23 Giugno 2017

PRENDETE E MANGIATE

 

Corpus Domini

Giovanni 6,51-58

 

INIZIO

Siamo venuti a fare la comunione? No, è Lui che viene a fare comunione con noi. Lui in cammino, Lui percorre i cieli, Lui felice di vedermi arrivare, che mi dice: sono contento che tu sia qui. Io posso solo accoglierlo stupito. Prima che io dica: “ho fame”, Dio ha detto: “Prendete e mangiate”, mi ha cercato, mi ha atteso e si dona.

 

RICHIESTA DI UN CUORE NUOVO

– Tutto il vangelo ci assicura che l’umanità intera è il corpo di Cristo. L’umanità è la carne di Dio: quello che avete fatto a uno di questi l’avete fatto a me. Corpo di Cristo che è sull’altare in chiesa, corpo di Cristo che è sull’altare dei poveri, piccoli, affamati, esiliati, forestieri, ammalati, vecchi, disabili, le persone sole. Da accogliere in noi. Lo abbiamo fatto?

– Corpus Domini è il mondo intero, l’intero creato è corpo santo del Signore. Mangiare e bere la vita di Cristo si dissemina sul grande altare del pianeta, nella ‘messa sul mondo’ (Theilard de Chardin). Ci sono in noi rispetto e comunione, cura e protezione delle creature uscite dalla mano e dal sogno di Dio?

 

Omelia

(p. Ermes Ronchi)

 

Un Vangelo di soli otto versetti, e Gesù a ripetere per otto volte: Chi mangia la mia carne vivrà in eterno. Quasi un ritmo incantatorio, una divina monotonia, nello stile di Giovanni che avanza per cerchi concentrici e ascendenti, come una spirale; come un sasso che getti nell’acqua e vedi i cerchi delle onde che si allargano sempre più.

Per otto volte, come in otto cerchi, Gesù insiste sul perché mangiare: per semplicemente vivere, per vivere davvero. Altro è vivere, altro è sopravvivere.

E’ l’incalzante certezza da parte di Gesù di possedere qualcosa che cambia la direzione della vita. La vita scivola inesorabile verso la morte, dice la nostra esperienza. Invece no, noi andiamo da morte a vita, il vangelo è dilatazione, accrescimento, incremento, intensificazione di vita, eternità.

Dio si presenta come un Dio che dona, che si dona: “Prendete la mia carne”: ecco il genio del cristianesimo! Dio non prende nulla e dona tutto, si dona e si perde dentro le sue creature come lievito dentro il pane, come pane dentro il corpo.

Che cosa siamo venuti a fare oggi in questa celebrazione del Corpus Domini? Ad adorare il Corpo e Sangue del Signore? No. Oggi non è la festa dei tabernacoli aperti o delle pissidi dorate e di ciò che contengono.

Che cosa celebriamo? Cristo che si dona, fedele fino al sangue?

Neppure questo è esatto. La festa di oggi è ancora un passo avanti.

Perché un dono sia dono vero occorre qualcuno che lo prenda, lo accolga, lo apprezzi. Che regalo è se io ti offro un libro, un fiore, un buon vino e tu ti dimentichi di prenderlo o lo butti nel primo angolo buio?

Quando nella messa sentiamo: prendete e mangiate, questo è il mio corpo, su quali parole si posa subito la nostra attenzione? L’accento va sulla seconda parte della frase: questo è il mio corpo, si concentra sul pane trasformato nel corpo di Gesù.

Seguiamo invece la successione esatta delle parole, il ritmo voluto da Gesù, lasciamo al primo posto la prima parola: prendete.

Qui è il miracolo, il batticuore, lo scopo: prendete. Per essere trasformati voi. Quello che sconvolge, è ciò che accade nel discepolo più ancora che ciò che accade nel pane.

A che serve un Pane, un Dio, chiuso nel tabernacolo, da esporre di tanto in tanto alla venerazione e all’incenso? Gesù non è venuto nel mondo per creare liturgie. Ma figli liberi e amanti.

E ha dato due comandi, nitidi, precisi, li ha raddoppiati due volte: prendete e mangiate, prendete e bevete.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna. Ha la vita eterna, adesso, non avrà, come una specie di tfr, di liquidazione che accumulo con il mio lavoro e i miei meriti e di cui potrò godere alla fine della mia vita.

La vita eterna è già cominciata, una vita libera e autentica, giusta, che si rialza e non si arrende, che fa cose che meritano di non morire. Una vita come quella di Gesù, capace di amare come nessuno.

Preparando questo commento mi è tornata alla mente la domanda così bella del Salmo 33: Vi è qualcuno che desidera la vita, che vuole gustare la vita? Sì, io voglio vivere! Voglio gustare la vita. Voglio godere la vita.

C’è qualcuno che vuole lunghi giorni felici? Sì, io voglio lunghi giorni e che siano felici. Li voglio per me e per i miei.

E la risposta a questa domanda è Gesù, con la sua carne e sangue. Che indicano l’intera sua esistenza, la sua vicenda umana, le sue mani di carpentiere con il profumo del legno, le sue lacrime, le sue passioni, la polvere delle strade, i piedi intrisi di nardo, e la casa che si riempie di profumo e di amicizia.

E qui c’è una sorpresa, una cosa imprevedibile.

Gesù non dice: prendete su di voi la mia sapienza, mangiate la mia santità, il sublime che è in me. Dice, invece: prendete la mia umanità, il corpo, il mio modo di abitare la terra e le mie relazioni come lievito delle vostre.

Nutritevi di vangelo come un bimbo che è ancora nel grembo della madre si nutre del suo sangue. L’uomo è l’unica creatura che ha Dio nel sangue (Vannucci). E nel respiro.

Gesù non sta parlando della messa, del sacramento dell’eucaristia, ma del sacramento della sua esistenza: mangiate e bevete ogni goccia e ogni fibra di me.

Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio, perché ci incamminiamo a vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta lui. Dio si è fatto uomo per questo, perché l’uomo si faccia come Dio.

Allora mangiare e bere Cristo significa molto più che fare la Comunione alla Messa, è prenderlo come misura, lievito, energia. Non “fare la comunione” ma “farci comunione”.

Mi sento nascere da dentro una domanda: noi di che cosa ci nutriamo? Di che cosa nutriamo anima e pensieri? Stiamo mangiando generosità, bellezza, profondità? O stiamo nutrendoci di egoismi, intolleranze, miopie dello spirito, insensatezza del vivere, paure di tutto? Se accogliamo pensieri degradati questi ci fanno come loro; se accogliamo pensieri di vangelo, di bellezza, essi ci fanno uomini e donne della bellezza.

Ma oggi quando ci avvicineremo per la comunione sull’altare apparentemente non c’è nulla di quanto abbiamo cercato. C’è un piccolo pane bianco e lieve che non ha sapore, che è silenzio. Profondissimo silenzio. La vita sembra esplodere altrove con la sua bellezza e tenerezza.

Cosa mi può dare questo pane? Lieve come un’ala, così piccolo da non saziare neppure un bambino. Cosa mi può dare?

La comunione con Dio. E accade qualcosa come un cambiamento profondo, che i padri orientali chiamano la deificazione, la theosis, parola che ci fa paura. Un pezzo di Dio in me perché io diventi un pezzo di Dio nel mondo.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui”. E questo è molto bello. Gli uomini quando amano dicono: vieni a vivere nella mia casa, la mia casa è la tua casa. Dio lo dice a noi.

Finita la religione delle pratiche esterne, dei riti, degli obblighi, questa è la religione del corpo a corpo con Dio, a tu per tu con la sua vita, fino a diventare una cosa sola con lui.

Prendete, mangiate! Parole che mi sorprendono ogni volta, come una dichiarazione d’amore: ‘io voglio stare nelle tue mani come dono, nella tua bocca come pane, nell’intimo tuo come sangue, farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita’.

Qui è il miracolo, il batticuore, lo stupore:

Dio in me, il mio cuore lo assorbe,

lui assorbe il mio cuore,

e diventiamo una cosa sola,

con la stessa vocazione:

non andarcene da questo mondo

senza essere diventati pezzo di pane buono per qualcuno.

Pane buono per la fame e la gioia di qualcuno.

 

 

Leone Magno: partecipare al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo.

 

Alla comunione

Sull’altare ho preso solo un piccolo pane bianco,

che non ha sapore, che è silenzio, profondissimo silenzio.

Cosa mi può dare questo pane

un boccone così piccolo da non saziare

neppure il più piccolo bambino?

La piccola Ostia sa di niente, leggera come un’ala

eppure per un istante almeno

mi affaccio sull’abisso di ciò che accade:

sono colmo di Dio e non riesco a dire parole.

Mi accorgo che non ho doni da offrire,

sono solo un uomo con la sua storia accidentata,

una donna con il suo contorto cuore

con molto deserto e qualche piccola oasi,

una creatura che ha bisogno di cure,

ma dentro qualcosa si apre

perché vi si depositi l’orma lieve di Dio. Lieve come l ostia.

Dio è qui, Dio mi abita,

diventa mia vita, mio corpo, mio sangue

e quel che appare incredibile

è che Dio si accontenta di quel groviglio di paure che io sono,

gli vado bene anche solo per questo inizio di comunione che si apre in me.

Cerco di spremere parole,

pensieri da dedicargli.

Ma quanto poco riesco a dire,

quanto poco riesco a tirar fuori

dalle pieghe mute dell’anima.

Allora finisco per dedicargli il silenzio,

come se dicessi: vedi, non ho nulla degno di un Dio

e Tu dovresti lasciarmi,

tu che sei così grande, dovresti cercarti qualcun altro,

qui troverai ben poco, dovresti andartene,

con me vivrai giorni duri…

Ma Lui non se ne è mai andato,

Lui non mi ha mai lasciato.

 

 

Ermes Ronchi