Fb 28 giugno 2020
L’acqua migliore che ho
Chi ama la propria famiglia più di me, non è degno di me. Ma allora chi è degno di te, Signore? Con la tua altissima pretesa, che cosa vuoi da me?
Nessuno amerà mai come te, perché il tuo è il vero amore incondizionato, che anticipa, senza clausola alcuna. Padre madre fratello figlia… sono le persone a me più care, indispensabili per vivere davvero. Sono loro che ogni giorno mi spingono ad essere vero, autentico, senza ruoli. Ma la tua non è una competizione di cuori o una gara di emozioni, da cui sai che non usciresti vincitore se non presso pochi eroi, o santi o profeti dal cuore in fiamme.
E tuttavia, l’uomo non coincide con il cerchio della famiglia. Anche già per unirsi a colei che ama, l’uomo lascerà il padre e la madre! Né la buona novella, né la croce, non la vita eterna e neppure una storia di giustizia, pace o solidarietà, si spiegano interessandosi solo alla famiglia. Bisogna saper accogliere altri nel cerchio del proprio sangue, generare diversamente vita e futuro, staccarsi, perdere, spezzare l’eterna ripetizione di ciò che è già stato. Chi avrà perduto, troverà.
Perdere la vita, non significa farsi uccidere: una vita si perde solo come si perde un tesoro, donandola.
Noi possediamo, veramente, solo ciò che abbiamo donato ad altri. Come la donna di Sunem della prima lettura, che d’impulso dona al profeta Eliseo piccole porzioni di vita, piccole cose: un letto, un tavolo, una sedia, una lampada, e riceverà in cambio una vita intera, un figlio vero! Insieme alla capacità di amare molto di più.
Risento l’eco delle parole di Gesù: Chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà.
Gesù parla di una causa per cui vivere, che vale più della stessa vita. E Lui, che l’ha perduta per la causa dell’uomo, l’ha ritrovata.
Infatti il vero dramma per la persona, e tanti non ne sono consapevoli, è non avere niente e nessuno per cui valga la pena mettere in gioco e spendere la propria vita.
E a noi, spaventati dall’impegno di dare vita e di avere una causa che valga più di noi stessi, Gesù aggiunge una frase dolcissima: chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca non perderà il premio. Croce e acqua, il dare tutto e il dare quasi niente. I due estremi di uno stesso movimento, un gesto vivo, significato da quell’aggettivo così evangelico: fresca! L’acqua, fresca dev’essere! Vale a dire procurata con cura, l’acqua migliore che hai, acqua affettuosa, bella, con dentro l’eco del cuore.
La vita nell’acqua: stupenda pedagogia di Cristo, secondo cui non c’è nulla di troppo piccolo per chi vuol bene. Dove amare non equivale ad emozionarsi e a tremare per una creatura, ma si traduce con l’altro verbo che è sempre di corsa, molto semplice e concreto. Un verbo fattivo, urgente, di mani limpide e allegre come acqua fresca: il verbo dare.
Avvenire Mt 10,37-42 XIII A
p.Ermes Ronchi
Chi ama padre o madre, figlio o figlia più di me, non è degno di me.
Una pretesa che sembra disumana, a cozzare con la bellezza e la forza degli affetti, che sono la prima felicità di questa vita, la cosa più vicina all’assoluto, quaggiù tra noi.
Gesù non illude mai, vuole risposte meditate, mature e libere. Non insegna né il disamore, né una nuova gerarchia di emozioni. Non sottrae amori al cuore affamato dell’uomo, aggiunge invece un ‘di più’, non limitazione ma potenziamento. Ci nutre di sconfinamenti. Come se dicesse: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti dei tuoi cari per poter star bene, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello.
Ci ricorda che per creare la nuova architettura del mondo occorre una passione forte almeno quanto quella della famiglia. È in gioco l’umanità nuova. E così è stato fin dal principio: per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna (Gen 2,24). Abbandono, per la fecondità. Padre e madre ‘amati di meno’, lasciati per un’altra esistenza, è la legge della vita che cresce, si moltiplica e nulla arresta.
Seconda esigenza: chi non prende la propria croce e non mi segue. Prima di tutto non identifichiamo, non confondiamo croce con sofferenza. Gesù non vuole che passiamo la vita a soffrire, non desidera crocifissi al suo seguito: uomini, donne, bambini, anziani, tutti inchiodati alle proprie croci. Vuole che seguiamo le sue orme, andando come lui di casa in casa, di volto in volto, di accoglienza in accoglienza, toccando piaghe e spezzando pane. Gente che sappia voler bene, senza mezze misure, senza contare, fino in fondo.
Chi perde la propria vita, la trova. Gioco verbale tra perdere e trovare, un paradosso vitale che è per sei volte sulla bocca di Gesù. Capiamo: perdere non significa lasciarsi sfuggire la vita o smarrirsi, bensì dare via, attivamente. Come si fa con un dono, con un tesoro speso goccia a goccia.
Alla fine, la nostra vita è ricca solo di ciò che abbiamo donato a qualcuno. Per quanto piccolo: chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca, non perderà la ricompensa. Quale? Dio non ricompensa con cose. Dio non può dare nulla di meno di se stesso. Ricompensa è Lui.
Un bicchiere d’acqua, un niente che anche il più povero può offrire. Ma c’è un colpo d’ala, proprio di Gesù: acqua fresca deve essere, buona per la grande calura, l’acqua migliore che hai, quasi un’acqua affettuosa, con dentro l’eco del cuore.
Dare la vita, dare un bicchiere d’acqua fresca, riassume la straordinaria pedagogia di Cristo. Il Vangelo è nella Croce, ma tutto il vangelo è anche in un bicchiere d’acqua fresca. Con dentro il cuore.
Nulla è troppo piccolo per il Vangelo, perché ogni gesto compiuto con tutto il cuore ci avvicina all’assoluto di Dio.
Con lui i tuoi amori saranno custoditi più vivi e più luminosi, perché lui possiede l’arte di andare fino in fondo al voler bene. Ed è questo il significato della seconda condizione,.
Amare nel linguaggio di tutta la bibbia non indica un insieme di emozioni o di sentimenti, non riguarda la sfera affettiva, ma come sempre nella Bibbia, la sfera della fede. Gesù assimila il discepolato alla prima alleanza, al popolo che si impegna con Dio, indica l’atteggiamento della fedeltà a Dio. Amare Dio di meno significava seguire altri dei, idolatria.
Altre leggi a dettare la strada. E l’abbiamo visto dalle cronache, molte volte. Segui come dominanti le leggi della famiglia o del clan, e si arriva a ciò che i sociologi chiamano: familismo amorale. Per amore o necessità della famiglia si accetta tutto: immoralità, corruzione, violenza…
La seconda condizione: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Prendere la croce e prendere un destino da messia: esistere per Dio per guarire la vita.
Terza condizione: Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo . Rinuncia è liberazione da tutto ciò che impedisce il volo.
Davanti alla pretesa ‘irragionevole’ di Cristo di essere amato più di padre, madre e figli, di essere il primo nel cuore, la mia reazione è quella di pensare: ‘perché mi vuole strappare dal cerchio caldo e vitale degli affetti? Ma non è l’intenzione di Gesù, Lui riempie e poi ci nutre di sconfinamenti.
Destino ordinario è incontrare un amore, una seduzione
ma destino straordinario dell’essere umano
è incontrare seduttori non umani,
è incontrare la seduzione di Dio.
“Chi avrà dato la propria vita per causa mia la troverà”. Gesù parla di una causa per cui vivere, per cui morire, qualcosa che valga più della mia sola vita, e chi ama davvero sperimenta che l’amato vale di più della sua vita.
vale a dire non vivere in funzione dei tuoi o del tuo passato. Ebbene, questo stesso movimento è chiesto da Gesù affinché non restiamo piccoli, perché non si arresti la ruota della vita.
Ma poi sono contento di questo, poi sono fiero che la fede resti scandalosa, che rimanga qualcosa che sovverte, che va contro corrente, che non sa omologarsi. Altrimenti non ci sarà più futuro nuovo nelle nostre vite, solo ripetizione, altrimenti non si aprono frecce di luce.
Allora cerco nella Scrittura una spiegazione e il Libro del Deuteronomio me la offre. Dice: “Se la moglie che riposa sul tuo petto o l’amico che ami come te stesso ti dice in segreto: vieni, serviamo altri dei. Tu non ascoltarlo”. Per compiacere tua moglie o tuo figlio o il tuo amico, non abbandonare, non tradire il tuo Dio. Amalo di più!
Risalgo più indietro, e una spiegazione è già nel Primo Libro della Scrittura dove abbandonare il padre e la madre per unirsi a un’altra carne è già la Legge della vita. E’ la scelta necessaria per ogni uomo e per ogni donna, perché ci sia futuro, perché la vita possa crescere, moltiplicarsi, perché ci sia fecondità:
Noi tutti sappiamo bene che il mondo non coincide con il cerchio della famiglia e inserendo in questo cerchio, dolce ma insufficiente, lo spazio di Dio e della Croce, Gesù mi dice: “Prendi su di te una vita ulteriore, altre responsabilità, prendi su di te un destino che assomiglia al mio”.
Ecco, allora, il conflitto: da un lato l’umano e le sue cose, dall’altro un Nazareno e la sua Croce. Prendi la Croce, un comando che qualche volta mi angoscia, ma guardo alla Croce e vedo che essa è il luogo dove l’amore ha scritto il suo racconto più vero.
Prendi la Croce equivale a dire: accetta di amare fino in fondo. Scrive Origene: “Caritas est passio”, l’amore è passione nel doppio luminoso senso di patimento e di appassionarsi. L’amore è Croce e passione.
C’è un destino ordinario nella famiglia e questo ti fa figlio degno della vita, ma c’è un destino ulteriore che ti fa degno di Cristo.
Da un lato la mia vita, la mia gente, le mie cose e il desiderio di ricondurre tutto al frammento, all’attimo, alla dignità di esseri umani, soltanto umani e basta, con tutta la bellezza ma anche la caducità che questo comporta.
E dall’altro lato le cose che non si vedono: eternità, Dio, il dolore del mondo, amore più grande.
E’ un bellissimo conflitto tra il canto del sangue che già basta a illuminare la vita e la voce della trascendenza che abita il cuore inquieto finché non riposa in altri spazi.
Il segreto della nostra vita è oltre noi
ed è quello che Gesù dodicenne dice ai genitori: “Non sapevate che io devo interessarmi delle cose del Padre mio?”
Amare Dio, secondo il Vangelo non è una emozione in gara con altre sensazioni, non è un affetto fra gli altri.
perché sa che da questa gara emotiva non uscirebbe vincitore se non presso pochi eroi o santi, gente dal cuore in fiamme.
E poi attenzione a un egoismo “familiare”. Un amore totalizzante per la tua casa, per i tuoi, per cui nulla esiste al di fuori di essa, può farti smarrire, la bellezza, la ricchezza, la varietà, la polifonia, il gemito e la poesia della vita, tutte le altre dimensioni del cuore, della mente, dell’anima, del dolore del mondo.
Non smarrire la polifonia dell’esistenza, altrimenti sei una casa bella dentro ma con le porte e le finestre sbarrate e davanti al tuo cancello chiuso sfila la vita, passano poveri e profeti e non li vedi.
Passano angeli e bambini, passano le stagioni e le invenzioni e non li vedi.
Passa la vita e nessuno che si affacci a dare o ad accogliere.
Il verbo più usato oggi da Gesù è accogliere, l’accoglienza fa fiorire la vita. Anche accogliere la causa di Cristo moltiplica la vita:
“Chi avrà perduto la propria vita per causa mia la troverà!”
Perdere la vita non significa qui il martirio del sangue. Una vita si perde come si spende un tesoro: donandola goccia a goccia.
Noi possediamo veramente solo ciò che abbiamo donato ad altri, come la donna di Sunem, di cui parla la Prima Lettura, che dona al profeta Eliseo piccole porzioni di vita, piccole cose: un letto, un tavolo, una sedia, una lampada e riceverà in cambio una vita intera, un figlio. E la capacità di amare di più.
Lo può dire ogni madre, lo dice Dio stesso che ha amato il mondo fino a dare suo Figlio.
E imparo che anche per l’uomo il vero dramma non è la Croce o il martirio, il vero dramma è non avere niente, non avere nessuno per cui valga la pena dare la vita.
Amare nel Vangelo non equivale ad emozionarsi, a sentire, a tremare o trepidare per una creatura, ma si traduce sempre con un altro verbo molto semplice, molto concreto, un verbo fattivo, di mani, il verbo “dare”. “Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio. Non c’è amore più grande che dare la vita!”
Preghiera alla comunione
“Se uno ama il padre o la madre,
il figlio, la figlia più di me non è degno di me”.
Sei un Dio esigente, Signore, chi può dirsi degno di te?
Sei un Dio esigente, Dio della Croce,
segnale sommo lanciato al mondo,
punto ultimo in cui tutto si incrocia:
le vie del cielo, le vie del cuore, le vie della terra.
Ma so anche che sei il Dio del granello di senape,
del lucignolo fumigante,
che ha cura di due passeri,
che ci consola oggi con un bicchiere di acqua fresca,
il Dio che guarda il cuore.
Donaci, allora, Signore, di amare padre e madre,
moglie e marito e figli e amici per quello che sono:
benedizione e dono che viene da te,
salvezza che tu mi hai posto al fianco,
frammento del tuo volto.
E poi donaci di perdere la vita
come perde un tesoro: donandolo.
Amen
Chi è degno del Signore? Per tre volte oggi rimbalzerà questa domanda esigente del Vangelo, e tutti confesseremo prima della Comunione: “Signore non sono degno, nessuno lo è ma basterà una tua parola”.
E siamo qui per questo: il Signore non si merita, si accoglie
Una delle pagine più dure ed esigenti del Vangelo, una pagina illogica e quasi contro natura. Esagerato.
Gesù, sempre spiazzante, vedendo che una folla numerosa lo seguiva, anziché sentirsi gratificato per il numero dei seguaci, si volta e li mette in guardia, chiarendo bene che cosa comporti andare dietro a lui.
Gesù non illude mai, non strumentalizza entusiasmi o debolezze, vuole invece risposte meditate, mature e libere. Perché alla quantità di discepoli preferisce la qualità. E indica tre condizioni per seguirlo. Radicali.
La prima: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Gesù non instaura una competizione di sentimenti nel cuore perché sa che da questa gara emotiva non uscirebbe vincitore se non presso pochi eroi o santi, gente dal cuore in fiamme.
Ma ci ricorda che per creare un mondo nuovo quale lui sogna ci vuole una passione così forte almeno quanto quella degli amori familiari.
È in gioco un nuovo modo di concepire le relazioni umane.
Gesù scommette, punta tutto sull’amore. Ma con parole che sembrano eccessive, sembrano cozzare contro la bellezza e la forza dei nostri affetti che sono la prima felicità di questa vita.
Ma facciamo attenzione al verbo centrale su cui poggia l’architettura della frase: amare di più, e Luca: se uno non mi ama di più di suo padre, e capiamo che non di una sottrazione si tratta, ma di una addizione:
Gesù non sottrae amori, aggiunge un ‘di più’. Il discepolo è colui che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande. E il risultato che ottiene non è una limitazione ma un potenziamento:
Dice Gesù: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti della famiglia, io posso offrirti qualcosa di ancora più bello.
Mettere Gesù al primo posto vuol dire prenderlo come garanzia che
se stai con Lui, se lo tieni con te,
i tuoi amori saranno custoditi più vivi e più luminosi,
perché Lui possiede la chiave dell’arte di amare,
di andare fino in fondo al voler bene.
La seconda condizione che Gesù pone: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Che cosa intende per ‘la propria croce’?
Non banalizziamo la croce, non immiseriamola a semplice immagine delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, della fatica o malattia da sopportare con pace.
Nel vangelo la parola ‘croce’ contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù. Croce è: amore senza misura e senza rimpianti, disarmato amore, coraggioso amore, che non si arrende, che non inganna e non tradisce. Che va fino alla fine.
Allora le due prime condizioni che Gesù pone a chi vuole seguirlo, Amare di più e portare la croce si illuminano a vicenda; portare la croce significa portare l’amore fino in fondo. Fino alla Pasqua, la vittoria.
Con le tre condizioni Gesù convoca tutta la nostra vita: raccoglie affetti, gioia e fatica, e le cose. E non per impossessarsi dell’uomo, ma per liberarlo, per regalare un’ala che lo sollevi verso più amore, più libertà, più consapevolezza. Allora nominare Cristo, parlare di vangelo equivale a confortare la vita.
Voglio ringraziarti Signore per il dono della vita,
ho letto da qualche parte
che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto:
possono volare solo rimanendo abbracciati.
A volte nei momenti di confidenza
oso pensare che anche tu , Signore,
hai un’ala soltanto,
l’altra la tieni nascosta
forse per farmi capire
che tu non vuoi volare senza di me
Per questo mi hai dato la vita:
Perché io fossi tuo compagno di volo (Tonino Bello)
Il verbo più usato oggi da Gesù è accogliere, l’accoglienza fa fiorire la vita. Anche accogliere la causa di Cristo moltiplica la vita: “Chi avrà perduto la propria vita per causa mia la troverà!”
Perdere la vita non significa qui il martirio del sangue. Una vita si perde come si spende un tesoro: donandola goccia a goccia.
Noi possediamo veramente solo ciò che abbiamo donato ad altri,
“Chi avrà dato la propria vita per causa mia la troverà”. Gesù parla di una causa per cui vivere, per cui morire, qualcosa che valga più della mia sola vita, e chi ama davvero sperimenta che l’amato vale di più della sua vita.
il vero dramma non è morire, il vero dramma è non avere niente, non avere nessuno per cui valga la pena dare la vita.
Amare nel Vangelo non equivale ad emozionarsi, a sentire, a tremare o trepidare per una creatura, ma si traduce sempre con un altro verbo molto semplice, molto concreto, un verbo fattivo, di mani, il verbo “dare”. “Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio. Non c’è amore più grande che dare la vita!”
A noi, forse spaventati dalle esigenze di Cristo, dall’impegno di dare la vita, di avere una causa che valga più di noi stessi, Gesù aggiunge una frase dolcissima: “Chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca, non perderà il premio”.
La Croce e il bicchiere: il dare tutta la vita e il dare quasi niente, sono i due estremi dello stesso movimento, dare qualcosa, un po’, tutto,. Dare, perché nel Vangelo il verbo amare si traduce sempre con il verbo dare.
Un bicchiere d’acqua, dice Gesù, un gesto così piccolo che anche l’ultimo di noi, anche il più povero può compiere. E tuttavia un gesto non banale, un gesto vivo, significato da quell’aggettivo che Gesù aggiunge, così evangelico: acqua fresca.
Acqua fresca deve essere e vale a dire l’acqua buona per la grande calura, l’acqua attenta alla sete dell’altro, procurata con cura, l’acqua migliore che hai, quasi un’acqua affettuosa con dentro l’eco del cuore.
“Dare la vita, dare un bicchiere d’acqua fresca” ecco la stupenda pedagogia di Cristo. Un bicchiere d’acqua fresca se dato con tutto il cuore ha dentro la Croce. Tutto il Vangelo è nella Croce, tutto il vangelo in un bicchiere d’acqua.
Nulla è troppo piccolo per il Vangelo, perché ogni gesto compiuto con tutto il cuore ci avvicina all’assoluto di Dio.
Preghiera alla comunione
“Se uno ama il padre o la madre,
il figlio, la figlia più di me non è degno di me”.
Sei un Dio esigente, Signore, chi può dirsi degno di te?
Sei un Dio esigente, Dio della Croce,
segnale sommo lanciato al mondo,
punto ultimo in cui tutto si incrocia:
le vie del cielo, le vie del cuore, le vie della terra.
Ma so anche che sei il Dio del granello di senape,
del lucignolo fumigante,
che ha cura di due passeri,
che ci consola oggi con un bicchiere di acqua fresca,
il Dio che guarda il cuore.
Donaci, allora, Signore, di amare padre e madre,
(moglie e marito e figli) e amici per quello che sono:
benedizione e dono che viene da te,
salvezza che tu mi hai posto al fianco,
frammento del tuo volto.
E poi donaci di perdere la vita
Come si perde un tesoro: donandolo.
Amen