25 Maggio 2017

SE MI AMI DIVENTI COME ME!

 

 

p. Ermes Ronchi

 

VI domenica di Pasqua

Gv 14,15-21

 

Un Vangelo da mistici oggi, di fronte al quale si può solo balbettare o portare la mano alla bocca. Un Vangelo che è velato più dalla bellezza delle parole che dall’innocenza del silenzio. Qui si tratta, parafrasando il titolo di un libro di Mancuso, nientemeno che di “io e Dio”.

L’orizzonte adesso non è più sui campi aperti della vita, come abbiamo potuto gustare oggi nel bellissimo trekking per il Festival Biblico “Sulle orme della Laudato si’, ma sul santuario interiore dove si svolge il tu per tu con Dio, dove ciascuno è posto faccia a faccia, corpo a corpo con il Signore.

La prima parola è un “se”: se mi amate. Un punto di partenza così libero, così umile, così fragile, così fiducioso, così paziente. Non dice: “dovete amarmi, guai a voi se non mi amate”. Nessuna minaccia, nessuna costrizione, puoi aderire e puoi rifiutarti in totale libertà.

Ma, “se mi ami”, sarai trasformato in un’altra persona, diventerai come me, prolungamento dei miei gesti, riflesso dei miei occhi: “se mi amate, osserverete i comandamenti miei”. Non per dovere, ma come espansione verso l’esterno di ciò che già preme dentro, come la linfa della vite a primavera, quando preme sulla corteccia dura dei tralci e la spacca, l’apre e ne esce in forma di gemme e di fori.

In questo passo di Giovanni, per la prima volta, Gesù chiede esplicitamente di essere amato. Il suo comando finora diceva: “Amerai Dio, amerai il prossimo tuo, vi amerete gli uni gli altri…”, ora aggiunge se stesso agli obiettivi dell’amore. Facendosi mendicante d’amore, rispettoso e generativo. Non rivendica amore, lo spera.

Ma amarlo è pericoloso. Ti cambia la vita.

Infatti il brano di oggi si compone di sette versetti in cui per sette volte Gesù ribadisce un concetto, anzi un sogno: unirsi a me, abitare in noi. E lo fa con parole che dicono unione, compagnia, incontro, grondano intimità, in una divina monotonia, umile e sublime: sarò con voi, verrò presso di voi, in voi, a voi, voi in me, io in voi. Tralcio unito alla madre vite, goccia nella sorgente, raggio nel sole, scintilla del roveto, respiro nel suo vento.

 

Gesù cerca spazi, spazi nel cuore, spazi per la trasformazione: Se mi ami diventi come me! Io posso diventare come Lui, acquisire nei miei giorni un sapore di cielo e di storia buona; sapore di libertà, di mitezza, di pace, di forza, di nemici perdonati, di tavole imbandite, e poi di piccoli abbracciati, di relazioni buone e feconde che sono la bellezza del vivere.

Quali sono “i comandamenti miei” di cui parla Gesù? Non l’elenco delle Dieci Parole del monte Sinai; non i comandi esigenti o i consigli sapienti dettati in tre anni di itineranza libera e felice.

I comandamenti da osservare sono quei gesti che riassumono la sua vita, che vedendoli non ti puoi sbagliare: è davvero Lui. Lui che si perde dietro alla pecora perduta, dietro a pubblicani e prostitute, che fa dei bambini i principi del suo regno, che ama per primo, ama in perdita, ama senza aspettare di essere ricambiato.

“Come ho fatto io, così farete anche voi” (Gv 13,15). Lui che cinge un asciugamano e lava i piedi, che spezza il pane, che nel giardino trema insieme al tremante cuore della sua amica (“donna, perché piangi?”), che sulla spiaggia prepara il pesce sulla brace per i suoi amici. Gesti che confortano la vita. Mentre nelle sue mani arde il foro dei chiodi incandescenti della crocifissione.

Il suo comando è l’amore, così noi lo riassumiamo, ma non è esatto. Il suo comando non è amare, già lo fanno in molti, in tutti i luoghi e in tutti i tempi.

Il comando di Gesù non è neanche amare il prossimo, questa è Legge antica, Legge di Mosé.

Non è neppure: Ama il prossimo tuo come te stesso, perché io non voglio, io non posso essere la misura dell’amore, non posso essere io il misero metro di una Legge che pretende di creare una terra nuova. Il comando di Gesù è, ad essere precisi: “Amatevi come io vi ho amato”.

Non quanto ma come. Inarrivabile per noi quell’amore, a misurarci finiremmo per esserne schiacciati. E’ questione di qualità non di quantità, questione di stile, di esattezza, di giusto sapore.

Ma io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore. Lo darà a tutti, senza misurare. E chiaro dovrebbe essere che tu e io, che noi abbiamo tanto Spirito Santo quanto ne ha il papa, quanto ne ha la massima autorità della Chiesa. Abbiamo tutto lo Spirito che ci serve. È vangelo.

Non vi lascerò orfani. Non lo siete ora e non lo sarete mai. La presenza di Cristo in me non è da conquistare, non è lontana. È già data, è dentro, è indissolubile, fontana che non verrà mai meno. Mai orfani.

E c’è in questo Vangelo come un girotondo, se questa parola non suonasse infantile ma soltanto innocente: come un girotondo dell’amore. Il primo versetto constata: “Se mi amate osserverete i comandamenti” e l’ultimo versetto chiude il circuito dicendo: “Se osservate i comandamenti mi amate. Sembrano contraddirsi: il primo dà come un anticipo, una priorità, un vantaggio all’amore sul fare; l’ultimo trasferisce questo primato, questo privilegio al fare che diventa la prova dell’amore.

Ma non si tratta di preferire l’uno o l’altro, bensì di leggerli insieme, di prenderli insieme nella circolarità del vivere, nella perfezione dell’amore.

Il circuito si apre con l’amore a Cristo, si chiude con la riprova di questo amore. A partire da te, ma non per te. A partire da come tu agisci io risalgo a quello che tu vivi. Per sette volte Gesù ha ribadito la sua passione di unirsi all’uomo e alla fine ne svela il perché: “Io vivo e voi vivrete”, la sua passione, la sua mania è solo quella di far vivere. “Io vivo e voi vivrete” di una vita simile alla mia. La Bibbia è il racconto del cielo che si innesta sulla terra, ma ancora di più è il racconto della trasfigurazione dell’uomo, trasformato come la sposa quando esce dalla camera nuziale gloriosa di vita nuova, dopo l’incontro d’amore con lo sposo.

Così noi, custodi di Dio, tutti vivi della sua vita.

 

Preghiera alla comunione da Angelo Silesio

 

Amore, che mi formasti a immagine

del Dio che non ha volto,

Amore, che sì teneramente

mi ricomponesti dopo la rovina,

Amore, ecco, mi arrendo:

sarò il tuo splendore eterno.

 

Amore che mi hai eletto

fin dal giorno in cui le tue mani

plasmavano il corpo mio,

Amore celato nell’umana carne,

ora simile a me interamente sei.

Amore, ecco, mi arrendo:

sarò il tuo possesso eterno.

 

Amore, che al tuo giogo

anima e sensi tutto m’hai piegato,

Amore, che mi rapisci nel gorgo tuo,

il cuore mio più non resiste.

Ecco, mi arrendo, Amore,

mia vita ormai eterna. Amen.