II di pasqua 2015
Giovanni 20,19-31
Otto giorni dopo la Pasqua
una Beatitudine che ci appartiene: Beati quelli che credono senza aver visto! È
per noi che siamo qui, che crediamo pur senza aver visto il Signore risorto.
E poi ci appartiene, una
seconda beatitudine, quella cosa che moltiplica la vita: la misericordia del
Padre, di cui oggi è la festa, e alla quale ora ci apriamo.
O Dio, che ami l’innocenza e la ridoni, a noi che all’innocenza abbiamo preferito
l’intelligenza e l’astuzia, dona misericordia : Kyrie eleison
I Giudei li riconoscevano come quelli che erano stati
con Gesù: a noi, discepoli
irriconoscibili, perché non portiamo traccia di te, dona misericordia: Kyrie
eleison
Venne Gesù a porte chiuse: sulle nostre paure, sopra le nostre fragilità e le
lentezze, fai scendere sul cuore misericordia e libertà, Kyrie eleison
Omelia
I discepoli erano chiusi in casa per
paura dei Giudei. La paura è la
paralisi della vita. Ciò che fa ripartire la vita sono invece gli incontri.
Gesù lo sa bene, e viene.
I suoi sono scappati tutti,
l’hanno abbandonato: che cosa di meno affidabile di quel gruppetto allo sbando?
E tuttavia Gesù viene.
È una comunità dove non si
può stare bene, porte e finestre sbarrate, dove manca l’aria e si respira
dolore. Una comunità chiusa, ripiegata su se stessa, che non si apre, che si
sta ammalando. E tuttavia Gesù viene.
E
non al di sopra, non a distanza, ma viene
e sta in mezzo a loro. Non
nell’io, non nel tu soltanto, lo Spirito abita nel cuore delle relazioni, è il
collante delle vite.
Viene e sta in mezzo. Lui, il Maestro dei maestri, ci insegna a gestire
l’imperfezione della vita. Il suo metodo non consiste nel riproporre l’ideale
perfetto, nel sottolineare la nostra lontananza dal sogno di uomo che Dio ha,
ma nell’avviare processi:
a chi sente i morsi della
paura, Gesù porta in dono la pace;
a chi non crede, offre
un’altra occasione: guarda tocca metti il
dito;
a chi non ha accolto il vento
dello Spirito, lui spalanca orizzonti.
È
il suo metodo umanissimo, che conforta la vita, che è iniziare percorsi, indicare
il primo passo, perché un primo passo è possibile sempre, per tutti, in
qualsiasi situazione siamo caduti. Un primo passo che indichi una vita che
riparte, una direzione e la certezza di un approdo. L’etica biblica non ci
chiede una vita immacolata, ma una vita incamminata.
Soffiò e disse loro: ricevete lo Spirito
Santo. Su quel pugno di creature,
chiuse e impaurite, scende il vento delle origini, il vento che soffiava sugli
abissi, che scuote le porte chiuse del cenacolo: ecco io vi mando!
E li manda così come sono, poca cosa davvero, ma ora in
più c’è il suo Spirito, il segreto di Gesù, il suo respiro, ciò che lo fa
vivere: vivrete di ciò di cui vivo io;
per questo anche voi farete cose da Dio.
E la prima delle cose da Dio
è il perdono, la misericordia. Quelli a
cui perdonerete…. E non è compito dei preti, ma di tutti i discepoli,
laici e laiche; perdonare è il lavoro santo che de-crea che de-struttura
il male in noi e attorno a noi. Perdonare è liberarci dal male, la settima opera
che chiediamo a Dio nel Padre Nostro.
Il
gruppo degli apostoli aveva tentato di coinvolgere Tommaso: abbiamo visto il Signore. Ma
lui, che era il più libero di tutti, lui che aveva il coraggio di entrare e
uscire da quella casa, non ci sta: io non mi accontento di parole. Se lui è
vivo, come fate ad essere ancora qui rinchiusi, invece di uscire nel sole del
mondo? la fede deve cambiare la vita!
Tommaso
ci mostra che non si crede per sentito dire.
P.
Vannucci ci esortava: non pensate
pensieri già pensati da altri.
Se devo soltanto ripetere ciò
che altri hanno già detto, la mia fede, la mia testa, il mio cuore sono
inutili, io stesso sono uno spreco. Che bello se anche nella Chiesa fossimo
educati all’approfondimento della fede, alla libertà di ricerca, come Tommaso,
più che non all’obbedienza alle disposizioni. Ricerca, perché Dio supera le
nostre parole, non è ciò che diciamo di lui. È oltre, e ci libera, ci innalza,
ci allarga, ci illumina.
Povero,
caro san Tommaso, diventato perfino proverbiale per la sua incredulità. San
Gregorio Magno però dice che “a noi giovò
più l’incredulità di Tommaso che non la fede degli apostoli”.
Infatti:
Otto giorni dopo: intanto mi conforta
pensare che, se anche trova chiuso, Gesù non se ne va’. Otto giorni dopo è ancora lì: l’abbandonato ritorna da quelli che
sanno solo abbandonare.
Gesù entra, sta in
mezzo, e dice: Pace a voi. Non un augurio, non una promessa, è
molto di più, una affermazione: la pace è con voi, è qui, è iniziata; non è
merito, è dono.
Poi
si rivolge a Tommaso: Metti qui il tuo
dito. Gesù aveva educato Tommaso alla
libertà interiore, a dissentire, l’aveva fatto rigoroso e coraggioso, grande in
umanità.
Per
farlo ancora più grande, gli fa un piccolo rimprovero, ma dolcemente, come si
fa con gli amici: non essere incredulo…
Invece
di imporsi, si propone, si espone alle mani di Tommaso: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila
nel mio fianco. Gesù rispetta la sua fatica e i suoi dubbi; rispetta i
tempi di ciascuno e la complessità del vivere. Lui non si scandalizza, si
ripropone, anzi si espone con le sue ferite aperte. La risurrezione non ha
richiuso i fori dei chiodi, non ha rimarginato le labbra delle ferite.
Perché
la morte di croce non è un semplice incidente da superare, da annullare,
è
invece qualcosa che deve restare per l’eternità, gloria e vanto di Cristo, il
punto più alto dell’amore, la più grande bellezza della storia.
Nel
cuore del cielo sta, per sempre, un Risorto piagato, carne d’uomo ferita.
Nostro alfabeto d’amore, il solo che ci fa credere.
Su
quel corpo l’amore ha scritto il suo racconto con l’alfabeto delle ferite, le
uniche che non ingannano. Indelebili ormai come l’amore stesso.
Perché mi hai veduto, tu hai creduto;
beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! Ecco una beatitudine che sento finalmente mia, le
altre le ho sempre sentite troppo difficili, cose per pochi coraggiosi.
Questa
è invece una beatitudine per noi, per chi fa fatica, per chi cerca a tentoni,
per chi non vede, per chi ricomincia.
Beati voi che credete… Voglio dire grazie a tutti quelli che credono senza
necessità di segni, e la loro fede rafforza la mia;
grazie
a tutti quelli che si sono messi in piedi per una vita verticale anche
se è notte. Anche se hanno mille dubbi, come Tommaso;
grazie
a tutti quelli che non si accontentano del sentito dire, ma vogliono una fede
che si incida nel cuore e nelle mani di ogni giorno!
Beati! C’è una beatitudine
nel credere, una promessa di gioia nella fede: che non significa una vita più
facile ma più piena e appassionata, ferita e luminosa, piagata e guaritrice.
Credere fa bene, credetemi
(credete a Tommaso, a Giovanni, a Maddalena, a quanti l’hanno incontrato). Credete
all’ultima riga del vangelo: tutto questo
è stato scritto, perché crediate e, credendo, abbiate in voi la vita (Gv 20,31).
Credere ti fa bene, ti fa più vivo e più felice. Credere è il
rischio di essere felici, di avere in noi la vita.
Alla Comunione
Quando sulla mia vita scende
la sera,
torna, o Signore, a farti
vicino
ad augurare pace.
Vieni, Signore dalle mani e
dal cuore feriti.
Ti dico le parole di Tommaso:
Mio Signore e mio Dio.
Mio come lo è il cuore,
e senza non sarei,
mio come lo è il respiro,
e senza non vivrei.
La tua vita entra in me,
con il tuo Spirito,
tu sei energia che sale, dice
e ridice e non tace mai.
Si dilata dentro, mette gemme
di luce,
mi offre due mani piagate
dove poter riposare e
riprendere fiato e coraggio.
Signore mio e Dio mio,
io appartengo a te
nella vita e nella morte,
nato oggi dalla tua
misericordia
Questa fede mi fa dolce e
forte compagnia:
io appartengo a un Dio vivo.
Io sono per lui,
perché lui è per me
grembo di madre e di
misericordia.
Amen.
p.Ermes Ronchi