EPIFANIA DEL SIGNORE 2014

Mt 2, 1-12

Epifania: festa dei lontani,
festa dei cercatori di Dio. A Natale è Dio che cerca l’uomo, all’Epifania è
l’uomo che cerca Dio. Domandiamo il dono di essere anche noi cercatori, di saper
alzare gli occhi, come raccomanda Isaia, e la forza per rimetterci in cammino
ogni volta, come i Magi.

Signore Gesù, stella delle
nostre notti, per tutta la notte che perdura nei pensieri, nel cuore, nella storia,
Kyrie
eleison

Signore Gesù, stella del
mattino,
che sorgi nel cuore di chi ti cerca senza arrendersi, Kyrie eleison

Signore Gesù, sole che vieni
a illuminare chi giace nella notte, per quando non sappiamo rialzarci e rimetterci in
cammino, Kyrie eleison

Magi voi siete i santi più
nostri, gente dal cuore più grande, mai sazio, che non si arrende alla stella
scomparsa; che fissa gli abissi del cielo fino a bruciarsi gli occhi del cuore (Turoldo), inventori di
strade e non esecutori di vecchie melodie.

Epifania
è festa di speranza: c’è un Dio dei cammini, dei
cieli aperti, delle dune infinite, dell’immensità, un Dio che ti consegna spazi
aperti e ti fa respirare. Che sta in una casa e non nel tempio. In Betlemme la
piccola, non in Gerusalemme la grande.

Speranza per tutti: l’annuncio arriva non solo ai pastori e ai poveri, ma anche
agli intellettuali, ai sapienti, ai colti, se appena hanno occhi e cuore.

Speranza nel futuro: Erode può opporsi all’amore, può rallentarne la
diffusione, ma mai bloccarla, esso vincerà, anche se è debole come un bambino.

Un
giorno di speranza e di contrapposizioni:

un
bambino inerme e un re che lo vuole uccidere;

una
carovana piena di domande e funzionari del sacro che hanno risposte a tutto;
una casa qualsiasi e la reggia della nazione;

i
Magi, ben vivi perché cercano e camminano, gli scribi spenti e immobili, perché
credono di sapere. Perché, come le istituzioni e gli apparati religiosi,
sentenziano dall’alto e consultano documenti e non sanno leggere la vita.
Vediamo narrato qui il dramma tragico, anche nostro, di un Dio della religione,
della istituzione, che si oppone al Dio della vita.

Una
storia drammatica, di ieri e di oggi, che si conclude con la fuga dei magi
verso Oriente, la fuga di una famigliola verso l’Egitto, la strage. Una vicenda
in cui si riflette il dramma di milioni e milioni di profughi terrorizzati, in
cerca di una terra d’asilo.

Seguiamo la parabola dei magi come una cronaca dell’anima.

Il
primo passo lo indica Isaia: “Alza il capo e guarda”. Due verbi
bellissimi: alzare il capo, guardare in alto, e non solo in basso, non solo fissare
il proprio piatto di lenticchie, ma cercare un pertugio di cielo e poi da lassù
guardarsi, interpretare la vita a partire dall’alto, inseguire un sogno. Aprire
le finestre di casa ai grandi venti del mondo. E alle stelle.

Il secondo passo è camminare.
Vediamo i Magi sempre in viaggio, sempre di spalle, arrivare e ripartire da
paesi e città, naufraghi nell’infinito. Ci dicono di non smettere mai: trovare
Cristo vuol dire non smettere mai di cercarlo, perché ormai ti ha preso il
cuore, e di lui non sai che un frammento. Cercarlo viaggiando non tanto di
libro in libro, ma di persona in persona: siamo noi, chi ci aspetta a casa, la
più bella epifania di Dio. Che in ognuno ha lasciato cadere un frammento di
cometa, un brillio d’infinito. E continuare a interrogare, ma non come scribi, come
bambini. Con uno sguardo semplice e affettuoso.

Il terzo passo è cercare
insieme. La tradizione parla di tre Magi, ma il vangelo dice ‘alcuni’: sono una
piccola comunità, un piccolo gruppo dove la fede di ciascuno sostiene quella
degli altri: camminano insieme,
attenti alle stelle e attenti l’uno
all’altro. Sanno fissare il cielo e gli occhi delle persone.

Il quarto passo è non
temere gli errori. Il cammino dei magi è pieno di sbagli: vanno a Gerusalemme
anziché a Betlemme, parlano del bambino con l’uccisore di bambini; perdono la
stella, cercano un re e trovano un bimbo in braccio a sua madre. Il nostro
dramma, non è sbagliare, è arrenderci ai nostri sbagli. Possiamo cadere 7
volte, ma dobbiamo rialzarci 8 volte.

Infine, quinto momento, adorare e donare. Il dono
più prezioso che i Magi portano è il loro stesso viaggio. Il dono impagabile è
il loro desiderio più forte di deserti e ostilità.

Dio
desidera che abbiamo desiderio di Lui. Dio ha sete della nostra sete. Il regalo più grande che possiamo fare
a Dio è la nostra sete di Lui.

P.
Turoldo canta: Magi, voi siete i santi
più nostri! Nostri perché all’inizio sono lontani dal Signore, come lo
siamo noi; perché mostrano che si può arrivare a Lui per mille strade, non ce n’è
una sola; ognuno ha la sua strada, anche chi non legge la Bibbia, come loro.

Sono i santi più nostri per
quel misterioso strabismo: camminano con i piedi per terra e gli occhi nel
cielo, mostrando che si avanza davvero solo quando si decide di non seguire le
paure, ma il cuore; di non calcolare le difficoltà, ma di custodire la sete.

Entrati nella casa videro il Bambino e sua Madre e lo adorarono. Nostri i Magi perché entrano in una
casa, una delle nostre case e ci mostrano che la stella di luce si posa sulla
nostra vita semplice, sul nostro quotidiano, come un instancabile ardere di
orizzonti, di cielo, di speranza. Una stella si è fermata su ognuna delle
nostre case.

E adorano un bambino. C’è qui una lezione
misteriosa: non adorano un Crocifisso, non il Risorto, non un saggio dalle
parole di luce, non un giovane nel pieno del suo vigore, semplicemente un
bambino in braccio a sua madre. La cosa più vicina a Dio: non solo Dio è come noi, non solo è il Dio-con-noi, ma è un Dio piccolo fra noi. Che non può fare paura, che fa leva solo
sulla tua bontà.

Infine
vorrei redimere le parole di Erode quando dice: Informatevi con cura del Bambino e quando lo avrete trovato fatemelo
sapere perché venga anch’io ad adorarlo! A ucciderlo! Erode è l’uccisore di
sogni ancora in fasce. Erode è dentro di noi, è quel cinismo, quel disprezzo,
quelle paure che in noi distruggono i sogni del cuore.

Vorrei riscattare queste parole dalla loro
profezia di morte e ripeterle all’amico, al teologo, all’artista, al poeta,
allo scienziato, all’uomo della strada, a ciascuno di voi: hai trovato il
Bambino?

Ti
prego, cerca ancora, accuratamente, nei libri, nell’arte, nella storia, nel
cuore delle cose, cerca nel Vangelo, nella stella e nella parola, cerca nelle
persone e in fondo alla speranza, cerca ancora con cura, fissando gli abissi
del cielo e gli abissi del cuore, e poi fammelo sapere perché venga anch’io ad
adorarlo.

E
voi fratelli, dovreste dire e ripetere a noi preti: informatevi sempre più
accuratamente, cercate di conoscere sempre meglio quel Bambino, fatecelo
sentire vivo e vero questo Dio piccolo fra noi, fatecelo sentire vicino, così
che anche noi lo possiamo sentire e vedere.

Aiutateci
a trovarlo e verremo, con i nostri piccoli doni,

verremo
con tutta la fierezza dell’amore,

con
i nostri sogni salvati da tutti Erodi della storia e del cuore.

Preghiera alla Comunione

Perdettero
la Stella un giorno.

Come si fa a perdere la Stella?

Per averla troppo a lungo fissata…

I due Re bianchi, ch’erano due sapienti di Caldea,

tracciarono al suolo dei cerchi, col bastone.

Si misero a calcolare, si grattarono il mento…

Ma la Stella era svanita come svanisce un’idea.

E quegli uomini, la cui anima aveva sete di essere guidata,

piansero innalzando le tende di cotone.

Ma il piccolo Re nero, non considerato dagli altri,

si disse: Pensiamo alla sete che non è la nostra.

Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali.

E mentre reggeva il suo secchio per l’ansa,

nello spicchio di cielo in cui bevevano i cammelli

egli vide la Stella d’oro che danzava in silenzio

(Guy de Maupassant)

Nel dono, nel servizio troviamo la stella che ci guida a Dio.

p.Ermes Ronchi