di p. Ermes Ronchi

Ecco l’uomo! Appare al balcone del mondo il volto di Gesù intriso di sangue, e il dolore sotto cui vacilla è quello di tutti gli uomini; ciò che appare non è lo splendore dell’Eterno, è il patire di un Dio appassionato. «Dio prima patì e poi si incarnò. Patì perché l’amore è passione» (Origene).

In questa settimana santa, dai giorni che sembrano venirci incontro piano, uno ad uno, generosi di segni e luce, la cosa più bella che possiamo fare è stare accanto alla santità delle lacrime, presso le infinite croci sparse nel mondo, dove il crocifisso vive. E deporre sull’altare di questa liturgia qualcosa di nostro: un po’ di conforto dato, una lacrima, un’infinita passione per quel Dio che non scende dal legno come farebbe qualsiasi uomo, qualsiasi potente; egli entra nel pieno della morte perché là è risucchiato ogni figlio suo.

Qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato una falsa idea di Dio. Solo la croce toglie ogni dubbio, abisso dove Dio diviene l’amante e l’Eterno penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa.

«Amare significa patire e appassionarsi. E chi ama di più si prepari a patire di più» (S. Agostino). Lo vedo nelle donne al Calvario, che da lontano stanno impotenti ad osservare. Con Lui, sempre. Primo grumo di Chiesa, guardano Gesù con lo stesso sguardo appassionato con cui Dio guarda l’uomo. E con quelle donne la Chiesa rinasce ogni volta, nella contemplazione del crocifisso.

Scendi dalla croce, gridavano gli altri. Ma se scende non è più Dio, se scende è sempre la solita logica a vincere, quella del più forte. No. Gesù si consegna alla Notte, e passa dall’abbandono di Dio (perché mi hai abbandonato?) all’abbandono a Dio (a te consegno il mio spirito), assimilando, consolandoci nei nostri fallimenti.

Veramente era Figlio di Dio! Quando la Parola di Dio diventa grido, e poi torna muta, ecco il primo atto di fede cristiano, in un uomo esperto di morte. Che cos’ha visto nell’agonia di un morente? Non miracoli, non risurrezioni. C’è solo un uomo dentro la sua morte. Il guerriero non ha visto il risorto, ma il morente! Ma finire così è cosa solo da Dio, è rivelazione di suprema maestà.

In quella collina il soldato ha visto che questo mondo porta nel grembo un altro modo di essere uomini. Le parole del soldato sono il suo inginocchiarsi.

L’uomo non regge questo amore, e io arranco su questa croce, è troppo lucente! Ma la croce non ci è data per capirla, per lasciarci sollevare, per stargli vicino, abbandonati all’abbandonato amore.

Suprema bellezza quel giorno fuori dalle mura, sulla collina! A dire che la nostra fede poggia su di un atto d’amore perfetto, e Pasqua mi assicura che un amore così non potrà essere deluso, non può morire, è più forte della morte. Ogni grido, ogni abbandono può sembrare una sconfitta, ma se è affidato al Padre ha il potere, al di là di noi, di far tremare le grandi pietre di ogni nostro sepolcro.

Avvenire 2021 Domenica delle Palme

        L’entrata di Gesù a Gerusalemme non è solo un evento storico, ma una parabola in azione. Di più: una trappola d’amore perché la città lo accolga, perché io lo accolga.

        Dio corteggia la sua città (fede è la mia risposta al corteggiamento di Dio): viene come un Re mendicante (il maestro ne ha bisogno, ma lo rimanderà subito), così povero da non possedere neanche la più povera bestia da soma. Un Potente umile, che non si impone, si propone; come un disarmato amante.

Benedetto Colui che viene. È straordinario poter dire: Dio viene. In questo paese, per queste strade, nella mia casa che sa di pane e di abbracci, Dio viene ancora, viaggiatore dei millenni e dei cuori. Si avvicina, è alla porta.

La settimana santa dispiega, a uno a uno, i giorni del nostro destino; ci vengono incontro lentamente, ognuno generoso di segni, di simboli, di luce. In questa settimana, il ritmo dell’anno liturgico rallenta, possiamo seguire Gesù giorno per giorno, quasi ora per ora. La cosa più santa che possiamo fare è stare con lui: “uomini e donne vanno a Dio nella loro sofferenza, piangono per aiuto, chiedono pane e conforto. Così fan tutti, tutti. I cristiani invece stanno vicino a Dio nella sua sofferenza (Bonhoffer). Stanno vicino a un Dio che sulla croce non è più “l’onnipotente” dei nostri desideri infantili, il salvagente nei nostri naufragi, ma è il Tutto-abbracciante, l’Onni-amante cha fa naufragio nella tempesta perfetta dell’amore per noi.

Sono giorni per stare vicino a Dio nella sua sofferenza: la passione di Cristo si consuma ancora, in diretta, nelle infinite croci del mondo, dove noi possiamo stare accanto ai crocifissi della storia, lasciarci ferire dalle loro ferite, provare dolore per il dolore della terra, di Dio, dell’uomo, patire e portare conforto.

La croce disorienta, ma se persisto a restarle accanto come le donne, a guardarla come il centurione, esperto di morte, di certo non capirò tutto, ma una cosa sì, che lì, in quella morte, è il primo vagito di un mondo nuovo.

Cosa ha visto il centurione per pronunciare lui, pagano, il primo compiuto atto di fede cristiano: “era il Figlio di Dio”? Ha visto un Dio che ama da morire, da morirci. La fede cristiana poggia sulla cosa più bella del mondo: un atto d’amore perfetto. Ha visto il capovolgimento del mondo; Dio che dà la vita anche a chi gli dà la morte; il cui potere è servire anziché asservire; vincere la violenza non con un di più di violenza, ma prendendola su di sé.

La croce è l’immagine più pura, più alta, più bella che Dio ha dato di se stesso. Sono i giorni che lo rivelano: “per sapere chi sia Dio devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce”(K. Rahner).