dal Messaggero Veneto del 26/09/02

Sogni, visioni e simboli materializzati reinterpretando un materiale e accostandolo a vetro e metalli
Legno rivisitato da Roberto Milan

di LICIO DAMIANI

Il Kursaal di Jesolo ha ospitato durante l’estate un ciclo di mostre tematiche dedicate ai materiali nobili della tradizione plastica più antica. Dopo le sculture in pietra del bellunese Franco Fabiane e quelle in ferro del trevigiano Simon Benetton, il legno è stato rappresentato dall’udinese Roberto Milan.
Milan opera da anni nel restauro, di cui è specialista fra i più richiesti e apprezzati. Ha quindi compiuto una ricerca dal di dentro sulle potenzialità espressive di un materiale cardine nella storia dell’arte e dell’artigianato in Friuli.
La lavorazione del legno risale infatti alle botteghe medioevali del Patriarcato aquileiese e ha trovato il suo momento d’oro in epoca rinascimentale con i Maestri Tolmezzini, articolandosi in forme caratterizzate fortemente in senso locale. Un’arte e un artigianato che hanno espresso, anche nelle coniugazioni più alte, l’anima di un popolo.

Ma nelle sculture in proprio Milan si distacca, almeno esteriormente, da citazioni o da nostalgici richiami al passato e crea un linguaggio tutto personale attingendo con maestria e tecnica raffinata a stilemi della contemporaneità, addirittura ricorrendo a prodotti industriali, anche se il suo originale espressionismo astratto si alimenta a linfe remote. Le opere innervano nel presente ancestrali suggestioni barbariche. Sogni, visioni, simboli, angosce, certezze lievitati nel tempo comunicano messaggi attuali.

Il legno come spirito vivo della natura, come radice dell’esistere, si erge negli oggetti totemici ricavati da tronchi di tiglio e di cedro, di frassino e di quercia, variegati da impensabili sfumature cromatiche, roridi di echi di profumi di vento e di mitiche foreste, abrasi, lacerati, misteriosamente scalfiti, trapassati da chiodi rugginosi di ferro, di bronzo, d’ottone battuti a mano, da cunei d’acciaio laminato. È un’energia turbinosa e selvaggia violata, incatenata dalla violenza dell’uomo sia secondo rituali remoti, sia nei modi e con i mezzi delle tecnologie più avanzate. È la storia di uno scontro perenne e di una riconciliazione.

La poetica dell’artista declina decisamente verso l’ottimismo. L’uso di materiali resistenti alle intemperie, quali il cedro del Canadà con cui i pellerossa costruiscono i loro totem, sottolinea una volontà vincente di sfida e una sacralizzante tensione. Nelle venature, nelle anse, nei rigonfiamenti, nelle cavità segrete del legno si inseriscono pannelli ariosi di policarbonato azzurro, liquide trasparenze di gocce e sbarrette di vetro di Murano, a dire la sublimazione del dramma, la spiritualizzazione di brutali tensioni, un approdo di quiete e di virginale bellezza. Sono composizioni di visionarietà tattile estremamente preziose come dilatati monili.

Oltre agli obelischi e alle ruote che sembrano residui di primitive cerimonie iniziatiche, sono stati presentati in mostra alcuni lacerti di bassorilievi ottenuti con l’applicazione sul fondo ligneo di concrezioni in bronzo allo stato di fusione magmatica. Le fiammeggianti esplosioni materiche, ammorbidite dalla delicatezza e dalla plasticità del supporto, si aprono simili a raggiere, a rudi ostensori di energia creatrice.
Come è stato osservato, l’artista si ricollega ai principi presocratici secondo cui le quattro radici dell’universo, e quindi della conoscenza, sono la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco, elementi cui fare riferimento nell’elaborazione di questi poemi cosmici.