Fb 20 giugno 21

Mc 4, 35-41

Ascoltami

Poche cose sono bibliche come questa lite con Dio, che nasce dalla passione per la vita, dall’arroganza di un amore che non accetta di finire.

Una notte di tempesta e di paura sul lago, e Gesù dorme. Anche il nostro mondo è in piena tempesta, geme di dolore con le vene aperte, e Dio sembra dormire.

Nessuna esistenza sfugge all’assurdo e alla sofferenza, e Dio non parla, rimane muto. Così per noi. Notte e basta.

È nel buio profondo che nascono le grandi domande: non ti importa niente di me? Vienimi in aiuto! Anche solo un po’…

I Salmi traboccano di questo grido che riempie la bocca di Giobbe; lo ripetono profeti, apostoli e re, come Saul. Poche cose sono vere come l’urlo sul silenzio di Dio, poche esperienze sono umane come questa paura di morire o di vivere, nell’attesa di un di più.

L’intera nostra esistenza è una traversata pericolosa, un passare all’altra riva, quella della vita adulta, responsabile, buona. Una traversata è iniziare un matrimonio; una traversata è il futuro che si apre davanti al bambino; una traversata burrascosa è tentare di ricomporre lacerazioni, ritrovare persone, vincere paure, accogliere poveri e stranieri.

Perché avete così tanta paura? C’è tanto da attraversare, tanta paura anche motivata. Ma troppo spesso la religione si è ridotta a una gestione della paura. Dio non vuole entrare in questo gioco. Lui non è altrove e non dorme. È già qui.

Sta nel sale più amaro delle tue lacrime, nelle braccia dei marinai forti sui remi, sta nella presa sicura del timoniere, nelle mani che svuotano l’acqua che allaga la barca; sta negli occhi che scrutano la riva e in quelli che dalla riva cercano il mare; vive nell’ansia che anticipa la luce dell’aurora, scacciando la paura dell’abbandono.

Le barche non sono fatte per restare ormeggiate al sicuro nei porti, e Dio vigila, anche se a modo suo; vuole salvarmi, ma mi chiede di mettere in campo tutte le mie capacità, tutto il mio cuore e il mio ingegno. La sua risposta è la forza che sento al primo colpo di remo. Colpo d’ala che ad ogni colpo lui rinnoverà.

Io però vorrei che il Signore gridasse adesso, all’uragano: taci; e alle onde: calmatevi; e alla mia angoscia ripetesse: è finita. Vorrei essere esentato dalla lotta, vorrei che fosse tutto più facile, invece Dio risponde chiamandomi alla perseveranza, moltiplicandomi le energie.

Non ti importa che moriamo? La risposta, muta, è raccontata dai gesti: mi importa di te, mi importa la tua vita, tu sei importante.

Mi importano i passeri del cielo e tu vali più di molti passeri, mi importano i gigli del campo e tu sei più bello di loro.

Tu mi importi al punto che ti ho contato i capelli in capo e vedo tutta la paura che stagna dentro il tuo cuore. Paura che alla fine sarà ingoiata dalla morte, sua gemella. Ma noi ne saremo liberati, perché Gesù è vita.

 

 

XII DOMENICA B Mc 4, 35-41

Le piccole barche sono al sicuro, ormeggiate nel porto, ma non è per questo che sono state costruite. Sono fatte per navigare, e anche per affrontare burrasche.

Noi siamo naviganti su fragili legni nel mare della vita, su gusci di noci. Eppure ci raggiunge la parola di Gesù: passiamo all’altra riva, andiamo oltre. C’è un oltre che abita le cose.

Non è nel segno del vangelo restarsene al sicuro, attraccati alla banchina o fermi all’ancora. Il nostro posto non è nei successi, ma in una barca in mare, mare aperto, dove prima o poi durante la navigazione della vita verranno acque agitate e vento contrario. Vera pedagogia è quella di Gesù: trasmettere non paura la passione per il mare aperto, il desiderio di navigare avanti, la gioia del mare alto e infinito.

Nella breve navigazione Gesù si addormenta, sfinito.

Io non so perché si alzano tempeste nella vita. Non lo sanno Luca, Marco, Matteo: raccontano tempeste sempre uguali e tutte senza perché. Vorrei anch’io un cielo sempre sereno e luci chiare a indicare la navigazione, un porto sicuro e vicino. Ma intanto la barca, simbolo di me, della mia vita fragile, della grande comunità, intanto resiste. E non per il morire del vento, non perché finiscono i problemi, ma per il miracolo umile dei rematori che non abbandonano i remi, che sostengono ciascuno la speranza dell’altro.

A noi invece pare di essere abbandonati appena si alza il vento di una malattia, di una crisi familiare, di relazioni che dolgono, di questa pandemia. Ci sentiamo naufraghi in una storia dove Dio sembra dormire, anziché intervenire subito, ai primi segni della fatica, al primo morso della paura, appena il dolore ci artiglia come un predatore

Allora ecco il grido: Non ti importa che moriamo? Eloquenza dei gesti: si destò, minacciò il vento e il mare…, perché sì, mi importa di voi. Mi importano i passeri del cielo e voi valete più di molti passeri; mi importano i gigli del campo e voi siete più belli di tutti i fiori del mondo.

Mi importi al punto che ti ho contato i capelli in capo e tutta la paura che porti nel cuore. E sono con te, a farmi argine al buio, luce nel riflesso più profondo delle tue lacrime. Nelle mie notti Dio è con me; intreccia il suo respiro con il mio, e “non mi salva “dalla” tempesta ma “nella” tempesta. Non protegge dal dolore ma nel dolore. Non salva il Figlio dalla croce ma nella croce” (D. Bonhoeffer).  

Lui è con noi, a salvarci da tutti i nostri naufragi, è qui da prima del miracolo: è nelle braccia forti degli uomini sui remi; nella presa salda del timoniere; nelle mani che svuotano il fondo della barca. Lui è in tutti coloro che, insieme, compiono i gesti esatti e semplici che proteggono la vita.