
Pensare a Dio con amore, attenzione o anche solo desiderio, è già considerato da molti santi e teologi una forma autentica di preghiera, spesso più preziosa delle parole recitate meccanicamente.
Ecco cosa dicono alcuni santi e maestri spirituali a riguardo:
1. San Giovanni Maria Vianney (Curato d’Ars)
“Pregare non è altro che unione con Dio. Quando il nostro cuore è puro e unito a Dio, è preso da un dolce profumo e un gusto che inebria. È come un respiro d’amore che sale fino a Lui.”
Anche senza parole, anche solo pensando a Dio, il cuore può pregare.
2. Santa Teresa d’Avila
“Non è necessario avere molte parole per pregare: basta guardarlo, sapendo che Lui ci guarda.”
Un pensiero sincero verso Dio — anche solo un “so che ci sei” — è preghiera viva.
3. Santa Teresa di Lisieux
“Per me, la preghiera è uno slancio del cuore, uno sguardo semplice gettato verso il cielo.”
Anche un pensiero fugace, se nasce dall’amore, è preghiera.
4. Fratel Lorenzo della Resurrezione
Un carmelitano laico del XVII secolo, divenuto celebre per il suo libriccino “La pratica della presenza di Dio”, diceva:
“Il modo più sicuro per arrivare alla perfezione è esercitarsi a vivere nella presenza di Dio. Pensare a Lui spesso, in tutto ciò che si fa.”
Per lui, lavare i piatti o cucinare pensando a Dio era preghiera pura.
Sì, pensare a Dio è preghiera.
Anzi, spesso è la preghiera più sincera e umana, perché nasce dal cuore, non dalla regola.
Quando osservamo un albero, un paesaggio, un animale o un volto umano con lo stupore e la consapevolezza della grandezza creativa di Dio, stiamo vivendo un’esperienza che può essere considerata una preghiera autentica.
Ecco alcuni aspetti che spiegano questo approccio:
Contemplazione del Creato:
Guardare la bellezza e l’ordine del creato ti permette di percepire la presenza divina in ogni cosa. La contemplazione, come praticata da molti mistici e santi (ad esempio, San Francesco d’Assisi), è un modo di entrare in comunione con Dio che va oltre le formule verbali.
Stupore e Meraviglia:
Quando il nostro cuore si apre al senso di meraviglia, riconosciamo la maestà dell’atto creativo e la cura con cui Dio ha realizzato ogni dettaglio. Questo stato d’animo, fatto di gratitudine e riconoscenza, si trasforma in preghiera spontanea.
Dialogo Silenzioso:
Non è necessario usare parole elaborate per pregare. Il pensiero rivolto a Dio, che nasce dalla pura emozione e dall’unione interiore, diventa un dialogo silenzioso: una comunicazione intima in cui il semplice atto di osservare diventa una testimonianza del nostro desiderio di avvicinarci a Lui.
Pratica Quotidiana:
Integrare questi momenti contemplativi nella vita quotidiana ti consente di mantenere viva una relazione costante con il divino. Ad esempio, mentre passeggiamo o lavoriamo, dedicare qualche istante a osservare un dettaglio della natura o l’espressione sincera di una persona può trasformarsi in un atto di preghiera, un “respiro spirituale” che arricchisce il tuo cammino.
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Quindi sì, nel momento in cui riconosci in ciò che osservi l’atto creativo e l’amore di Dio, quel pensiero profondo e sentito è una preghiera nel senso più autentico del termine. È un modo per comunicare, anche silenziosamente, la tua fede e il tuo stupore di fronte alla magnificenza del Creato.
Ogni atto di contemplazione sincera e di riconoscenza, anche quando avviene in maniera spontanea o attraverso un oggetto apparentemente “banale”, diventa un dialogo interiore con il divino.
Alcuni aspetti da considerare (esempi):
Contemplazione e riconoscenza:
Quando guardiamo ad esempio l’orologio e vi associamo un senso di stupore per il progresso umano, riconosciamo in esso la creatività e l’ingegno che Dio ha, in un certo senso, permesso o guidato. Questa riflessione ci porta a riconoscere sia il valore dell’opera umana che la presenza di una dimensione trascendente nella storia e nell’evoluzione del mondo.
L’oggetto come simbolo:
In questa prospettiva, l’orologio diventa più di un semplice soprammobile: è un simbolo che richiama ricordi, emozioni e riflessioni sulla vita, sul tempo e sull’origine dell’innovazione. In questo senso, ogni volta che lo osserviamo, quella contemplazione si trasforma in un atto di preghiera, perché siamo immersi in un pensiero elevato e spirituale.
Preghiera spontanea:
Come si è detto precedentemente, la preghiera non si limita a rituali formali o a formule fisse. Un pensiero sincero, che nasce dal cuore nel momento in cui osservi qualcosa di bello o significativo, può essere una forma autentica di preghiera. Questo è proprio ciò che avviene: l’orologio scatena in te una riflessione che porta a una comunione interiore con il divino.
Riscoperta della dimensione trascendente:
Anche se l’oggetto ha un’origine apparentemente ordinaria, il fatto che lo associamo a una “reminiscenza infantile” e a un senso di meraviglia per il progresso umano dimostra che abbiamo la capacità di vedere il divino nelle piccole cose. Questa capacità è proprio al centro della spiritualità di molti santi e mistici, che invitavano a percepire la presenza di Dio in ogni aspetto della vita quotidiana.
Quel momento di riflessione e stupore rappresenta un modo per entrare in contatto con il senso più profondo dell’esistenza e un ricordo del dono della vita e della creazione, allora sì, è una preghiera. È un modo personale e autentico di esprimere gratitudine e meraviglia, senza dover necessariamente ricorrere a formule stabilite.
INNAMORATI DI DIO
In quasi tutto quello che facciamo non riusciamo a non pensare, anche indirettamente, alla misteriosa grandezza di Dio. Ci chiediamo spesso che senso ha quell’evento, quell’entitá ecc.
Persino la pioggia la leggiamo come una benedizione di Dio e ci viene spontaneo ringraziarlo. Quando incontriamo una persona ci chiediamo il perché Dio ce l’ha mandata. Ci chiedo anche che cosa significano certi piccoli malesseri, disagi ecc.
Insomma se non pensiamo a Dio tutto ci appare sterile, vuoto, noioso.
É una “patologia” o é un continuo contatto col divino che cerchiamo?
In sé non è una patologia, ma piuttosto un modo profondo e costante di vivere la presenza del divino, che molti considererebbero una forma di spiritualità intensa e autentica.
Un contatto continuo con il divino
Per molti mistici e santi, il sentire costante la grandezza di Dio in ogni cosa è un’esperienza preziosa. Nella tradizione cristiana, ad esempio, santi come Santa Teresa di Lisieux o San Giovanni della Croce hanno sottolineato come la continua consapevolezza di Dio – anche nei piccoli dettagli quotidiani – possa arricchire e dare senso alla vita. Non si tratta di recitare formule, ma di vivere ogni istante con gratitudine e stupore verso il Creato e il donarsi di Dio.
Non una patologia ma una vocazione spirituale
Il fatto che, senza questo legame continuo, tutto ti appaia “sterile” o vuoto, è un segno che la nostra interiorità è profondamente orientata verso il divino. Questa impostazione può essere vista come una vocazione spirituale, una forma di mindfulness che nutre l’anima, anziché un disturbo.
Molte correnti di pensiero spirituale suggeriscono che vedere il divino in ogni cosa – la pioggia come una benedizione, l’incontro con una persona come un incontro voluto dal divino – rappresenta un modo per mantenere un legame autentico e vivo con la fonte di ogni vita.
Quando può diventare motivo di preoccupazione?
Come in tutte le dimensioni della vita, l’equilibrio è fondamentale. Se il continuo pensiero a Dio ci porta a trascurare altre esigenze quotidiane o relazioni, o se il senso di dipendenza dal contatto divino diventa fonte di ansia o disagio, potrebbe essere utile confrontarci con un guida spirituale o un esperto di spiritualità che possa aiutarti a integrare questa dimensione in modo sano e bilanciato. Tuttavia, se questo legame ci arricchisce, ci dà conforto e ci aiuta a dare significato agli eventi quotidiani, si tratta di una forma profonda di meditazione e connessione spirituale.
La nostra esperienza, in cui ogni aspetto della vita ci richiama a Dio, è un esempio di intensa sensibilità spirituale e non, di per sé, una patologia. È il segno di un continuo contatto con il divino che può renderti la vita più ricca e significativa, a patto che tu riesca anche a mantenere un equilibrio con gli aspetti pratici e relazionali della vita quotidiana. Se ci sembra di avere bisogno di un supporto per comprendere meglio questa esperienza, parlare con un consigliere spirituale o un esperto in spiritualità può essere un ottimo modo per approfondire ulteriormente questo percorso.
Possiamo dire che ci sentiamo profondamente innamorati di Dio e del suo agire?
Emerge chiaramente una relazione molto profonda e sentita con il divino. Molte tradizioni spirituali — sia quelle cristiane, sia altre come la via della bhakti nell’induismo — parlano di un “innamoramento” di Dio che va ben oltre una forma di semplice devozione rituale. Significa vivere la presenza di Dio in ogni aspetto della vita, percepire il suo operato nel mondo, nei piccoli dettagli e negli eventi quotidiani, fino a renderlo il centro dell’esperienza esistenziale.
Un «innamoramento» del divino
Quando diciamo che ogni cosa ti appare vuota se non c’è l’idea di Dio alle spalle, e che ogni elemento della nostra vita — dalla natura agli oggetti, fino all’incontro con le persone — ci richiama a una riflessione che porta gratitudine e stupore verso la grandezza del Creatore, quello che stai vivendo è esattamente ciò che molti mistici descrivono come l’esperienza dell’essere “innamorati di Dio”. Questo stato non è una “patologia” ma, al contrario, si configura come un profondo contatto con il divino, che trasforma l’intera esistenza.
Cosa significa “essere innamorati di Dio”
Consapevolezza e Contemplazione:
Vedere in un albero, in un paesaggio o in una pioggia una manifestazione della bontà e della creatività di Dio equivale a riconoscere una presenza viva nel Creato. Molti santi, come San Francesco d’Assisi o Santa Teresa di Lisieux, hanno sperimentato e descritto questo senso di unione e stupore nei confronti di Dio, che va ben oltre la recitazione meccanica di preghiere https://apostoline.it/sevuoi/testimonianze/voci-dal-mondo-mi-sono-innamorato-di-dio/.
Un’immediata risposta del cuore:
Quando ogni incontro e ogni situazione quotidiana ci spinge a domandarci “che senso ha tutto questo in relazione a Dio?” ed a ringraziarlo spontaneamente, questo è un segno che il nostro cuore è disposto e aperto ad un contatto personale con il divino. L’esperienza descritta ricorda molto quella dei mistici, che parlano di un “innamoramento” in cui il rapporto con Dio si fa intimo e personale, simile a quello tra innamorati.
Un percorso di crescita spirituale:
Essere “innamorati di Dio” significa anche essere in cammino verso una maggiore consapevolezza spirituale, dove l’amore per il Creatore alimenta ogni altro aspetto della vita.
In questo senso, la nostra esperienza non è un segno di squilibrio, ma piuttosto un indicatore di una ricerca esistenziale che trova nel divino la fonte di significato e vitalità ([ ](https://it.zenit.org/2013/11/24/innamorata-di-dio-senza-sceglierlo/)).
Conclusione
Sì, puoi dire che ci sentiamo profondamente innamorati di Dio e del suo operato. Questa passione, che trasforma la routine quotidiana in una continua preghiera e che infonde senso e ricchezza in ogni esperienza, è la testimonianza di una relazione di intima comunione con il divino. È un segno che la nostra vita è permeata da quella “lode silenziosa” e quel sentimento rivolto a riconoscere e celebrare l’amore e la grandezza di Dio.
In sostanza, ciò che stiamo vivendo è in linea con quanto hanno descritto molti santi e mistici: un innamoramento che eleva l’anima, rendendo ogni gesto e ogni pensiero un atto di preghiera e gratitudine. Se questo ci dà gioia, ci spinge a cercare ulteriormente quella presenza e ci fa sentire pieno, allora non abbiamo nulla da temere: è una forma autentica e profonda di spiritualità.
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