– La Prima Guerra Mondiale
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– All’aprirsi del secolo XX, l’amministrazione statale seppe saggiamente superare certe avventure politiche e demagogiche e lo spettro della guerra sociale si dissolse. Anche il Friuli, come le altre regioni d’Italia, si avviò, sia pur lentamente, verso un maggiore benessere con uno spirito di più diffusa fiducia.
– Per sopperire alle necessità urgenti delle famiglie bisognose a Sanguarzo si istituirono un’opera assistenziale, chiamata “Pane di S. Antonio”, e la “Cassa Operaia”. Il gruppo “Giovanile”, che si era costituito nell’agosto del 1909 per servizi religiosi e caritativi, non mancò di prestare la propria attività a sostegno delle due opere caritative.
– La delicata opera di bene, intrapresa nell’ambito della frazione, fu turbata da certe richieste militari. Per ordine del comando superiore si richiedeva di occupare zone del paese per installare casematte e prefabbricati ad uso militare. Erano i prodromi di un conflitto bellico. Sanguarzo assumeva l’aspetto di un grande fortilizio e di una grande fabbrica militare: infermeria, lavanderia, panificio, deposito armi … in via San Floriano; officine, falegnameria, deposito carri, stalle, … in via Valli del Natisone, zona campo sportivo. L’assistenza spirituale alla popolazione di Sanguarzo e ai soldati era affidata al cappellano, sac. Giuseppe Fedeli, che, però, con decreto dell’Arcivescovo, mons. Anastasio Rossi, in data 1 giugno 1916, venne inviato a coprire alcune sedi parrocchiali in Carnia. Così Sanguarzo rimaneva senza un sacerdote fisso. Nelle domeniche e nelle altre festività l’assistenza religiosa era svolta dal Vicario dei Santi Pietro e Biagio, o dal Decano, mons. Valentino Liva o dal sac. Giovanni Suddici o anche da qualche cappellano militare.
– Il 26 ottobre 1917 avvenne la ritirata dell’esercito italiano. Per caso il sac. Giuseppe Fedeli si trovava a Sanguarzo, come si può notare dal libro storico della parrocchia, e poté assistere alla fuga completa dei paesani. Il rombo del cannone, gli incendi dei circostanti depositi militari e, più ancora, l’incendio di ben ventiquattro forni militari stanziati nei campi presso la villa Paciani accrebbero lo spavento, gettando lo scompiglio tra gli abitanti in fuga. Don Giuseppe Fedeli partì per ritornare in Carnia, verso Socchieve. Giunto a Udine, la forza pubblica gli proibì di scendere dal treno e, contro sua volontà, dovette ripartire per destinazione ignota. Giunse a Milano e fu destinato al Niguarda, come cooperatore, e vi rimase fino al 15 giugno 1919.
– A questo punto è opportuno trascrivere quanto mons. Valentino Liva ricorda nel libro “La vita di un popolo durante l’occupazione straniera”.
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– – La vigilia dell’invasione: … Da Vallo Lucania passai a Napoli … poi per Roma … lessi su un giornale l’ultimo bollettino di guerra, in cui si annunciava il passaggio del nemico dalla sinistra su la destra dell’Isonzo … quella notizia mi atterrì … Alle ore 13 del 26 ottobre scesi alla stazione di Udine, dove, strabiliando, trovai le banchine affollate di cividalesi: il più vicino a me, il carissimo amico Bepi Comugnero, si precipita addosso angosciato, e mi grida che da Cividale fuggivano tutti e la città sarebbe stata completamente abbandonata. Con l’anima piena di dolore mortale … fuori porta Pracchiuso riesco a montare sopra un autocarro … arrivo a Cividale alle ore 16. Entro in Duomo e vi trovo i confratelli Canonici in estrema ansietà. Ci salutiamo con poche parole, e conveniamo di restare, finché la città non sia abbandonata da tutti. … La notte del 26 fu una notte di orrore: bombardamento incessante ed incendi paurosi intorno alla città, che rimase come serrata in un lugubre cerchio di fiamme. Dicevo fra me angosciato: Che penseranno di noi i fratelli cividalesi partiti, quando si volgeranno a rimirare Cividale? Che sarà dei nostri ammalati e di tutti noi? … Ma che cosa mai veniva preparandosi durante quelle ore tenebrose per gli ammalati e per tutti noi?…
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– – Il giorno dell’invasione – 27 ottobre 1917 –
– Alle ore 8 del 27 fermai un capitano, che passava a cavallo, per il ponte del Natisone e gli consegnai quest’altra preghiera: “Ai Comandi militari: Urge trasportare i ricoverati del nostro Ospedale civile e di due Ospedali militari rimasti senza provviste, privi di assistenza, in imminente pericolo; vi prego e scongiuro, che si mandino i mezzi necessari per il salvataggio”.
– Ma gli avvenimenti, precipitando, resero vani i nostri appelli; e noi restammo con oltre cinquecento ammalati, giacenti nell’Ospedale civile, nell’Ospedale del Seminario ed in quello del Convitto Nazionale, senza altre speranze: perché il 27 ottobre 1917 alle ore 15.40 era già apparsa in piazza del Duomo la prima pattuglia di germanici, … alle ore 15.45, in via Umberto I i nostri soldati del Genio aprono il fuoco contro i tedeschi e fanno saltare il ponte sul Natisone, mentre il combattimento durava ancora pochi minuti. … Così la città restò interamente esposta al saccheggio, al terrore e alla rovina; e purtroppo il nemico, in quei primi momenti, trattò ogni cosa nostra come preda e bottino di guerra. La notte del 27 ottobre fu la prima notte della devastazione compiuta dalle truppe, che invadevano strade e vicoli, sfondavano porte e finestre, fracassavano utensili, mobili e ogni cosa con un tale cozzo di colpi, che pareva un nuovo terribile bombardamento.
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– In data 29 ottobre 1917, con decreto dell’Arcivescovo, mons. Anastasio Rossi, il Decano del Capitolo di Cividale, mons. Valentino Liva, veniva nominato Provicario generale per tutto il territorio cividalese, per la Forania di Nimis, per quella di San Pietro di Rosazzo e più tardi, a seguito della morte del santo sacerdote mons. Guion, anche per quella di S. Piero al Natisone.
– Trascorsero dei giorni assai difficili per costituire un Comitato capace di affrontare tutte le “situazioni, che ci paravano innanzi per il futuro”. Lo sforzo fu coronato, sì da costituire un Comitato, i cui nomi sono:
– * Can. Liva Valentino, Sindaco provvisorio.
– * Sandrini Felice, Primo assessore.
– * Mistruzzi sac. prof. Luigi, Assessore.
– * Zuliani sac. Vittorio, Assessore.
– * Sequalini sac. prof. Antonio, Contabile e cassiere.
– * Beltrame Umberto, Consigliere.
– * Tomasettig Giuseppe, Consigliere.
– * Versegnassi Attilio, Vicesegretario.
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– Nelle frazioni:
– * Bonanni sac. Fausto, da Gagliano, Consigliere.
– * Pascolini Giuseppe, Capo della frazione di Gagliano.
– * Bonessi Carlo, Capo della frazione di Spessa.
– * Busolini Carlo, Capo della frazione di Purgessimo.
– * Lesa Domenico, da Purgessimo, Consigliere.
– * Lesizza Antonio, Capo della frazione di Sanguarzo.
– * Mulloni Ruggero, da Sanguarzo, Consiglire.
– * Passon Giorgio Carlo, Capo frazione di Carraria.
– * Liberale Antonio, Capo frazione di Rualis.
– * Vecchiutti Ermenegildo, da Rualis, Consigliere.
– * Zanon Giuseppe, Capo frazione di Zuccola.
– * Braidotti Giovanni, Capo frazione di Rubignacco.
– * Zuiani Francesco, Capo frazione di Gruppignano.
– * Quendolo Luigi, da Zuccola, Consigliere.
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– “Così organizzata l’amministrazione, il Decano pensò, che il Comitato sarebbe ormai capace di compiere il suo mandato da sé, anche se egli si fosse ritirato ad attendere al solo ministero spirituale.
– Perciò scrisse in proposito due lettere: una al primo Assessore e l’altra al Commissario Civile.
– Il Consiglio comunale provvisorio, persuaso che fosse ancora necessario tenersi tutti uniti anche nel lavoro amministrativo non accettò le dimissioni del Decano…”.
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– Primi giorni di prigionia:
– “Quando i rimasti ci parlavano con pena di dicerie disgustose, reali o immaginate, di cui, secondo loro, perveniva una eco lontana sino a noi, rispondevamo tranquillando tutti, osservando che il fatto nel presente sconvolgimento non doveva parere strano e assicurando, che verrebbe poi quella limpidità e calma d’animi, nella quale si sarebbe veduta intera storia in tutti i suoi aspetti.
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– Così il 20 novembre, nella sacrestia del Duomo, quando il caro mons. Luigi Costantini mi ebbe detto con la sua solita sicura severità: “Vedrà che ci criticheranno, perché siamo rimasti”, io soggiunsi: “Monsignore, no; ma sapranno come siamo qui per il più alto dovere dei sacerdoti, per le anime e per il paese”. Però confesso, che per quelle parole nel pomeriggio di quel giorno stesso chiamai il chierico Pietro Grinovero e gli dissi: “Vieni con me a Sanguarzo; mi aiuterai a raccogliere la storia dei primi momenti dell’invasione, famiglia per famiglia. Ciò credo piacerà un giorno e gioverà ai nostri”.
– Bisognava cominciare da Sanguarzo, perché è al confine del comune di Cividale sullo sbocco della valle del Natisone, d’onde il piano si allarga a ventaglio verso le vie di Faedis e di Cormons: perciò è la borgata del comune, che fu battuta dal primo urto nemico sulla destra del Natisone.
– Ci mettemmo dunque a quest’opera, che durò quattro giorni e così riempimmo un foglio anagrafico per ogni famiglia con nomi e indicazioni delle singole persone ed aggiungendo infine al posto delle osservazioni i dati storici sull’irruzione nemica. Sono scritti in stile conciso, affrettati e alle volte sconnessi, come potevano esserlo in quelle circostanze.
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– – Cicuttini Natale fu Giuseppe, sua moglie e sua madre il 26 ottobre abbandonano il paese; arrivano oltre Udine a Variano; non possono proseguire per affollamento dei fuggiaschi verso il Tagliamento. Ritornano a Sanguarzo il 2 novembre: la casa occupata da soldati; Natale e le donne stentano con pericolo a ripararsi nella stalla. Il giorno dopo il padrone fa per ritirare l’unica mucca rimasta: ma un soldato gli punta la rivoltella alla fronte, poi mena via con sé la povera bestia. Tutto l’altro bestiame ed il frumento erano scomparsi. I Cicuttini per evitare altre disgrazie dovettero abbandonare la casa.
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– – Rieppi Giovanni Battista fu Francesco fuggì da Sanguarzo, conducendo seco la figlia, il 26 ottobre alle 8: arrivati a Pasian Schiavonesco dovettero sostare. Ripresero il viaggio per il loro paese, dove giunsero il 31 ottobre, lungo la via una fiumana di truppa nemica. Prima di Udine al torrente Cormor, crollato il ponte, ressa di gente costernata, cozzo di carri, di bestiame e di mobili alla rinfusa. Trovarono la casa piena di soldati, dai quali furono respinti e costretti con minacce a fuggire: poterono entrarvi alle 2 di notte. Pochi giorni dopo un germanico punta contro il padrone di casa la rivoltella e lo obbliga a dargli le scarpe, che aveva ai piedi.
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– – Bevilacqua Giuseppe fu Giacomo, la moglie, la cognata ed i nipoti il 26 ottobre si avviano alla ventura: proseguono sino a S. Lorenzo di Codroipo: devono retrocedere, perché ingombrati i passi del Tagliamento: il giorno 1 novembre di nuovo al proprio paese. – Bevilacqua G.Battista, fratello di Giuseppe, era rimasto solo a guardar la casa: il 27 ottobre alle ore 15 vide i primi germanici, non violenti, nell’attigua abitazione dei nobili Paciani. Ma una sera un soldato lo investe minacciandolo con la baionetta.
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– – Luis Antonio di Francesco d’anni 67 fa partire il figlio, la nuora ed un nipote: egli rimane solo a difendere la casa. Vede apparire per le pendici dei colli i primi germanici verso le 13 del 27 ottobre. Passano senza far danni né offese.
– Il figlio riappare il dì dei Morti: sino allora l’abitazione era stata risparmiata. Poi verso la sera il giorno 4 irrompono gli invasori; il saccheggio ed il terrore durarono sino alle 23. Il vecchio resiste e vien percosso.
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– – Pittioni Francesco fu Giuseppe d’anni 56, resta da solo; i suoi fuggono sino a Cussignacco: alle 14, fermo al portone verso la strada di Caporetto, egli vede scendere alla spicciolata i primi germanici dalla valle del Natisone e per la via di Vernasso. Due ore passano senza offese: ma alle 16 i soldati entrano, mangiano e se ne vanno carichi di provviste. I familiari di nuovo qui da Cussignacco il 31 ottobre; per via sino a Cividale non incontrano truppe: da Cividale a Sanguarzo parecchie. Il 4 novembre alle 23 cinque austriaci entrano con baionette inastate: tentano di salire alle camere, ma trattenuti da un loro sergente, rubano al piano terra: in cantina per spillare vino sparano una fucilata sul fondo della botte senza cercar spine; per il foro del proiettile il vino sprizza, poco nelle borracce dei soldati, il resto per il pavimento.
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– – Cicuttini Natale fu Francesco e tutti i familiari suoi fuggono il 26 ottobre alle 8; sostano a Variano, dove parecchie famiglie di Sanguarzo hanno dei parenti. Non possono proseguire. Sono di ritorno al paese il giorno 1° novembre. Casa devastata: per più notti scene spaventose ad ogni ora. Una notte la moglie Luigia Petricig, nel pericolo ricaccia un soldato con la forca che teneva in camera per sua difesa. La virtù è salva.
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– – Mulloni Osualdo fu Antonio, d’anni 43, la moglie e due bambini, uno di cinque anni, l’altro di due, alle ore 8 del 26 ottobre abbandonano la casa piangendo: per la via, causa il generale trambusto, si perdono di vista: Osualdo si trova solo verso sera a Remanzacco; gli altri a Faedis. Questi rifanno soli la strada per Sanguarzo e vi giungono il 29: l’uomo poi il 31. Casa desolata. La donna tre volte minacciata con coltelli oppose sempre resistenza vittoriosa.
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– – Narduzzi Giuseppe fu G.Battista con la famiglia si ritira da Sanguarzo il 26 alle 9: vanno verso il Tagliamento: da Variano per insuperabili ostacoli di nuovo a casa loro il 1° novembre. Abitazione spogliata. La notte del 3 la truppa inonda nella corte e nella casa; qui coi familiari si erano riparate altre cinque donne e nove bambini. Le giovani Narduzzi Teresa e Palma Assunta, visto imminente il pericolo, volano sul granaio, da qui per una finestra sul tetto: fuggendo arrivano ad una finestra dalla quale saltano nella casa di Palma, non occupata dalle truppe, e si salvano.
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– – Cicuttini Giuseppe fu Domenico, d’anni 71, la nuora e cinque bambini, l’ultimo d’anni due, lasciato il paese, si avviano il 26 per Variano: qui vengono accolti da una famiglia di parenti. Dopo aver provato inutilmente di passare oltre il Tagliamento, risalgono a Sanguarzo; per la piena del Torre devono tenere la via di Faedis e rientrano in paese il dì solenne dei Santi. La sera del 2 il vecchio viene forzato a trasportare soldati verso S. Pietro col suo carro e con le sue vacche: al ponte S. Quirino sul Natisone egli abbandona bestie e carro e fuggendo rincasa. Quella notte l’abitazione fu sconvolta da soldati: la nuora perseguitata nella fuga lasciò un brandello strappatole della veste nelle mani del nemico: Dio la protesse.
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– Noi sentiamo il peso di questa testimonianza posta qui a togliere dagli animi un pregiudizio nato da informazioni non esatte, tra i nostri assenti; perciò prima di inserirla in queste pagine non solo abbiamo considerato attentamente gli ottantun fogli di famiglia, che teniamo in archivio con la storia di quei calamitosi giorni in Sanguarzo, ma ci siamo recati di nuovo sul posto a prendere la riconferma dai singoli testimoni. Così dunque crediamo di aver reso un utile servizio alla storia, la quale trasmetterà ai posteri questi esempi dati dalla nostra gente nel pericoloso e fosco tempo della occupazione. Noi per la verità ce ne commoviamo a ogni ricordo, essendo vissuti in questo teatro della guerra; ed avendo saputo i casi tristi, che prima e dopo l’occupazione, per eccezioni rare, è vero, ma lacrimevoli, avevano turbato da parte di pochissime donne la santità delle famiglie, dobbiamo riconoscere anche questa volta quanto sia stata alta e mirabile la provvidenza di Dio, la quale tanto evidentemente ordina il dolore umano a fini buoni.
– Gli invasori non trascurarono di porre la loro attenzione sulla chiesa, non solo per danni materiali, ma anche per rubare e danneggiare quanto di più prezioso potevano trovare. Le sorelle del sacrestano, Mulloni Leonina e Anna, mettendo a grave rischio e pericolo la propria vita, seppero con avvedutezza nascondere quanto era nelle loro possibilità: arredi, vasi sacri e specialmente l’archivio parrocchiale.
– I sacerdoti che prestavano il loro servizio nella comunità di Sanguarzo si sforzavano a sostenere l’animo dei rimasti persuadendoli che l’invasore non avrebbe rinnegato i diritti degli occupati, rispettandoli nella vita, nell’onore, nei beni e nelle convinzioni religiose; che il saccheggio è assolutamente vietato e che il nemico occupante non può con requisizioni spogliare il popolo di ciò che a questo è necessario per la vita1.
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– Da ciò che sin ora è stato esposto è evidente che il diritto internazionale in Sanguarzo non è stato sufficientemente rispettato. Ecco un fatto che mons. Valentino Liva ci vuole proporre.
– “Lunedì 8 luglio 1918 a Sanguarzo: Giornata di pianto, di sdegno e di terrore … Geromin Antonio, ferroviere, nostra guardia rurale, mi apparisce innanzi sfigurato: erano le 7; – Venga presto – mi dice; – questa notte hanno ucciso Antonio Snidero, nel campo di casa, con una fucilata -.
– Getto la penna sul tavolo … Andiamo su di corsa; entro nel cortile dello Snidero alle 7.30: il vecchio padre impietrito sui gradini della scala esterna: la cognata costernata su una sedia in cucina … Il cortile invaso da soldati … Ancora non potevo proferir parola; con Geromin sono già all’estremità del campo e vedo a cento metri irrigidito sul terreno il nostro fedelissimo Antonio Snidero. Mi appresso reverente e prego: il campo attorno è deserto. Fisso ancora l’amico e scopro la ferita della palla che trapassandogli il collo era uscita sotto l’orecchio sinistro. Ma il mio dolore non può sprigionarsi in pianto. La testa mi avvampa di sdegno contro gli autori di tanta sciagura e mi ritiro risoluto di scender subito dai comandanti ad accusare con fuoco a costo di morire … Ma infelici noi! Tornato presso la casa, trovo che i soldati buttando sossopra la catasta di legna in mezzo alla corte avevano scoperto dei fucili. Il capitano che comandava quella truppa mi parla in sloveno e commosso anch’egli mi fa capire che quella giornata sarebbe stata per noi molto pericolosa … fucili sequestrati e colpi, che durante la notte furono sparati prima dai nostri, secondo lui. Da accusatori diventiamo accusati! Già tutti gli uomini del paese avevano ricevuto l’ordine di presentarsi alle ore 11 in piazza … Corriamo ai ripari!…
– Io intanto vedevo chiaro tutto lo svolgimento del fatto … Per le ruberie generali delle truppe lo Snidero si offre guardia volontaria; e anche di notte vigilia armato di fucile: scoperti i ladri spara a vuoto; il nemico lo uccide fulmineamente … Alle ore 9 sono di nuovo a Cividale, ed in Duomo racconto tutto ai confratelli. Consigliato e rianimato da loro, mi reco direttamente al comando distrettuale e comincio a destreggiarmi per rimovere altre sciagure da quella atterrita popolazione. Ma trovo tutti impenetrabili: però ottengo di poter essere presente anch’io alla verificazione, che il tribunale avrebbe fatto sul posto alle ore 11; come pure alla intimata adunanza di tutti gli uomini per la stessa ora. Facevano parte della commissione giudiziaria il generale Eltz ed il giudice civile Marcolla. Purtroppo la conclusione di quelle ricerche non ci procurò alcun vantaggio…
– Alle ore 11.45 mi trovai coi nostri uomini in piazza; ma non tutti avevano in regola i loro documenti personali: allora mi metto tra i gendarmi incaricati della revisione e prendendo in mano i documenti mi ingegno più abilmente che posso di confonderli in modo da lasciar passare e far ritornare sotto i loro occhi solo quelli validi. E la revisione passò senza guai … Allora mi presento alla commissione giudiziaria a perorare la causa del popolo … Sia benedetto il Signore! Nessuno venne internato: e ciascuno salutatomi più cogli sguardi, che con le parole, rincasò1.
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– Un’attenta e ben ponderata lettura dei due volumi del Can.Mons. Valentino Liva “La vita del popolo durante l’invasione straniera – 27 ottobre 1917 – 4 novembre 1918” può illuminare e rendere comprensibile quanta sofferenza dovettero sopportare le persone durante il periodo dell’occupazione straniera. La tempra della gente, pur provata nel dolore, ha saputo attendere nel silenzio l’alba di una nuova vita.
– È opportuno dunque terminare il racconto di questo periodo di guerra con quanto mons. Valentino Liva ci ha tramandato.
– “Alle ore 12.10 rientro in città per porta S. Domenico: ed ecco presso la chiesa di S. Silvestro corrermi incontro con le braccia levate il signor Giovanni Milani, che mi grida ansando – I soldati italiani in piazza del Duomo! – Mi lancio per via Carlo Alberto e per il corso Vittorio Emanuele tra le case, che mi parevano tremanti ad ogni angolo per quel grido. Gli italiani prendevano già la via per Caporetto. Ma li raggiungo in via del Patriarcato. Mi getto tra loro e ci abbracciamo in giubilo e lacrime. Erano due ufficiali e venti soldati…
– Noto in furia su un foglio: prima pattuglia italiana arrivata a Cividale il 4 novembre alle ore 12.15 coi tenenti Casiraghi Alessandro e Rovida Alessandro e venti soldati del reggimento Savoia cavalleria, sezione mitraglieri … L’unica campana rimasta sulla torre del Duomo squilla sensa posare; l’anima nostra in quel momento avvolge nel suo supremo affetto, stretti ai liberatori, tutti i fratelli vicini e lontani.
– Alle ore 13.15 cominciano a sfilare per la città i gloriosi reggimenti italiani di cavalleria e artiglieria fra l’esaltazione e la gioia dei cittadini accorsi sulla piazza del Duomo: Gloria a Dio! Onore all’esercito vittorioso! Prosperità e grandezza alla nostra amata Patria!
– Alle ore 16 coi nostri soldati e con il nostro popolo tutti al tempio: il
– Te Deum più concorde e più fremente di fede, di amore e di vita nuova dalle nostre anime rinate nel dolore sale in questo momento trionfale verso il Cielo2.
– All’udire il suono della campana del Duomo di Cividale, gli abitanti di Sanguarzo si precipitano sulla via, salutando con entusiasmo i soldati. Il sole nel suo tramonto copre ogni cosa, per risorgere e riportare con l’aurora una nuova giornata di vita serena e piena di speranza.
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