Tra dramma, spiritualità, umorismo, politica, docenza e creatività.
Di L.B.
L’IMPORTANZA DEL PROSSIMO
Ognuno di noi nasce da due persone (i propri genitori) e si trova per tutta la vita ad interagire con molte altre persone.
Riflettiamo sul fatto che tutte le persone in qualche modo hanno lasciato in noi un segno? Dio non ci ha posto tra tante persone a caso o inutilmente.
Egli ha disposto che ognuno di noi riceva dagli altri e dia agli altri. E’ una continua osmosi. Se riconosciamo questo, ci accorgeremo che il Regno dei Cieli è già in nuce nel nostro animo.
Dio ha grandi progetti per ogni persona. Non ha forse detto suo Figlio: “Ci sono molte mansioni e io vado a prepararvi un posto?”
A noi sembra quasi impossibile il fatto di essere così importanti ai suoi occhi, perché conosciamo alcune nostre fragilità, debolezze, miserie, tentazioni, cadute…
Lui, l’Amore, non bada a quello che siamo, ma ci contempla come sue meravigliose creature e ha già presente quello che potremo diventare con l’aiuto della sua grazia e la nostra accettazione della sua volontà.
Questo perché il suo amore è incommensurabile.
Se ci abbandoniamo in Lui, Egli ci dona il suo sguardo pieno di comprensione, fiducia e misericordia. Quando ci esorta ad amare i propri nemici, ci chiede anche di saper accettare se stessi con amore, così come siamo, con i difetti che detestiamo, con le nostre fragilità, consapevoli che siamo il suo Tempio perché abita in noi. Amare i propri nemici vuol dire anche accettare il prossimo con tutti i suoi limiti umani e spirituali e vedere negli altri il suo Tempio nel quale lo Spirito intende completare il progetto di vita particolare che ha sempre nutrito.
Nella vita terrena comune succede questo: il netturbino, il manovale, il necroforo, la casalinga ecc. hanno un ruolo importante nella dinamica sociale, come sono importanti gli artisti, gli scienzati, i maestri del sapere, i teologi, gli scrittori, i filosofi ecc. Tutti contribuiscono all’edificazione sociale.
Nel Regno dei Cieli i ruoli di ognuno sono più invisibili per chi è insensibile alle cose dello Spirito. Ma per chi accetta lo sguardo di Dio tutti assumono una straordinaria importanza, anche colui che appare momentaneamente ottuso o si comporta grossolanamente o addirittura ci è nemico.
Qui intendo segnalare alcune delle migliaia di persone (defunte o viventi) che hanno lasciato e stanno lasciando in me segni della presenza di Dio, il quale, tramite esse, mi vuol far capire che tutti collaboriamo alla costruzione del suo Regno, ognuno con delle particolari mansioni, per cui è insostituibile.
Vi si trovano delle persone con grandi doti artistiche e di profonda cultura, altre più modeste che agli occhi del mondo appaiono quasi insignificanti, ma che agli occhi di Dio sono ugualmente importanti.
Lo faccio con un sincero sentimento di riconoscenza verso il Signore che mi ha dato l’opportunità di essere amato e di amare, nella speranza che chi legge capisca il bene che ha ricevuto e che lui stesso può fare agli altri e a Dio stesso.
INTRODUZIONE
“Ricorda i giorni del tempo antico, medita gli anni lontani”… (Salmo 32)
Sono passati ormai trent’anni da quando Pier Angelo ed io ci siamo sposati. Fin dall’inizio del matrimonio mi sono impegnata a trascrivere fedelmente su un diario gli eventi principali della nostra vita in comune. Ora abbiamo deciso di far stampare un libretto che potrebbe costituire un ulteriore aiuto per mantenere più viva la nostra unione, perché sono convinta che i ricordi, se ben orientati, hanno la funzione di rinforzare la nostra identità per poter procedere con serenità quello che ci resta del cammino della nostra vita, a Dio piacendo.
Gran parte del libretto è costituito dalla trascrizione fedele di alcuni dialoghi che mio marito ed io abbiamo intrapreso durante le nostre frequenti passeggiate nei dintorni di Cividale e durante alcune escursioni in alcune zone del Friuli o del Veneto. Sono sempre rimasta molto interessata e colpita dalla varietà del vissuto di Pier Angelo, il quale, diversamente da me, è stato costretto a cambiare molte volte ambiente sin da piccolo e conseguentemente affrontare nuove situazioni esistenziali a volte drammatiche a volte piacevoli o buffe.
PRIMA INFANZIA DI PIER ANGELO
Pier Angelo nacque nel 1949. Rimase orfano di padre subito dopo la sua nascita.
La madre lo dovette inserire in un collegio per poter lavorare e mantenersi.
A fine settimana lo andava a trovare.
A tre anni passò all’asilo dell’Istituto guidato da suor Antonietta delle Ancelle della Carità. I suoi ricordi di quel periodo erano vaghi: poche cose anche belle come il grande cedro antistante che ospitava sui suoi rami le tortore che gemevano, la chiesetta dedicata a san Giuseppe, i giochi con i rollini delle macchine fotografiche, i piccoli servizi che prestavano al refettorio….
Finito il ciclo dell’asilo, a sei anni, lo trasferirono al reparto dei più “grandicelli” gestito da suor Vittoria, una bresciana delle Ancelle della Carità, piuttosto severa, ma sapeva anche essere materna.
Serbava molti ricordi di quel periodo e si era sempre chiesto come questa suora riuscisse a gestire un reparto di maschietti (un centinaio, dai sei ai dodici anni), gran parte dei quali orfani…
La vita in quel collegio era molto sobria, ma non noiosa.
Quello che i bambini denominavano “Il Prato” era un piccolo parco pieno di cedri, olmi e magnolie. C’era anche un giuggiolo dai frutti abbondanti che raccoglievano per gustarli durante le brevi ricreazioni. In questo sito i bambini erano davvero a stretto contatto con la natura. Si arrampicavano pericolosamente sugli alberi, costruivano ruderi fortini con le pietre che trovavano, allestivano piccoli covi sotto i rami dei cedri denominandoli “capanne” illudendosi di rivivere per qualche attimo la vita degli indiani che vedevano nei film. Ogni tanto si dividevano in squadre e si dichiaravamo guerra: allora aggiungevano più pietre ai fortini e attaccavano l’improvvisato “nemico” lanciando pigne e qualche volta anche sassi, mentre le assistenti preposte alla nostra sorveglianza urlavano loro si smetterla.
Il cortile adiacente veniva denominato “Sotto le piante”, altro luogo che frequentavano spesso e che esiste tuttora in via Planis. Ci sono tuttora enormi platani che lui conosceva già dagli anni ‘50 e lì, attorno alle panchine di pietra, insieme agli amichetti organizzava una specie di mercatino, dove tutti fingevano di vendere verdura, frutta, oggetti di ogni tipo che in realtà erano foglie, erba, pigne.
Lui spesso si improvvisava “sindaco”: aveva la possibilità di emanare carta moneta scrivendo su dei bigliettini la cifra corrispondente con la sua firma e con questi mercanteggiavano. Si divertivano davvero con poco! Alle volte organizzava anche delle gare come “lascia o raddoppia” e si divertiva un mondo a preparare i quiz più difficili spulciando dal sussidiario le nozioni relative ad elementi geografici o storici.
In questo modo si faceva ben volere da tutti e spesso si ritrovava al centro dell’attenzione.
Suor Vittoria, la caporeparto dei maschietti delle elementari, usava una linea educativa piuttosto dura: bacchetta alla mano, sguardi minacciosi, castighi di tutti i tipi… metodi ereditati probabilmente dal periodo fascista per tenere a bada un centinaio di bambini piuttosto vivaci. È per questo che veniva soprannominata “Badoglio”.
Sorprendentemente a lui voleva molto bene perché aveva particolari attenzioni: lo chiamava spesso ad aiutarla in refettorio e sceglieva per lui vestiti un po’ più decenti.
Fortunatamente, insomma, lui entrò nelle sue simpatie, ma molte volte rimaneva esterreffatto per il trattamento rude che subivano i suoi compagni.
Ogni giorno, in fila, frequentava una scuola elementare esterna vestito con la stessa povera divisa (pantaloni corti anche in inverno).
Uno dei pochi conforti era il parco del collegio, ricco di piante ad alto fusto dove lui e i suoi compagni sfogavano la loro rabbia repressa organizzandosi in bande rivali. Le visite dei parenti erano permesse solo settimanalmente (qualcuno era completamente abbandonato e non riceveva mai alcuna visita)
Quando nel reparto giunse suor Eugenia, una giovane suora dal viso angelico e sorridente, non credevano ai loro occhi. Si rese subito disponibile a venire incontro alle loro difficoltà di ogni tipo.
La denominavano “la suora bella” : per i bambini era diventata la madre ideale. Bella, gentile, affabile, paziente, ascoltavano i suoi consigli e le sue esortazioni convinti di aver trovato finalmente la persona che avrebbe risolto i loro problemi affettivi. Difatti la caporeparto gradualmente dovette cambiare linea, anche se spesso entrava in disaccordo con lei sul metodo educativo.
Spesso suor Eugenia li radunava e raccontava loro le storie bibliche più famose o diversi aneddoti edificanti per restituirgli la gioia di vivere, nonostante le gravi situazioni personali.
Suor Eugenia sapeva valorizzare ogni bambino che dimostravano un po’ di buona volontà.
Ogni estate si recava per un mese intero nella colonia estiva di Villa Ostende di Grado. Era un periodo molto piacevole ed allegro per la spiaggia, i bagni in mare, le passeggiate lungo il centro, la cucina un po’ diversa dal solito, le amicizie infantili tra le quali quella di Giuseppe Filipig, attento osservatore dei fatti che si svolgevano attorno a loro e che commentava spesso insieme. Francesco, un uomo alto e robusto, faceva da bagnino, era manutentore e intratteneva spesso tutti i bambini con la sua fisarmonica che suonava molto bene.
Ogni tanto in spiaggia osservava suor Eugenia che si ritirava e rimaneva in stato contemplativo rivolta verso il mare. Questa scena “mistica” gli rimase molto impressa nell’animo ed è quella che sin da bambino ha in qualche modo dato il via alla sua attività di ricerca filosofica e teologica successiva…
Dopo un po’ si avvicinava a lei cercando gradualmente di farle delle domande sull’immensità del mare e persino sul mistero della vita. Lei rispondeva al bambino, ancora assorta e con molta garbatezza. Umilmente condivideva con lui lo stupore dell’esistenza ed il bimbo le si affezionava sempre di più perché intuiva di avere a che fare con una suora speciale, ricca interiormente.
Più tardi, quando frequentava le superiori lo chiamava, durante l’estate, ad animare i bambini nella colonia estiva di Grado.
Durante i frequenti dialoghi con lei parlavano di tutto, soprattutto del grande mistero di Dio che l’orizzonte marino richiamava al loro animo stupito.
In seguito la suora fu trasferita in un asilo di Chioggia.
Ora si trova in una struttura di accoglienza a Zovello, nel comune di Ravascletto, tra le Alpi Carniche in provincia di Udine, ed è sempre disponibile nell’ospitalità di gruppi che fanno riferimenti alle varie realtà ecclesiali d’Italia.
In paese è molto amata dalla popolazione per la sua collaborazione in parrocchia e i concreti aiuti alle persone più sole, malate povere.
Per lui è sempre stata un esempio vivo di cristianesimo vissuto che conserva ancora nel suo animo: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare…”
****Ogni estate si recava, insieme ai suoi compagni, nella colonia estiva di Villa Ostende di Grado per un mese intero. Era un periodo molto piacevole ed allegro per la spiaggia, i bagni in mare, le passeggiate lungo il centro, la cucina un po’ diversa dal solito, le amicizie infantili tra le quali quella di Giuseppe Filipig, attento osservatore dei fatti che si svolgevano attorno a loro e che commentava spesso insieme. Francesco, un uomo alto e robusto, faceva da bagnino, era manutentore e intratteneva spesso tutti i bambini con la sua fisarmonica che suonava molto bene.
Ogni tanto in spiaggia osservava suor Eugenia che si ritirava e contemplava spesso rivolta verso il mare. Questa scena “mistica” gli rimase molto impressa nell’animo ed è quella che sin da bambino ha in qualche modo dato il via alla sua attività di ricerca filosofica e teologica successiva…
Dopo un po’ si avvicinava a lei cercando gradualmente di farle delle domande sull’immensità del mare e persino sul mistero della vita. Lei rispondeva al bambino, ancora assorta e con molta garbatezza. Umilmente condivideva con lui lo stupore dell’esistenza ed il bimbo le si affezionava sempre di più perché intuiva di avere a che fare con una suora speciale, ricca interiormente.
Terminata la quinta elementare, Pier Angelo fu trasferito all’allora collegio Mutilatini di Buttrio per frequentare le scuole medie.
Il collegio era diretto da don Pietro Bortolotti ed era situato su una bellissima collina, nell’antica villa Di Toppo – Florio. Pier Angelo, però, inizialmente era triste per il cambiamento. In quel periodo conobbe Maurizio che aveva una caratteristica risata, la quale lo incuriosiva e lo rassicurava. Da allora in poi sono rimasti sempre grandi amici.
Ciò che davvero lo consolava era il bellissimo parco antistante, ricco di alberi di ogni specie, pieno di reperti archeologici. Sul meraviglioso laghetto c’erano anatre e cigni. Pier Angelo si ritirava spesso in zone appartate con la radiolina in mano che trasmetteva musica classica. È qui che nacque la sua passione per Leopardi, Pascoli e Carducci. Dalla finestra dell’aula intravedeva il romantico Castello di Morpurgo.
Pier Angelo, superata l’iniziale timidezza, entrò nelle simpatie del direttore, degli assistenti e dei compagni per la sua vena umoristica: organizzava piccoli teatri, si esibiva in imitazioni di animali e personaggi, raccontava spesso barzellette. Con il cappellano don Luigi si intratteneva a parlare un francese maccheronico e questi si divertiva moltissimo a fare da interlocutore.
Don Pietro decise di dargli l’incarico di leggere alcuni libri di avventure, durante i pasti nel refettorio, davanti ad un microfono. Nella grande sala, mentre Pier Angelo leggeva, ci fu sempre ordine e silenzio perché tutti seguivano i racconti ed i romanzi con interesse, soprattutto quelli di Collodi e Salgari. Fece tante amicizie. A maggio il direttore, insieme ad altri, lo portava a raccogliere le ciliegie sopra le colline sovrastanti e lui gradiva molto arrampicarsi sugli alberi. D’estate si recava per alcuni giorni anche dalla zia Elena a Corno di Rosazzo, la quale faceva la sarta ed abitava con suo marito Candido proprio nella villa Cabassi. Anche lì fece molte amicizie perché i bambini del paese, invitati dal figlio del proprietario Umberto, amavano giocare nel piccolo prato interno alle mura e recarsi insieme a Badia. A volte seguiva in bicicletta l’anziana postina che si recava ogni giorno a Cormons per ritirare la posta. Qui, ogni tanto, entravano nella Chiesa dedicata alla Rosa Mistica, in religioso silenzio.
Durante un’altra estate ebbe l’occasione di recarsi in Svizzera, ospite per più di due mesi di un’amica di sua madre, Maria Rossato (che chiamava zia), la quale lavorava a Marin – Saint Blaise, vicino a Neuchatel, presso un grande magazzino della Migros. La sua casa si trovava proprio di fronte allo stabilimento. Fu qui che imparò il francese, frequentando i figli del vicino di casa e recandosi spesso in paese a fare la spesa.
Fu un’esperienza indimenticabile ed ancora oggi, a distanza di molti anni, Pier Angelo ricorda il francese che aveva appreso allora.
Quando terminò le scuole medie sua madre sposò Renzo, un muratore in proprio, ma molto precario. Tutti e due decisero ritirarlo dal collegio (come gli avevano promesso) per abitare in vicolo Taschiutti di via Grazzano a Udine, insieme a nonna Albina, la madre di lui. Qualche mese dopo nacque Lorenza. Poi venne trasferito all’Istituto Tomadini di Udine.
IL VECCHIO TOMADINI
L’unico amico di infanzia che lo poteva tranquillizzare sulla nuova situazione era Filipig Beppino che era da tempo ospite lì, il quale lo aiutò ad inserirsi gradualmente. La struttura era piuttosto fatiscente, il cortile asfaltato era piuttosto piccolo per contenere centinaia di ragazzi, la mensa era molto parca, i dormitori avevano il soffitto pericolante, ma in compenso c’erano molte attività sportive e culturali. Lì conobbe mons. Primo Fabbro, un uomo di grande cultura e molto discreto: con i ragazzi usava un metodo pedagogico molto particolare: se c’era qualcosa che non andava scriveva ad ognuno un biglietto personalizzato e questo piaceva molto agli allievi che si sentivano in qualche modo rispettati e considerati. La disciplina, comunque, era ferrea. Il “censore” Luciano Marangoni riusciva a tenere sotto controllo tutti i ragazzi, dalle medie alle superiori, divisi in classi con un istitutore ciascuna. Frequentava le superiori a Udine ed in quel collegio poteva studiare con profitto grazie anche agli orari piuttosto rigidi. L’anno dopo venne un altro censore: Aldino Tosolini, una persona molto eclettica perché sapeva suonare, dipingere ed organizzava il teatro. Fece subito amicizia con lui, il quale cercava di collaborare recitando in teatro, nelle para-liturgie relative alle grandi festività e in molte occasioni culturali. Aldino Tosolini stimolò in lui delle forme di creatività veramente nuove.
Durante l’estate per tre anni ebbe l’incarico di assistente educatore presso una colonia di Grado.
I superiori del Tomadini per questo lo stimavano e durante il quinto anno – eccezionalmente – (e ciò mi ha colpito molto) gli diedero l’incarico di assistente nella stessa classe dei suoi coetanei e fu sempre rispettato da loro per la sua pazienza e perché li sapeva aiutare nelle difficoltà relative agli studi.
Nel 1969, in luglio, proprio il giorno dello sbarco sulla luna, prese il diploma di scuola superiore e si iscrisse all’Università di Lingue e Letterature straniere di Udine, mantenendosi agli studi come assistente, sempre al Tomadini.
In quell’occasione ebbe l’incarico di docenza presso due corsi professionali di grafica (fisica e tecnologia)
Qualcosa, però, non andava. Non riusciva a conciliare il lavoro di assistente, molto impegnativo, soprattutto la sera, con gli studi. Decise, allora, di affrontare il servizio militare obbligatorio, per continuare gli studi dopo.
LA NAJA
A ottobre di quell’anno fu spedito al CAR di Trapani.
Arrivato in stazione con la tradotta, dopo due giorni di viaggio, lo aspettava il camion per portarlo in caserma. Appena arrivato lo tosarono a raso e gli assegnarono il plotone. Per sbaglio gli fecero due punture al petto, come usavano allora, e stette a letto con la febbre per due giorni.
Passò un periodo davvero strano: si trovava in una caserma alla periferia di Trapani con quasi 4000 reclute. Non avrebbe mai immaginato una cosa del genere: dormitori per 300 posti letto a castello, scarsità di acqua, notti insonni per il fastidioso odore di fumo e di sudore, cibo piuttosto scarso. Al mattino sveglia presto, sistemazione del “cubo” e con la tuta mimetica e lo zaino doveva recarsi insieme a tutti gli altri a fare una strana ginnastica collettiva (denominata “reazione”) che consisteva nel correre e muoversi secondo gli ordini che partivano da alcuni altoparlanti. Aveva l’impressione di stare in un lager. Qualsiasi caporale dava ordini gridando a squarciagola. Le giornate erano piuttosto lunghe e noiose. Aveva fatto amicizia, comunque con due commilitoni meridionali e si recava con loro a Trapani quando c’era la libera uscita.
Ogni tanto, insieme alle altre reclute, si recava al poligono di Mont’Erice per esercitarsi a sparare col Garand o a fare le guardie: da lassù, nel silenzio più totale, passava molte ore ad ammirare anche il mare azzurro.
A dicembre ritornò in Friuli presso il 52° Fanteria d’Arresto, nelle caserme di Attimis, Ipplis e Grupignano di Cividale, dove frequentò il corso per cannonieri. In quelle piccole caserme non c’era il riscaldamento e soffrì molto per il freddo, soprattutto quando faceva le guardie notturne.
Ogni tanto trascorreva alcuni giorni insieme ad alcuni commilitoni alla “Casa Matta” una casa isolata nei pressi di Prepotto, per i turni di guardia incessanti (intervallati da due ore di riposo) e per la pulizia delle postazioni interrate dei cannoni e delle munizioni. Il Friuli era pieno di servitù militari.
In seguito fu trasferito a Udine presso il Comando Divisione Mantova, all’ufficio ufficiali, comandato dal col.Bianco. Insieme a due marescialli aveva il compito di trascrivere i vari ordini di trasferimento degli ufficiali, le promozioni e tutto ciò riguardava altre operazioni. Spesso doveva recarsi dal generale della Divisione per la firma di alcuni rapporti di una certa importanza strategica.
Durante il giorno lavorava in via Savorgnana, mentre per il vitto e l’alloggio si recava nella caserma nei pressi della “Spaccamela”, ma non era contento di quel posto troppo affollato e con i letti a castello. Gli capitò proprio di dormire sotto un commilitone che soffriva di enuresi notturna ed il mattino si ritrovava con il telaio del suo letto bagnato e maleodorante appena sopra il viso. Ma non diceva nulla per non metterlo in imbarazzo, anche per le sue suppliche, perché in quegli anni sarebbe stata una vergogna dover essere dimessi dal servizio militare per quel motivo Si misero d’accordo di cambiare i due posti letto, così risolsero il problema.
DOPO LA NAJA
Dopo 15 mesi di Naja fu finalmente congedato e si recò a casa di sua madre fino ad una nuova sistemazione. Ma lo stress del servizio militare lo aveva talmente debilitato che si ammalò seriamente e dovette essere ricoverato all’ospedale di Udine per le frequenti febbri che lo tormentavano. Appena dimesso preferì alloggiare da sua zia Elena che lo ospitò a Corno di Rosazzo, ma lo stress gli aveva lasciato un forte segno e non riusciva riprendersi bene. Cercava di distrarsi andando a camminare solitario verso Badia, sulla stradina sterrata lungo il Corno. Poi decise di ritornare al Tomadini nuovo di Udine, in via Leonardo da Vinci, dove mons. Primo Fabbro gli diede l’incarico di istitutore presso un corso di ragazzi delle scuole medie, con il coordinamento di Aldino Tosolini, con il quale fece sempre più amicizia perché si stimavano reciprocamente. Insieme organizzavano diversi eventi per i ragazzi. Ma spesso le febbri lo tormentavano e più volte venne ricoverato in infermeria dove lo accudiva proprio suor Vittoria, la suora che aveva conosciuto sin dall’infanzia, che era stata trasferita lì. Ogni tanto doveva tornare all’ospedale per verificare le cause di queste febbri, ma i referti medici furono sempre vaghi.
Mons. Primo Fabbro andò in pensione e fu sostituito da don Carlo Polonia, di origine carnica. Egli prese a cuore la sua situazione e, tramite amici, tra i quali Enzo Cainero, presidente degli industriali di Udine, cercò di inserirlo presso la sede della Democrazia Cristiana di Udine, in piazzetta Gorgo di Udine. La sede era diretta dall’avvocato Claudio Beorchia, che poi divenne senatore. Doveva affiancare Giancarlo Cruder, (futuro presidente della Regione Friuli Venezia Giulia). Lì operavano la signora Palmira, Renzo Basaldella, (futuro sindaco di Moimacco e direttore del coro CAI di Cividale), ed il prof. Bulfone, presidente della Libertas.
Si recava ogni mattina fino a mezzogiorno per svolgere diverse mansioni in ufficio, per l’organizzazione e la preparazione della propaganda politica, per varie manifestazioni, per incontri ecc. Lì conobbe il sindaco di Udine Angelo Candolini, con il quale fece amicizia perché molto gioviale, l’on. Giorgio Santuz, Adriano Biasutti e diverse personalità del mondo sociale, imprenditoriale e politico del Friuli Venezia Giulia. Un giorno fu incaricato da Beorchia ad accompagnare Amintore Fanfani dall’aeroporto di Ronchi, ma poi, per motivi di sicurezza, si cambiò idea e venne nella sede della DC accolto da diverse personalità. Fanfani gli consegnò 50.000 lire per la sezione e lui lo ringraziò.
In quel periodo Renzo Basaldella gli presentò Beppino Lodolo, il cantante friulano più famoso, il quale gli propose di lavorare nella sua compagnia come imitatore. In questo modo, soprattutto a fine settimana, egli si esibiva nelle pubbliche piazze e nelle varie sagre in compagnia di Gigi Mestroni (Tittiliti), Dario Zampa ed il Fariseo, Ferruccio Ceschia (il prestigiatore) e tanti altri. Ebbe così l’occasione di conoscere personaggi famosi come il mago Silvan, il cantante Toto Cotugno e tanti altri perché Beppino era anche impresario teatrale.
LA BANCA DI TORRE DI PORDENONE
Un giorno don Carlo Polonia, il nuovo direttore, venne a fargli una visita all’ospedale, dove era ricoverato per i soliti incessabili stati febbrili, esortandolo di dimettersi perché sarebbe stato assunto presso una banca di Pordenone.
Così fece e si recò a Torre di Pordenone, presso la Banca popolare. Ma il lavoro era piuttosto monotono e stressante: doveva per tutta la giornata trascrivere assegni e altri documenti con la macchina da scrivere. Per non percorrere la strada Udine-Pordenone ogni giorno andò ad abitare presso un’anziana signora che gli aveva affittato una stanza. Dopo tre mesi si ammalò di nuovo e fu ricoverato all’ospedale di Udine per accertamenti. Essendo ancora in prova, la direzione della Banca gli inviò una lettera di licenziamento e così dovette rientrare al Tomadini, dove il direttore gli diede l’incarico di coordinare l’attività collegiale, soprattutto la sera quando i responsabili di reparto erano a casa.
RIENTRO AL TOMADINI
Aveva un piccolo studio personale presso la cappella dell’Istituto (che precedentemente era occupato dal simpaticissimo cappellano don Romano Michelotti) e fu proprio in quel periodo che fece amicizia con Arrigo Poz, il quale era incaricato a realizzare il mosaico che si trova tuttora nell’ex-chiesa ora adibito ad uditorio.
Il mattino era libero, durante il pomeriggio seguiva i ragazzi che avevano difficoltà nell’apprendere determinate materie scolastiche. La sera girava per i corridoi per controllare che tutto fosse a posto. Alle trovava, verso le 11 gli assistenti che si radunavano per chiacchierare, stava in po’ con loro parlando e scherzando, ma poi raccomandava loro di recarsi a dormire per poter essere più in forma l’indomani.
Alle sette del mattino si recava di nuovo per i corridoi e le varie camere a svegliare i ragazzi e, qualche volta, anche gli assistenti.
Nonostante avesse spesso crisi febbrili, amava molto scherzare con tutti, sia con i ragazzi che con gli assistenti. Certi scherzi diventarono “storici” e furono descritti nel giornalino dell’Istituto da Aldino Tosolini. Franco Odorico e Fabrizio Di Bernardo, suoi vecchi amici, erano spesso suoi complici. Una volta, a carnevale, (d’accordo con il direttore) sparse la voce a tutti i ragazzi ed il personale del collegio che sarebbe venuto l’Arcivescovo mons. Zaffonato a fare una visita pastorale.
Le suore avevano persino incaricato le inservienti di effettuare le pulizie straordinarie. Nella grande mensa tutti erano in attesa dell’evento. Poi capitò lui vestito da vescovo con i suoi due amici che indossavano la gabbana da prete. Ci fu uno scoppio di risate inaudito. Mentre parlava imitando la voce dell’arcivescovo e tutti erano davvero divertiti, le suore erano piuttosto imbarazzate alternando occhiatacce con dei sorrisi a stento trattenuti. Una volta, alla presenza di alcune persone, telefonò ad una famiglia con la voce di Mike Buongiorno, fingendo di essere presente ad una trasmissione. Fece loro una domanda semplice ed ottenuta la risposta giusta, disse loro che avevano vinto dei gettoni d’oro e promise loro che sarebbe venuto personalmente il più presto possibile per consegnarglieli. Sembrava che lo scherzo fosse finito lì ed invece l’intera famiglia aveva sparso la voce e lo attendeva con ansia ma in seguito furono delusi.
Un’altra volta, d’accordo con lo scherzoso direttore don Carlo Polonia, telefonò da fuori all’amministratore del collegio fingendosi l’Arcivescovo. Si fece dire la difficile situazione economica di quel periodo e promise di intervenire finanziariamente. Subito l’amministratore Gianni Lavaroni si recò dal direttore per dargli la bella notizia, ma il direttore placò il suo entusiasmo avvisandolo che era un semplice scherzo. Non la prese con molta filosofia, ma poi col tempo tutto si affievolì.
E ci furono molti altri scherzi divertenti riusciti bene che meriterebbero un libro a parte.
Il mattino, quando si ritirava nel suo studio privato, leggeva molti libri spesso accompagnato da musiche particolari come quella di Cesar Franck, Sibelius, Wagner, Mozart. Amava Teilhard de Chardin, Teresa d’Avila, Leon Bloy, Bertrand Russel, Henri Bergson, Kierkegaard, Sartre, Gabriel Marcel ecc. i quali lo aiutavano molto a riflettere e meditare sulla vita, sulle varie dimensioni dell’esistenza e sull’anima immortale.
Per due anni Pier Angelo lavorò part-time alla sede della DC di Udinecon le mansioni di impiegato. Qui fece amicizia con Giancarlo Cruder, divenuto sindaco di Tarcento e poi Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia. Era alle dipendenze dell’avvocato Claudio Beorchia e dell’allora amministratore dell’Associazione Industriali di Udine Enzo Cainero. In questa sede conobbe Amintore Fanfani, Adriano Biasutti, Antonio Comelli, l’avv. Comand e tanti altri. Fece amicizia anche con il collega Renzo Basaldella, direttore del CAI di Cividale e stimatissimo sindaco di Moimacco.
BEPPINO LODOLO
Pier Angelo aveva conosciuto il cantante Beppino Lodolo tramite l’amico Renzo Basaldella. Nacque subito un’amicizia feconda. Beppino lo invitò in moltissime serate e sagre popolari del Friuli per partecipare attivamente agli spettacoli che organizzava. Il suo compito era quello di intrattenere il pubblico con le sue brillanti imitazioni che aveva imparato sin da piccolo (animali e persone), È in questo contesto che conobbe e fece amicizia con i componenti della sua compagnia che divennero poi famosi localmente: Gigi Mestroni (Tittiliti), Dario Zampa (cantautore e presentatore), Ferruccio Ceschia (prestigiatore).
In molte circostanze Pier Angelo si esibì occasionalmente sullo stesso palco insieme a personaggi come il mago Silvan, Toto Cotugno e tanti altri. L’amicizia con Beppino è tuttora feconda: Pier Angelo gli ha dedicato diversi video e pagine web, partecipando anche ad alcune rievocazioni relative alla carriera artistica di Beppino Lodolo.
IL TERREMOTO DEL FRIULI DEL 1976
Nel 1976 si trovava sempre a Udine presso l’Istituto Tomadini dove svolgendo la mansione di coordinatore
Da alcuni mesi sentiva in sè delle strane sensazioni che qualcosa di grave prima o poi sarebbe successo in Friuli e gli tornavano in mente nel suo immaginario la visione di molte case distrutte, dai monti della Carnia al Cividalese.
Un pensiero molto insistente che comunicò ad alcuni, specialmente all’amico Maurizio Basso che tuttora abita a Udine in via Tolmezzo. Quando per un periodo si ritrovò ricoverato nell’ospedale di Udine per verificare l’origine di alcuni malesseri febbrili, per passare il tempo si mise scherzosamente a simulare l’annuncio di un catastrofico terremoto in Friuli, dalla Carnia al Cividalese, incidendolo su un nastro che tuttora conserva. Attualmente non ricorda la data esatta dell’incisione, ma certamente prima del sei maggio 1976: gli studiosi potrebbero benissimo verificarlo perché prima del macabro scherzo aveva registrato frammenti di programmi radio dei momenti precedenti.
Il giorno stesso del terremoto avvertiva una strana sensazione. Si recò da Tosolini Aldino, allora caporeparto, confidandogli la sensazione…
Il 6 maggio l’aria era strana: una forte sensazione di cappa umida opprimeva tutti ed i ragazzi erano particolarmente vivaci. Dai tombini fuoriusciva uno strano olezzo, gli uccelli stessi si agitavano in modo insolito tra un ramo all’altro.
Nel tardi pomeriggio disse ad Aldino: “Lo sento, oggi arriverà!”
Verso le 21, mentre faceva la sua solita ispezione per i reparti e si trovava lungo il corridoio attiguo alla mensa, udì un boato. Si mise a correre cercando una via di uscita. Poi avvenne la seconda lunghissima scossa: Ovunque cadevano calcinacci, i vetri tremavano spaventosamente e sembravano squassarsi, il pavimento ondeggiava… I ragazzi che erano ai piani inferiori si precipitarono scendendo le scale come impazziti e trovando la porta sbarrata, ruppero i vetri con calci e pugni ed uscirono in cortile. Ad un certo punto cinque di loro gli si avvicinarono urlando dal dolore per le ferite alle braccia, al volto ed alle mani che grondavano di sangue. Subito li caricò nella sua auto (una Fiat 128 rossa) e li portò al pronto soccorso del vicino ospedale di Udine per i primi interventi. Mentre attendeva vide partire e venire ambulanze a sirene spiegate: erano i primi feriti che giungevano dalle zone più colpite del Friuli.
La scossa traumatizzò tutti e nessuno voleva rientrare. Questo per alcuni giorni e nei cortili si dovette allestire delle tende, finché la situazione si placò e tutti cercavano di abituarsi un po’ alle frequenti scosse di assestamento.
ISOLA VICENTINA (settembre 1976)
P. Federico Caldogneto era un frate Servo di Maria della B.V. delle Grazie di Udine che lui da alcuni anni andava spesso a trovare per chiedere consiglio sui alcuni dubbi esistenziali che spesso nutriva. È stato proprio p. Federico a consigliarlo di fare un’esperienza presso un monastero di Isola Vicentina, dove c’era il Santuario di Santa Maria del Cengio. A settembre de 1976 si recò là con la sua 128 rossa e fu accolto dalla comunità che si era formata da poco.
Il fine della comunità era quello di esperimentare una vita più contemplativa delle altre senza trascurare il servizio ai fedeli che accorrevano al Santuario.
È lì che fece amicizia con il priore p. Ilario Marchesan, e gli altri confratelli come lo storico dell’Ordine e poeta p. Davide Montagna, p. Ermenegildo Zordan e gli altri (una decina in tutto). La sua mansione era quella di sistemare le camere per gli ospiti, dare una mano alla cuoca…, tenere in ordine e preparare la mensa, dare una mano per le pulizie del piccolo chiostro e delle stanze attigue, accompagnare con la sua auto i vari padri a celebrare la messa nei paesi limitrofi.
P. Davide gli chiedeva spesso di accompagnarlo a qualche conferenza e lo incaricava di preparare ogni tanto la “lectio divina” che si teneva ogni sabato.
È per questo che cominciò a conoscere meglio la Sacra Scrittura ed imparò il metodo esegetico ed ermeneutico mediante i quali spiegare i vari brani biblici tenendo conto del contesto in cui erano stati redatti. Per lui ciò costituiva una continua riscoperta delle ricchezze della Sacra Scrittura.
Partecipava anche all’ufficio liturgico (lodi, ora terza, sesta, nona e vespri) e alla S. Messa giornaliera. In quell’atmosfera contemplativa si trovava bene, era come immerso in un mondo completamente diverso da quello precedente, soprattutto quando si recava all’eremo della collina sovrastante, che era la casa natale di p. Federico Caldogneto. Una volta vi si recò con un giovane e passeggiando si misero a parlare di teologia e spiritualità. Questo giovane ospite era molto infervorato e mentre passeggiava teneva le due chiavi della macchina in mano. Quando, al termine della conversazione, si recò alla macchina, le due chiavi erano completamente piegate a 90 gradi, cosa che li stupì molto perché era la prima volta che assistevano ad un simile fenomeno. Da allora lui pensava spesso a questo fatto e percepiva che veramente ogni persona è un mistero e che ha in sé delle potenzialità che non sa di avere.
In quel convento venivano ospitati anche molti i confratelli dell’Ordine sparsi per il mondo.
È lì che fece amicizia con p. Davide Turoldo, il quale frequentava il convento di Isola Vicentina e venne a sapere dall’amico p. Davide Montagna che Pier Angelo aveva elaborato un interessante racconto autobiografico in audio (Il Microcosmo di Luca), per cui gli chiese di aiutarlo alla redazione di una sceneggiatura per un nuovo film, successivo a “Gli ultimi”. Pier Angelo accettò, ma la cosa finì da sé perché p. Davide cominciò ad ammalarsi.
Per inciso – più tardi, negli anni 80, lo stesso p. Davide Turoldo, dopo aver letto il libro di Pier Angelo, “La Spirale della Vita”, decise di venire a Udine a presentarlo, ma purtroppo la sua malattia si aggravò.
Nel Convento di Isola Vicentina conobbe anche il pittore dell’Ordine p. Fiorenzo Gobbo (pittore), p. Ermes Ronchi (teologo) che gli pubblicò alcune poesie insieme a quelle di p. Davide Turoldo e p. Albino Candido, p. Francesco Polotto e tanti altri.
Un giorno conobbe Ananda, un giovane di Marostica che si faceva chiamare così perché si era fatto monaco presso una comunità indiana che aveva raggiunto in bicicletta partendo dal suo paese. Si ritirava spesso in preghiera e meditazione
sucitando anche la curiosità e l’ammirazione dei frati. Un giorno fece ospitare
il guru Ramachandra che conosceva da anni, un’arzillo monaco ottantenne che stette alcuni giorni presso la comunità. Praticava un certo tipo di yoga ed era veramente un uomo straordinario per la saggezza e l’umiltà.
Fu in quel periodo che entrò nella comunità come “postulante” Michele, un giovane pugliese affabile e sempre sorridente. Diventò subito suo amico e da allora furono inseparabile perché parlavano spesso di spiritualità e condividevano gioie e fatiche. Più tardi si aggregarono Aligi, persona molto disponibile e cortese, e Paolo Sbrissa, giovane con un carattere particolare ma un abilissimo pittore di Castelfranco Veneto che spesso si ispirava anche ai discorsi filosofici che intraprendeva con lui. P. Davide Montagna gli pubblicò anche dei libretti sui suoi lavori.
P. Ermenegildo si prese a cuore il suo stato di salute e lo fece ricoverare all’ospedale di Padova presso un medico ebreo, dott. Abrahmson, che si era preso cura di Lui. Riuscì a guarirlo dalle febbri insistenti, individuando il motivo dopo attenti esami clinici
Il secondo anno p. Ermenegildo lo iscrisse all’Istituto teologico san Massimo a Padova, e lì partecipava alle varie lezioni di filosofia, psicologia, sociologia, antropologia e teologia. Ascoltava volentieri anche Dario Antisseri che spesso veniva a tenere delle lezioni interessanti su diversi argomenti filosofici.
Fu in quel periodo che partecipò a Mestre alla cerimonia dell’ordinazione sacerdotale dell’amico p. Francesco Polotto (attualmente parroco e rettore del Santuario della B.V. delle Grazie di Udine). Il celebrante era l’allora Cardinale di Venezia Albino Luciani che divenne poi papa Giovanni Paolo 1. Pier Angelo mi raccontò che durante l’omelia gradiva la sua semplicità, nell’atteggiamento e nelle parole, e mi disse che pensava tra sé che una persona così umile non sarebbe mai potuto diventare papa. Qualche mese dopo, invece, diventò papa Giovanni Paolo I.
Terminato l’anno formativo fu inviato, insieme a Michele, a Monte Senario per il noviziato.
MONTE SENARIO (1978)
Monte Senario è un posto incantevole, uno dei più importanti santuari della Toscana. Si trova sulla collina omonima a nord di Firenze, nel comune di Vaglia. Era ormai abituato a cambiare domicilio, però il posto gli piacque e lì passò uno dei più bei periodi della sua vita. Era arrivato insieme all’inseparabile amico Michele Capurso, un giovane di origine pugliese, il quale era affascinato dal mistero della vita, un vero contemplativo e per questo era anche preso un po’ in giro dai compagni di noviziato. Fortunatamente era capace di suonare la chitarra e si rendeva anche simpatico sorridendo a tutti. Anche Riccardo, un giovane spagnolo, sapeva suonare la chitarra e molte volte il gruppo degli otto novizi si ritrovava a cantare accompagnati da loro. Il maestro dei novizi era p. Ferdinando Perri, molto conosciuto a Udine quando faceva il parroco al Santuario della Madonna delle Grazie.
I novizi scherzosamente lo chiamavano “fra…nando” per la sua ilare spontaneità. Tutti i novizi seguivano i ritmi liturgici della comunità celebrando giornalmente le lodi, la Santa Eucaristia, l’ora sesta ed i vespri.
Lui, insieme ad altri, aveva la mansione di preparare le camere per gli ospiti, spazzare il cortile e, a turno con gli altri, stare dietro al banco, nella sala apposita sul retro del convento, per distribuire i panini “alla finocchiona” e la Gemma d’Abeto, un liquore dolce, balsamico, dal particolare aroma acquistato dall’essenza ricavata dall’abete.
Appena disponeva del tempo libero si recava nel bosco attiguo con la Bibbia in mano. Si siedeva sotto un albero, leggeva un frammento di Sacra Scrittura e lo meditava osservando il Mugello. L’atmosfera che respirava in quel silenzio era davvero surreale. Intuiva perché i Sette Santi Fondatori trovavano dolce abitare nell’eremo in perenne preghiera. Era davvero in armonia con la natura: persino gli animaletti, come le donnole e gli scoiattoli, gli passavano accanto senza paura. Un giorno ebbe anche la visita di due cuculi che si erano avvicinati su un ramo soprastante. Erano incuriositi dall’imitazione del loro verso che ogni tanto lui faceva per capire la reazione degli animali.
In convento p. Ferdinando organizzava anche degli incontri e chiamava spesso p. Andrea Cecchin, famoso servita che a Vicenza ora è in concetto di santità. Illustrava ai novizi le ricchezze della Regola dell’Ordine dei Servi di Maria e la sua presenza arrecava molta pace interiore. Spesso veniva chiamato anche p. Reginald Gregoire, un monaco benedettino belga noto per i suoi studi di agiologia, che illustrava con molta competenza le ricchezze della Sacra Scrittura. I giovani lo stimavano moltissimo e lui li amava davvero stabilendo con loro un profondo legame di amicizia. Siccome risiedeva presso la Segreteria di Stato in Vaticano, un giorno gli confessò umilmente che spesso aiutava papa Paolo VI a redigere molti suoi testi famosi.
Ma in quel contesto non mancavano i momenti di allegria. Lui riusciva con le sue imitazioni e i suoi sketches a tenere allegri i compagni di noviziato e gli stessi frati della comunità che lo invitavano ogni volta che avevano degli ospiti. Alcuni di questi erano illustri come p.Giovanni Vannucci, p.Davide Turoldo, p. Aristide Serra, p. Fiorenzo Gobbo ecc.
Una volta alla settimana tutti i novizi si recavano all’ospizio denominato dei “Cento Vecchi” di Firenze per una forma di volontariato consistente in animazioni e colloqui con gli anziani. Lo colpì particolarmente un uomo di quasi cent’anni in carrozzella e completamente cieco il quale ogni volta che lo incontrava ringraziava e lodava il Signore per quella visita.
P.Nando voleva che i novizi conoscessero bene l’Ordine ed ogni tanto organizzava un pulmino per recarsi insieme a loro presso i vari conventi italiani.
Li portò a Roma presso il collegio di Sant’Alessio dove stettero due settimane incontrando anche papa Giovanni Paolo II nella sala Nervi durante l’udienza del mercoledì. In seguito si recarono a Torino presso il convento della Superga, a Genova, Forì, Bologna. Tra i soggiorni più interessanti fu quello dell’Eremo dell Stinche nella Val del Chianti. Lì ebbe modo di conoscere da vicino la grandezza e la santità di p. Giovanni Vannucci che lo ascoltava sempre molto volentieri per le sue aperte vedute e le sue considerazioni mistiche che inducevano allo stupore continuo per l’esistenza.
L’Ufficio liturgico era molto particolare: oltre alla salmodia tradizionale, durante la celebrazione venivano letti testi appartenenti ad altre culture ed espressioni religiose come quella buddista,induista, ebraica, mussulmana ecc.
Un cane si adagiava ogni volta ai suoi piedi…
Trascorsero gli ultimi quindici giorni di noviziato in ritiro a Poschiavo (Svizzera italiana) guidati dal saggio Reginald Gregoire, da cui attingevano molta spiritualità. Il giorno del pronunciamento del voto annuale furono presenti i suoi amici Fabrizio Di Bernardo (componente del coro di Santa Cecilia di Roma), Walter Themel (direttore d’orchestra) ed Aldino Tosolini con suo padre.
Monte Senario è sempre rimasto nel suo cuore come un bellissimo periodo di pace interiore e di serenità che lo aiutarono molto ad affrontare i successivi stadi evolutivi della sua vita, una specie di “Quercia di Mamre”
MONTEBERICO
Nel 1979 fu ospite all’Istituto Missioni di Vicenza, nei pressi del Santuario di Monteberico, insieme all’inseparabile Michele Capurso (ora parroco in Svizzera). Dopo la consueta liturgia della comunità, doveva frequentare il seminario arcivescovile dove si recava ogni mattina con la vespa, mentre il pomeriggio lo dedicava allo studio ed a collaborare con fra Germano in diverse commissioni o sistemare le camere per gli ospiti. Era priore p. Stanislao Cogo, molto paternalistico ma discretamente invadente. Vicino alla sua cella c’era quella di p. Albino Candido, nato a Rigolato, in Carnia, con il quale fece amicizia perché finalmente riusciva a dialogare a lungo con una persona che riteneva molto intelligente. Era davvero una persona straordinaria: grande poeta e un grande mistico. Padre Albino gli raccontava spesso dell’infanzia passata assieme a Padre Turoldo. Erano molto esuberanti, insieme. Gli confidava della sua situazione familiare, della povertà in cui viveva, degli usi sobri, dell’essenzialità quotidiana. Non avevano mai smesso di frequentarsi. Padre Albino ha avuto un ruolo molto importante nella produzione poetica di Padre Turoldo : ne era il principale ispiratore. Era riuscito a trasmettergli, tramite il suo esempio, l’amore per il Creatore, la continua ricerca e il fascino per il mistero. Durante i lunghi dialoghi gli aveva rivelato tante cose sulla vera umiltà e sulla grandezza del destino di ogni uomo che il Signore ama infinitamente. Gli lasciava anche leggere le pagine del suo diario che trovava meravigliose per la ricchezza spirituale in esse nascosta. Andava a confessarsi da p. Andrea Cecchin (attualmente è in corso la causa per la sua beatificazione) nel Santuario di Monteberico, a pochi passi dall’Istituto. Mi dice spesso che era davvero una persona molto saggia e paziente.
A fine settimana Pier Angelo dava una mano nella Cancelleria del Santuario. A volte seguiva l’anziano fra Domenico per la questua con il furgoncino e così ebbe modo di conoscere molte famiglie del vicentino. Aveva spesso, però, un sottofondo di insoddisfazione che non riusciva bene ad individuare e che anni prima Davide Montagna definiva il “tarlo”. Confidò questo “tarlo” a p. Albino Candido il quale, con sorpresa, gli disse che secondo lui non aveva la vocazione e che avrebbe dovuto lasciare i Servi di Maria. Ciò lo mise in crisi. A dire la verità p.Albino sosteneva spesso che la vocazione non era sua, ma quella di sua madre che lo spinse tra i Servi di Maria. Pier Angelo consultò pure p. Andrea Cecchin, p.Nando Perri, p.Aldo Lazzarin. Tutti gli consigliarono di uscire per almeno un anno e così fece. Ritornò a Isola da p.Ilario Marchesan e da qui partì alla volta di Buttrio, in provincia di Udine, nel collegio della sua adolescenza, dove fu assunto come assistente di una classe delle scuole medie. Il direttore era don Paolo Gervasutti ed apprezzò la sua buona volontà: seguiva i ragazzi nei compiti, durante la ricreazione ed organizzava per loro momenti di intrattenimento e gioco. Qualche giorno dopo lo chiamò e gli disse la verità: entro l’anno scolastico il collegio doveva chiudere. Gli consigliò di recarsi all’EFA di Udine perché al CFP di Cividale cercavano un coordinatore e così fece. Si recò a Udine, fece la domanda ed in seguito a Cividale ebbe un colloquio con il direttore Giovanni Cesca ed il suo collaboratore don Tita del Negro. Poi ritornò ad Isola Vicentina aspettando la risposta per l’assunzione che avvenne qualche settimana dopo.
La situazione del collegio era piuttosto sconcertante a causa dei danni causati dal terremoto del 76. I ragazzi dormivano al piano terra ammassati in cameroni improvvisati. La sua mansione fondamentale era quella di aiutare don Tita nell’organizzazione dell’attività collegiale, insieme a Pio Cudrig di Masseris di Savogna, del quale divenne amico. Seguiva i ragazzi negli studi serali ed organizzò anche il teatro di Carnevale coinvolgendo quasi tutti coloro che si dimostravano entusiasti. La sera si fermava a dormire in una stanzetta attigua ai dormitori per controllare che i ragazzi andassero tutti a letto e tutto fosse in ordine. Con i suoi primi stipendi aveva comprato un piccolo cine-proiettore che poi usava per fare la catechesi proiettando il film “Gesù di Nazareth” che i ragazzi gradivano molto. Don Tita apprezzava il suo entusiasmo e le sue iniziative ed un giorno gli confidò che era sua intenzione dimettersi e di cedergli il posto di direttore del collegio, il che lo mise a disagio.
Lavorava con impegno ed entusiasmo, ma intuiva che non poteva essere ancora la sua strada. Avrebbe voluto fare l’insegnante e per questo fece domanda alla Curia arcivescovile di Udine per insegnare religione. Fu accolta e gli inviarono le lettere di assunzione per due scuole: la Ellero e il Mattioni di Udine. E così presentò la lettera di dimissioni. Giovanni Cesca lo chiamò nel suo ufficio chiedendogli di rimanere perché lo avrebbe nominato insegnante di cultura generale e lui accettò, continuando però a collaborare la sera in collegio per seguire i ragazzi in difficoltà con lo studio. Nel frattempo si aggregarono gli insegnanti Giuseppe Toso, Mentore Valandro e l’anno successivo Giorgio Codarini con il quale fece amicizia perché apprezzava la sua grande preparazione culturale e con lui dialogava moltissimo.
DOCENTE AL CFP CIVIDALE (1982-2010)
Quando iniziò l’insegnamento al Centro Professionale negli anni ‘80, non gli fecero alcun esame di verifica sulle sue competenze: il direttore, Giovanni Cesca, nell’assumerlo si fidò solo del suo titolo di studio, delle sue esperienze e della testimonianza di don Tita del Negro. Era anche un po’ timido e preoccupato di verificare seriamente se aveva le reali capacità e la giusta preparazione per affrontare la formazione culturale di ragazzi che avevano scelto il Centro per svariati motivi, tra i quali anche i loro precedenti fallimenti scolastici. Aveva carta bianca su tutto: sui metodi di insegnamento e persino sui contenuti, anche se faceva riferimento ad un programma formalmente un po’ carente. Con sorpresa, però, gli allievi gli avevano sempre dimostrato affetto sincero ed anche riconoscenza, ma era consapevole che avrebbe potuto dare di più.
Alcune lezioni erano basate su dialoghi particolari che facevano riferimento alla loro realtà esistenziale e a volte queste lo distoglievano dai contenuti che aveva progettato di trasmettere. La funzione di educatore sembrava prevalesse su quella del formatore professionale. Un suo metodo pratico consisteva, comunque, nel seguire una piccola dispensa, trasferire i contenuti in slides che proiettava sul muro, commentare le proposizioni visualizzate ed associate a qualche immagine, soffermarsi sul significato delle parole e dei concetti più ostici, proiettare filmati inerenti agli argomenti trattati e concludere la lezione con qualche considerazione, rispondendo spesso alle domande più varie degli allievi. Dopo due o tre lezioni dava loro dei quiz sugli argomenti trattati, e in base agli errori od omissioni, assegnava una valutazione (più obiettiva possibile). La sua pedagogia consisteva nello stimolare in loro qualche curiosità culturale, presumendo che avrebbero approfondito qualcosa da soli. A volte si trovava spiazzato di fronte alla refrattarietà nell’apprendere di molti allievi. Per questo era più propenso ad un insegnamento creativo, che non considerava in modo prioritario il risultato delle tradizionali verifiche, ma l’interesse emotivo degli allievi. Essendo molti ragazzi particolarmente avulsi alla scuola tradizionale, l’unico modo per coinvolgerli nelle materie teoriche era quello di farli sentire importanti e capaci di esprimersi attraverso il dialogo ed il confronto in classe.
Molti allievi che frequentavano il Centro erano o “drop-out” delle scuole superiori o scolari che la scuola media non era riuscita a recuperare e venivano orientati dagli stessi insegnanti. Constatava che alcuni ragazzi provavano un po’ di avversione per le materie teoriche che ritenevano completamente inutili. Miravano all’attestato di qualifica per poter dopo lavorare…Ma lui non si è mai scoraggiato e cercava di stimolare in loro almeno un po’ di curiosità su se stessi ed il mondo che li circondava.
Nello specifico insegnava “cultura generale”: Italiano, inglese, storia, geografia, diritto, economia, sicurezza sui posti di lavoro, politica dell’Unione Europea, legislazione sociale del lavoro, ecologia ambientale. Schernendosi si definiva un “tuttologo”. “Si può davvero insegnare seriamente tutte queste materie?” – si chiedeva. Oltre a prepararsi seriamente, effettuava verifiche serie su tutti questi contenuti in 7 – 9 corsi per un totale di 150-200 allievi ogni anno… L’orario di permanenza al Centro era dalle 8 del mattino alle 17,30. Dedicava molte ore a casa (a fine settimana) per correggere compiti e prepararsi.
Quando agli allievi ammetteva la sua ignoranza lo guardavano sbigottiti e si dimostravano un po’ increduli. Ma li faceva riflettere dicendo loro: “Chi si crede colto si soffermi a considerare a lungo la sua cultura frammentaria e capirà. Chi si crede saggio penetri a fondo la sua stoltezza e comprenderà. Ho letto molte cose, ma ho ancora moltissimo da approfondire. Penso sinceramente di conoscere ben poco rispetto a ciò che esiste. La mia ignoranza è davvero abissale. Coloro che mi credono colto non si rendono che ognuno di noi ha una cultura piuttosto frammentaria. In tutti i campi dello scibile umano sono profondamente lacunoso, compreso l’informatica. Avverto in me una sorta di analfabetismo di ritorno su molti aspetti della cultura moderna. Non meravigliatevi di ciò che dico, ma è la realtà. Più si invecchia e più ci si rende conto che ci sono infinite cose che non conosciamo…”
Era convinto, comunque, che un giovane non dovrebbe essere preparato solo a trovare un lavoro o a diventare scaltro in una società sempre più furba. Il significato originale ed etimologico della parola educazione viene dal latino “e-ducere” che significa letteralmente condurre fuori, quindi liberare, far venire alla luce qualcosa che è nascosto. La vera educazione inizia con l’autoconsapevolezza. E’ molto difficile intuire chi realmente siamo. Nell’educazione intesa nel senso comune la mente viene riempita di dati, informazioni, relazioni, progetti, ideali… ma non le diamo mai l’opportunità di svuotarsi per dare spazio ad un altro tipo di riflessione che converge sulla nostra identità più profonda. Una sana educazione dona spazio alla propria sensibilità che, se viene opportunamente espressa, si ripercuote positivamente sull’autoaccettazione e sul rapporto con gli altri e la natura. Un tecnico professionalmente preparato, un dirigente che sa come organizzare l’ambiente di lavoro, un imprenditore che conosce molti dinamismi per investire accumulando capitale, ma che non sa essere sensibile verso la vita ed il prossimo, ha fallito parzialmente la sua missione. Non ha tenuto conto dell’aspetto integrale della sua persona che è correlato alla capacità di osservare, indagare, capire in profondità la vita, e, soprattutto, amare. L’educazione giusta, quella che realmente ogni formatore od insegnante dovrebbe trasmettere, non è solo finalizzata alla preparazione professionale, ma è anche sensibilizzazione, stimolo all’autoconsapevolezza, alla ricerca più interiore, all’amore per la vita e per il prossimo. “Ciascuno cambi se stesso per cambiare il mondo” diceva Krishnamurti. Oppure: “Non serve dare risposte, ma spronare gli uomini alla ricerca della verità”:
Durante le lezioni amava spesso scherzare con i ragazzi: Sosteneva che la vita è vissuta in base alla prospettiva con cui ci poniamo. Per chi tutto è tragico la sua vita è una immensa tragedia. Tantissimi si prendono troppo sul serio e si comportano come se tutto dipendesse da loro e soffrono se non si sentono protagonisti. Con questo tipo di approccio vivono sempre insoddisfatti di se stessi e degli altri. Il loro perfezionismo è un eccesso del “sé”, una ipertrofia dell’io che fa star male se stessi e chi ha a che fare con loro in qualche modo.
Anche gli allievi amavano scherzare con lui. Un giorno trovò sul pavimento del corridoio una pista ricoperta di fiori che conduceva fino alla scrivania…
Una volta gli chiesero il perchè delle sue incipienti calvizie e lui fece loro questa constatazione: “Dio ha creato miliardi di teste. Quelle venute meno bene le ha ricoperte di cappelli…”
Alcuni allievi di un corso, durante un dibattito in classe, esibivano con autosufficienza il loro ateismo. Nel frattempo un insetto abbastanza voluminoso e un po’ rumoroso gironzolava e non c’era verso di farlo uscire o di catturarlo. Ad un certo punto puntando il dito ed aprendo la porta gli ordinò a gran voce di uscire e così fece sotto lo sguardo sbigottito dell’intera classe.
I ragazzi cambiarono subito atteggiamento e si misero a chiedere cose riguardanti l’esistenza dell’anima e dello Spirito.
Una delle strategie più originali che aveva usato durante la lezione per monitorare il grado di attenzione dei suoi allievi fu quella di inserire, a volte, delle cose assurde durante la spiegazione quando notava un notevole calo di attenzione da parte degli allievi. Ad esempio: “L’Italia è una monarchia fondata sulla disoccupazione.” Oppure: “I quattro Evangelisti erano tre: Pietro e Paolo.” O anche:” L’Unità d’Italia inizia con il Rinascimento ad opera di Pico della Mirandola.” Pochissimi allievi se ne accorgevano
Alle volte per placare gli allievi che gli facevano notare troppo presto che l’ora di lezione volgeva al termine quando mancavano 10 minuti diceva loro che ci volevano ancora 600 secondi prima del termine della lezione, oppure 6000 decimi di secondo… così rimanevano a pensarci su.
Quando un allievo disturbava la lezione per mettersi in evidenza, escogitava strategie molto particolari…
Una volta chiese alla classe di applaudire ad ogni battuta sciocca di un allievo che era molto pedante. Dopo di allora riuscì a fare lezione normalmente.
Fu in quel periodo che consegnò a Carlo Rubbia il suo libro “La Spirale della Vita”.
A Roma un ragazzino consegnò il suo libro a papa Giovanni Paolo II, il quale ringraziò Pier Angelo personalmente con una lettera personale.
MAURIZIO
Maurizio è un amico di Pier Angelo che conobbe da fanciullo nel collegio di Buttrio. Uscito dal collegio egli gestiva, insieme a sua madre, l’edicola di piazzale Diacono di Udine. Si trovavano spesso a dialogare insieme, soprattutto la domenica spaziando dai grandi scrittori e poeti ai filosofi. È un vero autodidatta: la sua biblioteca personale è fornitissima perché vi aveva investito un capitale. Sono sempre rimasti molto amici. Maurizio scriveva anche belle poesie e lui gliele fece pubblicare organizzando un libretto con gli stessi allievi grafici ed intitolando l’opera “Professione uomo” che poi presentò pubblicamente grazie a don Claudio, allora parroco del “Redentore” di Udine. Lui gli consigliò di acquistarsi un computer e dopo alcune titubanze lo comprò e così poté scrivere i suoi appunti che gli permisero di comporre un libro dal titolo “In intimità con il padre”, Il quale fu presentato ufficialmente dal critico Mario Turello.
P.ALBINO CANDIDO
Padre Albino Candido, Servo di Maria morto a Udine nel 1992, è stato un grande monaco poeta e mistico carnico, amico d’infanzia di Padre Turoldo. Il suo diario è una riflessione poetica sulla vita, sulla Creazione e su Dio.
Padre Albino è stato anche consigliere spirituale di Pier Angelo ed amico sincero per diversi anni. Un giorno Pier Angelo ebbe l’ardire di chiedergli di poter leggere il diario che sapeva scriveva abbastanza frequentemente. Lo trovò profondissimo: intriso di spiritualità, altissima poesia e molto umano. Lo commosse profondamente. Pier Angelo è sempre stato convinto di trovarsi vicino ad un uomo di Dio, un vero santo. Quel diario lo convinse ancor di più e gli chiese di poterlo pubblicare. Naturalmente declinava la sua richiesta per umiltà. Dopo un lungo periodo di insistenze, considerando la sua umile ritrosia, gli fece osservare che il diario avrebbe potuto aiutare molte anime sulla via spirituale.
Lo aveva messo molto in imbarazzo: rifletté a lungo e un po’ malvolentieri nel 1990 gli concesse la sua pubblicazione che intitolò: “Diario di un pellegrino carnico” (400 pagine)
Lo dedicò anche a lui: “Al signor Pier Angelo Piai, per il suo incoraggiamento e le sue esortazioni a vincere le mie perplessità: anche la foto in copertina è stata realizzata da lui”
Padre Albino morì poco tempo dopo. Pier Angelo pianse molto. Probabilmente la Provvidenza ha voluto che lasciasse la testimonianza del suo diario per i suoi imperscrutabili disegni. Tra sé Pier Angelo diceva che aveva fatto bene ad insistere sulla sua pubblicazione perché aveva il presentimento che Padre Albino sarebbe stato chiamato presto da Signore e desiderava il permanere di qualche sua traccia…
Padre Albino una notte gli apparse in sogno chiedendogli dieci messe e lui gliele offrì volentieri. Da allora avverta la sua presenza silenziosa anche attraverso il suo Diario: quando ha bisogno di consigli od ispirazioni lo apre sempre a caso e trova davvero moltissime risposte o constatazioni circostanziate. E così per altri suoi amici che lo sostenevano in vita.
Pier Angelo pensa, da come lo ha conosciuto intimamente, che Padre Albino possa essere dichiarato dalla Chiesa Santo. Uomo di Dio, pieno di carità verso i suoi confratelli ed il prossimo. Riusciva anche a vincere il suo rude temperamento carnico pensando spesso a Dio ed alla sua creazione piena di mistero che lo affascinava. I suoi discorsi erano spesso spirituali, il resto lo annoiava.
Da padre Albino, diventato anche nostro amico di famiglia, abbiamo imparato molte cose, soprattutto a credere nell’infinita misericordia di Dio.
MEDJUGORJE
Una sera del 1982, mentre i ragazzi svolgevano i loro compiti, gli capitò di leggere un articolo di una settimanale che trattava del fenomeno delle apparizioni di Medjugorje. La cosa lo incuriosiva, anche perché anni prima percepiva che ci sarebbe stato un fenomeno simile che sarebbe durato molto tempo. Cominciò ad indagare ed a interessarsi del caso ma desiderava andare là. Alla Santuario delle B.V. delle Grazie di Udine (dove spesso alloggiava a fine settimana dando una mano alla cancelleria) conobbe Maria, una professoressa in pensione con la quale ebbe l’occasione di parlarne. Decisero di recarsi sul posto insieme ad Angela, una giovane fisioterapeuta che operava alla “Quiete” di Udine, persona molto religiosa. Partirono al mattino con la sua vecchia auto e percorrendo la bellissima costa dalmata arrivarono il pomeriggio. Davanti alla chiesa parrocchiale trovarono un frate che li indirizzò presso una famiglia del posto per essere ospitati. Fu un’esperienza molto particolare e profonda. I veggenti non conoscevano ancora la lingua italiana, ma erano molto disponibili a raccontare i fatti, anche grazie all’intermediazione di Maria che conosceva bene la lingua croata. Poterono tranquillamente accedere nelle case di Viska, di Marja e di Ivan. Conobbero anche Ivanka ed Jacob e parteciparono alle varie funzioni: le apparizioni avvenivano in sagrestia. Quella volta c’era solo la chiesa parrocchiale. Salirono anche sul Pdboro e sul Krisevac per la via Crucis. Lui riuscì con la sua telecamera ad effettuare alcune riprese. Ritornarono a casa spiritualmente sereni e contenti dell’esperienza. Lui riuscì a montare il video con le riprese e cominciò a proiettarlo nelle parrocchie, nelle comunità religiose e nelle famiglie private. Fu a casa di Bianca Favi che conobbe il regista Marcello De Stefano, con il quale nacque un’amicizia e decisero in seguito di realizzare un film su Medjugorje ritornando là più volte con viaggi organizzati per intervistare i singoli veggenti, padre Jozo e molti altri testimoni. Da quella volta cercò di frequentare l’Eucaristia ogni giorno: da essa traeva la forza interiore per affrontare la giornata ed il duro lavoro di insegnante, in mezzo a ragazzi con moltissimi problemi personali e disciplinari. Grazie alla fede ebbe anche la costanza di ricevere a casa molta gente che cercava consigli ed aiuto per la propria salute spirituale e corporale. Dopo il lavoro, verso sera, c’erano sempre delle persone che l’aspettavano e lui le ascoltava, imponeva loro le mani e così si sentivano meglio. Vide casi di guarigioni che non avrebbe mai immaginato e ringraziava il Signore per questo. In quelle occasioni imparò ad intuire come la psiche influenza il corpo e come lo stato d’animo determina situazioni di benessere o malessere psico-fisico. Per questo cominciò a prendere appunti per un libro che poi pubblicò con una tipografia di Ziracco (Graphic stile): “La spirale della vita” , in cui sviluppava concetti di antropologia, cosmologia, teologia, spiritualità e filosofia considerando il leit-motiv della spirale che si ritrova in natura, nell’Universo e nell’uomo stesso. Riuscì a presentarlo ufficialmente presso il Palazzo della Provincia di Udine grazie al sostegno del circolo culturale J.K.Kennedy di Remanzacco tramite la convinta segnalazione del diacono Gianfranco Zuliani, uomo di profonda cultura biblica e del quale divenne amico.
FAMIGLIA
Pier Angelo ed io ci conoscemmo negli anni ‘80 e cominciammo a frequentarci. In seguito decidemmo di sposarci. La cerimonia si svolse nella chiesa di Santo Spirito a Udine, presse le Ancelle della Carità, con le quali Pier Angelo aveva buoni rapporti di amicizia perché si recava a fare una visita alle suore ammalate e si intratteneva spesso sia con le suore attraverso piccole conferenze che con le giovani allieve del convitto per la catechesi. Mio fratello Giorgio, nel giorno delle nozze (21 settembre 1985) preparò un rinfresco memorabile per la sua creatività culinaria: ne conserviamo ancora le fotografie.. Il viaggio di nozze è stato semplice ma intenso: ci recammo a Montesenario, sopra Firenze, poi a Siena ed a Montefalco.
Per 4 anni abitammo in un appartamentino in affitto in via Leonardo da Vinci, a Cividale. Tramite la famiglia di Zanon Dario che frequentavamo spesso, ci inserimmo nella comunità parrocchiale del Duomo cittadino partecipando alle varie attività liturgiche e di volontariato alla Casa di Riposo. Facemmo amicizia anche con i coniugi Virginio e Maria Sibau e frequentavamo anche il loro gruppo di preghiera. In questo contesto conoscemmo Sebastiano Rodante, pediatra e noto sindonologo di Siracusa la cui figlia Gabriella sposò Stefano Paussa, figlio di Beppino Paussa e Rosita. Quando Sebastiano si recava a Cividale presenziava al gruppo di preghiera. Ascoltavamo volentieri i suoi interventi accorati riguardanti le ultime scoperte sul Sacro telo, argomento che lui trovò sempre molto interessante sin da giovane. In quei quattro anni facemmo molte conoscenze e venivamo invitati dagli amici a partecipare ad incontri e festeggiamenti. La vena umoristica non mancava mai a Pier Angelo ed aveva anche molte occasioni per far divertire gli altri. Ha sempre sostenuto che una sana risata fa sempre bene per la salute del corpo e della psiche.
Nel 1990 ci trasferimmo in Via della Croce, a Rubignacco di Cividale inserendoci anche in quella piccola parrocchia tramite il parroco don Adriano Cepparo che propose a Pier Angelo di partecipare al Consiglio Pastorale e di collaborare per la catechesi ai ragazzi delle scuole medie e superiori e prepararli così a ricevere il Sacramento della Cresima.
Nel 1991 nacque Anna. La chiamammo così proprio perché avevamo invocato sant’Anna, la quale ci esaudì tramite la sua intercessione.
Fu proprio in quell’anno che Pier Angelo pubblicò la seconda edizione della sua opera saggistica: “La Spirale della vita – Una proposta di ricerca sul senso dell’Universo”. Fu presentato a Udine nel Palazzo Belgrado, sede dell’amministrazione provinciale di Udine alla presenza del Presidente della Provincia, avv. Giovanni Pelizzo
In seguito fu presentato a Remanzacco nella sede del Circolo Culturale Giovanile J.F. Kennedy dall’amico regista Marcello De Stefano. Si tratta di un’intuizione basata sul simbolismo della spirale, per dimostrare che l’uomo ha già inscritto nel suo progetto, fin nel suo patrimonio genetico contenuto nel DNA, la tensione all’autocreazione verso la libertà ed è destinato ad altre dimensioni che potrà raggiungere attraverso un graduale e faticoso distacco dal suo nucleo di partenza.
In questa appassionata ricerca personale Pier Angelo considera i vari simboli cosmici che ognuno di noi, senza pregiudizi, può riscontrare nella vita quotidiana.(ad esempio la microspirale del DNA e la macrospirale galattica ecc.).
Il libro è stato apprezzato in molti ambienti culturali (tra i quali anche l’Università della Sapienza) ed una copia fu consegnata personalmente a Roma In Basilica all’allora papa Giovanni Paolo II il quale ringraziò Pier Angelo tramite una lettera dal Vaticano.
Il regista Marcello De Stefano, uomo di profonda cultura umanistica, ha sempre affermato di aver collocato questo libro nella sua biblioteca insieme ai grandi filosofi, perché – sostiene – verrà più apprezzato in un futuro non lontano.
P. Davide M. Turoldo, amico di Pier Angelo da tanti anni, dopo averlo letto con molto interesse, espresse l’intenzione di presentarlo a Udine. Purtroppo proprio nel periodo stabilito si ammalò e non riuscì a venire in Friuli.
Don Pietro Lepre, sacerdote e teologo, in un suo video esternò alcune sue intuizioni che da anni meditava e che trovò incredibilmente corrispondenti a quelle del libro.
I VIAGGI RISOTERAPICI
Don Luigi Paolone, allora parroco di Torreano, organizzava spesso viaggi per i suoi parrocchiani e limitrofi. Venne a sapere della sua capacità di intrattenere le persone con i suoi sketch e le imitazioni. Gli chiese di accompagnarlo insieme a me nei vari viaggi come animatore e lui accettò. Durante i viaggi riusciva ad intrattenere per ore le persone a bordo del pullman coinvolgendole direttamente, intervistandole, dando spazio alla loro improvvisata creatività nel raccontare barzellette, episodi curiosi, nel fare imitazioni di ogni tipo, ma anche nel dare qualche accenno culturale sulle località che si apprestavano a visitare. Accadevano episodi molto divertenti anche durante le varie escursioni in giro per l’Europa. Una volta a Lussemburgo, nel centro cittadino, si mise d’accordo con tutti nel fare finta di seguirlo come guida turistica davanti ad un monumento moderno di una piazza. Cominciò ad esibirsi gesticolando e parlando una specie di tedesco maccheronico fluente inserendo parole che suonavano altamente culturali. Una folla di turisti cominciò ad aggregarsi, ma tutti erano sbalorditi perché non riuscivano a capire quel tipo di tedesco… si sparse persino la voce che la comitiva era dello Shlewig-Holstein. Il divertimento era assicurato!
Un’altra volta, mentre eravamo diretti a Bratislava, nella Cecoslovacchia comunista, si mise d’accordo con don Luigi (detto “Cicci) per simulare una guida turistica che li avrebbe dovuti accompagnare. Fece fermare il pullman in modo che i viaggiatori credessero alla salita di questa nuova guida cecoslovacca (si aprì solo la portiera). Poi lui, seduto davanti, sul sedile più basso rispetto agli altri, si mise su una parrucca da donna e con il microfono in mano avvisò tutti, in un italiano stentato e con voce in falsetto femminile, di essere “stata incaricata” dal Partito Comunista in qualità di accompagnatrice e doveva vigilare affinché tutti, durante le escursioni, stessero in fila, due a due senza mai allontanarsi dal gruppo, ed elencò una serie di regole molto rigide che dovevano assolutamente rispettare, pena la prigione. Naturalmente eravamo tutti sbigottiti e spaventati e qualcuno espresse in friulano il desiderio di ritornare indietro. Lo scherzo durò quasi dieci minuti, poi don Luigi non riuscì più a trattenersi dal ridere e lo rivelò pubblicamente. La risata liberatoria finale è rimasta tutt’oggi nella memoria di tutti.
Durante un altro viaggio, ci fermammo a Colonia e proprio davanti al maestoso Duomo c’era un gruppo di peruviani che si esibivano con i loro suoni e canti. All’improvviso ebbe un’idea e a breve distanza da loro, cominciò ad imitare alcuni animali facendo cantare tutta la comitiva “Nella vecchia fattoria”. Il capannello dei turisti dai peruviani si spostò divertito attorno a noi ed alla fine, con il cappello in mano, riuscii a racimolare alcuni marchi.
Ci recammo in numerosi posti: Parigi, Londra, Svizzera, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Budapest, Bratislava ecc. ma al ritorno eravamo tutti soddisfatti perché liberati dalle tensioni della routine quotidiana.
Molti altri furono gli scherzi che Pier Angelo effettuò in varie occasioni. Una volta a Carnevale, insieme a Maurizio, si recò con la telecamera sul castello di Udine commentando in finto inglese la città dall’alto. Si formò un capannello di gente credendo fosse la BBC e ci furono persone che si proposero di spiegare un po’ di storia di Udine, convinti di poter far conoscere la loro amata città. Siccome non si aspettava tanta gente, dovette stare al gioco affermando che doveva recarsi al Carnevale di Venezia, e così se la svignò.
Gli successe un altro fatto molto buffo. Si ritrovò casualmente a Udine in piazza San Giacomo e vide un gruppo di persone con il naso rosso da clown che cercavano di dimostrare che ridere fa bene alla salute. Però loro non ridevano. Allora si avvicinò ad uno di loro e fece finta di essere un tedesco che chiedeva loro delle informazioni sulla loro organizzazione. Naturalmente era un tedesco maccheronico e quindi non poteva capirlo e così chiamò un collega che aveva studiato bene la lingua. Ma anch’egli non riusciva a capirlo e si rivolse ad altri compagni che cercavano di ascoltarlo attentamente. Dopo qualche minuto lui rivelò loro in friulano la sua identità. Scoppiarono a ridere di gusto e lo fecero esibire di fronte a tutti nell’imitazione del tedesco, dell’inglese, del russo, dello sloveno, dell’arabo e del cinese.
Una sera ci ritrovammo con il simpatico amico Mario Miani a Giassico, dove c’era la festa dedicata alla memoria di Cecco Beppe. Appena videro la telecamera di Telefriuli, si improvvisarono austriaci ed il cameramen cominciò a riprenderli mentre dialogavano animatamente in tedesco maccheronico.
Alcune persone, tra amici e conoscenti, del mondo di Pier Angelo:
MARCELLO DE STEFANO (regista friulano)
BEPPINO DELLA MORA (presidente confartigianato del Friuli)
DOMENICO ZANNIER (poeta)
ALBINO PEROSA (musicista)
NICOLINO BORGO (teologo)
PIER LUIGI DI PIAZZA (intellettuale)
FRANCO FORNASARO (farmacista e scrittore)
ANDREA PANONT (scrittore)
WALTER THEMMEL (direttore di orchestra)
ANTONIO QUALIZZA (organista di Cividale)
ARRIGO POZ (pittore)
NATALE ZACCURI (insegnante e politico di Udine)
ENRICO MARRAS E ALIDA PUPPO (artisti)
dott. SEBASTIANO RODANTE (pediatra e sindonologo di Siracusa)
avv. GIOVANNI PELIZZO (presidente della Provincia di Udine)
NOVELLA CANTARUTTI (poetessa friulana)
OTTO D’ANGELO (artista friulano)
LORENZO PALUMBO (artista cividalese)
don BRUNO BACCINO (scrittore storico)
TONI ZAVATTA (giocoliere di strada)
RENATO TOSO (artista)
ANTONIA SALZANO (madre di Carlo Acutis)
mons. PIGANI (musicista)
mons. LORIS CAPOVILLA (segretario di papa Giovanni)
ANGELO BACCI (della Biennale di Venezia)
ALCUNI CORSI FREQUENTATI DA PIER ANGELO
CORSI DI ORIENTAMENTO UMANISTICO, ANTROPOLOGICO E CULTURALE
– Lingua e Letteratura italiana,
– Lingua e Letteratura inglese,
– Lingua e Letteratura francese,
– Storia Medioevale,
– Geografia politica ed antropologica
– Istituzioni Giuridiche comparate
– Antropologia filosofica
– Correnti filosofiche
– Storia delle religioni
– Introduzione biblica
– Metafisica ed onto-metafisica
– Filosofia morale
– Greco biblico
– Lingua ebraica
– Lingua tedesca (Università di Vienna)
– Lingua inglese
– Introduzione generale all’AT
– Introduzione generale al NT
– Filosofia teoretica: Metafisica
– Orientamento psico-pedagogico
– Psicologia dell’età evolutiva
– Correnti del pensiero contemporaneo
– Pedagogia
– Storia della filosofia
– Corso generico di Metodologia
– Teologia dogmatica (Trinità)
– Cristologia (Antropologia Teologica)
– Morale della vita fisica
– Teologia fondamentale
– Storia della Chiesa
– Patristica
– Morale fondamentale
– Introduzione alla Teologia
CORSI ORIENTAMENTO FORMATIVO E COMUNICATIVO
– Informatica di base per docenti
– Sicurezza sul posto di lavoro nell’ambito formativo
– Tecniche di comunicazione per docenti
– Gestione dell’impresa
– Antinfortunistica generale applicata alla piccola e media impresa
– Certificazione delle competenze per attività d’impresa
– Normative sul nuovo metodo di accreditamento per la scuola e la formazione p.
– Percorsi e strumenti per la progettazione e la gestione di orientamento educativo.
– Politiche per l’occupazione ed il lavoro
– Tipologie di tirocinio ed apprendistato
– Tecniche di base per il Tutoraggio
– Legislazione sociale
– Coordinamento e tutoraggio di attività formative di base
-Tecniche di Massaggio e Reflessologia
PIER ANGELO SCRITTORE
Pier Angelo da diversi anni si occupa della ricerca sul senso della vita terrena dal punto di vista filosofico, antropologico e teologico e della fenomenologia ad essa correlata.
Scrive per alcuni quotidiani e settimanali italiani e cura il blog www.mondocrea.it.
La sua prima opera libraria è stata “La Spirale della vita – Una proposta di ricerca sul senso dell’Universo pubblicata dal Circolo Culturale Giovanile J.F. Kennedy di Remanzacco (Udine), sotto il patrocinio della Provincia di Udine nel 1991.
Seguono il racconto “Come ci vedono dall’aldilà – Cronache di un vagabondo veggente (1994, Campanotto editore), il saggio Creati per creare – Una presa di coscienza della propria dignità di dei (1998, Edizioni Segno), il libro “I racconti di Elia (2003, Edizioni Segno), Il saggio “La paura di pensare”(2004, Edizioni Segno), “Tutta la terra si riverserà su questo monte”(Ed. Segno 2006) “Report sul 21° secolo – John Ethan Titor 2 dal futuro (Mjm Editore – 2009), il saggio “La paura di esistere” (Mjm Editore – 2012), la raccolta di racconti: “La saggezza nella fragilità” – Il saggio “La forza della fragilità” (edizioni Segno 2015) – il libro “Verso l’Eternità (edizioni Segno 2015) – ed il libro “La stimmatizzata di Udine” (edizioni Segno 2015)
COME CI VEDONO DALL’ALDILÀ
Nel 1992, grazie al Circolo culturale giovanile J.F. Kennedy di Remanzacco, Pier Angelo pubblica il libro “COME CI VEDONO DALL’ALDILÀ (Cronache di un vagabondo veggente), il quale viene presentato ufficialmente da Mario Turello.
Moltissimi sono gli interrogativi principali che affronta in questo racconto Luca Alberti, un vagabondo veggente alla ricerca di una sua identità: Come vivremo il grande trapasso della morte? Cosa ci aspetta nell’aldilà? Come vedono la nostra vita coloro che già vivono nella nuova dimensione immortale?”
Oltre a comuni amici e conoscenti scomparsi, gli appaiono dall’aldilà persone illustri come Leopardi, Bodhidharma, E; Drummond, Teilhard de Chardin, Teresa di Lisieux; Angeli e Santi lo aiutano nel suo cammino evolutivo fino al suo prematuro e definitivo trapasso.
Il racconto propone un avvincente viaggio nella dimensione più interiore dell’uomo per aiutarlo a liberarsi dallo smarrimento, dal frastornamento e dalla superficialità a cui sembra condannarlo l’attuale civiltà consumistica.
Nel 1997 il libro viene pubblicato anche dall’editore Campanotto.
CREATI PER CREARE (1998)
Il Libro di Pier Angelo “CREATI PER CREARE” è una riflessione sulla dignità dell’uomo ispirata dalla frase evangelica : “voi siete déi”.
Qui c’é una presa di coscienza sulla propria dignità di dèi”. Il libro è stato pubblicato dalle edizioni Segno e presentato a Udine dal prof. Vincenzo Mercante, collaboratore presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Trieste.
Si tratta di un saggio particolare. È tutto al positivo e si snoda in un fiume di ottimismo motivato e profondo, sprizzante fin dalle singole parole del titolo: creare, coscienza, dignità.
Il saggio ruota attorno a tre poli: l’Io, Dio, l’altro; si tratta di realtà che di continuo si intersecano, si condizionano e si esplicano in comportamenti più o meno armonici.
La perfetta riuscita deriverebbe da una equilibrata, conquistata e a volte sofferta fusione dei tre elementi nell’intimo di ogni essere vivente.
E’ stato scritto in cinque anni in un clima di riflessione, meditazione e preghiera. Desidero trasmettere alcune tra le più profonde intuizioni ed esperienze interiori affinché anche il lettore le possa trasmettere agli altri.
E’ sempre stato detto che l’uomo è una creatura. E ciò è vero. Perché si riflette così poco, invece, sul fatto che anche la creatura “uomo” può diventare “creatore” per partecipazione alla potenza creatrice di Dio, visto che è fatto a sua immagine e somiglianza?”
Questo libro è un appassionato tentativo di dimostrare, con valide argomentazioni antropologiche, bibliche e teologiche (ancorate all’humus cattolico), che ogni uomo è un Dio e come tale è anche “creatore”, come lo stesso Cristo ribadiva citando il versetto del salmista; “voi siete dèi”! (cfr.Gv.10,34)
Forse abbiamo puntato troppo sul fatto che siamo “vermi”, nullità, peccatori”. L’eccesso ci può portare ad una falsa umiltà che rischia di inibire il nostro slancio spirituale perché considera solo la nostra fragilità di poveri esseri spazio-temporali schiacciati da dolore, dalla sofferenza, dal peccato e dalla morte.
I RACCONTI DI ELIA(2003)
Vengono pubblicati nel 2003 dall’Editore Segno “I RACCONTI DI ELIA”.
Si tratta di una serie di racconti sulla saggezza in cui lo stile narrativo di Pier Angelo è immediato perché deriva da un’attenta osservazione del mondo interiore e di quello esterno. I racconti sono il frutto di riflessioni sull’etica ed hanno il compito di sensibilizzare i giovani e gli adulti ad una presa di coscienza della realtà che li circonda per non lasciarsi eccessivamente condizionare dai numerosi pregiudizi o da realtà strumentali della vita quotidiana. Servono anche come stimolo per l’esplorazione e la ricerca interiore. Sono utilissimi anche per la catechesi e la scuola dei giovani perché costituiscono un’ottima occasione di dibattito, riflessione collettiva e confronto sulla dimensione personale e sociale della vita.
LA PAURA DI PENSARE (2004)
È un saggio di Pier Angelo su un atteggiamento comune che si sta diffondendo….
Uno spettro si aggira per il mondo: il pensiero profondo. Oggi abbondano milioni di “spensierati” che non vogliono porsi il problema del senso della vita.
Tutti noi, però, nasciamo per raggiungere un certo grado di libertà, la quale è indissolubile con l’intelletto che va usato nella direzione per cui ci è stato donato: conoscere e amare il Creatore. La conoscenza di Dio richiede anche molta ricerca personale e coraggio. Lo si può cercare in tanti modi ma prima di tutto è necessario conoscere se stessi.
Chi non desidera approfondire la verità su se stesso e l’esistenza blocca la propria evoluzione e questo comporta dei disagi psicologici notevoli che spesso degenerano in depressione.
TUTTA LA TERRA SI RIVERSERÀ SU QUESTO MONTE (2006)
In questo volume Pier Angelo presenta le apparizioni di Maria, regina degli angeli custodi, alla veggente Paola Albertini di Pederobba.
REPORT SUL 21° SECOLO (2009)
Nel 2009 la casa editrice MJM di Meda (Milano) pubblica il libro di Pier Angelo “REPORT SUL 21° SECOLO” (Jhon Ethan Titor 2 dal futuro)
Attraverso un fantascientifico viaggio nel tempo, con questo suo libro, Pier Angelo desidera sensibilizzare il lettore a prendere coscienza del nostro comune modo di pensare ed agire, noi del 21° secolo che ci vantiamo di essere progrediti.
In che cosa consiste la vera evoluzione della specie umana?
Quando l’uomo potrà diventare davvero integrale?
Report sul 21° secolo cerca di dare alcune risposte ai moltissimi interrogativi che emergono in queste pagine scritte attraverso riflessioni e considerazioni
sul nostro modo di vita quotidiano, sulle nostre abitudini, sulla visione distorta del mondo e della vita che abbiamo acquisito spesso senza nemmeno rendercene conto.
LA PAURA DI ESISTERE (2012)
In questo libro Pier Angelo prende in considerazione i diversi tipi di disagio esistenziale cercando di dare alcune risposte efficaci su come gestirli.
Di fronte ai disagi della vita quotidiana ed alle sofferenze fisiche e psicologiche molti reagiscono in diversi modi: chi cerca di non pensarci dandosi ad uno sfrenato attivismo, chi si lascia andare ai piaceri effimeri della vita, chi subisce passivamente gli eventi superficialmente, chi vive nel terrore esistenziale che spesso sfocia anche negli attacchi di panico.
Inconsciamente serpeggia in molti animi la paura della stessa esistenza così carica di incognite e di mistero.
Ma se riflettendo in profondità prendiamo serenamente consapevolezza del significato degli eventi quotidiani che ogni giorno ci coinvolgono, sia dolorosi che gioiosi, ritroviamo una misteriosa Luce che illumina i nostri passi e ci guida verso una comprensione sempre più amplia del senso ultimo della nostra esistenza, la quale non è inutile, ma ha un valore inestimabile per ognuno di noi.
LA SAGGEZZA NELLA FRAGILITÀ (2012)
Pier Angelo raccoglie in un libro una nuova serie di racconti il cui protagonista è sempre il saggio Elia.
Questi brevi racconti hanno la finalità di far riflettere sulla saggezza della vita. Sono utilissimi per le famiglie, per gli insegnanti, per gli educatori in genere, perché contengono anche riflessioni sull’etica comportamentale e sulla filosofia della vita.
LA FORZA DELLA FRAGILITÀ (2015)Pier Angelo pubblica “LA FORZA DELLA FRAGILITÀ”con l’editore “Il Segno”. Si tratta di riflessioni in forma di preghiera sulle nostre debolezze personali.
Nella vita spirituale capitano spesso dei momenti in cui si prende coscienza della nostra fragilità e non si ha coraggio di pregare. Ma il Signore non è venuto per i giusti, è venuto per sanare le nostre anime. Queste semplici preghiere sono state formulate tenendo conto dei vari stati d’animo e delle inclinazioni negative che abbiamo. Nel libro Pier Angelo sostiene che se siamo consapevoli che il Signore guarderà il nostro cuore contrito, siamo anche convinti che Egli esaudirà le suppliche che Gli rivolgiamo per guarire dai nostri mali spirituali.
VERSO L’ETERNITÀ (2015)
Pier Angelo, in questo libro edito dall’editore “Il Segno” elabora delle considerazioni su alcuni messaggi della Regina della Pace di Medjugorje
Dal 1981 la Regina della Pace di Medjugorje ci dona migliaia di messaggi che riassumono ciò che la Chiesa ha sempre predicato. Essi appaiono semplici, ma hanno una logica e nascondono significati molto profondi sulla realtà della nostra vita e sul fine per cui viviamo. Basta solo accostarci senza pregiudizi. Essi sono una grande grazia per tutta l’umanità ed esortano alla preghiera, alla vita sacramentale, al digiuno, all’essenzialità ed alla sobrietà, alla contemplazione, al rispetto e all’amore per Dio e per il prossimo. Per questo motivo ha voluto pubblicare i messaggi che la Madonna trasmette a tutta l’umanità comprendendo un periodo di circa quattro anni. Ogni messaggio è seguito da un commento personale dettato dal desiderio di esprimere quelle vibrazioni spirituali che hanno suscitato in lui un clima di preghiera.
LA STIMMATIZZATA DI UDINE (2015)
Dopo tanti anni dalla pubblicazione del libro “Nel segno del dolore” (1992) scritto dall’amico don Adriano Menazzi (scomparso da poco), Pier Angelo ha pensato ad una ristampa più sintetica, citando solo alcuni brani del diario di Rina Covre, testimone diretta degli straordinari fatti mistici che avvenivano in Raffaella Lionetti, un’umile donna di origini pugliesi, che ha vissuto gran parte della sua vita a Udine e che ora è sepolta nel cimitero di Cussignacco. C’è anche la versione integrale del’intervista a don Adriano Menazzi, anche lui testimone diretto degli straordinari eventi.
Raffaella sosteneva di avere avuto una missione mondiale. Eppure desiderava essere nascosta. A distanza di tempo si intuisce quale fosse questa missione speciale: la sensibilizzazione delle anime verso l’Eucaristia.
L’ANIMA ESISTE, È IMMORTALE (e ce l’hanno anche i bimbi non nati) (2015)
L’embrione non è cosa, ma è una persona in divenire. L’uomo è un “io”, non un animale. Un grave errore si sta diffondendo oggi: il materialismo assoluto che vuole convincere con prove scientifiche che l’uomo è semplicemente un animale più evoluto e che l’anima immortale non esiste. La stessa Madonna, apparendo più volte a Medjugorje, ha denunciato il materialismo moderno mettendo in guardia l’umanità: per questo motivo nel 1982 portò fisicamente nell’aldilà i veggenti Viska e Jacov facendo loro vedere l’inferno, il purgatorio ed il paradiso…Viska nota che la gente crede che con la morte finisca tutto. Sostiene che ciò è’ un gravissimo errore: dopo la morte ci aspetta l’eternità.
IL BLOG www.mondocrea.it
www.mondocrea.it (nato dal precedente friulicrea), è un portale sulla creatività e sulla cultura gestito personalmente da Pier Angelo.
Lo scopo del sito è quello di valorizzare e di far conoscere i creativi di tutto il mondo che desiderano una certa visibilità (con testi, poesie, arte, cinema, pittura, scultura, musica ecc.), ma anche di comunicare riflessioni e considerazioni varie.
Il blog ha ora migliaia di pagine web.
Sono linkati anche più di 3000 video (cultura, sociologia, antropologia, spiritualità, religione ecc) che Pier Angelo continua a realizzare personalmente sulle varie tematiche – grazie anche all’aiuto di giovanissimi ex-allievi)
In questo modo qualsiasi “creativo” del mondo che lo richieda può usufruire di uno spazio. Il vantaggio è una migliore visibilità perché il blog ospita anche creativi molto conosciuti.
Questo sito-portale accoglie anche riflessioni, meditazioni, osservazioni, biografie, fotografie, video ed audio ecc.
Molti catechisti ed insegnanti di religione d’Italia scrivono ringraziando Pier Angelo con entusiasmo per questo sito che sta curando giornalmente da anni, sostenendo che è molto utile per la catechesi e l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado.
Qui Pier Angelo ha cercato di travasare la sua quarantennale esperienza di insegnante e catechista, tenendo conto dei supporti multimediali che ha sempre utilizzato. Spesso ha coinvolto anche ragazzi, molti dei quali hanno collaborato personalmente alla realizzazione dei video attraverso la loro disponibilità ed il loro tempo libero.
Molti siti importanti e riviste si sono interessate a www.mondocrea.it ponendo links su diverse pagine web. (Tra questi “Zenit” – che è un’agenzia di notizie specializzata nella copertura delle notizie sul Papa, sulla Santa Sede e sugli eventi della Chiesa -500.000 abbonati; “Duemila”, mensile di informazione culturale del Nordest; “Arte” che è una rivista molto prestigiosa; “riflessioni.it”, sito molto frequentato; ecc.)
Il sito-portale continua ad essere molto dinamico perché si arricchisce ogni giorno di nuove pagine web.
È stato proprio tramite questo sito che abbiamo potuto conoscere e coinvolgere direttamente alcune note personalità del mondo culturale, artistico e religioso:
Arrigo Poz, Fiorenzo Gobbo, Enrico Marras, Alida Puppo, Giuseppe Zigaina, Nane Zavagno, Beppino Lodolo, Domenico Zannier, Otto D’Angelo, don Nicolino Borgo, p. Ermes Ronchi, Rinaldo Fabris, Pierluigi Di Piazza, Marisa Haltiner, Marina Valmaggi, Andrea Panont, suor Cristina e tanti altri.
Per la sezione umoristica, Pier Angelo mi ha coinvolto direttamente inventando il personaggio di “Mariute”. Lo stesso Messaggero Veneto se ne era interessato in un articolo:
“Esperimento di teatro casalingo in rete è subito un successo
Teatro umoristico… “fai da te”, in senso letterale: scenette – all’insegna della comicità – realizzate in casa, riprese con una telecamerina e poi messe in rete. E l’esperimento, che porta la firma di due coniugi cividalesi, si è subito rivelato un successo.
Sono ormai migliaia i clic alla playlist caricata sul sito www.mondocrea (sotto la voce “Il mondo di Mariute”), ideato e curato – da anni – da Pier Angelo Piai, ora improvvisatosi regista-attore insieme a sua moglie Laura Bon (nome d’arte Mariute, appunto).
Un riscontro del genere è, dice la coppia, inatteso quanto gratificante: «Gli scopi di questa nostra iniziativa – racconta Pier Angelo – sono vari.
È un momento che risulta di svago per noi, anzitutto, ma che può regalare un sorriso anche a tante altre persone.
Una normale telecamera, un microfono portatile, un programma di montaggio… e il gioco è fatto.
Ne abbiamo realizzate decine, di video: Mariute si cala nei panni di vari personaggi, recitando in friulano e in italiano, imitando la mimica di cantanti famosi, facendo interviste, ballando. Per me e mia moglie è un modo per interrompere la routine quotidiana; per gli altri un’occasione di distrazione: proiettiamo le nostre scenette pure nelle case di riposo, e gli anziani si divertono. (l.a.)”
IL CANALE YOUTUBE universo interiore piaipier
È un po’ una missione che Pier Angelo cerca di portare avanti giorno dopo giorno. Avendo scritto anche alcuni libri di spiritualità e teologia (in un clima di preghiera e meditazione), riesce a trovare alcune risposte alle domande esistenziali, spesso anche prelevando il testo dai suoi articoli che aveva elaborato per realizzare i video del suo canale “UNIVERSO INTERIORE piaipier UNIVERSO INTERIORE piaipier” e http://mondocrea.it .
Il canale è dedicato a Maria Santissima e sta raggiungendo inaspettatamente i 30.000 iscritti con decine di milioni di visualizzazioni (così per il sito http://mondocrea.it ).
Ogni giorno cresce il numero degli iscritti anche perché chi si iscrive diventa membro della “Confraternita della Comunione dei Santi” per cui si possono beneficiare delle preghiere degli altri ed offrire anche le nostre (approvata dall’Arcivescovo di Udine mons. Andrea Bruno Mazzocato).
Pier Angelo, da parte sua, offre la Santa Messa (quasi quotidiana) per tutte le intenzioni degli iscritti.
LA POESIA DI PIER ANGELO
Questi poemetti che riporto sono dedicati a luoghi che Pier Angelo ama particolarmente e dei quali desidera mettere in evidenza le ricchezze storiche, architettoniche, monumentali e paesaggistiche che possiedono: La loro struttura è volutamente personale: endecasillabi grammaticali ad accenti liberi e quartine a rime alternate con il fine di coniugare passato e presente per far rivivere all’ascoltatore la magia dell’antichità rivista con gli occhi dell’uomo d’oggi e fargli apprezzare, così, la città in cui vive resistendo al disincanto della modernità insensibile al suo ricco passato.
AD UDINE ANTICA
Quando osservo dal suo Castello
la città che mi donò i natali,
mi è raro un momento più bello
perché lo spirito apre le ali,
per poi sui luoghi d’infanzia volare
sopra allo storico Giardin Grande,
che solevo per anni frequentare,
nelle mie infantili scorribande,
ai bei giorni di Santa Caterina
allorché di giostre si animava,
e cresceva in me l’adrenalina
con le novità che esso recava.
Da quel magico piazzale poi vola
l’animo mio nel dolce rimembrare
antichi luoghi come in moviola
con le loro piante a me sì care.
Nella scuola dedicata al Nievo
la leggenda amavo ascoltare
di chi costrui questo rilievo
che la piana voleva dominare.
Fu proprio Attila degli Unni re
che la grande Aquileia devastò:
fu tra i barbari il pieno di sé,
la romana civiltà egli annientò.
Ora si sa che il morenico colle
sin dai romani fu preso di mira
e che un console latino volle
mura i cui resti si ammira.
Lo sguardo tutta la città abbraccia
che da qui si sviluppa a spirale,
e poi penso quante sudate braccia
han travagliato per renderla tale.
Ma mille anni dopo Cividale
“Udene” divenne il suo nome:
fu Ottone che al “re” patriarcale
la donò, non si sa perché e come.
Bertoldo di Andechs la preferiva
alla ducale città più potente,
ed è qui che ormai stabiliva
il gran potere su tutta la gente.
Poi sotto i nobili del gastaldo
assunse il diritto di mercato,
diventando di fatto un araldo
del gran friulano patriarcato.
Quei periodi furon oscuri,
da Gorizia e Venezia contesa
gli interessi non furono puri
allo straniero s’era poi arresa.
La Patria del Friuli fu scossa
dalla vicina potente Venezia,
che con pretesti ed abile mossa
liberò le vie per la sua spezia.
Udene, che da tempo primeggiava,
poiché da’ patriarchi preferita,
Cividal ed Aquileia snobbava
ma poi fu nel più profondo ferita
dalla nota veneziana bramosia
che con cavalieri bene armati
cacciò i patriarchini difensor via
lasciando suoi nobili coi soldati.
Tra questi i conti di Savorgnano
da Aquileia furon discendenti
e Federico, nobil veneziano
divenne, ma dopo molti eventi.
Udene, centinaia d’anni dopo
ebbe i Savorgnan come signori,
li divideva come era d’uopo
poderi, case, preziosi ed ori.
Il casato Torre da una parte,
dall’altra i Savorgnano del Monte,
patrizi veneti poi sulle carte
non contenti del titolo di conte.
Fu l’imperatore Massimiliano
che, per estendere i suoi domini,
volle il dominator veneziano
ben sottomettere ai suoi confini,
poi scatenando atroci conflitti
nella povera patria friulana.
Calpestarono umani diritti
l’arma austriaca e veneziana.
In quegli anni piuttosto oscuri
il venezian Savorgnano Antonio
si trovava coi suoi uomini duri
a difendere il gran patrimonio
che la Serenissima deteneva
a Cividale ormai decadente.
Al ramo del Torre apparteneva
al servizio del gran Luogotenente.
Al suo nobil fianco combatteva
il bel nipote Luigi Da Porto,
il quale un incarico aveva
pur tra scritti e poemi assorto.
A più cavalleggeri comandava
come valido d’armi capitano,
la fiducia dello zio meritava
per sue doti e perché umano.
Nel palazzo Savorgnan invitato
per il suo prestigio conosciuto,
durante un gran ballo mascherato
ei rimase per un po’ come muto:
la fanciulla che avanti mirava
era veramente la più graziosa.
Lasciò allor chi lo accompagnava
e passò con lei l’ora preziosa.
Lucina era il suo bel nome,
una Savorgnan del ramo del Monte.
Luigi s’invaghì non sapendo come
e continuava a starle di fronte.
Da lei l’amor fu poi ricambiato
ma furon contrari grandi eventi:
la Zobbia Grassa aveva mutato
le sorti dei ben lontani parenti.
Monte e Del Torre antagonisti
a causa del tradimento d’Antonio
diviser i due protagonisti
che non potevano far matrimonio.
Il destino accanì con crudeltà:
Luigi fu poi ferito e accasciò.
Si erano promessi la fedeltà,
ma Lucina un Del Torre sposò.
Pensò d’esser da Lucina tradito,
Luigi ridotto come un rottame.
Scrisse la novella e fu ardito
nell’ambientarla in altro reame.
È già noto che il Genio inglese
conobbe codesta storia tradotta:
la trama in grande forma riprese
ed il dramma cambiò la sua rotta.
Or dall’ampio piazzale del castello
rivedo la impronta veneziana.
Piazze, vie e tutto ciò ch’è bello
l’antico splendore l’aria risana.
Vedo l’antica piazza Contarena
cinta da bei palazzi veneziani,
il colto visitator qui s’arena
a mirare le opere immani.
La gran Loggia dell’orafo Lionello
con le sue pietre bianche e rose
è per Udine un vero gioiello,
si distingue tra tante belle cose
che la nobile piazza adornano
ai piedi del gran colle castellano,
color che la vedono ritornano
e sempre di più Udine amano.
È sì noto per ogni udinese:
d’Ercole e Caco i monumenti
furon del Torriani, che si arrese
dopo delitti e molti tormenti.
C’è il porticato di San Giovanni
dalle colonne alla vista snelle.
Venezia fu causa di molti danni
ma donò a Udine cose belle.
Giovanni da Udine poi progettò
dell’Orologio l’amabile torre
che simbolo della città diventò
per indicar quanto il tempo scorre.
Fu poi sormontata dai due Mori
che da poco furono restaurati.
Batton le or unendosi ai cori
dei bronzi ovunque disseminati.
Sono di nuovo sull’ampio piazzale
che io frequentavo sin da bambino.
Le gran creste delle carniche Alpi
con le Giulie appaion più vicino.
Interrompe l’amabile visuale
l’abitato della Contadinanza,
poi lascio alle spalle il piazzale
per mirare tutto ciò che avanza.
vedo Santa Maria di Castello,
poi riscendo in piazza primo maggio:
tutto pare alla vista più bello
per me Udine è un gran omaggio.
Scorgo la Basilica mariana
che io frequentavo sin da infante.
Rapito da una musica strana
dell’organo mi fece un amante.
Osservo il Palazzo più avanti
che gli stupendi affreschi contiene:
del Tiepolo gli angeli e santi
e tante da lui istoriate scene.
Quando poi entro nel gotico Duomo
rimango silente a rimembrare:
or da anziano e fragile uomo
rivedo me infante a cantare.
Con Pigani, il musico maestro,
voci bianche nell’aere solenne
risonavano con aulico estro,
il ricordo resta in me perenne.
L’antica Udine oggi rifatta
non mi stanco più di rivisitare,
perché in me sempre si ricompatta
ciò che mai non potrò dimenticare.
A CIVIDALE DEL FRIULI (Patrimonio dell’Umanità)
Cividale s’adagia sulla piana
tranciata dalle forre del Natiso,
ignara della gloria che promana
dal nome Giulio Cesare inciso
in antiche pietre disseminate
dove lo sguardo ovunque sorprende.
E non v’è angolo che ricordate
senza che lo stupor il cor vi prende.
Il nome Forum Iulii ha donato
da secoli di antico splendore
alla Regione che ha dominato
fin al regno del veneto signore.
Dall’imponente ed antico Duomo
alla sobria chiesa di San Francesco,
Cividale incuriosisce l‘uomo
come davanti a fine affresco.
Dal diabolico ponte sul Natiso,
alla piazza del Diacono famoso,
il viandante s’illumina in viso,
e cammina senza alcun riposo
ovunque molti scorci ammirando,
istoriate mura di vecchie case
vicoli nascosti da chissà quando
tenendo in memoria ogni fase.
Chi è dentro al museo locale
e con critico animo osserva
ciò che per i colti assai vale,
varie sorprese in core riserva.
Pani di bronzo, asce e picconi
testimoniano gli insediamenti
di celtiche genti che più legioni
da Roma con vari armamenti
domarono nel corso degli anni,
dal console Cesare poi condotte,
colui che difese con più malanni
Aquileia dalle giapide rotte.
I posteri grati al condottiero
ne eressero la statua nel foro
per rimembrare al mondo intero
la Civitas ornata di alloro.
Dall’orde d’Alarico preservata
nel tempo di più grandi invasioni
e da Attila men considerata,
Forum Iulii ebbe più attenzioni.
Mentre Aquileia già soccombeva
sotto barbari colpi decadendo,
la Civitas di Giulio emergeva
ogni giorno d’importanza crescendo.
Il Nuovo Verbo presto si diffuse
a convertire assetate genti,
dagli dei pagani ormai deluse,
per trasformare i cor e le menti.
Poi Roma iniziò a disgregarsi,
Forum Iulii passò sotto i Goti
con Teodorico pareva rialzarsi
ma il potere lasciò molti vuoti.
Re Alboino con i suoi armenti
dal Preval scese in itale terre,
lasciò Gisulfo e le sue genti
col ducato a placare le guerre.
Bisanzio abbandonò i castelli
mentre i guerrieri longobardi
occuparono proprio i più belli
insediandovi i loro vegliardi.
Per più secoli uomini barbuti
si ingegnarono con le lor braccia,
ricuperando oggetti perduti
lasciando ovunque la loro traccia.
Armi, fibule, croci ed umboni
ritrovati in tombe riscoperte,
adornano i vistosi saloni
del museo che il colto diverte.
Un bel tesoro inestimabile
hanno lasciato nella gastaldaga,
un loco alla vista amabile,
dove ancor lo storico indaga.
È l’antico longobardo tempietto
con bei stucchi, affreschi e colonne,
un insolito vero gioielletto
ben degno delle sue nobildonne.
Ma non furono meno importanti
altre opere c’ancora s’ammira,
l’arte sacra dei suoi colti amanti*
nel cristiano Museo si respira.
Il Battistero del primo patriarca
con le sue otto colonne splende,
e l’ara del gran Ratchis un po’ parca
il lucano evangelo riprende.
Carlomagno intanto espandeva
l’impero che lui chiamava “romano”,
Forum Iulii il suo nome volgeva
in “Civitas Austriae”, ma non invano.
Evolse con gli anni questo nome
diventando l’attuale “Cividale”.
Fior di studiosi si chiedono come
abbia potuto diventare tale.
Ricordiamo il grande Paolino
dalla Schola Paladina del Magno,
che fu suo consiglier con Alcuino
per Cividale fu un gran guadagno.
Musico, teologo e poeta
non solo fu un patriarca saggio,
ma con la sua opera completa
per l’unione dei cristiani fu un raggio.
Poi venne il grande colto Lotario
la sua scuola di lettere fondando,
qui si formò il duca Berengario,
il Gran Impero stava rinnovando.
Non è di questo mondo il mio Regno,
ci disse Colui che fondò la Chiesa.
Il patriarcale seggio è segno
dei due poteri verso l’ascesa:
quello di Enrico l’imperatore
che concesse il temporal potere
a colui che scelse per amore
servire Cristo nel suo podere,
e quello del petrino successore
che un suo patriarca nominava
alla guida del gregge con onore,
ma sul quale purtroppo troneggiava.
Di patriarchi una lunga serie
conobbe il Friuli in quella era,
molti combatterono le miserie,
altri pensavano alla carriera.
Il grande Bertrando di san Genesio
molte riforme fece con amore
ma fu tradito da qualche vanesio
che da Cividale fu detrattore.
Da allora una cupa leggenda
si tramanda sulla maledizione,
proveniente da quella vil faccenda
sul patriarca e la uccisione.
A molti è nota la Santa Messa
in cui è brandita la gran spada,
di Randek Marquardo fu la promessa
che al nemico sbarrava la strada.
Per questa cerimonia ogni anno
arrivano genti da ogni parte,
ma molti dei visitator non sanno
che dietro al sacro si cela Marte.
Credono ad una benedizione
al dir il vero un po’ stravagante,
ma ignari della maledizione
per chi della spada è un amante.
Dopo l’aspra contesa con Udine,
il patriarcato senza vigore,
pur tra il martello e l’incudine
cedette al veneto invasore.
Della Serenissima bellicosa,
rimangono le marcate vestigia
su mura, facciate ed ogni cosa,
che’l ricordo defaticante pigia.
C’è il Pretorio in piazza del duomo
che dal gran Palladio fu abbellito,
ora ospita reperti che l’uomo
può ammirare se è erudito.
Il Duomo cittadino che primeggia
tra sobri edifici di valore,
sorge proprio accanto alla reggia
di chi lo bramava con più ardore.
Distrutto più volte dagli eventi
del ben fragile suolo friulano,
ricostruito da abili menti
di artisti chiamati da lontano.
Il visitatore più silenzioso
che le solenni navate ammira,
si sofferma in quel loco spazioso
perché il clima orante attira.
All’Assunta esso è dedicato,
e nella gran pala di Pellegrino
il suo trono vi è collocato
come richiamo per il cittadino:
il gran crocifisso incoronato
addita ognor al vero credente
quale Regno che lo rende salvato,
quello di Gesù Cristo il morente.
Il pellegrin che vede Cividale
nota con stupore le tante chiese
sì ricche di affreschi e gran pale
che le mani oranti rendon tese.
Tra queste è famosa San Francesco
per la ben rara gotica facciata,
in ogni suo interno affresco
la Sacra Scrittura è istoriata.
L’esile sua sagoma si staglia
sul Ponte del Diavolo nominato,
i riflessi del sole che abbaglia
son gioia al poeta ispirato.
Sei tanto bella o città ducale
che chi vi comincia a soggiornare,
si dimentica d’ogni suo male,
via da te più non vuole andare.
A BUTTRIO E VILLA TOPPO DI FLORIO
Sulla via da Udine a Manzano
c’è un paese che serbo nel cuore,
dalla mia Cividale non lontano
alle volte lì passo delle ore.
È Buttrio il suo attuale nome
che ha origini assai antiche,
dei suoi alberi sui colli le chiome
sin dall’infanzia mi sono amiche.
Da quelle verdi e dolci alture
ornate di viti assai preziose
si ammirano ricche sfumature
e non mancano a maggio le rose.
La villa dei nobili Toppo Florio
simil a quelle del veneto stile,
aveva cucina e dormitorio
per poveri di età infantile.
Fui ospite tra bimbi sfortunati
ben noti col nome “Mutilatini”,
da post-bellici residui segnati
a quel dolore li sentivo vicini,
perché il mio cuore mutilato
da un’infanzia con pochi affetti,
partecipe al lor mondo straziato
non vedeva i fisici difetti.
Eppure si correva spensierati
tra quegli alberi, vero diletto,
ma tra i luoghi più desiderati
furon quelli attorno al laghetto
dove l’anatre e i cigni bianchi
rallegravano i limpidi occhi,
eravam vispi come saltimbanchi
nel mitico paese dei balocchi.
Poi nel parco proibito sconfinavo
l’armonia del bel “Cigno di Tuonela”
dalla piccola radio ascoltavo,
magici momenti ancor mi svela.
Sull’erba estasiato camminavo
tra antiche rovine collocate.
Le piante che io tanto ammiravo
dai conti Florio furon curate.
Andavo stupito e contemplavo
quel piccolo lembo di paradiso.
Al Creatore lì spesso pensavo,
il mistero m’accendeva il viso.
Quei magici momenti eran brevi
perché poi lo studio ci impegnava,
pur insieme ai compagni allievi
tante belle cose si imparava.
Dal balcone fissavo il castello
dai conti Morpurgo ricostruito,
con la torre merlata era bello,
quel maniero per me era un mito.
Al poeta Leopardi pensavo,
con la sua triste solitudine.
Le belle poesie rimeditavo,
pregne di tanta inquietudine.
Poi sui colli di Buttrio al mattino,
a primavera bene inoltrata
le ciliege erano il bottino
per farmi una bella scorpacciata.
Il paese che spesso frequentavo
nella mia mente è sempre impresso.
Sul campanile mi interrogavo
per lo stran orologio manomesso.
Quei tre anni da adolescente
di Buttrio mi fecer innamorare,
questo paese è in me presente
davver mai lo potrò più scordare.
A MALBORGHETTO
C’è un vecchio tiglio a Malborghetto
che ora ha quasi cinque secoli,
la cui ombra fu per me diletto
soprattutto quando freschi refoli
sfioravan il viso adolescente
di quand’ero ospite in colonia,
nel venezian palazzo accogliente
dove alloggiavo con parsimonia.
Nei mesi estivi ancor studente,
in quel cinquecentesco edificio
insieme ai compagni, sorridente,
lasciavo il cultural sacrificio
per passare il tempo nello svago,
immerso in quella verde natura:
ed ancora oggi io sì m’appago
nel ricordarla sempre così pura.
Lo Jof di Montasio lì contemplavo
il mio spirto elevando in alto,
i piccoli ghiacciai osservavo,
con la mente facevo il gran salto
pensando ad arcani universi,
a bei mondi ancora sconosciuti
che mi spingon a fare questi versi
da antichi ricordi preceduti.
In quei dì estivi spensierati
era bello il gorgoglìo del Fella,
molti anni sono ormai passati
ma lì l’acqua ancor giocherella,
sopra i suoi bei ciottoli biancastri
e attraversando la Val Canale,
a volte pur arrecando disastri,
è chiara in modo assai speciale.
Mi chiedevo perché quel bel paese
portasse, nevver, un nom così strano,
ma nessun soddisfazione mi rese,
è scritto sul libro che ho in mano:
un tempo si chiamava Buonborghetto,
con i ricchi vescovi di Bamberga,
ma il paese divenne Malborghetto
conteso dalla veneziana verga.
Molte furon le nostre passeggiate
nei bei dintorni di silenzio ricchi,
tra verdi boschi, torrenti, cascate,
piccoli pianori ed alti picchi.
Sulla via che mena a Ugovizza
c’è ancor il metallico leone,
l’attenzion del passante galvanizza
per la piramide e l’iscrizione,
che commemora quei difensori
che con Hensel s’opposer ai francesi,
ma l’asburgico perse gli allori
cedendo ai nuovi conquistatori.
Tra le passeggiate impegnative
c’era quella per il rifugio Nordio,
salivam stupende cime prative
da scalatori al loro esordio.
Or quando a Malborghetto mi trovo
e rivedo la piazza principale,
una intensa nostalgia provo
che in me è davvero viscerale.
Osservo poi la gotica chiesetta
alla Santa Maria dedicata,
la domenica meta prediletta
per l’anima poi ben ricaricata.
Le piacevoli case variopinte
che attorniano la bella piazzetta
sono ornate da fiori e tinte
e il tutto la mia vista alletta.
Prima di lasciare il paesetto
ai Due Pizzi dò l’ultimo sguardo,
ed è ancora quel del ragazzetto
che in me freme a volte gagliardo.
A MONTE BERICO
Sopra la bella città di Vicenza
Monte Berico, santuario mariano,
è fonte di pace e di sapienza,
attira il pellegrin più lontano.
Vincenza Pasini fu la veggente
che nel periodo della peste
fu mandata a dire alla gente
che su quel silente monte agreste
la chiesa dovean edificare
in onore della Vergin Maria,
per poter gli spirti purificare
e debellar così l’epidemia.
Vincenza non fu subito creduta,
ma dopo il celestiale tracciato
il Consiglio fece una seduta
dando così il via al fabbricato.
La peste dopo ben tre mesi cessò:
la chiesa fu così edificata,
ed all’Ordine dei Serviti passò,
proprio alla Vergin fu dedicata.
Molti poi furono gli architetti
che il bel santuario arricchirono,
bravi artisti, non certo provetti,
col genio Maria onorarono.
Persin il gran Palladio vi progettò,
aggiungendo la classica facciata,
l’accesso dei pellegrin facilitò:
da allor la chiesa fu più amata.
Ci furono poi ben tristi eventi,
tra guerre, pestilenze e siccità,
i vicentini volsero le menti
alla Signora della loro città.
Molte grazie ella a lor concesse
così a Lei furono sempre grati,
per evitare poi più grandi resse
gli spazi interni furon ampliati
nel più prestigioso e bel santuario
che divenne Basilica minore.
Gente accorreva per il rosario
invocando la Vergin con amore.
Più fedeli i Servi di Maria
allo spirito dei lor Fondatori
essi continuarono l’opera pia,
a Dio convertiron più peccatori.
La lor missione prosegue ancora
nel dolce profumo dei sacramenti,
lode a Dio cantano ogni ora
in Basilica son sempre presenti,
pronti i frati nel confessionale
ad accogliere ogni pellegrino
che ben vuole liberarsi dal male
per poi essere a Dio più vicino.
Ci furono due martiri frati:
I miti Giuseppe e Gabriele.
Ora vivono in Cielo beati
dopo una morte così crudele.
Risplende l’icona della Madonna
sul marmoreo altare maggiore
per indicare che l’umile donna
è stata elevata dal Signore.
Molte grazie Ella vuol elargire
ai suoi figli che a lei ricorrono,
il fedel è pronta a benedire
e tutti color che qui accorrono.
I vicentini ti son sempre grati,
Maria che col tuo largo manto
proteggi il popolo ed i frati
perché vuoi che ognuno sia santo.
A MONTE SENARIO
Il bel santuario di Monte Senario
sorge su di un monte isolato,
dal quale si scorge uno scenario
gradevole in ogni suo lato.
Furon sette i Santi Fondatori
che, abbandonata la lor nobiltà,
da Firenze uniron i lor cuori
per servire Maria in povertà.
Si recarono poi su questo monte
per fondar un loro ermo convento,
il qual in seguito divenne fonte
dell’Ordine in continuo aumento:
quello dei Servi di Santa Maria
che si espanse in tutto il mondo,
fu proprio Lei ad aprir loro la via
per diffonder lo Spirito profondo.
Su quel sacro monte i sette Santi
si ritiravan in umil preghiera,
perché dello Spirto eran amanti
immersi in mistica atmosfera.
Il pellegrino sulla scalinata
guarda l’orologio della torretta
che ben scandisce l’intera giornata
per dir che la vita passa in fretta.
Quando entra nella piccola chiesa,
che all’Addolorata appartiene
vede Maria che con mano tesa
l’abito dei suoi servi non trattiene:
è il dipinto del pittor Gabbiani
incorniciato su volta a botte,
che invoglia gli spiriti più sani
ad onorare Maria a frotte.
Nei secoli la chiesa si arricchì
di gustose e pie opere d’arte,
il popol fiorentino quassù salì,
ponendo le lor contese a parte,
ad implorar la Vergine Maria
per ottener la sua protezione,
sapendo che ben impervia è la via
di chi desidera la Redenzione.
Culla dell’Ordine, Monte Senario,
lo Spirito dei Servi fu fecondo:
ben si aprì lo stupendo scenario
dei frati sparsi nell’intero mondo,
ovunque il vangel predicarono
a molti il gran conforto recando,
i sacramenti amministrarono
per il Signor la vigna lavorando.
Lassù ci fu un tempo un novizio
il qual scopriva con grande stupore
che lasciando alle spalle il vizio
gustava lo Spirito tutte l’ore.
Poi andava per i boschi attorno
con la Bibbia a portata di mano,
meditando buona parte del giorno
per voler diventare più cristiano.
Ed in quel loco così silenzioso,
tra il verso del cuculo lontano
e quello di un merlo più giocoso,
il suo spirto uscì dal pantano
di una travagliata giovinezza
che non trovava più la pace vera,
nè l’autentica consapevolezza
di chi con la fede, ama e spera.
Quel Monte non vuole dimenticare,
è la “Quercia di Mamre” di Abramo,
il suo ricordo è salutare
per adorare il nuovo Adamo:
Gesù Cristo che volle sua Madre
regalare a tutta l’umanità,
obbedendo al disegno del Padre
soffrendo con amore e dignità.
AL CENTRO FORMAZIONE PROFESSIONALE DI CIVIDALE
(endecasillabi in quartine a rime alternate)
Iniziando dal Millenovecento,
a Rubignacco, nel cividalese,
nasceva un amplio stabilimento
che serbò nel futuro più sorprese.
Ospitò giovani seminaristi
divenuti estivi villeggianti,
ma i suoi fini furono rivisti
perché le spese erano pesanti.
All’udinese provincia passò
nell’immediato primo Dopoguerra,
così un gruppo di orfani entrò:
i loro padri lasciaron la Terra.
“I padri per la Patria morirono ”
iniziava il lor motto scolpito,
“servirla ed onorarla” furono
i due verbi per lor un gran rito.
Gli orfani venivano formati
dall’asil all’età lavorativa,
nel corpo e in spirto educati
per rendere la società più viva.
Ma nel periodo del Dittatore
cambiaron le sorti della struttura:
i locali invasi tutte l’ore
da color la cui principal cura
era quella di mantener la guerra
usando la base operativa
per ben dominare su quella terra
e l’Italia mandar alla deriva.
Poi l’Ente Friulano Assistenza
gli orfani di nuovo ospitava,
e formava con vera diligenza
color che la società rifiutava.
Fu il Centro di Addestramento,
in quegli anni cinquanta fondato,
nello stesso grande stabilimento
a formarli si era impegnato,
da Giovanni Cesca coordinato,
fu dal mite Primo Fabbro promosso,
da Freschi e Brianti aiutato:
finalmente qualcuno s’era mosso!
Il corso per meccanici nasceva,
seguiva quel per gli elettricisti,
coi falegnami il Centro cresceva:
essi furono progressi mai visti.
Negli anni sessanta il convitto,
dalla stessa Regione sostenuto
poteva ospitare con profitto
ragazzi dal reddito contenuto.
Poi il CAP fu Centro e pur collegio
sotto Cesca unico direttore,
ma ei ebbe il grande privilegio
aver don Tita per tutte le ore
che con sua grande circospezione
organizzò la vita collegiale,
perché dello spirto l’educazione
prevalesse sul disordin morale.
Altri corsi furono poi fondati:
edili, grafici, e panettieri.
I professionisti qui ben formati
da questo Centro uscirono fieri,
arricchendo il tessuto sociale
del bel Friuli e di altre regioni.
La generazione del mondo attuale
gode i frutti di loro azioni.
Furon numerosi i formatori
che si prodigavano con passione,
a formar non solo lavoratori
ma anche le più civili persone.
Molti son passati ad altra vita,
e di là stanno vedendo i frutti
della loro pazienza infinita
per essersi impegnati con tutti.
Grati siam a tutto il personale
che sia docente oppur non docente,
perché ogni mansione sempre vale
per arricchir la società presente.
Riporto una delle ultime poesie che Pier Angelo mi ha dedicato:
Laura, la compagna della mia vita,
è donna umile e laboriosa.
Il timido suo sguardo invita
a dare valore ad ogni cosa.
Quegli occhi son così innocenti
che riscaldano spesso il mio cuore.
Si fondono l’anime e le menti
quando tutto è sorretto d’amore.
È davvero la fedele consorte
nelle ore oscure e gioiose,
pazientemente segue la mia sorte,
le sue azioni son coscienziose.
Da trent’anni ella è la mia sposa,
amministra la casa con saggezza,
a chieder la luna ella non osa,
la sua onestà è la ricchezza.
Laura sa dipinger e recitare,
è assai abile nel cucire,
è pur delicata nel cucinare,
le sue virtù fan intenerire.
La mia sposa, che con molta pazienza,
comprende pur la mia creatività,
del supporto non mi lascia senza,
così posso agire in libertà.
Sempre veloci passano gli anni,
ma l’amore giammai si dilegua:
noi insieme superiam i malanni
anche se la vita non desse tregua.
Il segreto della nostra unione
è spesso nel reciproco perdono.
L’amore è la vera comunione
che del Signore è sempre un dono.