7 Ottobre 2015

LA VIGNA

La vigna, i braccianti e uno strano
padrone.

 

VI
DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI

ANNO B – Is 45,
20-24 ; Ef 2,5c-13 ; Mt 20,1-16

 

Benvenuti
all’incontro con il Signore. In questa liturgia l’istante si apre sull’eterno e
il Vangelo degli operai dell’ultima ora, rompe apre la logica del calcolo
economico e entra nella gratuità di Dio. Cosa fai quando credi? Tu tendi ad
aprire il cuore. Chiediamo perdono, un essere tirati fuori dai nostri limiti.

Dice il Padrone della vigna,
chiama i lavoratori e paga cominciando dagli ultimi
. Per tutte le
volte che ho vantato davanti a Te i miei risibili diritti,
Kyrie eleison

Noi abbiamo sopportato il peso
della giornata, noi dovremmo avere di più!
Per tutta l’invidia che rende amari i nostri
rapporti, e ci fa tristi se agli altri vanno bene le cose, per questo cuore
duro,
Kyrie eleison.

“Ti dispiace che Io sia
buono?” dice il Signore.
Perché non siamo buoni, perché non abbiamo la bontà,
semplice, innocente, divina come scopo dei rapporti, noi ti domandiamo perdono.
Kyrie eleison

 

OMELIA

Un Vangelo non da uomini, ma da Dio. Il Dio pronto a saziarci di
sorprese, che ama in perdita, che non sa far di conto. Anzi la mia più bella
speranza, è un Dio che non è forte in matematica, per lui i due spiccioli della
vedova valgono quanto le offerte dei ricchi; lui ti affida cinque talenti e poi
quando gliene riporti cinque in più, lui te li lascia, anzi aggiunge cinque
città.

 Il Dio che crea una
vertigine dentro il nostro modo mercantile di concepire la vita, che mette
l’uomo prima del mercato.

Una vigna è la prima immagine. Il vangelo è pieno di
vigne e di viti.

La vigna è il campo più amato, dove si investe più
lavoro e più passione, gioia e fatica, sudore e poesia.

Noi siamo la vigna di Dio,
siamo il mondo ricco di frutti buoni che lui sogna, e insieme siamo i
lavoratori della vigna, i collaboratori di Dio.

Un padrone esce all’alba in cerca di operai e lo fa per
ben cinque volte, fino al tramonto, senza stancarsi, guidato da un motivo che
non è un lavoro urgente da terminare. C’è qualcosa d’altro. Lo capiamo dalla
sua domanda:
Perché ve ne state qui tutto il giorno senza fare
niente?

Si interessa di quegli uomini, più ancora che della sua vigna.
Qui
seduti, senza far niente tutto il giorno:
il lavoro è la dignità dell’uomo. Un
padrone contro la cultura dello scarto!

E poi al momento della paga comincia da quelli
salvati dalla logica dello scarto, quelli dell’undicesima ora.
Finalmente un Dio che non è un “padrone”,
nemmeno il migliore dei padroni.

Non è il contabile del cosmo. Un Dio ragioniere non
converte nessuno. Istintivamente io mi sento solidale con i primi (pagati per
ultimi perché capiscano la lezione, perché restino, vedano e ascoltino): non è
giusto, penso tra me, dare la medesima paga a chi lavora molto e a chi lavora
soltanto un’ora, non è giusto.

Ma io ragiono così quando metto
al centro di tutto le leggi dell’economia. E della giustizia in senso
aristotelico: dare a ciascuno il suo. Dio è giusto in altro modo:
dare a
ciascuno non secondo i meriti, ma secondo il suo bisogno.

E se io nel cuore di Dio cerco un
perché, capisco che le sue bilance non sono quantitative, davanti a Lui non è
il mio diritto o la mia giustizia che pesano, ma il mio bisogno.

Dare un denaro a tutti significa
dare ad ognuno quello che è necessario a mantenere la famiglia quel giorno, il
pane quotidiano.

Il nostro Dio è differente, non un padrone che fa di conto e che
sottrae, “
Con voi ho
concordato un denaro”
, prendetelo,  ma un Dio che aggiunge continuamente un di più, che estende a
tutti il suo patto, che intensifica la mia esistenza, che moltiplica il frutto
del mio lavoro. Dio incremento d’umano. La sua giustizia è dare di più, non di
meno.

L’uguaglianza della paga tra
ultimi e primi, è un dettaglio, osserviamo, invece, l’accrescimento,
l’incremento di vita inatteso che si espande sui lavoratori, il denaro in più
che giunge benedetto e benefico a quattro quinti dei lavoratori.

Questo Dio non si merita, si accoglie!

Quale vantaggio c’è, allora, a lavorare
fin dal mattino? Essere impegnati da sempre? Il vantaggio è quello di aver dato
di più alla vita, una vita piena di dignità, di senso e di frutti, di aver reso
più bella la vigna.

Io non ho bisogno di ricompense
ma di grandi vigne da custodire, di grandi campi da arare e della promessa che
una goccia di luce è nascosta anche nell’ultima ora, nel cuore vivo del mio
ultimo minuto.

 

 

Che cosa mi fa vivere? Mi fa vivere la speranza che per me non è mai
troppo tardi; che anche
all’undicesima
ora Dio non è stanco di me e mi offre, mi offrirà una intatta opportunità.

Il card Martini amava ripetere: L’uomo ragiona per equivalenza,
Dio per eccedenza.

Per
dare di più. Allora non faccio conto sui miei meriti, ma sulla sua bontà.

Ma perché in quella sera, in quel cortile non si
accende la festa tra i lavoratori? Perché i primi sono tristi? Perché i
mugugni?

Perché la felicità vuole uno sguardo buono e amabile,
non saremo mai felici se non siamo buoni. E
c’è un primo sguardo buono necessario per la festa della
vita
:mettere al centro di
tutto non il denaro o un’idea, ma l’uomo; non la produttività ma la persona.

Se io metto al centro quell’uomo concreto, l’operaio
dell’undicesima ora, quello delle cinque del pomeriggio, un bracciante senza
terra e senza lavoro, con i figli che hanno fame, che aspettano attorno alla
mensa vuota quel denaro insperato, allora non posso più mormorare.

Un secondo sguardo buono è necessario per la festa. Se l’operaio
dell’ultima ora lo considero un mio amico, non mi sento defraudato, faccio
festa con lui e ci sentiamo entrambi più ricchi.

Alla fine è una questione di
bontà. Ti dispiace che io sia buono?

La paga dell’ultimo come quella del primo, non abbassa me, innalza
l’altro; invece noi ci sentiamo mi abbassati se qualcuno è innalzato fino a noi.
Perché siamo senza bontà.

E il terzo
sguardo buono necessario: saper godere del bene degli altri.

Dove mi colloco? Mi riconosco nell’operaio duro e puro della prima ora,
che non ha mai mollato? Oppure mi sento uno dei lavoratori con pochi risultati
e qualche colpa?

Sono un cristiano modello, un
lavoratore esemplare che per tutta la vita ha dato a Dio il suo tempo e il suo cuore?
Oppure mi riconosco tra quelli arrivati a mezza giornata, che si stancano
facilmente, accanto a gente come Maddalena e il Buon Ladrone?

In questo caso soltanto allora la
parabola accende il segreto della speranza:
Dio non è buono, è esclusivamente buono.

“Ti dispiace che io sia buono?” dice il Padrone.

No, Signore, non mi dispiace perché quell’operaio
dell’ultima ora sono io, un po’ ozioso ma più ancora bisognoso.

No, Signore, non mi dispiace che Tu sia buono, perché
sono l’ultimo bracciante e tu buono mi assicuri pane per oggi e per domani.

Non mi dispiace che Tu sia buono, perché so che
verrai a cercarmi ancora, anche quando si sarà fatto tardi.

Non mi dispiace, anzi sono felice che Tu sia così, un Dio buono,

che ama in perdita, senza contare

che dilata le pareti meschine del mio cuore fariseo,

perché il mio sguardo opaco diventi lucente,

perché il mio balbettare, il mugugno invidioso

diventi la lingua luminosa e armoniosa di Dio.

 

Preghiera alla comunione

 

Ti chiedo
una sola cosa, Signore,

 di essere contento di avere servito il
Vangelo e la vita.

Operaio di
non so quale ora ma che non si aspetta ricompensa alcuna.

 Concedimi di essere un lavoratore che
dice:

’La mia
ricompensa sei Tu’.

 Lieto solo di avere lavorato nella tua
vigna,

 per grappoli profumati, per un vino
buono,

per una
terra più bella, per un po’ di bontà,

contento di
essere primo nel lavoro e contento per gli ultimi.

Ti prego,
Signore, concedimi uno sguardo buono,

concedimi
di imparare a godere della Tua bontà.

Ti dispiace
che io sia buono?

No, Signore
non mi dispiace

 perché sono l’ultimo e tutto è grazia,

perché non so
sopportare il peso della giornata e del caldo,

 no, non mi dispiace che tu sia buono,

perché so
che vieni a cercarmi

anche se si
è fatto molto tardi,

anche se ho
perso tanto tempo, anche se l’ora è scaduta.

Non mi
dispiace che Tu sia buono,

 sono felice che Tu sia un Dio buono

che dilata
le pareti meschine del mio cuore fariseo,

perché la
mia invidia diventi il tuo sguardo luminoso. Amen

 

p.Ermes Ronchi