(su p.Davide Maria Turoldo…)
La dimensione religiosa genuinamente popolare trova
consistenza e motivazioni fondanti nel contatto con la Scrittura. Essa,
interpellata e pregata, offre spazi all’intelligenza che pretende luce, dà
cornici di senso allo svolgersi della storia, stigmatizza il fascino della
corruzione, apre pertugi di irrinunciabile interiorità come via risolutiva di
identità, accredita esperienze di trascendimento, personalizza la comunione con
un Assoluto che si rivela in un rapporto di comunione e d’amore in una
“presenza” tanto più vera quanto più irriducibile alla logica del frammento del
tempo e della storia.
Gli eventi vengono “letti” con l’ottica della
profezia biblica, vagliati nella loro genesi più profonda, misurati nella loro
conseguenze sui rapporti che l’uomo ha con se stesso, con Dio, con i suoi
simili. Si tratta di un “disegno” che si contestualizza nella libertà di scelte
etiche che costituiscono l’effettiva dignità dell’uomo nel suo essere
originario e del suo cammino verso una definitività, un compimento conquista
sì, ma più propriamente dono.
C’è una storia personale e collettiva che diventa
canto: è il libro biblico dei Salmi.
Essi sono entrati nella mente e nel cuore come
irrinunciabile misura di un quotidiano dove il “personale” vive il respiro di
un’universalità che lenisce ed accomuna, dove si respira una Presenza
che accompagna come definitivo approdo d’ogni limite e d’ogni corruzione, dove
si fonda in unità il fremito della creazione, il travaglio della storia,
l’anelito di una pienezza.
Se c’è un’attualità che conta, riproponibile come
lettura ed ermeneutica del presente, va ricondotta alla misura biblica come
prima ed esaustiva ragione di senso.
[1]
Dire di più
O Innominabile,
pur dopo
le furiose e dolci e ostinate
fatiche dei poeti
a inseguire
ora il frinire
d’un’ala
invisibile, ora
gli scrosci d’uragano
del salmo
finiti pur essi
nell’infinito silenzio:
appena, alla fine, il Tu
inevitabile, – ho scritto!
Dire di più
èegrave; colpa.
[2]
Necessità ti lacera
Desolazione vince il pudore
di tacere: illuso
di non starnazzare più
a un metro appena
dalla palude.
Necessità ti lacera dentro
spada affilatissima.
Ti esalta dapprima la lucida
visione, accecandoti
nel candore dei segni e la bellezza
del suono: versi che neppure
in sogno ti parvero mai
così reali
Poi nulla! Tenebra
e smarrimento!
E piena incoscienza
d’esistere.
Sono queste da tempo
le mie estasi,
rapimenti finiti nel Nulla!
Ma sarà così per sempre?
[3]
Nulla è da capire
E anche destino era
che si dovesse perdere
la ragione, e perfino
il pudore!
Allora Egli
iniziava il gioco:
a finte e piccole mosse
dapprima, fino
a che non ti vedesse
disperare e piangere, fino
a lacerarti i sensi e fare
un falò del tuo decoro:
allora
l’intimidita anima
entrava finalmente
nella spirale
e tu,
fare silenzio, tacere!
E celare agli occhi di tutti
i deliranti rapporti.
E non cercare,
poiché nulla è da capire:
è solo Amore,
e non ragiona!
[4]
Il mio fiume
Fiume del mio Friuli, povero
fiume, vasto, di ghiaia
ove appena qualche incavo di acque
accoglieva, nell’estate, i nostri
bianchi corpi di fanciulli
simile a un selvaggio battistero!
Ma più amato ancora è l’altro
fiume che dentro mi attraversa,
fiume di sicure acque lustrali,
dalle cui rive attendo, o Padre,
che la tua voce mi chiami
e dica: «O figlio!».
È questo il mio Giordano
fiume del mio esilio
e della mia sete più vera:
fiume percorso da segrete
acque, come il fiume
della mia infanzia.
E se da un fiume d’infiniti
desideri e pianti del cuore,
una vita può sentirsi fiorire,
allora anche di me si canti
«come d’un albero alto
piantato sul fiume».
Brani
da
David M. Turoldo. Una voce
del Friuli.
Ideazione, riflessioni e scelta dei testi a cura di Nicolino Borgo, Basaldella
2006 [pubblicazione per il centenario della banca di credito cooperativo del
Friuli centrale, 1906-2006]