fb 2 ottobre Lc 17,5-10
Un corteggiamento mite e disarmato. (DI P.ERMES RONCHI)
Sràdicati e piàntati nel mare! Anch’io ho visto il mare riempirsi di alberi. Molte volte. Erano intere piantagioni di testimoni, di uomini liberi radicati in luoghi impossibili, in mari infuriati, a dissodare il presente e il futuro con fede da granellino di senapa.
Per capire il desiderio degli apostoli: “accresci in noi la fede”, dobbiamo fare un passo indietro, riandare alla proposta di Gesù un versetto prima: se tuo fratello peccherà sette volte contro di te e sette volte tornerà dicendosi pentito, tu gli perdonerai.
Sembra una missione impossibile, ma tu gli darai fiducia, gli darai credito, come fa Dio con te; e crederai nel suo futuro. Questo è il perdono, che non guarda a ieri ma al domani; che non libera il passato, libera il futuro di tutti.
Gli apostoli tentennano, temono di non farcela, e allora: “Signore, aumenta la nostra fede”. È così poca! Come sarebbe possibile vivere senza fidarsi di qualcuno?
Ma Gesù non li esaudisce, perché la fede non è un dono consegnato da fuori, è la mia risposta al corteggiamento mite e disarmato di Dio. Fede vera non è piantare alberi nel mare, neanche Gesù l’ha mai fatto, è vivere il miracolo quotidiano dell’amore che non si arrende.
Per questo, “se aveste un granellino microscopico di fede”… un quasi niente! E’ questione di qualità, non di quantità. Qui appare un tratto tipico di Gesù: l’infinito rivelato dal piccolo. E sceglie di parlare della fede con il registro delle briciole, del pizzico di lievito, della fogliolina di fico, del bambino in mezzo ai grandi.
Ma come posso sapere se ho fede? Gesù ci indica la sua misura suprema: sii servo. «Quando avete fatto tutto, dite: siamo servi inutili». Inutili noi, ma mai è inutile il servizio.
Inutile significa non servire a niente, non produrre. Ma per Gesù non è questo il senso: non sono incapaci né improduttivi quei servi che arano, pascolano, preparano da mangiare. Sono semplicemente servi senza pretese e senza secondi fini. E ci chiama ad osare la vita, all’audacia di scegliere, in un mondo che percorre la strada della guerra, il sentiero ripido della pace. Farsi costruttori di pace è un servizio più vero ancora dei suoi risultati: è questo il nostro modo di sradicare alberi e farli volare.
È il servizio che è vero, non il premio. Vera fede è amare Dio più delle Sue consolazioni. Abbiamo visto missionari radicarsi come alberi in luoghi impossibili, gente dalla fede tenace abbracciare problemi senza soluzione, mura di odio dissolversi, come loro anch’io ho bisogno solo di essere me stesso, per me e per il mio prossimo, con la gioia e la fatica del credere, con i miei granelli di fede e la mia porzione di fuoco, con un cuore che si accenda per Dio. Non ho bisogno di nient’altro.
Noi siamo i flauti, ma il soffio è tuo, Signore (Rumi). Ho visto il mare riempirsi di alberi, e non era un sogno.
46 Avvenire XXVII domenica Luca 17,5-10
Accresci in noi la fede. Invocazione eterna di ogni discepolo: aumenta, aggiungi, rinsalda la fede, è così poca, così fragile. Non c’è preghiera più limpida, ma Gesù non la esaudisce. La fede non è un ‘pacco-dono’ che arriva da fuori, è la mia risposta ai doni di Dio, la mia risposta al suo corteggiamento amoroso.
“Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “sradicati e vai a piantarti nel mare” e vi obbedirebbe”. Gusto la bellezza e la forza del linguaggio di Gesù e della sua carica immaginifica: il più piccolo tra tutti i semi intrecciato a grandi alberi che danzano sul mare!
Un granello di fede possiede la potenza di sradicare gelsi e la leggerezza del seme che si schiude nel silenzio; un niente che è tutto, leggero e forte. Ne basta poca di fede, anzi pochissima, meno di un granello di senape, una formichina, come dice il poeta J. Twardowski: “anche il più gran santo/ è trasportato come un fuscello/ dalla formica della fede”.
Ho visto alberi volare, ho visto gelsi in volo sul mare come uno stormo di gabbiani. Ho visto, fuori metafora, discepoli del Nazareno, vivere su frontiere in fiamme e salvare migliaia di vite; uomini e donne fidarsi l’uno dell’altra e affrontare problemi senza soluzione con un coraggio da leoni; madri e padri risorgere a vita dopo la morte di un figlio; disabili con occhi luminosi come stelle; una piccola suora tutta rughe rompere i millenari tabù delle caste. E questo non accadeva per sopravvenuti, inattesi prodigi, ma per il miracolo continuo, unico che ci serve, di amori che non si arrendono.
Lo sottolineano parole difficili: quando avete fatto tutto dite “siamo servi inutili”. Inutili, nella nostra lingua, significa che non servono, incapaci, improduttivi. Ma non così nella lingua di Gesù: non sono né incapaci né inutili quei servi che arano, pascolano, preparano da mangiare. E mai è dichiarato improduttivo il servizio. “Servi inutili” significa: servi che non cercano il proprio utile, senza pretese, senza rivendicazioni, che di nulla hanno bisogno se non di essere se stessi. Non cerco il mio interesse, non è la ricompensa ma il servizio ad essere vero! Il servizio è più vero dei suoi risultati, più importante del suo riconoscimento.
Il nostro modo di sradicare alberi e farli volare? Scegliere, in questo mondo che parla il linguaggio del profitto, la lingua del dono; in un mondo che percorre la logica della guerra, battere la mulattiera della pace.
Allora per sognare il sogno di Dio mi bastano i grandi campi del mondo, la formica della fede, e occhi di profeta: e lo vedrò, il sogno di Dio, come una goccia di luce impigliata nel cuore vivo di tutte le cose.
Io ho bisogno come l’aria di consegnare la mia porzione di fuoco, porzione di cuore che di tanto in tanto si accende per Dio, e spero che accada sempre più spesso.
Fede vera non è piantare alberi nell’acqua del mare, neanche Gesù l’ha mai fatto. Fede vera è nel miracolo di dire: voglio essere nella vita donatore di vita; è una forza d’amore che mi fa essere servo, come prima forza di libertà mi ha fatto essere libero (S. Agostino), non per sanzioni o per ricompense, ma per necessità vitale: servitore come il mio Signore, con noi per servire e non per essere servito.
Per capire la domanda degli apostoli: “accresci in noi la fede”, dobbiamo riandare alla vertiginosa proposta di Gesù un versetto prima: Se tuo fratello commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte al giorno ritornerà a te dicendo: “sono pentito”, tu gli perdonerai. Sembra una missione impossibile, ma notiamo le parole esatte. Se tuo fratello torna e dice: sono pentito, non semplicemente: “ scusa, mi dispiace” (troppo comodo!) ma: “mi converto, cambio modo di fare”, allora tu gli darai fiducia, gli darai credito, un credito immeritato come fa Dio con te; tu crederai nel suo futuro. Questo è il perdono, che non guarda a ieri ma al domani; che non libera il passato, libera il futuro della persona.
Gli apostoli tentennano, temono di non farcela, e allora: “Signore, aumenta la nostra fede”. Accresci, aggiungi fede. E’ così poca! Preghiera che Gesù non esaudisce, perché la fede non è un ‘dono’ che arriva da fuori, è la mia risposta ai doni di Dio, al suo corteggiamento mite e disarmato.
“Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “sradicati e vai a piantarti nel mare” ed esso vi obbedirebbe”. L’arte di Gesù, il perfetto comunicatore, la potenza e la bellezza della sua immaginazione: alberi che obbediscono, il più piccolo tra i semi accostato alla visione grandiosa di gelsi che volano sul mare!
Ne basta poca di fede, anzi pochissima, meno di un granello di senape. Efficace il poeta Jan Twardowski: “anche il più gran santo/ è trasportato come un fuscello/ dalla formica della fede”.
Tutti abbiamo visto alberi volare e gelsi ubbidire, e questo non per miracoli spettacolari – neanche Gesù ha mai sradicato piante o fatto danzare i colli di Galilea- ma per il prodigio di persone capaci di un amore che non si arrende. Ed erano genitori feriti, missionari coraggiosi, giovani volontari felici e inermi.
La seconda parte del vangelo immagina una scena tra padrone e servi, chiusa da tre parole spiazzanti: quando avete fatto tutto dite “siamo servi inutili”.
Guardo nel vocabolario e vedo che inutile significa che non serve a niente, che non produce, inefficace. Ma non è questo il senso nella lingua di Gesù: non sono né incapaci né improduttivi quei servi che arano, pascolano, preparano da mangiare. E mai è dichiarato inutile il servizio. Significa: siamo servi senza pretese, senza rivendicazioni, senza secondi fini. E ci chiama ad osare la vita, a scegliere, in un mondo che parla il linguaggio del profitto, di parlare la lingua del dono; in un mondo che percorre la strada della guerra, di prendere la mulattiera della pace. Dove il servizio non è inutile, ma è ben più vero dei suoi risultati: è il nostro modo di sradicare alberi e farli volare.
fb 6 ottobre ’19
I flauti di Dio
Un granello: non la fede sicura e spavalda ma quella che nella sua fragilità e per la propria piccolezza ha ancora più fiducia nella Sua forza. “Noi siamo i flauti, ma il soffio è tuo, Signore” (Rumi).