DEDICAZIONE DEL DUOMO DI
MILANO – Anno B 2012

Is 26,1-2.4 7-8; 54, 12-14; 1Cor 3,9-17; Gv 10,22-30

 

La terza domenica
di ottobre la liturgia ambrosiana celebra la Dedicazione della Chiesa
Cattedrale di Milano, che è fierezza, storia, bellezza della nostra città. Ma è
soprattutto radice e centro della comunità dei fedeli, che dà forma al mistero
e all’anima. Noi, ai quali è chiesto di essere edificio e campo di Dio,
rinnoviamo, ora, il nostro impegno a diventare casa di Dio e casa dei poveri,
chiedendo perdono per ieri e coraggio per domani.

Dice il Profeta: Ecco la città forte! Aprite le porte. Per noi che,
all’opposto, ci sentiamo forti quando chiudiamo le porte, ci sentiamo sicuri
quando escludiamo,
Kyrie eleison

Dice l’Apostolo: Voi siete
edificio, campo, tempio di Dio.
Per quando non
sappiamo dare una architettura alla nostra esistenza, progetti alti alla nostra
vita,
Kyrie
eleison

Dice il Signore Gesù:
Nessuno può strapparvi dalla mia mano!
Per la nostra
mancanza di fiducia, per le volte in cui ci siamo sentiti abbandonati, caduti
lontano dalla sua mano,
Kyrie eleison

 

OMELIA

 Festa
della dedicazione del Duomo. Perché dare tanta importanza a un tempio di
pietra, quando Gesù stesso gliene accordava così poca?

Perché
il Duomo è una parabola, non di parole, ma di pietre.

Duomo
vuol dire in origine domus, cioè casa. E la casa è tale solo perché accoglie
delle vite in sé, è il simbolo dell’accoglienza.

La
misura dell’accoglienza cristiana è l’accoglienza di Cristo. E qual è la misura
dell’accoglienza di Cristo? E’ accoglienza senza misura.

Ecco
perché la Chiesa non può essere altro che spazio di accoglienza e mai di
esclusione. O è accogliente o non è, non è chiesa.

Non
possiamo dimenticare che quando Gesù ha celebrato la prima Eucaristia l’ha
celebrata in una casa, con Giuda. Gli ha lavato i piedi, gli ha dato il pane,
si è messo nelle mani del traditore, e della non fedeltà.

Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo
ha accolto noi”. E nessuno di noi, che è un accolto, può dire all’altro: tu
non sei accolto.

Se
io lo dicessi, sono io che mi metto fuori dalla comunione di Cristo. Se escludo
l’altro in realtà, nella profondità delle cose, io sto escludendo me stesso.
Sono io che esco fuori dalla comunione dalla quale voglio mettere fuori
qualcuno, io esco dalla casa di Dio quando non accolgo qualcuno.

Questa
è la profondità delle cose di Dio.

Siamo capaci di ascoltare il
racconto del Duomo, la parabola delle pietre?

Noi tutti siamo una pietra
dell’immensa Cattedrale che Dio va costruendo nel mondo. E non importa dove tu
sia collocato, se sulla facciata, alla vista di tutti, sulla guglia più alta o
nelle fondamenta. Non importa se sei collocato ai piedi dell’altare o sul
pavimento dell’ingresso. Milioni di pietre costituiscono la Cattedrale ma
ciascuna deve stare al suo posto, pensata dall’architetto per quel posto
preciso, con quella forma esatta, per riprodurre nell’armonia delle linee un
progetto sapiente e complesso. E al posto di una pietra non ce ne può stare
un’altra e se manca una pietra si crea una disarmonia dell’insieme, una
fragilità, un vuoto.

Ho visto la ricostruzione per
anastilosi del duomo di Venzone, distrutto dal terremoto del 76, decine di
migliaia di pietre distese sul prato, tutte ripulite con cura, tutte con il
loro numero, tutte con il loro posto già assegnato. Mi immaginavo come una di
quelle pietre, e pensavo che nella grande Cattedrale del mondo che Dio va
costruendo e ricostruendo pazientemente con le nostre persone, ognuno di noi è
una pietra insostituibile e viva. E se io manco la mia vita, se io fallisco la
mia missione e il mio lavoro, qualsiasi esso sia, si produce una disarmonia
universale, una fragilità nella mia famiglia, una vuoto nella città.

Ogni volta che passo a
fianco del duomo, mi incanto davanti alla diversità di ogni singolo blocco di
marmo, con le sue venature di rosa, di verde, di grigio, di avorio, di ocra.
Ognuno è una piccola tavolozza di un pittore chiarista, e non trovi due pietre
uguali.

Provengono dalla stessa cava,
sullo stesso monte, eppure sono uniche.

La loro parabola mi dice che è con la tonalità unica del mio
colore, con le vibrazioni particolari del mio essere, con le sfumature
irripetibili dei miei sentimenti, solo essendo me stesso posso servire al
Signore.

Ognuno è un proprio
momento di Dio, ognuno è una parola unica che Dio ha pronunciato chiamandoci
all’esistenza e che non ripeterà mai più. Se io non sono me stesso, libero da
due cose, da maschere e da paure, mancherà qualcosa all’armonia del Regno,
mancherà qualcosa alla musica della vita.

Un terzo
messaggio
Entrando nel Duomo, io cerco sempre una linea
particolare sul pavimento. Quando a una precisa ora della giornata un filamento
di luce sottile e penetrante come la speranza, un raggio caldo di sole scende
dal foro aperto sul soffitto e va a posarsi sul pavimento, sulla
meridiana
solare
, simbolo delicato di speranza, di apertura, di
benedizione!

Sei tu quella pietra calpestata, a terra. Sono io, forse atterrato da drammi, forse buttato a terra
dai miei errori o dalla stanchezza. Eppure come una benedizione da
Cristo
sole, da Cristo luce
, un raggio attraversa il buio, si
posa come una carezza sulla pietra e la pietra sembra muoversi, sembra
acquistare rilievo in mezzo alle altre, sembra la pietra del sepolcro al
mattino di Pasqua, percossa dalla luce, rotolata via dall’imboccatura del cuore
dove tappava il fiorire della vita.

Sono io
quella pietra,
ruvido di terra e fremente di
luce. Su di me viene un sole, viene dall’alto, viene da Dio, viene a fare
giustizia di ogni umiliazione, viene ogni giorno se solo lo accolgo.

Nel Vangelo, Gesù contrappone il tempio e il Pastore. Se
guardiamo bene, al centro di questa metafora non è posto l’ovile e neppure le
pecore,
il centro è la mano del Pastore. Mano forte da
cui nessuno ci strapperà mai.

Un
tempio, un Pastore, una mano, e nella mano di Dio noi!
Poi la liturgia eucaristica ci porterà tutti a un
capovolgimento di prospettive:
Dio messo nella mia mano. Quando ci metteremo in cammino verso il pane, quel cammino
breve e infinito che ci porta ai piedi dell’Altare, allora
la mia
mano sarà per un attimo trono di Dio
, suo
ostensorio. E io suo tempio.

Lui nella mia mano, io nella sua mano.

Nell’umiltà del Pane lieve come un soffio, un soffio di luce
come il raggio della meridiana del Duomo, ma qui c’è il grande Sole che si posa
e mi abita per un istante almeno. È questo il Duomo più vero ‘
Io in Lui
e Lui in me’
.

Nessuno mai vi rapirà
dalla mia mano”
ma non basta, Gesù raddoppia l’affermazione:non andrete mai perduti, e poi non gli basta ancora
e la triplica: “
Nessuno può rapirvi dalla mano del Padre mio!”.

 Nulla mai, né vita né morte, né angeli né demoni, né
altezza né profondità,
nulla mai ci
separerà dalla mano di Dio! “Nulla mai”
due parole
totali, assolute, perfette. Nessuno mai ci separerà dall’amore di Dio.

Ecco: dalle
pietre della Cattedrale al pastore, dal pastore alla mano, dalla mano a Dio
la liturgia ci convoca a queste aperture, a questo slanci.
Del Duomo che oggi celebriamo forse non resterà pietra su pietra. Ma certamente
la mano del Pastore ci farà attraversare tutte le rovine della storia e del
cuore. E sarà Lui che varcherà l’abisso.Perché l’uomo è per Dio una passione in
grado di attraversare tutta l’eternità.

 

 

Preghiera
alla Comunione

 

Signore, nella tua Cattedrale io
sono solo una pietra dimenticata,

un rettangolo d’ombra del
pavimento,

ma voglio servire per una nuova
architettura

del mondo e dei rapporti umani,
esserti utile.

Donami oggi un raggio di sole che
si posi su di me,

un filo di luce  che risvegli in me nostalgia di cielo.

Donami in questo  piccolo pane, leggero come un’ala,

La tua presenza, seme di cose
grandi.

Donami di essere pietra della tua
casa,

nota della tua musica,

 profonda come il cuore, immensa come il cosmo.

Libera la mia vita da ogni maschera
e da ogni paura

Perché io possa far risuonare
quella parola unica

Che tu hai pronunciato chiamandomi
all’esistenza

E che non ripeterai più.

 

 Ti sento, Signore: Dovunque io vada, Tu.

Dovunque io sosti, Tu;

Solo Tu, ancora Tu, sempre Tu.

 Cielo Tu, terra Tu.

Dovunque io mi giro,

dove guardo e contemplo Tu,

 solo Tu, sempre Tu. E io Tuo Tempio.