9° capitolo

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. (Lc.18,13)

Colui che si ritiene giusto” fa male i suoi calcoli. Non tiene conto, quando prega, che si trova dinnanzi a Colui che è la Giustizia in persona. L’atteggiamento mentale più pericoloso per la vita interiore è l’orgoglio spirituale che, come il fariseo, ci fa sentire inconsciamente di essere più giusti e perfetti degli altri.

La coscienza superficiale ragiona in questo modo: non rubo, non ammazzo, non bestemmio, quindi sono un “giusto”. Per un tale ragionatore c’è poca speranza: si sente a posto con Dio, con il prossimo e con se stesso, rischiando di rimanersene rinchiuso nel suo bozzolo dorato, nella sua illusione. Non trova più pungoli per la sua evoluzione spirituale, che consiste nel diventare sempre più simile al suo Creatore, il quale si è fatto uomo e ha patito enormemente per amore di tutti attraverso la follia della croce.

Ognuno di noi dovrebbe riflettere seriamente sul suo atteggiamento mentale e sulle sue opere. Se viene illuminato dalla grazia vedrà il grado di torbidezza del suo animo, come quando un raggio di sole penetra in una stanza semioscura e rischiara il pulviscolo che non è visibile in condizioni normali. Quanto egoismo, superficialità, orgoglio si celano nei meandri più nascosti del proprio io! Basterebbe riflettere sul comportamento che abbiamo con il nostro prossimo.

Spesso è ipocrita, sprezzante, irriverente, grossolano, calunnioso, ingiurioso, canzonatorio, diffamatorio, insensibile, superficiale, indiscreto, sospettoso. Quante persone che contattiamo durante la giornata avrebbero bisogno di una nostra attenzione, di un po’ di considerazione, di un semplice sorriso, di un buon consiglio…e non glielo sappiamo dare perché troppo presi dai nostri pensieri, dalle nostre occupazioni e preoccupazioni.

Se il nostro cuore non sa donare è perché rimane fossilizzato nella logica del ricevere. Se qualcuno ha bisogno di noi e richiede il nostro tempo o le nostre sostanze, ci ritiriamo come un riccio cercando nel nostro io una scusa che possa mettere a tacere la coscienza interiore.

E quale il nostro comportamento verso Dio? Se ci crediamo a posto, siamo veramente da compatire. Egli ci ha creati e ci continua a dare la vita in ogni istante ed in ogni attimo Egli pensa a noi, come un Padre benevolo ed amorevole pensa al suo figliolo. Quante volte pensiamo a Lui nell’arco di una intera giornata? Scopriremmo, dopo un attento esame di coscienza, disinteresse, distrazione, irriverenza, ingratitudine, grossolanità, superficialità, disattenzione..

Quando siamo vittime di umilianti tentazioni, può subentrare una temibile tentazione: abbandonare la speranza in Colui che ha il potere di trasformarci in ogni momento. E invece anche le cadute più umilianti possono essere ottima occasione di crescita spirituale, anche se ai nostri occhi ciò non appare. Chi per questo si sente al limite dello scoraggiamento e non osa rivolgere gli occhi al cielo, dovrebbe semplicemente riflettere sulla sua condizione precedente : come mai osava rivolgere lo sguardo al cielo? Con quale arrogante inconscia presunzione ardiva salire il monte di Sion? Forse si sentiva puro, anche se non lo ammetteva apertamente a se stesso? Ora, invece, che è umiliato e affranto per una colpa che ritiene grave, si sente una nullità…perché non si sentiva tale anche prima?

Il nostro modo di ragionare è assai diverso da Colui che tutto valuta con giustizia. Ai suoi occhi può essere più grave una colpa che noi riteniamo veniale o viceversa. A nessun uomo è dato di giudicare l’altro uomo, perché nessuno conosce con la stessa profondità di Dio, nemmeno se stesso. Siamo ignoti a noi stessi molto di più di quello che immaginiamo. Sono infiniti i fattori che ci inducono alla trasgressione : ereditarietà, temperamento, carattere, educazione, momento e circostanze, ambiente, grado personale di evoluzione,pulsioni interiori …chi può realmente capire il grado di responsabilità in sé?

Potremmo essere più responsabili nel compiere una venialità oggettiva che una colpa grave, o ritenuta da noi tale.
Le tentazioni e le sconfitte ci aiutano, se illuminati dalla grazia di Dio, a conoscere alcuni nostri limiti che non avremmo mai potuto verificare nelle situazioni tranquille o di alta contemplazione. “Di me stesso non mi vanterò fuorché delle mie debolezze – dice San Paolo. E poi aggiunge: “Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un messo di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2Cor.12,7)

Durante i momenti di preghiera o nelle meditazioni spesso chiediamo perdono al Signore per le nostre mancanze, ma inconsciamente capita di non esserne convinti. A parole ammettiamo la nostra piccolezza, ma nel profondo del nostro io molto spesso avvertiamo un certo senso di superiorità nei confronti degli altri o, peggio ancora, di “innocenza” mista a vittimismo e fatalità nei confronti di Dio stesso . In questo caso affrontiamo il monte Oreb senza toglierci i calzari, con incredibile sfrontatezza, irriverenza e sfacciataggine.

Quando cadiamo in tentazione è spesso duro divenire consapevoli della nostra colpa: ci crolla il mondo materiale e spirituale. O forse crollano solo i castelli spirituali che ci siamo creati credendoci dei “puri contemplativi”. Eppure proprio in quei momenti dobbiamo rivolgerci a Dio-Padre confidando nella sua misericordia, convinti che Egli è presente nel nostro dolore e nella nostra umiliazione. “Un cuore affranto ed umiliato non disprezzi”.

Un vero padre sa che cosa fa realmente bene al figlio. La caduta è sempre il segno della grande libertà di scelta che ci ha regalato il Creatore, mentre il nostro sincero pentimento accompagnato dall’afflizione, lo commuove profondamente.
Le tentazioni e le cadute ci riportano alla vera dimensione dell’autoconoscenza. La vita nostra è fatta appositamente di tante contraddizioni, finalizzate alla nostra evoluzione personale, in maniera tale che possiamo superare i limiti che gradualmente veniamo a conoscere. Altrimenti la nostra coscienza non potrebbe ampliare il suo campo visivo e percettivo, perché essa è destinata alla conoscenza delle cose eterne di Dio.

“Con Lui non fanno paura nemmeno le tue povertà, il tuo disamore, perché se ti mancano le bontà, è sufficiente domandargliele che Lui ha tutte le bontà in grado altissimo, ne ha da vendere.”(P.Albino, Diario, p.170)
Quando ti senti triste perché non riesci a superare una tentazione pensa a Colui per il quale tutto esiste: Egli ha creato tutto per la vita e non per la morte. Anche se tu dovessi essere un incallito peccatore che per fragilità ricade continuamente anche dopo la contrizione sincera, Egli è pronto a perdonarti se tu desideri realmente migliorare e vivere in eterno con Lui. Non gode certo per la rovina del peccatore, ma vuole che si converta e viva, perché nessuno lo potrà mai lodare agli inferi.

Hai la consapevolezza di essere una creatura debole ed incostante. Chiedigli sinceramente la forza e la perseveranza, promettendo a te stesso ed a Lui di evitare tutte le occasioni possibili. Se Egli ti lascia ancora nella fragilità, insisti che si compia la sua volontà: probabilmente ti preferisce umile come il pubblicano. Un uomo dal cuore umile ed affranto gli è più gradito di uno superbo che, credendo di rispettare la legge, si sente a posto con Dio e non ha la capacità di amare veramente. La vita spirituale non può fiorire se non c’è l’umiltà, come i fiori e le piante non vivono se non hanno le radici ben piantate al suolo.

Tanti si rovinano pensando di essere profondamente spirituali ed induriscono il loro cuore. Inconsciamente si sentono superiori e finiscono con il disprezzare chi non passa intere ore a leggere, meditare, pregare, contemplare come loro. E’ la più subdola forma di orgoglio spirituale che esista: credere di essere più spirituali degli altri, e di conseguenza anche più umili. Non ci si deve meravigliare se il Signore ci lascia spesso tra tentazioni inaudite: meglio cadere e poi riprendere il cammino che rimanere paralizzato sentendosi a posto con la coscienza.

Spesso, però, l’orgoglio si cela là dove pensiamo ci sia l’umiltà. E’ il caso della coscienza scrupolosa. I moralisti sostengono che lo scrupoloso è una personalità ossessiva che, nel suo bisogno insaziabile di perfezione, non sa distinguere ciò che è essenziale da ciò che è secondario…Il tormento interiore che lo caratterizza si riassume nell’alternativa: “Sono responsabile o non sono responsabile?: in essa non è in causa l’oggettività del male fatto ai fratelli né l’ingratitudine dell’offesa contro la bontà di Dio, ma l’egocentrismo del bisogno di autovalutazione etica.(Diz.Enc. di teologia morale, ed.Paoline,p.958)

La coscienza timorata in particolare non è agitata o turbata nei suoi rapporti fiduciosi con Dio: essa a differenza della coscienza scrupolosa, sa ritrovare sempre la pace dopo aver riconosciuto con umiltà e serenità le proprie colpe. (p.957) Il problema più profondo dello scrupoloso sarebbe quindi questa incapacità di accettarsi così com’è, di sentirsi accettato dagli uomini e da Dio, di concepire la possibilità di sentirsi perdonato.(p.960)
P.Albino dice che gli scrupoli, i ritorni sulla vita passata, sono fioriture della vanità di essere perfetti, di essere intatti, di essere innocenti. E più ritorni su quelle strade di meticolosa ricerca e più nutri l’orgoglio e la vanità. Sentirci innocenti non è né santità, né perfezione, è affronto.

E’ Lui solo che può dare il giudizio certo dell’autenticità della nostra giustizia, cioè dell’essere giusti. E’ fatica non solo inutile, ma dannosa. L’abbandono in Lui anche nell’incertezza e nel dubbio della nostra innocenza, è preferibile alla provvisoria e precaria certezza di essa. (Diario,p.272)

Se dubiti della colpa, tieni per certo di non aver peccato….Non confessarti di una colpa se non puoi giurare di averla commessa….Nel giorno in cui deciderai di non confessare più i tuoi presunti peccati, ti sarai liberato dai tuoi scrupoli e dalle tue angosce.(F.Bersini,La Sapienza del Vangelo p.34)
Se sono afflitto dal dubbio della mia innocenza, dunque, dovrei gioire in cuor mio e abbandonarmi fiducioso tra le braccia dell’Infinito Amore Misericordioso: è un atto di coraggio che Dio gradisce infinitamente di più dei reiterati esami di coscienza che servono solo a cercare la purezza interiore che non c’è.
Non si turbi il vostro cuore, né si spaventi…(Gv14,27)

Così Gesù rivela a suor Faustina:
..ti rivelo un segreto del Mio Cuore, quello che soffro da parte delle anime elette: l’ingratitudine per tante grazie è il nutrimento continuo per il Mio Cuore da parte delle anime elette. Il loro amore è tiepido, il Mio Cuore non può sopportarlo, queste anime mi costringono a respingerle da Me. Altre non hanno fiducia nella Mia bontà e non vogliono mai gustare la dolce intimità nel proprio cuore, ma Mi cercano chissà dove, lontano, e non mi trovano. Questa mancanza di fiducia nella Mia bontà è quella che mi ferisce maggiormente. Se la mia morte non vi ha convinti del Mio amore, che cosa vi convincerà? (p.230)
Sappi, o anima, che tutti i tuoi peccati non mi hanno ferito così dolorosamente il cuore come la tua attuale sfiducia. Dopo tanti sforzi del Mio amore e della Mia misericordia non ti fidi della Mia bontà. (p.489)

Chi è padre o madre può immaginare lontanamente quello che Dio prova a causa della nostra sfiducia, qualsiasi ne sia la sua genesi e la sua natura. Se il figlio capriccioso non osasse ritornare tra le nostre braccia perché pensa che noi non lo perdoneremmo mai, ciò ferirebbe il nostro cuore angosciosamente. Gli mostreremmo la nostra benevolenza a tutti i costi per conquistarcelo.

Così Dio fa con noi: non tiene conto delle nostre imperfezioni e delle nostre debolezze se confidassimo realmente nella sua misericordia.

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Ciechi dalla nascita