21 Agosto 2017

LA DONNA DELLE BRICIOLE (di p. Ermes Ronchi)

 

 

(p.Ermes Ronchi)

XX domenica A Matteo 15,21-28

La donna delle briciole

 

La donna delle briciole, questa madre straniera, intelligente e indomita, che non si arrende ai silenzi e alle risposte brusche di Gesù, è uno dei personaggi più simpatici del vangelo. E Gesù, uomo di incontri, esce trasformato dall’incontro con lei. Quello che ci cambia nella vita non sono le idee, sono gli incontri. Se noi cambiamo poco, è perché incontriamo poco e male.

Una donna di un altro paese e di un’altra religione, in un certo senso “converte” Gesù, gli fa cambiare strada, gli apre il cuore alla fame e al dolore di tutti i bambini, che siano d’Israele oppure di Tiro e Sidone, figli di Raqqa o dei barconi, di Barcellona o delle discoteche, poco importa: la morte è uguale, il dolore è lo stesso, identico l’amore delle madri.

Gesù ha una visione: sono venuto solo per le pecore perdute di Israele. La donna gliela fa cambiare: No, tu appartieni al dolore dei figli, tu sei Pastore di tutto il dolore del mondo.

La donna nel racconto parla tre volte. La sua prima parola è la più evangelica, la più antica di tutte le preghiere cristiane: Kyrie eleyson. Abbi pietà. Pietà del nostro dolore, di questa mia bimba malata.

E Gesù non le rivolse neppure una parola. Ma una madre non si arrende, segue il gruppo continuando a gridare il suo dolore e quello della sua bambina. Coinvolge anche gli apostoli, ma la risposta di Gesù è molto netta e brusca: io sono venuto solo per quelli della mia gente, della mia religione.

La donna straniera invece di adeguarsi e di farsene una ragione, si avvicina di più, si prostra a sbarrare il passo a Gesù, e grida la seconda preghiera più semplice di tutto il vangelo: aiutami.

Gesù ha una reazione ancora più ruvida: Non si toglie il pane ai figli per gettarlo ai cani. I pagani, dai giudei, erano chiamati “cani” e disprezzati come tali.

E qui arriva la risposta geniale della donna, la sua terza parola: è vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. È la svolta del racconto. Questa immagine illumina Gesù. Nel regno di Dio, non ci sono figli e no, uomini e cani. Ma solo fame e creature da saziare, e figli sono anche quelli che pregano un altro dio.

Donna, grande è la tua fede! Lei che non va al tempio, che non conosce la bibbia, che prega gli idoli di Canaan, per Gesù è donna di grande fede.

La sua grande fede sta nel credere che Dio prova dolore per il dolore di ogni bambino, che la sofferenza di un uomo conta più della sua religione.

Una donna che non conosce la fede dei catechismi, ma possiede quella delle madri che soffrono.

Che conosce Dio dal di dentro, lo sente in empatia con il suo cuore di madre, lo sente pulsare nel profondo delle sue piaghe. Lei sa che Dio è felice quando una madre, qualsiasi madre, si stringe felice la carne della sua carne, finalmente guarita.

“Grande è la tua fede!” Allora grande è ancora la fede sulla terra, dentro e fuori la Chiesa, perché grande è il numero delle madri di Tiro e Sidone, che non sanno il Credo ma sanno il cuore di Dio.

Usano un altro nome per invocare Dio, ma ne conoscono il cuore. Un cuore di madre. È con il cuore che si crede, scrive Paolo ai Romani (Rom 10,10).

Grande è ancora la fede sulla terra: le madri sanno che Dio appartiene al dolore e ai dolenti del mondo, che la sofferenza viene prima di ogni religione, di ogni razza, di ogni appartenenza. Per lui non ci sono figli e cagnolini.

Dove c’è dolore, lì c’è tutta la pietà di Dio.

Può sembrare una briciola, può sembrare poca cosa la compassione di Dio, ma le briciole di Dio sono grandi come Dio stesso.

Avvenga per te come desideri. Gesù ribalta la domanda della madre, gliela restituisce: Sei tu e il tuo desiderio che comandate. La tua fede e il tuo desiderio sono come un grembo che partorisce il miracolo.

Tutto questo diventa consolazione: perché nel giorno in cui avremo poca fede, nel giorno in cui saremo sopraffatti dal dolore, quando la sofferenza sarà così forte da impedirci perfino di pregare, quando verrà, dal fondo dell’essere, solo una parola muta «Ho paura, aiutami, sto affondando», in quel momento Dio si farà vicino come pane per i figli, come briciole per ogni cucciolo d’uomo.

E sono contento, perché so che allora non importerà più merito o demerito; Dio non conterà i miei peccati, conterà solo a una a una tutte le mie lacrime, e queste riporrà nei suoi otri misteriosi. E il giudizio ultimo sarà l’apertura di questi immensi forzieri di fede e di dolore.

 

Questo Dio ora si rivolge a noi, al nostro modo di abitare la terra: la terra come un’unica grande casa, con una tavola ricca di pane e ricca di figli. Dove tutti, tutti sono dei nostri.

 

La svolta nel racconto evangelico è tracciata dall’immagine che «anche i cuccioli sotto la tavola mangiano le briciole cadute ai loro padroni» (Mt 15, 27). La madre cananea sembra dire: non puoi fare delle briciole di miracolo, delle briciole di prodigio, per questi cani di pagani? La coscienza umile che tutti siamo uguali, e al contempo l’affermazione di essere là a cercare solo briciole, avanzi, pane perduto, è ciò che commuove Gesù.

Se noi riuscissimo ad applicare questa frase al nostro mondo, al nostro presente di vacanze e di miseria, di festa e di dolore, che morde sul ferragosto, alla fiumana di madri cananee che implorano briciole per i loro cuccioli, stritolati dal demone della fame o della malattia, del terrorismo o della violenza allora capiremmo che cos’è il Regno, la nuova terra come Dio la sogna.

Il mondo domanda a noi, discepoli di Gesù di Nazaret: Fate anche voi dei segni, fate dei piccolissimi segni, delle briciole di miracolo per noi, i cagnolini della terra. Una briciola di generosità…

Allora la terra sarà la patria grande, la casa comune, tante volte sognata e descritta dai migliori uomini del nostro tempo, una tavola ricca di pane, una corona di figli, briciole, e dei cuccioli non più affamati.

La pietà di Dio viene sempre a smuovere la nostra idea di giustizia, ci chiama a chinarci sugli ultimi, a prenderli da sotto la tavola, dalle periferie del banchetto, a tirarli su, a metterli tra i figli,

anzi a metterli come lampade sopra il lucerniere

perché anch’essi hanno occhi di luce,

perché ci sia più luce sulla tavola del pane,

più luce sul futuro del mondo.

 

 

Preghiera alla comunione

 

Signore, vorrei anch’io la fede della donna Cananea,

la donna delle briciole

che non si arrende, che intuisce, sotto i tuoi no,

l’impazienza di dire sì.

Vorrei la fede della madre Cananea

Lei sa che davanti a Dio

niente vale quanto la sua bambina malata,

lei viene prima di ogni credo, di ogni religione.

Lei sa che Dio è pastore di tutto il dolore del mondo.

 

A noi, seduti a tavole ricche di pane,

dona di fare dei piccoli segni,

delle briciole di miracolo

per i cagnolini della terra.

E tu, donna Cananea,

donna delle briciole e della grande fede,

insegnaci che non ci sono figli di Dio e cagnolini

che c’è una sola casa grande, che è di tutti.

E continua ancora indomita a intercedere

per noi, come tua figlia malati,

per noi, come tua figlia affamati.

Per noi, grati per tutte le madri come te,

che illuminano la terra,

che insegnano la fede.

Amen

 

Prima l’uomo, poi la sua fede.

In cima a tutti i diritti umani sta il diritto del dolore e della fame.