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di p. Ermes Ronchi
V DI QUARESIMA – Lazzaro- 2017
Gv 11,1-53
Il racconto della risurrezione di Lazzaro è la pagina evangelica dove Gesù appare più umano. Lo vediamo fremere, piangere, commuoversi, gridare. Un Dio umano.
Prendiamoci un momento di silenzio per metterlo al centro della nostra umanità, come lievito, sale e luce, seme e strada.
Omelia
Chi vince la morte non è la vita, è l’amore.
Di Lazzaro sappiamo poche cose, ma sono quelle che contano: la sua casa è ospitale, è fratello amato di Marta e Maria, amico speciale di Gesù: ospite, amico e fratello. Ma il suo nome più vero è quello coniato dalle sorelle: colui-che-Tu-ami è malato, il nome di ognuno di noi.
Se Tu fossi stato qui, non sarebbe morto. Le sorelle esprimono un rimprovero, per la loro preghiera non esaudita. E quante volte, anche le nostre… Ma forse Dio non risponde perché prepara dell’altro, come a Betania.
“Vostro fratello risorgerà”. Marta la sente come una frase consolatoria, parole formali che tutti sanno dire, e risponde come delusa: “so bene che risorgerà nell’ultimo giorno. Ma quel giorno è così lontano da questo dolore”.
Mentre lei parla con verbi al futuro, Gesù parla al presente: “Io sono”, e seguono parole tra le più importanti del vangelo: “Io sono la risurrezione e la vita”. Lo sono adesso.
Notiamo la disposizione delle parole. Prima viene la Risurrezione e non, come si saremmo aspettati, la vita.
Per Gesù prima viene la liberazione e poi la vita autentica.
Vivere è il risultato di molte risurrezioni, di molte liberazioni: dalla paura, dalla disperazione, dalla violenza, dalla solitudine, dall’indifferenza. Risorgere è faccenda di adesso, di questo momento: risorgere dalle vite spente, dalle vite senza sogno e senza fuoco.
Io sono la risurrezione: una linfa potente e fresca che si dirama per tutto il cosmo e che non riposerà finché non abbia raggiunto e fatto fiorire l’ultimo ramo della creazione, l’ultimo angolo del cuore.
Riascoltiamo le tre parole finali di Gesù disposte come tre gradini di questa risurrezione: togliete la pietra! Rotolate via quei macigni, quelle macerie sotto cui vi siete seppelliti con le vostre stesse mani;
via i sensi di colpa, rovesciate l’incapacità di perdonare a voi stessi e agli altri;
togliete via la memoria amara del male ricevuto, che vi inchioda ai nostri ergastoli interiori, e crea legami mortificanti.
Togliete la durezza del cuore. E fate entrare la combattiva tenerezza del vangelo.
La seconda parola: Lazzaro, vieni fuori!
Fuori nel sole, fuori è primavera. E lo dice a me: Ermes, vieni fuori. Fuori dalla grotta nera dei rimpianti e delle delusioni, dal guardare solo a te stesso, dal sentirti al centro del mondo, della famiglia, del tuo ambiente. Vieni fuori, ripete alla farfalla che è in me, chiusa dentro il bruco che credo di essere.
Non è il tuo angolino o la tua tana, il luogo dove sei al sicuro: non stare al chiuso, da solo, allo stretto: vieni fuori, incontro al mondo. Incontro agli altri. Fuori c’è forza e sole.
Chiesa in uscita, tante volte invocata da papa Francesco.
Davanti al grande mare aperto capisco che posso avere paura con la mia piccola barca. Le navi sono al sicuro quando restano ormeggiate nel porto, ma non è per questo che sono state costruite. Non siamo nati per restarcene spiaggiati sulla riva, per finire arenati nei bassifondi della vita.
Vieni fuori. Non è vero ciò che scrive Bertold Brecth: “le madri tutte del mondo partoriscono a cavallo di una tomba”. Come se la vita fosse risucchiata subito dalla morte o camminasse sempre sul ciglio del sepolcro, sull’orlo dell’assurdo.
Le madri partoriscono a cavallo di una speranza, di una grande bellezza, di uno spazio aperto, di molti abbracci. A cavallo di un sogno!
Ad ogni nascituro, Cristo e il mondo gridano, a una voce: vieni! Esci, e portaci più coscienza, più libertà, più amore!
Ed ecco la terza parola: Liberatelo e lasciatelo andare! Lazzaro esce avvolto in bende come un neonato. Morirà una seconda volta, ma ormai gli si apre davanti un mondo abitato da una altissima speranza: Qualcuno gli vuole bene, e questo Qualcuno è più forte della morte. La vita non finisce per sempre.
Liberatelo e lasciatelo andare. Lo ripete per ciascuno di noi: liberati come si liberano le vele al vento, come si sciolgono le catene, i nodi della paura, i grovigli del cuore. Liberati da maschere e paure.
E poi: lasciatelo andare l’uomo è un inventore di strade; dategli una stella polare per il suo viaggio, la lacrima di qualche amico, la certezza di un approdo, e sarà creativo.
Dove sta il perché ultimo della risurrezione di Lazzaro? Sta nelle lacrime di Gesù, che sono una dichiarazione d’amore fino al pianto.
Noi tutti risorgiamo per le lacrime di Dio, risorgiamo perché amati.
Dio è padre e non ha figli da buttare. La risurrezione è prima di tutto un bisogno di Dio: Dio non è padre se non ha dei figli vivi!
L’eloquenza delle lacrime, che è la più potente lente d’ingrandimento della vita: guardi attraverso una lacrima e capisci cose che non potresti mai imparare sui libri.
Io invidio Lazzaro, non perché ritorna in vita una seconda volta, ma perché è circondato da gente che gli vuole bene, pieno di amici quel suo mondo. Che sono il presagio di vita vera.
Gesù ripete anche a noi le tre parole di ogni ricominciamento: togliete le pietre, uscite fuori, e poi andate!
Che senso di futuro e di libertà emana da questo Rabbi che sa amare, piangere e gridare, e liberare senza legare a sé.
Lui è il Dio coinvolto, che ride e piange con i suoi figli.
Quante volte sono morto, quante volte mi sono addormentato, era finito l’olio nella lampada, era finita la voglia di impegnarmi e di amare, forse era finita anche la voglia di vivere. L’anima era nella tomba, mentre una voce, che era mia e non era mia, diceva: non mi interessa niente, non mi interessa nessuno, basta, è finita.
E poi un seme ha cominciato a germogliare, non so da dove, non so perché. Una pietra si è smossa, è entrato un raggio di sole.
Qualcuno è venuto, un grido di amico ha spezzato il silenzio.
Delle lacrime hanno bagnato le mie bende.
E questo accade perché Dio continua ad essere amico, e per questo continua ad essere risurrezione e vita.
Dio in noi come un tarlo che rode le bende, ruggine che spezza le catene, forza che abbatte la grotta che ci rinchiude.
Dio in noi. È Lui che apre il passaggio, Lui che sta nel riflesso più profondo delle nostre lacrime, e si fa argine alla paura, argine alla morte; e toglie la dura pietra.
Lui è la Risurrezione, energia che non riposerà
finché non abbia raggiunto l’ultimo ramo della creazione,
finché non sia spezzata la pietra dell’ultima tomba
PREGHIERA ALLA COMUNIONRE
Signore, colui che ami è malato.
Sono io il tuo amico, malato e amato,
sono Lazzaro, sono Marta e Maria.
Non restare lontano, amico,
vieni vicino, così vicino
che possa contare a una a una le tue lacrime.
Per le tue lacrime io risorgerò,
per il tuo amore appassionato, io vivrò per sempre.
Sono io il tuo amico malato, io sono Lazzaro.
Santo solo di amicizia, santo solo perché amato.
Io sono Marta e Maria sorelle a infiniti morti,
derubato di amici, o di padre, o di figlio, o di marito,
ma io credo. I miei sono morti, ma non per sempre,
perché il tuo amore non accetta di finire.
Io morirò, ma non per sempre,
perché tu sei risurrezione che non riposerà
finché non sia spezzata la tomba dell’ultima anima
finché le tue forze non siano pervenute
sull’ultimo ramo della creazione.
Amen