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Fb 27 settembre 2020 – domenica XXVI

Mt 21,28-32

Miele per tutti

Un uomo aveva due figli. Si potrebbe dire che aveva due cuori, perché quei due figli sono il nostro essere diviso tra il sì e il no, sono le contraddizioni di cui Paolo si lamenta: non mi capisco, faccio il male che non vorrei, e il bene che vorrei non riesco a farlo (Rm 7,15.19).

Primo attore è il padre che cerca i figli, si fa vicino, chiede loro di lavorare nella vigna di casa, padre che al primo rifiuto non si deprime. C’è poi un figlio impulsivo, che prova subito un bisogno imperioso, vitale, di fronteggiarlo, di misurarsi con lui e contraddirlo. Non ha nulla di servile, è libero da sudditanze e da paure. L’altro figlio, che dice sì e non fa, è un immaturo cui basta apparire, cui non importano verità e coerenza, ma solo il giudizio degli altri.

In uno dei salmi più belli il cantore chiede: Signore, dammi un cuore integro, fa che non abbia due cuori in lotta tra loro (Sl 101).

È il contrasto eterno tra persona e personaggio: il primo figlio fa il personaggio, e così sono io: dico sì, uso il nome di Dio, e poi abbandono questa vigna di uve aspre che è il mondo. Il secondo figlio, che poi andrà, non importa se in segreto, a lavorare nella vigna di Dio e nostra, è invece persona.

Personaggio siamo noi quando agiamo per la scena, quando le azioni valgono solo se approvate dagli altri, burattini i cui fili sono tirati dall’apparire e dall’immagine. Persona invece siamo noi se coerenti in pubblico come in privato, di fronte o alle spalle, nel dire e nel fare.

La differenza decisiva tra i due ragazzi è che uno diventa figlio coinvolto, l’altro rimane servo esecutore di ordini.

Chi dei due ha fatto la volontà del padre? È il passaggio centrale: volontà del padre non è l’obbedienza, ma la vigna da coltivare in maturità e bellezza, trasformando una porzione di selva e rovi in vigneto, profezia di vino buono e di grappoli colmi di sole e di miele.

La scelta sta nell’avere una vita sterile oppure fruttuosa.

Una morale non del divieto, ma della fecondità, del seme che ostinatamente diventa creatura, della prostituta che ridiventa donna, del cuore che diventa uno, della porzione di deserto trasformato in vigna, del mio mondo in sogno di Dio.

Anche se non si vede, anche lavando i piedi di coloro che ci sono affidati, nel segreto della nostra casa, se agisci così fai vivere te stesso, dice Ezechiele, e sarai tu che ti farai del bene.

Gesù prosegue con parole dure ma consolanti: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno. Dura frase, che si rivolge dritta a noi, cristiani di facciata o di sostanza?

Ma Dio non rinchiude nessuno nei propri ergastoli passati, nessuno.

Allora anch’io mi convertirò non al Dio del dovere, ma della scelta in totale libertà. Con lui coltiveremo grappoli gonfi di mosto e di miele nel sole, per una grande vendemmia di vita.

 

Avvenire XXVI A Matteo 21, 28-32

Nei due figli, che dicono e subito si contraddicono, vedo raffigurato il mio cuore diviso, le contraddizioni che Paolo lamenta: non mi  capisco più, faccio il male che non vorrei, e il bene che vorrei non riesco a farlo (Rm7, 15.19), che Goethe riconosce: “ho in me, ah, due anime”.

A partire da qui, la parabola suggerisce la sua strada per la vita buona: il viaggio verso il cuore unificato. Invocato dal Salmo 86,11: Signore, tieni unito il mio cuore; indicato dalla Sapienza 1,1 come primo passo sulla via della saggezza: cercate il Signore con cuore semplice, un cuore non doppio, che non ha secondi fini. Dono da chiedere sempre: Signore, unifica il mio cuore; che io non abbia in me due cuori, in lotta tra loro, due desideri in guerra.

Se agisci così, assicura Ezechiele nella prima lettura, fai vivere te stesso, sei tu il primo che ne riceve vantaggio. Con ogni cura vigila il tuo cuore, perché da esso sgorga la vita (Prov 4,23).

Il primo figlio si pentì e andò a lavorare. Di che cosa si pente? Di aver detto di no al padre? Letteralmente Matteo dice: si convertì, trasformò il suo modo di vedere le cose. Vede in modo nuovo la vigna, il padre, l’obbedienza. Non è più la vigna di suo padre è la nostra vigna. Il padre non è più il padrone cui sottomettersi o al quale sfuggire, ma il Coltivatore che lo chiama a collaborare per una vendemmia abbondante, per un vino di festa per tutta la casa. Adesso il suo cuore è unificato: per imposizione nessuno potrà mai lavorare bene o amare bene.

Al centro, la domanda di Gesù: chi ha compiuto la volontà del padre?

In che cosa consiste la sua volontà? Avere figli rispettosi e obbedienti? No, il suo sogno di padre è una casa abitata non da servi ossequienti, ma da figli liberi e adulti, alleati con lui per la maturazione del mondo, per la fecondità della terra.

La morale evangelica non è quella dell’obbedienza, ma quella della fecondità, dei frutti buoni, dei grappoli gonfi di mosto: volontà del Padre è che voi portiate molto frutto e il vostro frutto rimanga

A conclusione: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti. Dura frase, rivolta a noi, che a parole diciamo “sì”, che ci vantiamo credenti, ma siamo sterili di opere buone, cristiani di facciata e non di sostanza. Ma anche consolante, perché in Dio non c’è condanna, ma la promessa di una vita buona, per gli uni e per gli altri.

Dio ha fiducia sempre, in ogni uomo, nelle prostitute e anche in noi, nonostante i nostri errori e ritardi nel dire sì. Dio crede in noi, sempre. Allora posso anch’io cominciare la mia conversione verso un Dio che non è dovere, ma amore e libertà. Con lui matureremo grappoli, dolci di terra e di sole.

 

p. Ermes Ronchi

Fb 17 maggio 2020 VI di Pasqua

La molla dell’amore

Se mi amate. In questo passo di Giovanni, Gesù chiede esplicitamente di essere amato. Il comando finora diceva: amerai Dio e il prossimo tuo, vi amerete gli uni gli altri. Ora aggiunge se stesso agli obiettivi dell’amore. Non detta regole, si fa mendicante, rispettoso e generativo. Non rivendica l’amore, lo spera. Ma amarlo è pericoloso.

Con questo verbo, circondato di pudore e di attese, Gesù entra silenzioso e a piedi nudi nei nostri bisogni più intimi, chiedendoli per sé. Lo fa con estrema delicatezza, e ci riconduce alla prima parola: “se”. Un punto di partenza umile, fragile, fiducioso, paziente. Nessuna minaccia, nessuna costrizione. Puoi accogliere o no, in piena libertà. Osserverete i comandamenti miei. E miei non tanto perché dettati da me, ma perché da me vissuti, perché mia vita.

Non si tratta di osservare la legge, ma la sua vita! Chi ama osserverà lui, gli diverrà così naturale come guardarsi allo specchio, osservando quei gesti che vedendoli non ti puoi sbagliare: è lui per davvero! Lui che si perde dietro a pecore perdute e a pubblicani, prostitute e vedove sole; lui che fa dei bambini i principi del regno, lui che ama per primo e sempre in perdita.

Lo sappiamo per esperienza. Se ami si accende un sole, e le azioni si caricano di forza, intensità, gioia e di una vibrazione profonda; fiorisce la vita come un fiore spontaneo. La vera molla che fa compiere bene un’opera è l’amore: se ami non potrai ferire, tradire, derubare, violare, deridere, né restare indifferente.

Nella sua passione urgente di unirsi all’uomo, Dio è diventato il respiro stesso di Adamo; per millenni ha cercato un popolo, profeti di fuoco e re, mendicanti e cantori, e infine per entrare totalmente nell’umanità, in comunione assoluta con lei, ha trovato una ragazza a Nazaret.

Se io penso al Signore non penso a chi ho incontrato in un libro, anche fosse il Vangelo, ma ad una storia reale che prosegue ancora: la storia della sua comunione con una persona viva, ‘in’ me.

Le parole decisive del brano di Giovanni sono: Voi in me e io in voi. Assaporo e gusto l’idea d’essere immerso “in” Dio, tralcio nella vite madre, raggio nel sole, respiro nell’aria vitale; perché la fede si fonda su un pieno, non su un vuoto; sul presente, non sul passato; sull’amore per un vivo, non sulla nostalgia.

Nessuna etica vive senza una mistica.

“Non vi lascerò orfani, perché io vivo e voi vivrete”. “Orfano” è parola di morte e separazione, ma Gesù è enfasi di nascita e comunione. Altri partiranno da altri presupposti, io riparto da Cristo e dal suo modo di liberare, generare, porre luce e cuore su ciò che nasce, mai su ciò che muore.

Chi ama vive. “Forte come la morte è l’amore, le grandi acque non possono spegnerlo né i fiumi travolgerlo”.

Vivrete in quanto io vivo! Far vivere è la grande vocazione di Dio, il Dio diventato madre e padre.

 

Un Vangelo da mistici, di fronte al quale si può solo balbettare, o tacere portando la mano alla bocca. La mistica però non è esperienza di pochi privilegiati, è per tutti, “il cristiano del futuro o sarà un mistico o non sarà” (Karl Rahner).

Il brano si snoda su sette versetti nei quali per sette volte Gesù ripropone il suo messaggio: in principio a tutto, fine di tutto, un legame d’amore.

E sono parole che grondano unione, vicinanza, intimità, a tu per tu, corpo a corpo con Dio, in una divina monotonia: il Padre vi darà lo Spirito che rimanga con voi, per sempre; che sia presso di voi, che sarà in voi; io stesso verrò da voi; voi sarete in me, io in voi; mai orfani. Essere in, rimanere in: ognuno è tralcio che rimane nella vite, stessa pianta, stessa linfa, stessa vita. Ognuno goccia della sorgente, fiamma del roveto, respiro nel suo vento.

Se mi amate. Un punto di partenza così libero, così umile. Non dice: “dovete amarmi, è vostro preciso dovere; oppure: guai a voi se non mi amate”. Nessuna ricatto, nessuna costrizione, puoi aderire o puoi rifiutarti, in totale libertà. Se mi amate, osserverete… Amarlo è pericoloso, però, ti cambia la vita. “Impossibile amarti impunemente” (Turoldo), senza pagarne il prezzo in moneta di vita nuova: “se mi amate”, sarete trasformati in un’altra persona, diventerete prolungamento delle mie azioni, riflesso del mio sguardo.

Se mi amate, osserverete i comandamenti miei”, non per obbligo, ma per forza interna; avrete l’energia per agire come me, per acquisire un sapore di cielo e di storia buona, di nemici perdonati, di tavole imbandite, e poi di piccoli abbracciati. Non per dovere, ma come espansione verso l’esterno di una energia che già preme dentro – ed è l’amore di Dio – come la linfa della vite a primavera, quando preme sulla corteccia secca dei tralci e li apre e ne esce in forma di gemme, di foglie, di grappoli, di fiori. Il cristiano è così: un amato che diventa amante. Nell’amore l’uomo assume un volto divino, Dio assume un volto umano.

“I comandamenti” di cui parla Gesù non sono quelli di Mosè ma i suoi, vissuti da lui. Sono la concretezza, la cronaca dell’amore, i gesti che riassumono la sua vita, che vedendoli non ti puoi sbagliare: è davvero Lui. Lui che si perde dietro alla pecora perduta, dietro a pubblicani e prostitute e vedove povere, che fa dei bambini i conquistatori del suo regno, che ama per primo e fino a perdere il cuore.

Non vi lascerò orfani. Io vivo e voi vivrete. Noi viviamo di vita ricevuta e poi di vita trasmessa. La nostra vita biologica va continuamente alimentata; ma la nostra vita spirituale vive quando alimenta la vita di qualcuno. Io vivo di vita donata.

Il Vangelo – Ermes Ronchi

XXXI Dom. T. O. Anno C – 2016 –

Quando Gesù si autoinvita alla nostra tavola

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. (…)

Gesù passando alzò lo sguardo. Zaccheo cerca di vedere Gesù e scopre di essere guardato. Il cercatore si accorge di essere cercato: Zaccheo, scendi, oggi devo fermarmi a casa tua. Il nome proprio, prima di tutto. La misericordia è tenerezza che chiama ognuno per nome.
Non dice: Zaccheo, scendi e cambia vita; scendi e andiamo a pregare… Se avesse detto così, non sarebbe successo nulla: quelle parole Zaccheo le aveva già sentite da tutti i pii farisei della città. Zaccheo prima incontra, poi si converte.
Da Gesù nessuna richiesta di confessare o espiare il peccato, come del resto non accade mai nel Vangelo; quello che Gesù dichiara è il suo bisogno di stare con lui: “devo venire a casa tua. Devo, lo desidero, ho bisogno di entrare nel tuo mondo. Non ti voglio portare nel mio mondo, come un qualsiasi predicatore fondamentalista; voglio entrare io nel tuo, parlare con il tuo linguaggio piano e semplice”.
E non pone nessuna condizione all’incontro, perché la misericordia fa così: previene, anticipa, precede. Non pone nessuna clausola, apre sentieri, insegna respiri e orizzonti. È lo scandalo della misericordia incondizionata.

Devo venire a casa tua. Ma poi non basta. Non solo a casa tua, ma alla tua tavola. La tavola che è il luogo dell’amicizia, dove si fa e di rifà la vita, dove ci si nutre gli uni degli altri, dove l’amicizia si rallegra di sguardi e si rafforza di intese; che stabilisce legami, unisce i commensali…
Quelle tavole attorno alle quali Gesù riunisce i peccatori sono lo specchio e la frontiera avanzata del suo programma messianico.
Dio alla mia tavola, come un familiare, intimo come una persona cara, un Dio alla portata di tutti.

Ecco il metodo sconcertante di Gesù: cambia i peccatori mangiando con loro, cioè condividendo cibo e vita; non cala prediche dall’alto del pulpito, ma si ferma ad altezza di occhi, a millimetro di sguardi. Ammonisce senza averne l’aria, con la sorpresa dell’amicizia, che ripara le vite in frantumi.
Zaccheo reagisce alla presenza di Gesù cambiando segno alla sua vita, facendo quello che il maestro non gli aveva neppure chiesto, facendo più di quello che la Legge imponeva: ecco qui, Signore, la metà dei miei beni per i poveri; e se ho rubato, restituisco quattro volte tanto.
Qual è il motore di questa trasformazione? Lo sbalordimento per la misericordia, una impensata, immeritata, non richiesta misericordia; lo stupore per l’amicizia. Gesù non ha elencato gli errori di Zaccheo, non l’ha giudicato, non ha puntato il dito. Ha offerto se stesso in amicizia, gli ha dato credito, un credito totale e immeritato.
Il peccatore si scopre amato. Amato senza meriti, senza un perché. Semplicemente amato. E allora rinasce.

(Letture: Sapienza 11,22-12,2; Salmo 144; 2 Tessalonicesi 1,11-2,2; Luca 19,1-10).

https://www.avvenire.it/Rubriche/Pagine/quando-gesu-si-autoinvita-alla-nostra-tavola

http://www.sancarloalcorso.it/scc/showPage.jsp?wi_number=35895&wmenuid=

1 Giugno 2016

Messaggio della Madonna di Medjugorje

 

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I 10 SEGRETI DI MEDJUGORJE (di Padre Livio Fanzaga):

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VIDEO RELATIVI AI MESSAGGI DELLA MADONNA DI MEDJUGORJE

PLAYLIST RELATIVA A MEDJUGORJE (MESSAGGI E COMMENTI IN VIDEO)
https://www.youtube.com/playlist?list=PL_I8V9Z5YmOY_O1E9krjhlTo3O_k-L-6y

LE APPARIZIONI DELLA MADONNA A PORZUS – Nuova versione

6 luglio 2005

Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO

5 Gennaio 2010

REPORT SUL 21° SECOLO

Attraverso un
fantascientifico viaggio nel tempo, l’autore del libro, Pier Angelo
Piai, desidera sensibilizzare il lettore a prendere coscienza del
nostro comune modo di pensare ed agire, noi del 21° secolo che ci
vantiamo di essere progrediti. In che cosa consiste, allora, la vera
evoluzione della specie umana?
Quando l’uomo potrà diventare davvero integrale?
Report
cerca di dare alcune risposte ai moltissimi interrogativi che emergono
in queste pagine scritte attraverso riflessioni e  considerazioni
sociologiche, antropologiche e filosofiche.

6 Luglio 2005

6 luglio 2005 Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO
Catechesi e omelie di padre Lino Pedron