Fb 1 maggio – III di Pasqua
Nel cibo buono, l’amore (di p. Ermes Ronchi)
Gesù è risorto, sta tornando al Padre, eppure implora amore, amore umano. Lui che ha detto a Maddalena: «non mi trattenere, devo salire», è invece trattenuto sulla terra da un bisogno, da una fame umanissima e divina. Può andarsene se è rassicurato di essere amato.
Gesù e Pietro in uno dei dialoghi più affascinanti della letteratura: tre domande, come nella sera dei tradimenti, attorno al fuoco nel cortile di Caifa, quando Cefa, la Roccia, ebbe paura di una serva. E da parte di Simone tre dichiarazioni d’amore a ricomporre la sua innocenza, a guarirlo alla radice.
E dopo il cibo buono, preparato con cura, dopo il pane abbrustolito, un po’ di pesce e di olio buono, la domanda delle domande, solenne e terribile: “Mi ami?” Solo questo vale, solo questo conterà. Semplicità essenziale di parole che non bastano mai, perché la vita ne ha fame insaziabile.
Simone di Giovanni, mi ami più di costoro? Pietro sente il pianto salirgli in gola nel cercare una risposta a quella domanda enorme che lo fa tremare, e risponde dicendo sì e no al tempo stesso. Non si misura con gli altri che sono lì attorno al fuoco, non resta nei termini della questione: infatti mentre Gesù usa il verbo sublime dell’amore assoluto, l’agape che tutto muove, Pietro risponde con il verbo umile, quotidiano, dell’amicizia e dell’affetto: ti voglio bene. Allora Gesù incalza:
Simone figlio di Giovanni, mi ami? Gesù ha capito la fatica dell’amico, e cambia domanda, chiede di meno. Pietro risponde, ma come prima non sa parlare di amore, non osa, si aggrappa ancora all’amicizia, che conosce: io ti sono amico, lo sai, ti voglio bene.
Nella terza domanda, Gesù accetta che Pietro non riesca a rispondere sulla stessa lunghezza d’onda, si avvicina al suo cuore incerto, ne accoglie il limite, e adotta il suo verbo: Pietro, mi vuoi bene?
Gli domanda l’affetto se l’amore è troppo; l’amicizia almeno, se l’amore mette paura; semplicemente un po’ di bene.
Gesù dimostra autentico amore proprio rallentando il passo sulla misura del discepolo imperfetto, con tutta l’umiltà dell’amore vero, con l’umiltà di Dio. Il maestro dimostra la sua grandezza dimenticando lo sfolgorio dell’agàpe e abbassandosi ogni volta a livello della sua creatura: l’amore vero si mette ai piedi dell’amato.
A Gesù non interessa giudicare o assolvere; per lui nessun uomo coincide con i suoi peccati, né con le notti senza frutto; lui misura il valore della creatura a partire dal cuore, che lui intende ravvivare con il calore della sua presenza: “stare vicino a me è stare vicino al fuoco” , come afferma il Vangelo apocrifo di Tommaso.
Simone mostra la vera santità: essa non consiste nell’assenza di peccato, ma nel rinnovare la passione per Cristo, oggi, adesso, donando l’amore che puoi, meglio che puoi, quello che hai.
Allora chiamami, Signore, so che non cerchi uomini infallibili, ma solo appassionati. Chiamami ancora e ti seguirò.