18 Settembre 2021

SOLO ESSI DANNO ORDINI AL FUTURO (p. Ermes Ronchi)

Fb 19 settembre 2021

Solo essi danno ordini al futuro

Mc 9, 30-37

Gesù oggi ci offre tre definizioni di sé, una più contromano dell’altra, valide per ogni epoca; ultimo, servitore, piccolo, mettendo al centro non se stesso ma colui che è il più inerme e il più amato: un bambino.

Mette i dodici, e noi, di fronte a un limpidissimo e stravolgente pensiero: chi vuol essere il primo sia l’ultimo, il servo di tutti. Così Gesù ci disarma e sguinzaglia il nostro lato giocoso, fanciullesco.

Proporre il bambino come modello di fede è far entrare nella religione l’inedito.

Cosa sperimenta un bambino? La tenerezza degli abbracci, l’emozione delle corse, il vento sul viso… Non sa di filosofia né di leggi. Ma conosce come nessuno la fiducia, e si affida.

Un bambino non basta a se stesso, e riceve tutto restituendo così poco; improduttivo eppure in pace davanti al futuro, sicuro non di sé, ma dei genitori; forte non della propria forza, ma di quella con cui lo sollevano le braccia del padre. Un bambino porta festa nel quotidiano! Lui sa aprire la bocca in un sorriso quando ancora non ha smesso di asciugarsi le lacrime.

Nessuno ama la vita più appassionatamente di un bambino.

Averlo come riferimento, per il cammino del credente, significa entrare in un mondo grande appena quanto lo spazio del grido con cui egli chiama la madre. Ma “se non diventerete come loro”, se non ritroverete lo stupore di essere figli piccolini che sanno piangere imparando a ridere, non entrerete mai nel Regno, perché non sapete cos’è la gioia!

Parole mai dette prima, scandalo per i giudei, follia per i greci, ma parole finalmente liberate come uccelli, come angeli sui confini infiniti dell’anima e del tempo. Solo i bambini danno ordini al futuro.

«Chi accoglie un bambino, accoglie il Padre». Mi commuove l’ottimismo di Dio: non tanto l’uomo è sua immagine, ma lo è il bambino, l’eterno che si abbrevia nel frammento. Per Gesù, Dio è il padre buono che scorge il figlio da lontano e gli si butta al collo, è il pastore che trova la pecorella e se la pone sulle spalle.

Dio abbraccia il più piccolo perché nessuno sia perduto; non la briciola di pane, non l’agnellino in fondo al gregge, non due spiccioli di un tesoro. «Neppure un capello del vostro capo, neppure un passero che cade a terra». E come potrebbe mai andare perduto un bambino?

Accogliere, verbo che plasma il mondo come Dio lo sogna. Ci sarà futuro se l’accoglienza, tema bruciante oggi più che mai sui confini d’Europa, sarà il nuovo nome della civiltà. Un invito per tutti a farsi madri di Dio, con Maria; che nella vita non ha fatto nient’altro di speciale che accogliere Dio nel suo bambino, e con questo ha fatto tutto. E a noi non resta che farci prendere in braccio.

La Chiesa, o è madre accogliente per tutti, o non è, perché accogliere l’ultimo è accogliere Dio, e non si può abbandonare Dio sulla strada.

 

Avvenire 25° Marco 9,30

Un’alternanza di strade e di case: i tre anni di Galilea sono raccontati così da Marco. Sulla strada si cammina al ritmo del cuore; si avanza in gruppo; qualcuno resta un po’ indietro, qualcun’altro condivide chiacchiere leggere con un amico, lasciando fiorire parole autentiche e senza maschere. Gesù ha lasciato liberi i discepoli di stare tra loro, per tutto il tempo che vogliono, con i pensieri che hanno, con le parole che sanno, senza stare loro addosso, controllare tutto, come un genitore ansioso.

Poi il vangelo cambia ambientazione: giungono in casa, e allora cambia anche la modalità di comunicazione di Gesù: “sedutosi, chiamò i dodici e disse loro (sedette, chiamò, disse sono tre verbi tecnici che indicano un insegnamento importante): di cosa stavate parlando? Di chi è il più grande. Questione infinita, che inseguiamo da millenni, su tutta la terra. Questa fame di potere, questa furia di comandare è da sempre un principio di distruzione nella famiglia, nella società, nella convivenza tra i popoli. Gesù si colloca a una distanza abissale da tutto questo:  se uno vuol essere il primo sia il servo.

Ma non basta, c’è un secondo passaggio: “Servo di tutti”, senza limiti di gruppo, di famiglia, di etnìa, di bontà o di cattiveria. Non basta ancora: “Ecco io metto al centro un bambino”, il più inerme e disarmato, il più indifeso e senza diritti, il più debole e il più amato!

Proporre un bambino come modello del credente è far entrare nella religione l’inaudito Cosa sa un bambino? Il gioco, il vento delle corse, la dolcezza degli abbracci. Non sa di filosofia, di teologia, di morale. Ma conosce come nessuno la fiducia, e si affida. Gesù ci propone un bambino come padre nella fede. ‘Il bambino è il padre dell’uomo’ (Wordsworth). I bambini danno ordini al futuro, danno gioia al quotidiano.

La casa ha offerto il suo tesoro, un cucciolo d’uomo, parabola vivente, piccola storia di vita che Gesù fa diventare storia di Dio: Chi lo abbraccia, abbraccia me! Gesù offre il suo tesoro: il volto di un Dio che è non onnipotenza ma abbraccio: ci si abbraccia per tornare interi (A. Merini), neanche Dio può stare solo, non è “intero” senza noi, senza i suoi amati.

Chi accoglie un bambino accoglie Dio! Parole mai dette prima, mai pensate prima. I discepoli ne saranno rimasti sconcertati: Dio come un bambino! Vertigine del pensiero. L’Altissimo e l’Eterno in un bambino? Se Dio è come un bambino significa che devi prendertene cura, va accudito, nutrito, aiutato, accolto, gli devi dare tempo e cuore (E. Hillesum). Non puoi abbandonare Dio sulla strada. Perché Dio non sta dappertutto, sta soltanto là dove lo si lascia entrare (M. Buber).