Il vero “soggetto” non può essere colto come tale se applichiamo le nostre categorie mentali “soggetto-oggetto”.
Questo perché l’attività cosciente è orientata alla Trascendenza, la quale si spinge infinitamente oltre all’immanenza oggettuale.
Questo fatto è innanzitutto verificabile per analogia nella sfera dei sensi.
Noi distinguiamo gli oggetti percepiti confrontandoli e cerchiamo di identificarli eclissando il contesto. Il processo di identificazione avviene in modo spontaneo nella nostra mente perché è innato e l’abbiamo acquisito con l’esperienza dal nostro concepimento.
Un albero per ognuno di noi è se stesso perché lo isoliamo concettualmente dagli altri. E così per qualsiasi ente che appare nella nostra attività cosciente.
L’attività cosciente, poi, è orientata ad identificare il proprio “io” attraverso operazioni che non esauriscono mai la vera definizione dell’Io come Soggetto pensante.
Quando mi identifico come “Soggetto” opero in me una continua oggettivazione dei contenuti mentali.
Lo stesso processo di identificazione dell’io richiede una continua oggettivazione, in quanto pensandomi “soggetto” rendo immediatamente “oggetto” lo stesso pensiero.
Cos’è allora il soggetto che immaginiamo di concepire attraverso la continua oggettivazione che avviene nella nostra attività cosciente?
È importante essere consapevoli che procediamo attraverso il metodo simile a quello apofatico.
Io non sono né questo, né quello. Non sono nemmeno il mio pensiero ed i suoi contenuti. E quando credo di avere o possedere una qualche idea sulla mia soggettività che soggiace alla mia attività cosciente, non è ancora quella definitiva, perché, in fin dei conti, essa è sempre un’oggettivazione di un quid continuamente trascendente che chiamo “soggetto”. Fin che “oggettivo” il concetto di “soggetto” non potrò mai avere nemmeno una lontana idea di chi realmente sono.
Quando sentiamo che noi uomini siamo a immagine e somiglianza di Dio, è una verità profonda perché la nostra soggettività è tale quando è strettamente unita a quella di Dio, fonte di ogni soggettività trascendentale.
(Pier Angelo Piai)
(da “Sermoni tedeschi”, di Meister Eckart, Adelphi 1985
Se l’uomo deve avere vera povertà, deve essere così vuoto della propria volontà creata come lo era quando non esisteva.
Perciò io vi dico nella verità eterna: finché avete la volontà di compiere il volere di Dio, e avete il desiderio dell’eternità e di Dio, voi non siete davvero poveri.
Infatti è un vero povero soltanto colui che niente vuole e niente desidera (…)
L’uomo che deve avere questa povertà, deve vivere così da non sapere neppure che egli vive né per se stesso, né per la verità, né per Dio.
Egli deve essere così vuoto di ogni sapere, da non sapere né conoscere né sentire che Dio vive in lui; più ancora: deve essere privo di ogni conoscere che vive in lui (…)
Perciò noi diciamo che l’uomo deve essere così privo del suo sapere, come lo era quando non era ancora; e che lasci Dio operare quello che vuole, e se ne stia vuoto”.
“Se vuoi vivere e vuoi che vivano le tue opere, devi essere morto ed annientato per tutte le cose. È proprio della creatura compiere qualcosa da qualcosa, ma è proprio di Dio compiere qualcosa dal nulla.
Se perciò Dio deve compiere qualcosa in te o con te, tu devi previamente essere diventato nulla”
E se non è né bontà, né essere, né verità, né Uno, che cosa è dunque?
È il nulla, né questo né quello.
Se tu pensi ancora che è qualcosa, non è quello.
Dove dunque l’anima deve cogliere la verità?
Non la trova là dove essa è stabilita nell’unità, nella prima purezza, nell’impressione della pura essenza?
Non trova là la verità?
No, non trova là da cogliere la verità; ma piuttosto è di là che procede la verità, do là che è uscita.”