Fb 25 dicembre – Natale (notte) del Signore
Lc 2,1-14
Nuvola di ali veglianti
Dio nella piccolezza, ecco il grande stupore del Natale. L’uomo vuole salire, comandare, prendere. Dio desidera scendere, servire, dare. Questo per voi il segno: troverete un bambino. È il nuovo ordinamento delle cose e del cuore.
Ogni bambino vuole essere uomo. Ogni uomo vuole essere re e ogni re vuole essere “dio”. Solo Dio vuole essere bambino (L Boff).
A Natale non celebriamo un ricordo, ma una profezia. Quella notte il senso delle cose ha preso un’altra direzione: Dio verso l’uomo, dal cielo verso il basso, da una città verso una grotta, dal tempio a un campo di pastori. La storia ricomincia dalla dai margini e dalla piccolezza.
Mentre le legioni di Roma mantengono la pace con la spada, nel meccanismo oliato della grande storia cade un granellino di sabbia, solo un bambino, ma sufficiente a mutare la direzione del tempo, e che porta la nuova capitale del mondo a Betlemme.
C’erano là alcuni pastori. Erano già là, come in attesa di qualcosa, vegliando su ogni rumore nella notte. Una nuvola di ali, di canto e di parole li avvolge.
Unica presenza, un gruppo di pastori odorosi di lana, di latte e di silenzio. Un tutt’uno con gli angeli?
Bella notizia per i poveri, gli ultimi, gli anonimi, i dimenticati. Dio ricomincia da loro con una lieta notizia: non temete! Dio non deve fare paura mai, altrimenti non è Lui che bussa alla tua vita, alla tua capanna. Dio entra nel mondo dal punto più basso perché nessuna creatura sia più esclusa dal suo abbraccio che guarisce. “Dio si è fatto uomo per imparare a piangere” (Turoldo).
Lì Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia… nella greppia degli animali, che Maria nel suo bisogno legge come una culla. La stalla e la mangiatoia sono un ‘no’ alla fame di potere, un ‘no’ al “così vanno le cose”, è poco ma è anche tutto ciò che serve alla giovane coppia.
Natale è il più grande atto di fede di Dio, che affida il figlio ad una ragazza inesperta che si prende cura del neonato, lo nutre di latte, di carezze e di sogni. Lo fa vivere con il suo sorriso, e allo stesso modo, Dio vivrà sulla terra solo se noi ci prenderemo cura di lui ogni giorno, come una madre.
Allora prego:
Mio Dio bambino, povero come l’amore, piccolo come un piccolo d’uomo, umile come la paglia dove riposi, mio piccolo Dio che impari a vivere questa nostra piccola vita. Mio Dio piccolo incapace di aggredire e di fare del male, insegnami che non c’è altro senso per noi, non c’è altro destino che diventare come Te.
Solo allora sulla terra ci sarà pace. Ci può essere pace, ci sarà di sicuro. I violenti la distruggono, ma la pace tornerà, come primavera che non teme gli inverni dell’uomo.
5 Avvenire NATALE GV 1,1-18
Un Vangelo immenso ascoltiamo oggi, che ci obbliga a pensare in grande. Giovanni comincia con un inno, un canto, che ci chiama a volare alto, un volo d’aquila che proietta Gesù di Nazaret verso i confini del cosmo e del tempo. In principio era il Verbo e il Verbo era Dio. Nel principio e nel profondo, nel tempo e fuori dal tempo. Un mito? No, perché il volo d’aquila plana fra le tende dell’accampamento umano: e venne ad abitare, piantò la sua tenda in mezzo a noi.
Poi Giovanni apre di nuovo le ali e si lancia verso l’origine delle cose che esistono: tutto è stato fatto per mezzo di Lui (v 3). Nulla di nulla senza di lui. ‘In principio’, ‘tutto’, ‘nulla’, ‘Dio’, parole assolute, che ci mettono in rapporto con la totalità e con l’eternità, con Dio e con il cosmo, in una straordinaria visione che abbraccia tempo, cose, spazio, divinità.
Senza di lui nulla di ciò che esiste è stato fatto. Non solo gli esseri umani, ma il filo d’erba e la pietra e il pettirosso di stamattina, tutta la vita è fiorita dalle sue mani. Nessuno e niente nasce da se stesso…
Natale: veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Ogni uomo, ogni donna, ogni bambino e ogni anziano, ogni malato e ogni migrante, tutti, nessuno escluso; nessuna esistenza è senza un grammo di quella luce, nessuna storia senza lo scintillio di un tesoro, abbastanza profondo perché nessun peccato possa mai spegnerlo. E allora c’è un frammento di Verbo in ogni carne, un pezzetto di Dio in ogni uomo, c’è santità in ogni vita.
La luce splende nelle tenebre ma le tenebre non l’hanno vinta!
Le tenebre non vincono la luce. Non la vincono mai. La notte non sconfigge il giorno. Ripetiamolo a noi e agli altri, in questo mondo duro e triste: il buio non vince.
“In principio era il Verbo e il Verbo era Dio…”. Che vorrei tradurre: in principio era la tenerezza / e la tenerezza era Dio. E la tenerezza di Dio si è fatta carne.
Natale è il racconto di Dio caduto sulla terra come un bacio (B. Calati).
Natale è il brivido del divino nella storia (papa Francesco). Per questo siamo più felici a Natale, perché ascolti il brivido, rallenti il tempo, guardi di più tuo figlio, gli dai una carezza…
Gesù è il racconto della tenerezza di Dio (Ev. Ga.), porta la rivoluzione non della onnipotenza o della perfezione, ma della tenerezza e della piccolezza: Dio nell’umiltà, il segreto del Natale. Dio nella piccolezza, forza dirompente del Natale. Dio adagiato sulla povera paglia come una spiga nuova.
Noi non stiamo aspettando Qualcuno che verrà all’improvviso, ma vogliamo prendere coscienza di Qualcuno che, come una luce, già abita la nostra vita.
Guardo il Bambino, lo vedo che cerca il seno della Madre e penso: il Verbo si è fatto fame. Non gli angeli, ma una ragazza inesperta e generosa si occupa di Lui.
Penso agli abbracci che ha imparato a dare e ad accogliere, da bambini e amici e donne con il profumo, e dico: il Verbo si è fatto carezza.
E poi il pianto di Gesù davanti alla tomba dell’amico e dico: il Verbo si è fatto lacrime.
Ricordo quel petalo di fango che Gesù mette sugli occhi del cieco nato e dico: il Verbo si è fatto polvere, mano e saliva e occhi nuovi.
Sulla croce: il Verbo si è fatto agnello in cui grida il dolore di tutti.
E con me che piango, anche Lui imparerà a piangere;
e se tu devi morire, anche Lui conoscerà la morte.
E allora c’è un frammento di Verbo, un grammo di luce in ogni carne, un pezzetto di Dio in ogni uomo, c’è santità in ogni vita.
La nostra umanità è un fiume che porta tutto, fango e pagliuzze d’oro. Ma in fondo non dev’essere poi così male questa nostra vita, se anche Dio l’ha voluta per sé. Non solo delitto e castigo, nel mondo, ma nascite e amori.
Il mondo non è una trappola dove siamo caduti.
Siamo qui per diventare ogni giorno più vivi.
Lo dico perché mi hanno raccontato, e ci credo, che Dio ha preso per sé questa vita, questo cuore, ha imparato a piangere, a camminare, ad abbracciare, a morire. Per risorgere. E allora c’è luce.
A Natale non celebriamo un ricordo,, ma riscriviamo un progetto, il sogun altro modo di abitare la terra. Il mondo non appartiene a chi è più forte e accumula più denaro, quella è una storia piena di rumore e di furore, ma che non significa nulla. La storia appartiene alla bontà senza clamore, all’amore senza vanto, al servizio senza interesse.
In principio era la Tenerezza… e la tenerezza si è fatta volto di bambino, occhi di donna e sorriso.
Nella tenerezza non c’è paura.
Gesù è il racconto della tenerezza di Dio, di quella tenerezza che ha salvato il mondo.
A Natale si può ripartire, ripartire altrimenti: lasciamoci sorprendere, cogliere di sorpresa, da questa notte popolata di angeli, mai tanti angeli insieme come su quel fazzoletto di terra e di cielo a Betlemme: pace in terra!
ma ci sono 149 conflitti armati in atto nel mondo; in Somalia la guerra dura da 30 anni, ebbene: pace in terra! Possibile? Sì. A portata di mano? No. è solo un embrione, ma c’è.
Pace in terra: non è un semplice augurio, che venga, che ci sia. È una affermazione: c’è pace, pace nascente in chi comincia, in chi è gentile, in chi si disarma, in chi perdona, in chi soccorre.
E poi l’angelo continuano: vi annuncio una grande gioia, che è per tutto il popolo, tutto, adulti e bambini. Non solo per i più bravi, ma anche i più feriti, i più complicati.
Non è vero, dice in me una vocina. C’è una malinconia profonda, un senso di stanchezza, secondo Natale di pandemia, siamo con le ruote a terra. Dopo mesi di trauma, di spegnimento dei sogni e della voglia di fare.
Ma io credo agli angeli. E oggi rafforzo la mia radicale fiducia nell’uomo.
Radicale fiducia, sai perché? Perché Dio continua ad amare l’umanità. Nonostante tutto, ama. Pace in terra agli uomini che Dio ama. C’è un gancio in mezzo al cielo. Dio ama questi uomini, queste donne, questi volti, ci attacchiamo a quel gancio in mezzo al cielo.
Se c’è stato lui, posso starci anch’io, in questo mondo.
È venuto ed ha fatto risplendere la vita (1 Tim 1,10) Una parola di Paolo al suo amico Timoteo che è come un vulcano, un incendio: ha fatto risplendere la vita, ha dato bellezza, intensità, futuro, fuoco, splendore a questa vita. Ha messo canzoni nuove in gola.
Si può ripartire, verso più pace, più gentilezza, più speranza.
Ripartiamo dalle cose semplici, dalla gentilezza, per esempio. Essere gentile è sentirsi appartenenti al genere umano, a quelli che ogni giorno fanno il proprio dovere, al lavoro, in famiglia, ascoltando gli altri, aiutando chi ha bisogno. E sono molti. E magari sono fragili, ma non si arrendono. Artigiani di relazioni buone. Seminiamo relazioni buone. Non è tempo di raccolti, questo, ma di semine. Se guardi bene il Natale capisci tante cose: l’essenziale è poco, e non è il denaro: un riparo, due che si amano, qualche fascia e una montagna di affetto, due mani che ti accolgono, un bambino che non vuole essere grande, sopra, più degli altri.
La stalla e la mangiatoia di Gesù sono un ‘no!’ gridato da Dio al nostro “beh le cose vanno così, non c’è niente da fare…”. C’è molto da fare, invece, e da cambiare
Il Presepio non è una favola che ci raccontiamo ogni anno, è la chiave di un mondo che non esiste ancora;
A Natale non celebriamo un ricordo, il compleanno di Gesù, ma riscriviamo un progetto, il sogno di Dio, un altro modo di abitare la terra. Il mondo non appartiene a chi è più forte e accumula più denaro, quella è una storia piena di rumore e di furore, ma che non significa nulla. La storia appartiene alla bontà senza clamore, all’amore senza vanto, al servizio senza interesse.
Mio Dio, mio Dio bambino,
povero come l’amore,
piccolo come un piccolo d’uomo,
umile come la paglia dove sei nato,
mio piccolo Dio che impari a vivere
questa nostra stessa vita,
che domandi attenzione e protezione.
Mio Dio incapace di aggredire e di fare del male,
che vivi soltanto se sei amato,
insegnami che non c’è altro senso per noi,
non c’è altro destino che diventare come Te,
carne intrisa di cielo, sillaba di Dio,
come te che cingi per sempre in un abbraccio
ogni creatura malata di solitudine. Amen
p.Ermes Ronchi