tomadini. In questo periodo, gli fu affidato anche l’incarico di docenza presso due corsi professionali di grafica, dove insegnava fisica e tecnologia.
Tuttavia, qualcosa non andava. Luca cominciava a sentirsi sopraffatto dal peso del suo doppio impegno: da un lato il lavoro di assistente, che richiedeva molto del suo tempo e delle sue energie, soprattutto la sera, dall’altro gli studi universitari, che richiedevano una dedizione che non riusciva a conciliare con le altre responsabilità. Sentiva che stava perdendo la passione per ciò che faceva e che il suo rendimento ne risentiva.
Fu allora che prese una decisione difficile ma necessaria: interrompere temporaneamente gli studi per adempiere al servizio militare obbligatorio, con l’idea di tornare all’università una volta concluso il suo impegno con l’esercito. Era un passo incerto verso il futuro, ma Luca sapeva che era necessario per ritrovare l’equilibrio e la concentrazione di cui aveva bisogno per proseguire il suo cammino.
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