2017 NATALE DEL SIGNORE
messa del giorno
E’ Natale: la Parola di Dio è un Bambino d’uomo che non sa neppure parlare, l’Eterno è un neonato, appena il mattino di una vita.
E’ da qui, dove l’infinitamente grande si fa infinitamente piccolo, chi cristiani cominciano a contare gli anni, a raccontare la storia. Questo è il nodo vivo del tempo. Ad esso siamo convocati, perché attorno a questo nodo danzano i secoli e il cuore può cambiare. Ma se anche Cristo fosse nato mille volte a Betlemme ma non nasce in te, allora è nato invano.
Signore Gesù, siamo qui perché vogliamo restare umani, inquieti, sensibili e visionari, per questo ti preghiamo: nasci in noi, Signore.
Signore Gesù, che continui a perdonarmi anche quando io non mi perdono, che mi corri dietro a riportarmi le chiavi di casa, che alleggerisci i miei errori con sorriso di madre, ti prego nasci in me Signore
Signore Gesù, sono venuto da te che non ti stanchi di abbracciarmi nella fatica, di ridarmi l’infinita pazienza di ricominciare, per questo ti prego: nasci in noi Signore.
Omelia
Dietro l’altare vedete questo mosaico di legni antichi, spezzati e dipinti: Cristo abbracciante, un grande abbraccio, un abbraccio infinito, smisurato, che sembra allargarsi ancora, dove c’è posto per tutti, per sempre.
Natale è l’abbraccio di Dio. Che non è l’onnipotente ma l’onniabbracciante, il tutto-abbracciante. Perché il mondo non sempre è comprensibile, ma è sempre abbracciabile (M. Buber).
Qui davanti all’altare vedete un grande pane che fa da culla al Bambino. Betlemme vuol dire: Casa del pane, c’è pane per l’umanità in quel luogo, Dio si è fatto pane, deposto in una mangiatoia, che è il luogo umile del cibo, per dirci: mangiate di me, io sono il pane della vita, pane spezzato per la nostra fame di vita. Qui troviamo il morso del più, energia per vivere senza paura.
E’ anche bello l’albero di Natale, bello il presepio. Ma questi legni duri che fioriscono, che mettono gemme di tenerezza, e questo pane, mi commuovono.
Il Verbo si è fatto abbraccio, pane, corpo! Ma per capire di più penso al Bambino che cerca il latte della Madre e dico: il Verbo si è fatto fame.
Non gli angeli, ma una ragazza inesperta e generosa si occupa di Lui: Dio si è fatto bisogno.
Penso agli abbracci che Gesù ha ricevuto e poi ha riservato ai piccoli e agli amici e dico: il Verbo si è fatto carezza.
Penso al pianto di Gesù davanti alla tomba dell’amico Lazzaro e dico: Dio si è fatto lacrime.
Penso a quel petalo di fango che Gesù stende sugli occhi del cieco e dico: il Verbo si è fatto polvere, mano e saliva, e occhi nuovi.
Poi penso alla Croce e dico: Dio si è fatto agnello, carne che grida di dolore.
Colui che ha riempito il cielo con miliardi di galassie, l’inventore dell’universo si fa piccolo e ricomincia da Betlemme, da una mangiatoia. Ci deve essere qualcosa di vero in tutto ciò, non può trattarsi di un inganno, è troppo diverso da tutto ciò che pensiamo.
Colui che ha separato luce e tenebra, firmamento e terra si fa inchiodare su una Croce. Ci deve essere, per forza, qualcosa di vero in questo troppo disarmato amore.
E se della storia di Gesù i due vertici, i due estremi sono una mangiatoia e una croce questa nostra fede non può essere una illusione. A Betlemme non c’è nessun inganno, nessun raggiro, nessuna menzogna, lo garantiscono la mangiatoia e un gruppo di pastori, odorosi di lana e di latte.
Avvolti da una nuvola di canto: “Pace in terra agli uomini che Dio ama”. Tutti, nessuno escluso, tutti amati
E loro vanno dove l’angelo aveva detto. E’ così bello che Luca prenda nota di questa unica visita.
E’ bello per tutti i poveri, gli ultimi, gli anonimi, i dimenticati. I pastori facevano un lavoro disprezzato e impuro, mai in sinagoga, sempre persi dietro i loro agnelli, e Dio li sceglie. Sceglie la via della periferia. Betlemme non si accorge di essere la culla di Dio.
Questi nostri paesi non vedono che sono la porta di Dio.
Eppure chissà quanti uomini e donne e bambini, i più veri, sanno ascoltare la buona novella: Dio come un abbraccio, come un pane.
Gli angeli a Betlemme si rivolgono agli ultimi della fila e questi diventano i primi…
La grande ruota della storia aveva sempre girato in un unico senso, dal basso verso l’alto, dal piccolo verso il grande, dal debole verso il forte. Quando Dio si fa Figlio di una donna, il movimento del meccanismo della storia si inceppa. E poi riprende a scorrere nel senso opposto, nel senso del Forte che si fa servo del debole, dell’Eterno, che cammina fra l’età dell’uomo. Il fiume di fuoco si abbrevia in una scintilla, il tutto nel frammento.
Natale è l’inizio di un capovolgimento, di un nuovo ordinamento di tutte le cose.
Natale non è ricordare un compleanno, è profezia.
Non è facile il Natale, una festa drammatica, tutta la violenza del mondo contraddice gli angeli di Betlemme, tutte le lacerazioni contraddicono il sogno della pace.
E viene un dubbio: se fosse tutto una illusione generata dal bambino che vive in noi? Se fossimo rimandati a Dio, rimbalzati fino a Lui soltanto dalla paura e dai disastri della storia? Se la fede fosse figlia della paura?
Ma a Betlemme è accaduto l’opposto, è Dio che è venuto fino a noi, è Lui che ha bisogno di noi, per questa sua passione di unirsi all’amato, in questa passione d’abbracci, di pane mangiato.
Ora è il tempo del nostro Natale, Cristo nasce perché io nasca in lui, che io nasca così piccolo e così libero da essere incapace di aggredire, di odiare, di minacciare, di umiliare.
Lo dico con le parole di Ambrogio: “Se Gesù Cristo fosse nato mille volte a Betlemme ma non nasce in te allora è nato invano.”
Io non conosco nessuna prova che dimostri che il Natale è vero. Avrò sempre domande dentro, e molte. Ma c’è un bambino in me che a Natale sa ascoltare ancora il brusìo degli angeli; c’è un bambino in me, tu gli parli di Dio e lui lo sente respirare, gli dici che è Natale e lui vede un volo di angeli che aprono la strada.
C’è in me, però, anche un uomo disilluso che ritiene il Natale una festa ormai pagana, che ha visto il cielo perdere le stelle e brillare di luci illusorie; gli dici ‘Betlemme’ e lui contesta che duemila anni di storia hanno portato solo al moltiplicarsi dei posti di blocco, a un muro alto sette metri che separa Betlemme dal resto del mondo e taglia in due quella che è la casa del pane.
Ma in me c’è, oltre al bambino, oltre all’uomo disilluso, in me c’è anche un uomo che crede e prega così:
Mio Dio, mio Dio Bambino / povero come l’amore / piccolo come un piccolo d’uomo / umile come la paglia dove sei deposto. / Mio piccolo Dio / che impari a vivere questa nostra stessa vita / che domandi attenzione e protezione / mio Dio incapace di difenderti / e di aggredire e di fare del male / mio Dio che vivi soltanto se sei amato / che altro non sai fare che amare / e domandare amore, / insegnami che non c’è altro senso / non c’è altro destino che diventare come Te / Colui che cinge per sempre in un abbraccio / l’amarezza di ogni sua creatura / malata di solitudine.
Preghiera alla comunione (L. Verdi)
Abita in mezzo a noi, Signore, con la tua presenza leggera.
Facci tremare davanti al tuo sguardo chiaro.
Tu hai portato poesia nel cuore dell’universo,
hai riaperto le porte, risvegliato la primavera,
Tu il presente e l’avvenire, Tu la forza e l’amore.
Il tuo tocco amoroso benedice ogni povertà.
Nato come ogni uomo
fremente di luce, ruvido di terra,
mormorante d’acqua e di vento,
nato per ricordarci
che ci vuole vita per amare la vita.
Nato in una notte di respiro su respiro
notte che si fece intima
con il dono della tua nudità.
In questo giorno aiuta il nostro sguardo
a non allontanarsi da Te,
un’ansia di luce
morda gli uomini
che non sognano più.