19 Ottobre 2015

DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO

DEDICAZIONE DEL DUOMO DI
MILANO – Anno B 2015

Is 26,1-2.4 7-8; 54, 12-14; 1Cor 3,9-17; Gv 10,22-30

 

Terza
domenica di ottobre: la chiesa ambrosiana celebra l’anniversario della
Dedicazione della Cattedrale. Ma non sono le belle pietre il motivo della festa
di oggi. È la chiesa che è in Milano, la comunità dei credenti, pietre vive e scelte della casa di Dio, che devono diventare le pietre
vive della città dove sono posti a vivere
.

 

Dice il Profeta: Ecco la città forte! Aprite le porte. Per noi che,
all’opposto, ci sentiamo forti quando chiudiamo le porte, ci sentiamo sicuri
quando lasciamo fuori i poveri,
Kyrie
eleison

Dice l’Apostolo: Voi siete
edificio, campo, tempio di Dio.
Per quando non
sappiamo dare un respiro grande, un progetto coraggioso alla nostra vita,
Kyrie eleison

Dice il Signore Gesù:
Nessuno può strapparvi dalla mia mano!
Per i giorni
della sfiducia, per le volte in cui ci siamo sentiti abbandonati dalla sua
mano,
Kyrie
eleison

 

Omelia.

Festa della nostra cattedrale. Chi non si è incantato
una volta a vedere, nel cuore della città, questa montagna di marmo assetata di
cielo.

Che parla, già al primo sguardo, e racconta agli occhi
un desiderio di Dio, una memoria di Dio alla città distratta: di generazione in generazione, non ci siamo mai
dimenticati di te, Signore; la nostra fiducia, la guglia altissima della nostra
fiducia, la più importante, la più sapiente, la più sicura, è in te.

Guardo le 300 guglie del Duomo, uno spreco di bellezza,
e le associo ai 300 denari di nardo prezioso di Maria di Betania, uno spreco,
uno sciupio d’amore, che è rivelazione.

 Della grande
bellezza della nostra cattedrale non resterà pietra su pietra.

Ma noi invece resteremo, noi per sempre. Sono le
ultime righe di Paolo oggi a garantirlo: ma
non sapete che il tempio di Dio siete voi?

Voi la cattedrale santa, il duomo, la casa di Dio da
lui edificata.

Un saluto della tradizione induista mi ha sempre
affascinato. A mani giunte, inchinandosi davanti alla persona che accoglie, il
credente indù dice queste parole: saluto
il Dio che è in te.

Se avessimo la fede per ripeterlo, in silenzio,
interiormente, davanti al familiare, all’amico, al povero: saluto il Dio che è in te. Allora la mia casa, la nostra città si
riempirebbero di cattedrali. Cammineremmo nel mondo come dentro un immenso
santuario.

All’inizio della messa il sacerdote porge un saluto
simile: il Signore sia con voi. Più
esatto sarebbe dire: il Signore è con voi.

Non di un augurio si tratta, ma di una certezza. Non di
un auspicio, ma di una affermazione di fede: il Signore è con te.

L’antico latino liturgico, lo ricorderete forse tutti,
diceva sobriamente: Dominus vobiscum,
senza il verbo. Ma il verbo sottinteso nella lingua latina è sempre
all’indicativo presente: il Signore è…
e non al congiuntivo: il Signore sia…
è con voi il Signore, il tempio più vero di Dio siete voi, voi cattedrale,
santuario, duomo, casa di Dio.

Saluto il Dio che è in te. E mi tolgo i calzari
davanti ad ogni persona, come Mosè davanti al roveto ardente, quando la voce gli
intima: togliti i calzari perché questa
terra è santa. Qui c’è Dio.

Questo è anche il messaggio contenuto nel vangelo di oggi:
Io do loro la vita eterna / e non
andranno mai perdute / e nessuno le strapperà dalla mia mano!

  Tre caratteristiche del pastore bello che è Dio.

1. Io dò la vita eterna; adesso, al
presente, non alla fine del tempo.

E’ salute dell’anima ascoltare, respirare queste
parole: Io dò loro la vita eterna! senza
condizioni, senza clausole, senza calcolare.

Prima ancora che tu risponda la vita di Dio è data,

presente come un seme potente, un seme di fuoco nella
mia terra spenta.

Già data, come linfa che non vedo, ma che risale
questo mio tronco, senza stancarsi mai, giorno e notte, e si dirama per tutti i
tralci, dentro tutte le gemme. E mette pensieri di luce.

Ogni volta che sfiori Gesù un po’ più da vicino,
prende a vibrare, a muoversi questo seme vivo. Per questo siamo in chiesa oggi
insieme.

Il nostro male è che non sappiamo quanto siamo ricchi.

Dostoiewski: il
vostro male è che non sapete quanto siete belli.

2.
Non andranno mai perdute. Io non sarò
mai perduto, Dio non mi perderà, lui non abbandona mai, non getta via mai. Con
lui sono al sicuro. E se mi perdo, sarà lui a trovarmi. Dove l’uomo dice
‘perduto’, Dio dice ‘trovato’. Dove l’uomo dice ‘finito’, Dio dice ‘appena
cominciato’.

Sentite
che bello questo passo della E. G. di papa Francesco che non mi stanco si
rileggere e di ripetere.

Il credente ha la certezza che non va
perduto nessun atto d’amore,

non va perduta nessuna generosa fatica,

non va perduta nessuna dolorosa
pazienza.

Tutto ciò circola attraverso il mondo,

circola come una forza di vita (278).

3. Il Vangelo prosegue con
un raddoppio che per me è bellissimo: Nessuno
le strapperà dalla mia mano e poi aggiunge, come se avessimo dei dubbi, come
se non avessimo capito bene, e rilancia: nessuno
le può strappare dalla mano del Padre!

Nessuno le
strapperà, nessuno le può strappare.

Eccolo il pastore bello, il pastore forte. Quello
della combattiva tenerezza.

Quello tenero come una donna innamorata, forte e
coraggioso come un eroe. Nessuno, mai ci strapperà via.

Legame indissolubile tra me e le mani di Dio.

Nodo che nessuno può sciogliere, catena che nessuno
spezza.

Allora penso che cattedrale più bella del cosmo sono
le mani di Dio.

Come passeri abbiamo il nido nelle sue mani,

come bambini ci aggrappiamo a quella mano che non ci
lascerà cadere,

come innamorati cerchiamo quella mano che scalda la
solitudine,

come crocefissi ripetiamo: nelle tue mani affido la
mia vita.

Le mani di Dio. Il vangelo è una storia di mani.

Mani che benedicono, che abbracciano i bambini,

mani di pastore forte contro i lupi,

mani tenere impigliate nel folto della mia vita,

mani che proteggono il mio lucignolo fumigante,

mani sugli occhi del cieco come una carezza di luce,

mani che scrivono nella polvere e non lanciano sassi
mai a nessuno,

mani che sollevano la donna adultera a terra,

mani sui piedi dei discepoli,

mani inchiodate e poi ancora offerte: Tommaso, metti il dito nel foro delle mie
mani!

Mani offerte perché io ci riposi e riprenda il fiato
del coraggio.

Il Vangelo è una storia di mani, un amore di mani.

Che dicono: mi importa
di te.

E verrà l’assenza di Dio, verrà il suo silenzio, e giorni
di buio, ma dalla certezza che a Dio l’uomo
importa, che io gli importo, inizia l’avventura di noi che vogliamo, sulla
terra, custodire e lottare, camminare e liberare, ed essere costruttori di
cattedrali.

Poter dire al familiare, all’amico, al povero, parole
copiate da Dio: nessuno ti strapperà
dalla mia mano. Coloro che amiamo, meritano queste parole divine. Ma non
solo loro.

Tutti quelli che sono cattedrale e roveto, e vaso con dentro
il tesoro di Dio.

Poter dire al mendicante che forse non rivedremo più: eppure tu mi importi. Al migrante che
annega davanti alle coste dell’Europa, tu
mi importi. Al siriano che ha perso tutto, al palestinese come
all’israeliano, mi importa di voi. Questa
è la cattedrale divina, di mani che intessono la presenza di Dio nel mondo.

Eppure, una cosa c’è più forte delle mani del pastore:
la nostra libertà.

La libertà di andarmene, di non ascoltare, rispettata
fino all’estremo da Dio, fino a lasciare che spezzi il suo sogno.

Il pastore forte, mai a corto di sorprese, continua a
riproporsi al cuore. E mi rassicura: Nessuno
mai ti strapperà dalle mie mani. Nessuno, mai.

 

Preghiera alla Comunione


Signore, nessuno mai ci rapirà dalle tue mani.

Nessuno mai ci separerà da quelle mani

che hanno dispiegato i cieli,

gettato le fondamenta della terra.

 

Mani di vasaio sull’argilla dell’Eden,

come una infinita carezza.

Mani di Creatore sull’Adamo addormentato

e nasce, estasi dell’uomo: Eva.

 

Mani inchiodate alla Croce

per un abbraccio senza fine,

che non rifiuterà nessuno mai, estasi della storia.

 

Come passeri abbiamo in esse il nido,

come bambini ci aggrappiamo forte

a quella mano che non ci lascerà cadere,

come innamorati cerchiamo la tua mano

che scalda la solitudine, annulla la lontananza.

 

Come crocifissi ripetiamo:

nelle tue mani, Signore, affido tutta la mia vita.

A Te, che sei il solo Pastore

che per i cieli ci fa camminare. Amen

 

Ermes Ronchi