L’unica magia che rimane

I sadducei sottopongono a Gesù una storiella ingannevole, quella della donna sette volte vedova e mai madre, caricatura della fede nella risurrezione in cui non credono.
La piccola unica eternità che essi riconoscono è quella biologica, così importante da trattare quella donna come un oggetto di scambio. Non si lasciano neppure sfiorare dall’idea dell’amore, riducendo la carne dolorante e luminosa della vita a strumento, a proprio uso e consumo. Una specie di utero in affitto ante litteram.
Gesù non ci sta, e alla loro domanda subdola (di quale dei sette fratelli sarà moglie quella donna?) contrappone un mondo nuovo: quelli che risorgono non prendono né moglie né marito.
Attenzione: Gesù non dichiara la fine degli affetti. I risorti non si sposano, ma danno e ricevono amore ancora, finalmente capaci di amare bene, e per sempre.
Non è facile credere nella vita eterna, perché il sadduceo in noi la misura ancora col metro della durata indefinita, anziché con quello dell’intensità profonda.
Dio di Abramo, di Isacco, di Gesù, Dio di mio padre, di mia madre…
In questo «di» ripetuto 5 volte è racchiuso il segreto dell’eternità. Una sillaba breve come un respiro, ma forte del legame che significa: Dio appartiene a loro, e loro appartengono di Dio. Legando la sua eternità alla nostra, mostra che ciò che vince la morte non è la vita, ma l’amore. Il Dio dei miei padri vive solo se Isacco e Abramo, solo se tu e io, vivremo. Se quei nomi non esistono più è Dio stesso che non esiste. Se quel legame si dissolve è il nome di Dio che si spezza.
I risorti saranno come angeli. Come le gentili creature evanescenti, incorporee e asessuate del nostro immaginario? O non piuttosto, biblicamente, annuncio di Dio (Gabriele), forza di Dio (Michele), medicina di Dio (Raffaele)? Occhi che vedono Dio faccia a faccia (Mt 18,10)?
Nella Bibbia gli angeli hanno la potenza di Dio, dinamismo che trapassa, sale, penetra, che vola nella luce e nella bellezza per custodire, illuminare, reggere, rendere bello l’amore.
Con l’immagine degli angeli Gesù ci indica una realtà di faccia a faccia con Dio, e poiché la risurrezione rimane un tema cruciale della nostra fede, il Risorto dirà: non sono uno spirito, un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho (Lc 24,36).
L’eternità non è durata, è intensità, e soltanto la nostra risurrezione farà di Dio il Padre per sempre, perché essa non cancella il corpo, non cancella gli affetti. Non fa morire nulla dell’uomo. Lo trasforma. Ogni nostro amore si sommerà agli altri nostri vissuti, senza gelosie ed esclusioni, per farci capaci di intensità profonda, grati dell’infinita scoperta di amare con il cuore stesso di Dio.
L’unica cosa che rimane per sempre, ciò che rimane quando non rimane più nulla, quando tutto si dissolve, è l’amore (1 Cor 13,8).

 

Avvenire XXXII a
Luca 20,27-38

Sono gli ultimi giorni di Gesù. I gruppi di potere, sacerdoti, anziani, farisei, scribi, sadducei sono uniti nel rifiuto di quel rabbì di periferia, sbucato dal nulla, che si arroga il potere di insegnare, senza averne l’autorità, senza nessuna carta in regola, un laico qualsiasi. Lo contestano, lo affrontano, lo sfidano, un cerchio letale che gli si stringe intorno.
In questo episodio adottano una strategia diversa: metterlo in ridicolo. La storiella paradossale di una donna, sette volte vedova e mai madre, è adoperata dai sadducei come caricatura della fede nella risurrezione dei morti: di quale dei sette fratelli che l’hanno sposata sarà moglie quella donna?
Gesù, come è solito fare quando lo si vuole imprigionare in questioni di corto respiro, ci invita a pensare altrimenti e più in grande: Quelli che risorgono non prendono moglie né marito. La vita futura non è il prolungamento di quella presente. Coloro che sono morti non risorgono alla vita biologica ma alla vita di Dio. La vita eterna vuol dire vita dell’Eterno.
Io sono la risurrezione e la vita, ha detto Gesù a Marta Notiamo la successione: prima la risurrezione e poi la vita, con una sorta di inversione temporale, e non, come ci saremmo aspettati: prima la vita, poi la morte, poi la risurrezione. La risurrezione inizia in questa vita. Risurrezione dei vivi, più che dei morti, sono i viventi che devono alzarsi e destarsi: risorgere.
Facciamo attenzione: Gesù non dichiara la fine degli affetti. “Se nel tuo paradiso non posso ritrovare mia madre, tieniti pure il tuo paradiso” (David. M. Turoldo). Bellissimo il verso di Mariangela Gualtieri: io ringraziare desidero per i morti nostri che fanno della morte un luogo abitato. L’eternità non è una terra senza volti e senza nomi.
Forte come la morte è l’amore, tenace più dello sheol (Cantico). Non è la vita che vince la morte, è l’amore; quando ogni amore vero si sommerà agli altri nostri amori veri, senza gelosie e senza esclusioni, generando non limiti o rimpianti, ma una impensata capacità di intensità, di profondità, di vastità. Un cuore a misura di oceano.
Anzi: “non ci verrà chiesto di abbandonare quei volti amati e familiari per rivolgerci a uno sconosciuto, fosse pure Dio stesso. Il nostro errore non è stato quello di averli amati troppo, ma di non esserci resi conto di che cosa veramente stavamo amando” (Clive Staples Lewis). Quando vedremo il volto di Dio, capiremo di averlo sempre conosciuto: faceva parte di tutte le nostre innocenti esperienze d’amore terreno, creandole, sostenendole, e muovendole, istante dopo istante, dall’interno. Tutto ciò che in esse era autentico amore, è stato più suo che nostro, e nostro soltanto perché suo. Inizio di ogni risurrezione.