Fb 4 luglio 21 Mc 6,1-6
Non è tuo fratello? (p.Ermes Ronchi)
Gesù tornò al suo paese, con i discepoli. E «percorreva i villaggi insegnando».Dapprima la gente si stupiva, nell’ascoltarlo; parole e prodigi immettono un «di più», alla normalità della vita. Poi l’ordinario instaura di nuovo la sua dittatura, e la gente passa in fretta dallo slancio alla diffidenza: da dove gli vengono queste cose? Non da Nazaret. Non da qui! Qui tutto dice: hai il tuo clan, una madre, fratelli e sorelle; questo è il tuo mondo, non ce n’è un altro. Hai un lavoro, la sinagoga e il Libro, questo basta a dare senso alla vita. Cosa cerchi, con il cuore fra le nuvole?
Né la sapienza né i miracoli fecondano la fede; è vero semmai il contrario, è la fede che fa fiorire miracoli.
Che un profeta sia una persona piena di carisma, ce lo aspettiamo. Ma che sia senza cultura né titoli, che vada per botteghe e villaggi, fuori dal magistero ufficiale e al limite del consentito, questo non va bene. Nessun profeta è ben accolto in casa sua, perché l’insegnamento che porta è “diverso”; il figlio di Dio non può avere mani callose. Lì non c’è nulla di sublime, nulla di divino.
Ma lo Spirito vuol fare di ogni casa un tempio. Noi cerchiamo il Dio delle costellazioni nell’infinito dei cieli, quando invece è inginocchiato a terra con le mani nel catino, per lavarci i piedi.
È il figlio del falegname, dicono. Ma la persona non è il suo lavoro, nessuno coincide con esso, il nostro segreto è oltre noi: abbiamo radici di cielo! Gesù cresce in bottega, le sue mani diventano forti e qualche volta si feriscono, il suo naso fiuta la resina, sa riconoscere ogni tipo di legno. Ma al paese scandalizza un Dio dal volto d’uomo, un Verbo nella forma di un corpo sudato. Mentre lo Spirito è creatore, non sai da dove viene e dove va, riempie le vecchie forme e passa oltre, spinge il Maestro a inginocchiarsi ai tuoi piedi, con la brocca in mano; gli mette in bocca parole spiazzanti e mai udite: amate i vostri nemici; tu lascia andare i morti, vieni e seguimi; felici i poveri, sono i principi del Regno; guardate i fiori e non preoccupatevi; guai a voi farisei; se non tornerete piccoli…
Gesù al rifiuto dei suoi, svela il suo candido cuore fanciullo: «Non vi poté operare prodigi, solo impose le mani a pochi malati e li guarì». Il nostro Dio non nutre rancori, mai! Il Dio respinto si fa guarigione anche solo di pochi. L’amante tradito continua ad amare, anche fosse uno solo. L’amore non è stanco dei suoi: è solo stupito.
Come gli abitanti di Nazaret, anche noi rischiamo di sprecare i nostri profeti, livellando tutto verso il basso: è solo un falegname, è il fratello di Ioses, conosco lui e i suoi difetti uno per uno. E così ci precludiamo lo splendore all’epifania del quotidiano, all’eterno che si insinua in ogni creatura. Salviamo lo stupore! E ci scopriremo circondati di profeti.
Avvenire XIV Marco 6,1-6
“Ma non è il falegname, il fratello di Giacomo, Joses, Giuda e Simone?” Poche pagine prima questi stessi fratelli sono scesi a Cafarnao per riportarselo a casa, il loro cugino strano, perché dicevano: è andato, è fuori di testa; lo danno per eretico, dobbiamo proteggerlo anche da se stesso.
E adesso a Nazaret, dove si conoscono tutti, dove si sa tutto di tutti (o almeno così si crede), la gente si stupisce di discorsi mai sentiti, di parole che sembrano venire non dalla sacra scrittura, come l’hanno sempre ascoltata in sinagoga, e forse neppure da Dio: da dove mai gli vengono queste cose?
Ed era per loro motivo di scandalo. Che cosa li scandalizza? L’umanità, la familiarità di un Dio che abbandona il tempio ed entra nell’ordinarietà di ogni casa, diventando il “God domestic” (Giuliana di Norwich, sec. XIII), il Dio di casa. Gesù, rabbi senza titoli e con i calli alle mani, si è messo a raccontare Dio con parabole che sanno di casa, di terra, di orto, dove un germoglio, un grano di senape, un fico a primavera diventano personaggi di una rivelazione. Scandalizza l’umiltà di Dio. Non può essere questo il nostro Dio. Dov’è la gloria e lo splendore dell’Altissimo?
E i suoi discepoli, questi ragazzi di fuori, pratici solo di barche, cos’hanno di più di Joses, Giacomo, Giuda e Simone? Non erano meglio i giovani del paese?
Un profeta non è disprezzato che in casa sua… Osservazione che ci raggiunge tutti, circondati come siamo da sillabe di Dio, gocce di profezia sulla bocca e nei gesti di mille persone, in casa, per strada, al lavoro, o in un’altra parte del mondo.
Ma noi: non sono all’altezza, diciamo; e li misuriamo, li soppesiamo, diamo loro i voti, troviamo scuse, anziché aprirci. E Dio si stupisce, ma non desiste e ripete: “ascoltino o non ascoltino, sappiano che un profeta almeno si trova in mezzo a loro” (Ez. 2,5). Siamo circondati da profeti, magari piccoli, magari minimi, ma continuamente inviati. E noi, come gli abitanti di Nazaret, dilapidiamo e sperperiamo i nostri profeti, senza ascoltare l’inedito di Dio.
Anche Gesù al rifiuto dei suoi compaesani si stupisce, ma non desiste. La sua risposta non è né rancore, né condanna, tanto meno depressione, ma una meraviglia che rivela come Dio ha un cuore di luce: “Non vi poté operare nessun prodigio”. Ma subito si corregge: “Solo impose le mani a pochi malati e li guarì”. Il Dio rifiutato si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo. L’innamorato respinto continua ad amare, anche senza ritorno. Di noi Dio non è stanco: è solo stupito. E allora
“manda ancora profeti, uomini certi di Dio, uomini dal cuore in fiamme, e Tu a parlare dai loro roveti” (Turoldo).
Gv 1,29-34
Giovanni vedendo Gesù venire… Poter avere, come lui, occhi di profeta e so che non è impossibile perchè “vi è un pizzico di profeta nei recessi di ogni esistenza umana” (A. J. Heschel); vedere Gesù mentre viene, eternamente incamminato lungo il fiume dei giorni, carico di tutta la lontananza; mentre viene negli occhi dei fratelli uccisi come agnelli; mentre viene lungo il confine tra bene e male dove si gioca il tuo e, in te, il destino del mondo.
Vederlo venire (come ci è stato concesso a Natale) pellegrino dell’eternità, nella polvere dei nostri sentieri, sparpagliato per tutta la terra, rabdomante d’amore dentro l’accampamento umano, da dove non se ne andrà mai più.
Ecco l’agnello, il piccolo del gregge, l’ultimo nato che ha ancora bisogno della madre e si affida al pastore, che vuole crescere con noi e in mezzo a noi. Non è il “leone di Giuda”, che viene a sistemare i malvagi e i prepotenti, ma un piccolo Dio che non può e non vuole far paura a nessuno; che non si impone, ma si propone e domanda solo di essere accolto. Accolto come il racconto della tenerezza di Dio.
Viene e porta la rivoluzione della tenerezza, porta un altro modo possibile di abitare la terra, vivendo una vita libera da inganno e da violenza. “Amatevi, dirà, altrimenti vi distruggerete”, è tutto qui il vangelo.
Ecco l’agnello, inerme e più forte di tutti gli Erodi della terra. Una sfida a viso aperto alla violenza, alla sua logica, al disamore che è la radice di ogni peccato.
Viene l’Agnello di Dio, e porta molto di più del perdono, porta se stesso: Dio nella carne, il cromosoma divino nel nostro DNA, il suo cuore dentro il nostro cuore, respiro dentro il respiro, per sempre.
E toglie il peccato del mondo. Il verbo è al declinato al presente: ecco Colui che instancabilmente, infallibilmente, giorno per giorno, continua a togliere, a raschiare via, adesso ancora, il male dell’uomo.
E in che modo toglie il male? Con la minaccia e il castigo? No, ma con lo stesso metodo vitale, positivo con cui opera nella creazione. Per vincere il buio della notte Dio incomincia a soffiare sulla luce del giorno; per vincere il gelo accende il suo sole; per vincere la steppa semina milioni di semi; per vincere la zizzania del campo si prende cura del buon grano; per demolire la menzogna Lui passa libero, disarmato, amorevole fra le creature.
Il peccato è tolto: nel Vangelo il peccato è presente e tuttavia è assente. Gesù ne parla solo per dirci: è tolto, è perdonabile sempre! E come Lui, il discepolo non condanna, ma annuncia un Dio che dimentica se stesso dietro una pecora smarrita, un bambino, un’adultera. Che muore per loro e tutti li catturerà dentro la sua risurrezione.
: viene a guarire la radice della sua debolezza che chiede all’uomo di sognare insieme cieli nuovi e terra nuova.
L’agnello è un ‘no!’ di fronte al nostro ‘non c’è niente da fare’; un ‘no!’ in faccia al nostro ‘ così va il mondo‘.
Ma per che cosa sarà sacrificato l’Agnello di Dio?
Per pagare a Dio con una morte orrenda un debito dell’uomo? È la vecchia religione dei sacerdoti e del sistema dei sacrifici, che pensavano la salvezza dell’umanità come il pagamento di un debito: sarebbe questa la giustizia di Dio? La giustizia di Dio è misericordia, è rimettere i debiti, abbracciare il figlio prodigo, caricarsi sulle spalle la pecora perduta.
Il mondo non riesce, la terra non ce la fa a fiorire secondo il sogno di Dio; gli uomini non ce la fanno a vivere la vita buona, bella e beata. Allora Gesù viene come agnello, come il piccolo, a portare se stesso, la sua vita dentro la vita dell’uomo, il cuore dentro il cuore, fiato dentro il fiato, per sempre.
Un pareggiare i conti in sospeso tra l’uomo e Dio?
È la nostra piccola idea di giustizia, equilibrio tra dare e avere
a sarà vittima Gesù? Della giustizia di Dio che esige che il peccato sia espiato fino in fondo? E lo fa pagare al figlio?
Tristissima idea di Dio. l’uomo ha un debito con il Padre, è insolvente, e allora lo paga al Padre, al posto nostro, il Figlio. Ma questo farebbe mercato della misericordia di Dio.
Viene e la bella notizia, il suo vangelo è questo: è possibile vivere meglio, per tutti. E chi ne possiede il segreto, le chiavi, è Lui.
p. Ermes Ronchi
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Persecuzione «marchio» di garanzia dei profeti
IV Domenica – Tempo ordinario – Anno C – 2019
Vangelo – Lc 4, 21-30
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Commento di Padre Ermes Ronchi
La sinagoga è rimasta incantata davanti al sogno di un mondo nuovo che Gesù ha evocato: tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati! Poi, quasi senza spiegazione: pieni di sdegno, lo condussero sul ciglio del monte per gettarlo giù. Dalla meraviglia alla furia. Nazaret passa in fretta dalla fierezza e dalla festa per questo figlio che torna circondato di fama, potente in parole ed opere, ad una sorta di furore omicida. Come la folla di Gerusalemme quando, negli ultimi giorni, passa rapidamente dall’entusiasmo all’odio: crocifiggilo!
Perché? Difficile dirlo. In ogni caso, tutta la storia biblica mostra che la persecuzione è la prova dell’autenticità del profeta. Fai anche da noi i miracoli di Cafarnao! Non cercano Dio, cercano un taumaturgo a disposizione, pronto ad intervenire nei loro piccoli o grandi naufragi: uno che ci stupisca con effetti speciali, che risolva i problemi e non uno che ci cambi il cuore. Vorrebbero dirottare la forza di Dio fra i vicoli del loro paese. Ma questo non è il Dio dei profeti.
Gesù, che aveva parlato di una bella notizia per i poveri, di sguardo profondo per i ciechi, di libertà, viene dai compaesani ricondotto dalla misura del mondo al piccolo recinto di Nazaret, dalla storia profonda a ciò che è solo spettacolare. E quante volte accadrà! Assicuraci pane e miracoli e saremo dalla tua parte! Moltiplica il pane e ti faremo re (Gv 6,15). Ma Gesù sa che con il pane e i miracoli non si liberano le persone, piuttosto ci si impossessa di loro e Dio non si impossessa, Dio non invade.
E risponde quasi provocando i suoi compaesani, collocandosi nella scia della più grande profezia biblica, raccontando di un Dio che ha come casa ogni terra straniera, protettore a Zarepta di Sidone di vedove forestiere, guaritore di generali nemici d’Israele. Un Dio di sconfinamenti, la cui patria è il mondo intero, la cui casa è il dolore e il bisogno di ogni uomo. Gesù rivela il loro errore più drammatico: si sono sbagliati su Dio. «Sbagliarci su Dio è il peggio che ci possa capitare. Perché poi ti sbagli su tutto, sulla storia e sul mondo, sul bene e sul male, sulla vita e sulla morte» (D.M. Turoldo).
Allora lo condussero sul ciglio del monte per gettarlo giù. Ma come sempre negli interventi di Dio, improvvisamente si verifica uno strappo nel racconto, un buco bianco, un ma. Ma Gesù passando in mezzo a loro si mise in cammino. Un finale a sorpresa. Non fugge, non si nasconde, passa in mezzo a loro, aprendosi un solco come di seminatore, mostrando che si può ostacolare la profezia, ma non bloccarla. «Non puoi fermare il vento, gli fai solo perdere tempo» (G. Gaber). Non puoi fermare il vento di Dio.
(Letture: Geremia 1,4-5.17-19; Salmo 70; 1 Corinzi 12,31-13,13; Vangelo – Lc 4, 21-30)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/persecuzione-marchio-di-garanzia-dei-profeti
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Lo scandalo di vedere Dio come uno di noi
XIV Domenica – Tempo ordinario – Anno B – 2018
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando. (Marco 6,1-6)
Commento a cura di Ermes Ronchi
Gesù andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono.
Missione che sembra un fallimento e invece si trasforma in una felice disseminazione: «percorreva i villaggi insegnando».
A Nazaret non è creduto e, annota il Vangelo, «non vi poté operare nessun prodigio»; ma subito si corregge: «solo impose le mani a pochi malati e li guarì». Il rifiutato non si arrende, si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo. L’amante respinto non si deprime, continua ad amare, anche pochi, anche uno solo. L’amore non è stanco: è solo stupito («e si meravigliava della loro incredulità»). Così è il nostro Dio: non nutre mai rancori, lui profuma di vita.
Dapprima la gente rimaneva ad ascoltare Gesù stupita. Come mai lo stupore si muta così rapidamente in scandalo? Probabilmente perché l’insegnamento di Gesù è totalmente nuovo. Gesù è l’inedito di Dio, l’inedito dell’uomo; è venuto a portare un «insegnamento nuovo» (Mc 1,27), a mettere la persona prima della legge, a capovolgere la logica del sacrificio, sacrificando se stesso. E chi è omologato alla vecchia religione non si riconosce nel profeta perché non si riconosce in quel Dio che viene annunciato, un Dio che fa grazia ad ogni figlio, sparge misericordia senza condizioni, fa nuove tutte le cose. La gente di casa, del villaggio, della patria (v.4) fanno proprio come noi, che amiamo andare in cerca di conferme a ciò che già pensiamo, ci nutriamo di ripetizioni e ridondanze, incapaci di pensare in altra luce.
E poi Gesù non parla come uno dei maestri d’Israele, con il loro linguaggio alto, “religioso”, ma adopera parole di casa, di terra, di orto, di lago, quelle di tutti i giorni. Racconta parabole laiche, che tutti possono capire, dove un germoglio, un grano di senape, un fico a primavera diventano personaggi di una rivelazione.
E allora dove è il sublime? Dove la grandezza e la gloria dell’Altissimo? Scandalizza l’umanità di Dio, la sua prossimità. Eppure è proprio questa la buona notizia del Vangelo: che Dio si incarna, entra dentro l’ordinarietà di ogni vita, abbraccia l’imperfezione del mondo, che per noi non è sempre comprensibile, ma per Dio sempre abbracciabile.
Nessun profeta è bene accolto nella sua casa. Perché non è facile accettare che un falegname qualunque, un operaio senza studi e senza cultura, pretenda di parlare da profeta, con una profezia laica, quotidiana, che si muove per botteghe e villaggi, fuori dal magistero ufficiale, che circola attraverso canali nuovi e impropri. Ma è proprio questa l’incarnazione perenne di uno Spirito che, come un vento carico di pollini di primavera, non sai da dove viene e dove va, ma riempie le vecchie forme e passa oltre.
(Letture: Ezechiele 2,2-5; Salmo 122; 2 Corinzi 12,7-10; Marco 6,1-6)
Domenica XIV Marco 6,1-6
Dio prende da parte il suo profeta Ezechiele e gli parla duro: tu vai, lo so che sono un popolo dal cuore duro, ma tu profetizza, ascoltino o non ascoltino…
Introduzione forte e diretta al vangelo del ritorno di Gesù a Nazaret, un villaggio di 3/400 abitanti, dove si conoscono tutti, per nome e per parentela, dove tutti sanno tutto di tutti. O almeno credono!
E i suoi paesani prima stupiti, poi spazientiti: ma che cos’è sta sapienza? E questi prodigi, in quelle mani da carpentiere?
Poche pagine prima questi stessi fratelli, Joses, Giuda, Simone, Giacomo erano scesi a Cafarnao per prenderselo questo cugino strano, e riportarlo a casa perché dicevano: è andato, è fuori di testa. Dà scandalo, dobbiamo proteggerlo anche da se stesso.
E adesso tutta la sua patria si scandalizzava di lui. E gli dicono chiaramente: ma chi credi di essere? Tu – sei – il – falegname. Punto.
Gesù è il falegname, è vero, ma è più che questo.
cresce nella bottega di un artigiano, le sue mani diventano forti a forza di stringere manici, il suo naso fiuta le colle, la resina, il sudore di chi lavora, sa riconoscere dall’odore il tipo di legno. Ma è più che questo.
Cos’ha di meglio di noi quest’uomo, che se n’è andato dal paese, che vive per le strade, come un senza fissa dimora?
E i suoi discepoli, questi ragazzi di fuori, pratici solo di barche, cos’hanno di più di Joses, Giacomo, Giuda e Simone? Non erano meglio i giovani del paese?
Non è il falegname? Sì, ma non solo.
E vale per tutti, per tutti noi. Ogni uomo e ogni donna è più che la sua attività. Se non sono di più di quello che faccio c’è qualcosa che non quadra.
Che siamo di più, che ognuno è oltre, lo capisci semplicemente se guardi di una persona com’è il suo rapporto con le cose e con la gente: se dà vita o se ne toglie, se aggiunge gioia oppure no, se vive un rapporto luminoso, rasserenante, libero.
E vale per tutti: siamo tutti di più, c’è in tutti noi qualcosa di più grande: da dove gli viene questa sapienza? siamo tutti sapienti di una sapienza del vivere di cui non facciamo uso, che non facciamo circolare.
Siamo tutti principi, cui è affidata una porzione di mondo e di umanità da custodire, proteggere, far fiorire. In virtù del battesimo.
Siamo tutti sacerdoti, un ponte per Dio, scovatori del sacro che è dappertutto, che è in tutte le cose.
Nessun profeta è accolto in casa sua. Ma siamo tutti profeti, abbiamo una sillaba della parola di Dio, del progetto di Dio, della logica di Dio dentro di noi. Un cromosoma almeno della sua coscienza alta.
Loro scandalizzati, Gesù meravigliato.
Scandalizzati perché rifiutano che Gesù sia di più di ciò che pensano.
Gesù meravigliato del fatto che non sappiano, che noi non ci rendiamo conto che siamo molto più che falegnami, o casalinghe, o impiegati, o preti; che siamo una sorpresa, a noi stessi prima di tutti.
Si meraviglia che non viviamo da principi, da sacerdoti, che la nostra vita non sia piena di luce, che non viviamo della sua vita che è venuto a portare… Che siamo così bravi a banalizzare tutto.
Gesù è l’inedito di Dio; è l’inedito dell’uomo. e noi ci nutriamo di ripetitività
E chi è omologato alla vecchia religione non si riconosce in GESù perché non si riconosce in quel Dio che viene annunciato, un Dio che fa grazia ad ogni figlio, sparge misericordia senza condizioni, fa nuove tutte le cose, che mette la persona prima della legge, capovolge la logica del sacrificio, sacrificando se stesso.
Perché preferiamo nutrici delle solite cose, ci nutriamo tutti di ripetitività e di ridondanze. Andiamo in cerca solo di persone, di letture e discorsi che ci confermino nelle nostre opinioni. Incapaci di pensare in altra luce.
Come si fa a non essere come quelli di Nazaret, ad essere aperti al nuovo? Un amico mi diceva con una battuta: Gesù va a predicare nella sua città, tra la sua gente. È come se oggi fosse andato a predicare ai preti. Non lo avrebbero ascoltato. Sono impermeabili al nuovo.
Difficilissimo convertire i buoni (A. Maggi), quelli che si credono a posto. La sottomissione – acritica – all’insegnamento ricevuto rende davvero refrattari al nuovo. Difficile anche accettare che la profezia circoli nel mondo, nella chiesa attraverso canali impropri. Fuori dall’istituzione.
Che un profeta sia un uomo consacrato, carismatico, ce lo aspettiamo.
Ma che la profezia sia nel quotidiano, nella bottega del falegname, in uno che non ha cultura e titoli, con i calli alle mani, questo ci pare impossibile. E poi Gesù non parla come uno dei maestri d’Israele, con il loro linguaggio alto, ‘religioso’, ma adopera parole di casa, di terra, di orto, di lago, quelle di tutti i giorni.
Racconta parabole laiche, che tutti possono capire, dove un germoglio, un grano di senape, un fico a primavera diventano personaggi di una rivelazione.
E allora dove è il sublime? Dove la Grandezza e la Gloria dell’Altissimo? Scandalizza l’umanità di Dio, la sua vicinanza. Eppure è proprio questa la buona notizia del vangelo: che Dio si incarna, entra dentro l’ordinarietà di ogni vita, abbraccia l’imperfezione del mondo, che per noi non è sempre comprensibile, ma per Dio sempre abbracciabile.
La risposta di Gesù al rifiuto dei compaesani non è recriminazione né condanna, nessun successo lo esalta e nessuna sconfitta lo deprime: Andiamo per altri villaggi, il mondo è pieno di cuori aperti.
La sua risposta appare alla fine del brano quando Marco dice: “Non vi poté operare nessun prodigio”
Ma subito si corregge: “Solo impose le mani a pochi malati e li guarì”. Ecco la risposta. Il Dio rifiutato si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo.
L’innamorato respinto continua ad amare anche pochi, anche uno solo. L’amore non è stanco: è solo meravigliato. Stupore doloroso. Il nostro Dio non nutre rancori, continuerà sempre a inviare segnali di vita.
Per lui non sempre siamo comprensibili, ma sempre abbracciabili.
Nessun profeta è bene accolto nella sua casa. Perché non è facile accettare che un falegname qualunque, un operaio senza studi e senza cultura, pretenda di parlare da profeta, con una profezia laica, quotidiana, che si muove per botteghe e villaggi, fuori dal magistero ufficiale, che circola attraverso canali nuovi e impropri. Ma è proprio questa l’incarnazione perenne di uno Spirito che, come un Vento carico di pollini di primavera, non sai da dove viene e dove va, ma riempie le vecchie forme e passa oltre.
Alla comunione. Parole che hanno girato sui social e che sento profetiche
Se fosse tuo figlio
Riempiresti il mare di navi
Di qualsiasi bandiera.
Vorresti che tutte insieme a milioni
Facessero ponte per farlo passare.
Premuroso
non lo lasceresti mai da solo.
Faresti ombra
per non far bruciare i suoi occhi.
Lo copriresti per non farlo bagnare
Dagli schizzi d’acqua salata.
Se fosse tuo figlio
ti getteresti in mare,
urleresti per chiedere aiuto
busseresti alle porte dei governi
per rivendicarne la vita.
Se fosse tuo figlio
oggi saresti a lutto
Odieresti il mondo odieresti i porti
Pieni di navi attraccate
Odieresti chi le tiene ferme e lontane…
Se fosse tuo figlio
li chiameresti disumani e vigliacchi.
Dovrebbero fermarti
Tenerti bloccarti legarti
Vorresti spaccargli il muso…
Ma stai tranquillo
Non è tuo figlio,
non è tuo figlio.
Puoi dormire tranquillo
E sicuro. Nella tua casa tiepida.
Non è tuo figlio.
È solo un figlio
dell’umanità perduta
Dell’umanità sporca
che non fa rumore.
Non è tuo figlio.
Dormi tranquillo, certamente non è il tuo.
È un figlio di Dio.
(Sergio Guttilla)
Dal primo libro dei Re 1Re 19,9a.11-16
In quei giorni, Elia, giunto al monte di Dio, l’Oreb, entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore: “Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore”.
Ed ecco che il Signore passò.
Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto.
Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco.
Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna.
Ed ecco, venne a lui una voce che gli diceva: “Che cosa fai qui, Elia?”. Egli rispose: “Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita”. Il Signore gli disse: “Su, ritorna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco; giunto là, ungerai Cazaèl come re su Aram. Poi ungerai Ieu, figlio di Nimsi, come re su Israele e ungerai Eliseo figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al tuo posto”.
Mc 1, 1-8
p. Ermes Ronchi
Omelia
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo. A prima vista sembra un’annotazione pratica, un semplice titolo del racconto. Ma se ci guardiamo dentro con attenzione, vediamo che qui compare, per la prima volta, la parola decisiva per la nostra fede: il termine vangelo. Con il suo significato di bella, lieta, gioiosa notizia.
Inizio di una bella notizia. C’è un nuovo inizio, una nuova genesi, e questa è già una buona notizia.
Dio si propone: “con me vivrai solo inizi! Io porto ciò che fa ricominciare a vivere, a progettare, a stringere i denti quando serve, porto ciò che rimette in moto la vita”. E si tratta sempre di una buona notizia, di una feritoia di speranza.
Iniziare da una notizia buona, e non dalle mille cattive notizie, come è prassi sui media, questo ci fa sembrare fuori dal mondo, dalla realtà. Ed è la via dei profeti.
Inizio della bella notizia che è Gesù, Cristo. Lui, quel falegname che si è preso per un profeta, è vangelo; il vangelo è Gesù, il suo modo unico di vivere, libero come nessuno, materno e appassionato, forte e più grande del nostro cuore. Lui che disegna una nuova architettura del mondo e del cuore.
Come suo discepolo io vorrei, dovrei diventare anch’io inizio di vangelo, io e tu buona notizia, tu e io via di pace dentro la violenza; buona notizia di onestà dentro il malaffare; buona notizia di fiducia dentro la sfiducia…
Solo 2 italiani su dieci, dicono i sondaggi più recenti, hanno fiducia negli altri. Noi diffidiamo del 80% delle altre persone.
Ma è la via sbagliata: la sfiducia genera sospetto, il sospetto genera paura,
la paura diventa aggressività, l’aggressività produce violenza,
la violenza genera morte.
La fiducia invece, la fede invece è tutto ciò che si oppone alla morte. Amatevi, fidatevi altrimenti vi distruggerete. Istinto di vita portato da Gesù: io sono la vita.
Abbiamo pensieri malati e dobbiamo prenderci cura dei nostri pensieri. Perché i pensieri diventano parole. Le parole producono un carattere, e il carattere diventa azione.
Preparate la via del Signore! Una via c’è!
Giovanni dal deserto riempie il tempo dell’Avvento. La sua figura: vestito come gli antichi profeti, di peli di cammello, con la cintura di pelle, come Elia, il più grande dei profeti, mangia cavallette e miele selvatico quel niente che offre il deserto, il cibo normale dei nomadi e dei beduini.
Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri.
Tocca a noi. Il regno di Dio non scenderà dall’alto, per un improvviso intervento divino, ma esige la collaborazione di tutti. Dipende da noi.
Il profeta offre la certezza che una via c’è, che i sentieri sono molti, una rete di sentieri fascia il futuro. Diversi, per ciascuno il suo.
C’è una via di pace. Che noi non abbiamo percorso. Ci siamo tutti cullati nelle nostre comodità; noi non volevamo fare la pace nel mondo, ma solo che ci lasciassero in pace.
Giustizia e pace si baceranno, abbiamo sperato nel salmo.
La pace è opera della giustizia, abbiamo sentito in Isaia; invece noi abbiamo rifiutato di lottare per la giustizia. “Non eravamo affamati, appassionati di giustizia. E allora è normale che la nostra falsa pace finisca per scoppiarci in faccia” (F. Hadjaji).
E ci sentiamo deboli perché è la passione che rende forte la vita. Perché il coraggio non nasce dalla paura, ma dalla fame.
Viene dopo di me, uno più forte. Perché è appassionato, affamato, perciò è l’unico che parla al cuore. Notiamo il verbo centrale: viene, al presente. Giovanni non dice: verrà, un giorno. Non proclama: sta per venire, tra poco, e sarebbe già una cosa grande.
Ma semplice, diretto, sicuro, dice: viene.
Giorno per giorno, continuamente, anche adesso, Dio viene.
Anche se non lo vedi, viene; anche se non ti accorgi di lui, è in cammino su tutte le strade.
È bello un mondo immaginato così, pieno di orme di Dio, un Dio che ti assedia, dolcemente implacabile.
Il vangelo d’avvento ci aiuta a non perdere coraggio, a non appesantire il cuore con la sfiducia. Ci sarà sempre un momento in cui ci sentiremo col cuore pesante. Ho provato anch’io lo scoraggiamento, e non una volta sola, ma non gli permetterò più di mangiare nel mio piatto,
non gli permetterò di sedere sul trono del mio cuore.
Il motivo è questo: fin dentro i muscoli e le ossa io so una cosa, come la sapete voi, che una via c’è, e che nonostante tutte le smentite possibili, la storia che io e te stiamo percorrendo è una storia di salvezza;
e non può esserci disperazione finché ricordo perché sono venuto sulla terra, di chi sono al servizio, chi mi ha mandato qui.
E chi sta venendo: viene il più forte.
Questo mondo contiene Lui! Che viene, che è qui, che cresce dentro; la forza della risurrezione ha penetrato la trama di questa storia e non riposerà fino a che non avrà raggiunto l’ultimo ramo della creazione.
C’è un Liberatore, esperto di nascite, in cammino su tutte le strade. E apre sentieri.
Se colleghiamo insieme la prima frase: inizio del vangelo di Gesù e l’ultima espressione: io vi ho battezzato in acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito santo, capiamo cos’ è la buona notizia.
Giovanni ha compiuto un rito esterno, l’acqua è qualcosa di esteriore all’uomo,
ma egli vi battezzerà in Spirito santo, l’azione di Gesù è una immersione profonda, intima, interiore, nella stessa vita divina.
Che è pace fuoco luce gioia grande bellezza.
Ecco allora la buona notizia che l’evangelista ha annunciato:
tu sei immerso in Dio, Dio è immerso in te.
Il battesimo era un rito conosciuto, ci si immergeva nell’acqua a simboleggiare la morte del proprio passato e per iniziare una vita nuova.
Un cambiamento di vita, un impegno nuovo: se finora hai vissuto per te, adesso vivi anche per gli altri. Questo è il senso di conversione secondo l’evangelista. Ma adesso vivrai di Dio. L’uomo ha Dio nel sangue nel respiro nel sogno.
Il vangelo ci insegna a leggere la storia come grembo di futuro, a non fermarci a ciò che adesso appare: questo mondo porta un altro mondo nel grembo. Un mondo più buono e più giusto.
Che è già in cammino, il mondo è più vicino a Dio oggi di quanto non lo fosse ieri. Lo attestano mille segni: la coscienza crescente dei diritti dell’uomo, il movimento epocale del femminile, il rispetto e la cura per i disabili, l’amore per madre terra…
La buona notizia è che la storia è gravida di futuro buono per il mondo, gravida di luce, e Dio è sempre più vicino, vicino come il respiro, vicino come il cuore. Tu sei qui, e io accarezzo la vita perché profuma di Te.
Preghiera alla comunione.
Signore, manda ancora profeti,
come stelle a indicare la via,
come miele nel deserto.
Mandaci ancora profeti,
uomini certi di Dio,
donne dal cuore in fiamme
voci che parlino al cuore.
E là dove la vita si era fermata
vieni tu, a farci ripartire,
solo tu, a farci vivere soltanto inizi.
Vieni e resta vicino,
vicino come il respiro
forte come il sangue,
vicino e caldo come una perla di luce seminata
nel cuore vivo di tutte le cose.
Amen.
SECONDA DOMENICA DI AVVENTO – A
Is 11,1-10 – Rom 15, 4-9 – Mt 3, 1-12
di p. Ermes Ronchi
Due Profeti nel deserto di Giudea: Isaia e Giovanni, un sogno che chiama dal futuro, una decisione che preme oggi.
Vieni a cercarci:
noi siamo sempre più smarriti e dunque vieni sempre Signore.
Vieni, tu che ci ami:
nessuno è in comunione con te se non lo è anche col fratello, e dunque vieni sempre, Signore.
Noi siamo tutti lontani,
non sappiamo chi siamo, cosa fare e come farlo e dunque vieni sempre, Signore.
Omelia
Giovanni il Battista predicava nel deserto della Giudea dicendo: convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino (Mt 3,2).
Gesù cominciava sulla riva del lago con l’identico annuncio: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino (Mt 4,17).
Tutti i profeti hanno gli occhi fissi nel sogno, che ha nome regno dei cieli, che è un mondo nuovo intessuto di rapporti buoni e felici. Ne percepiscono il respiro vicino: è possibile, è ormai iniziato. Su quel sogno ci chiedono di osare la vita, ed è la conversione.
Si tratta di tre annunci in uno, e tra tutte la parola più calda di speranza è l’aggettivo “vicino”. Dio è vicino, è qui, prima buona notizia: il grande Pellegrino ha camminato, ha consumato distanze, è vicinissimo a te.
Dio è accanto, a fianco, dentro tutto ciò che vive: rete che raccoglie insieme, in armonia, il lupo e l’agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente (parola di Isaia), uomo e donna, arabo ed ebreo, mussulmano e cristiano, bianco e nero, per una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani.
Il Regno dei cieli e la terra come Dio la sogna. Non si è ancora realizzata? Non importa, il sogno di Dio è più vicino, anzi è più vero che non la realtà stessa, fatta di lupi e di muri, è il nostro futuro che ci porta, la forza che fa partire.
Convertitevi, ossia osate la vita, mettetela in cammino, e non per eseguire un comando, ma per una bellezza; non per una imposizione da fuori ma per una seduzione. Ciò che converte il freddo in calore non è un ordine dall’alto, ma la vicinanza del fuoco; ciò che toglie le ombre dal cuore non è un obbligo o un divieto, ma una lampada che si accende, un raggio, una stella, uno sguardo. Convertitevi: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui: cambiate lo sguardo con cui vedete gli uomini e le cose, cambiate strada, sopra i miei sentieri il cielo è più vicino e più azzurro, il sole più caldo, il suolo più fertile, e ci sono cento fratelli, e alberi fecondi, e miele.
La forza che cambia il cuore non è mai la paura, ma è una forza non umana che cresce dentro, una forza im-mane, cioè il divino in noi, Dio che viene, che va alla radice del vivere, più vicino a me di me stesso.
La prima parola di Giovanni e Gesù è vangelo, bella notizia: si è avvicinato il Regno di Dio.
Noi pensiamo che la presenza del Signore si sia rarefatta in questa società di idoli.
Il profeta ripete: il regno è più vicino oggi di ieri, di dieci o vent’anni fa, ma a noi sembra che si sia allontanato.
Se guardo con attenzione, io vedo che il mondo è più vicino al regno di Dio oggi di ieri: è cresciuta la libertà di essere se stessi, l’autenticità nelle relazioni, la consapevolezza che l’uomo è il diritto di avere diritti, è cresciuta la giustizia e la solidarietà verso i deboli, verso i disabili c’è stata una autentica rivoluzione, l’amore per tutte le creature, per la terra, l’aria, le acque. E l’istruzione e la scienza.
Anche altro è cresciuto, è vero, una solitudine, una individualizzazione, una disgregazione dei legami, una idolatria del denaro e dell’apparire, una insofferenza verso gli estranei.
Ma io credo nella buona notizia di Isaia, Giovanni, Gesù.
Lo credo non per un vacuo ottimismo. Il cristiano non è ottimista, ha speranza. L’ottimista tra due ipotesi sceglie quella positiva. Io scelgo il Regno per un atto di speranza: perché Dio si è impegnato con noi, in questa storia, con un intreccio così scandaloso con la nostra carne da arrivare fino alla morte di croce.
Come riuscire a vederlo? A un Maestro un giorno un discepolo chiese: ‘Un tempo c’erano uomini che vedevano Dio faccia a faccia, perché oggi nessuno più vede Dio?’ E il Maestro rispose: ‘Perché oggi nessuno sa più inginocchiarsi così profondamente!’
Per vedere bene qualsiasi cosa ti devi inginocchiare a millimetro di viso, di occhi, di voce.
Chiniamoci con attenzione e lo vedremo. Nell’intimo di ciascuno, nell’umiltà dei giorni e dei segni viene, per questo è necessario avere quello che il profeta chiama l’occhio penetrante. Uno sguardo che non si ferma alla superficie delle cose, alla nebbia delle parole, che va oltre le apparenze.
Gesù è l’incarnazione di un Dio che si fa intimo come un pane nella bocca, una parola detta sul cuore, un respiro: infatti “vi battezzerà nello Spirito Santo”, vi immergerà dentro il mare di Dio, sarete avvolti, intrisi, impregnati della vita stessa di Dio, in ogni vostra fibra.
Perché viene? Perché deve venire, per un suo bisogno, perché prima ancora che un mio problema la salvezza è un desiderio di Dio. Che io sia amato dipende da lui non da me. Il venire di Dio dipende da Lui. Perciò ne sono sicuro…
Con le immagini forti della scure e del fuoco, dagli effetti definitivi, Giovanni dice che ‘Dio viene al centro della vita non ai margini di essa’ (Bonhoeffer), che Dio raggiunge e tocca quella misteriosa radice del vivere che ci mantiene diritti come alberi forti, che ci permette di vedere orizzonti di luce nonostante le macerie, di raccogliere frumento buono nonostante gli inverni.
Dio ha a che fare non solo con la mia vita, ma con il centro della mia vita.
Non è l’ultima risorsa quando non ho più risorse; no, viene come forza della mia forza, terra profonda delle mie radici, sole del mio cielo.
Viene dentro la passione d’amore, dentro la fedeltà al dovere, dentro il coraggio di sperare, nella gioia della libertà raggiunta, quando accetto la sproporzione tra ciò che mi è promesso e ciò che stringo fra le mani, e tuttavia faccio avanzare di un passo, di un millimetro, di un niente, la bontà del mondo.
Io cerco chi sa darmi speranza. La speranza me la dà Dio in me, vicino come il respiro, vicino come il cuore, la sua vita dentro la mia vita.
Con Lui vivrò un battesimo di vento e di fuoco. Vento che gonfia le vele e fa ripartire, e focolare che dà calore e sicurezza e fa vivere accesi.
Con Lui il peccato non è più semplicemente trasgredire delle regole, ma trasgredire il sogno che Dio sogna per noi.
Un sogno grande come quello di Gesù, bello come quello di Isaia, al centro della vita come quello di Giovanni.
Preghiera alla comunione.
Manda il tuo messaggero davanti a noi, Signore,
un angelo, un uomo, una donna, un bambino
che ci insegnino a chinarci profondamente
a inginocchiarci per essere più vicini
al volto degli altri, al cuore del mondo.
Manda il tuo messaggero
manda ancora Profeti,
uomini dal cuore in fiamme:
e tu a parlare dai loro roveti.
Vieni più vicino Signore
Allunga ancora un po’ quella mano
che non hai mai cessato di tendermi
e ti sentirò vivo come acqua nel deserto,
come miele nei giorni dell’amarezza,
come vento e come fuoco
che riaccendono il sogno di un mondo nuovo,
un sogno dolce come quello dei profeti,
al cuore della vita come quello di Gesù,
seminato come una perla di luce
nel cuore vivo di tutte le cose. Amen
p. Ermes Ronchi
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