38° Capitolo

Passa la scena di questo mondo!

Il tempo passa inesorabile. Secondi, minuti, ore, giorni, settimane, mesi, anni, decadi…se guardiamo a ritroso nella nostra vita, diciamo : tutto qui? Anni sfumati nel nulla! Rimane in noi solo qualche ricordo della breve vita. Lotte, sofferenze, piaceri, peccati, trasgressioni, divertimenti, preghiere, angosce, noia, superficialità, contemplazione. Il ventaglio della vita presenta infinite angolature.

Ma quali sono i momenti più autentici? E cosa significa “autenticità”? Essa dovrebbe identificarsi con il fatto che la nostra volontà deve unirsi con la volontà di Dio, come Cristo ha pregato nel Getsemani. Siamo autentici quando ci troviamo nel versante della Sua volontà. Ma guardando la nostra vita constatiamo che questi momenti sono così pochi! E’ necessario proiettarsi in avanti con la mente e con l’anima. Vivere nel presente, ma proiettati verso il futuro.

Nell’aldilà come vivremo? Rimpiangeremo il tempo perduto? “Se in paradiso i santi potessero rattristarsi, piangerebbero per tutta l’eternità il tempo perduto o male impiegato! Se potessero ritornare sulla terra a guadagnare altri meriti, il paradiso si vuoterebbe. Lavora, finché hai tempo, ad ammassare ricchezze per il cielo. Dopo la morte il tempo del merito è terminato. La tua vita terrena, nei confronti dell’eternità è breve come una giornata. Ti chiamerà ancora il Signore al tramonto a lavorare nella sua vigna? “(F.Bersini,La Sapienza del Vangelo, p.150) Il miglior tempo, quindi, é quello speso per amare Dio ed il prossimo. Deve entrare in noi la convinzione che Dio ci può chiamare quando vuole, in ogni istante.

Non possiamo nemmeno dire “domani!”. Il fatto che la cronaca riporti spesso casi di morti improvvise (anche di persone giovanissime) non ci deve procurare angoscia, se abbiamo fede. Ogni minuto, ogni secondo è un suo dono, e noi abbiamo il compito di essergli grato rispondendo continuamente alla sua chiamata. Basta avere le antenne preparate dallo Spirito di discernimento per intuire la sua chiamata. Innanzitutto “ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”.

Come lo amiamo? Soprattutto nel silenzio della preghiera. Dobbiamo unirci a Lui in ogni secondo della vita. Il tempo è veramente il breve periodo di fidanzamento della nostra anima con il “Lui divino”. Poi ci sarà il matrimonio, l’unione perfetta. Egli non guarderà le nostre infinite imperfezioni, perché per la nostra povera anima è realmente lo sposo misericordioso, capace di stupirsi per quel briciolo di attenzione che gli abbiamo dato durante la vita terrena.

Nulla Egli dimentica di ciò che è in noi di buono. In fondo cosa guarda in ogni persona? Egli osserva ed accoglie stupito la passione che abbiamo per lui, nella ricerca, nella sofferenza , nel tempo trascorso ad amarlo in qualsiasi modo. Il regno di Dio in noi è la coscienza della propria eternità; chi ne è consapevole “germoglia e cresce spontaneamente come il grano verso la mietitura “. Il male nel mondo nasce anche dal fatto che l’uomo, sentendosi effimero, affastella molte cose, avendo fretta di arrivare, di accumulare, mette insieme bene e male, virtù e vizio, giustizia e ingiustizia.

Questa febbre di far presto ha una sua radice nella coscienza di essere effimeri, quindi nel tempo; e un’altra nel terrore della morte vista come ignoto e, perciò, radicata nello spazio.Chi matura nel regno di Dio recide queste due radici distrugge il tempo e lo spazio e vede se stesso eterno. Seduto sulla riva del divenire vede la corrente trascinare mille e mille cose, non si getta nell’onda per salvare il ciarpame che essa trascina. Ha compreso che una cosa è il fiume del tempo e una cosa è l’uomo; l’onda che implacabile passa non potrà nuocergli. Non pensa alla brevità della vita, avendo la certezza di vivere sempre; non l’angoscia la morte, ma l’ansia di vivere la verità.

Gli uomini del nostro tempo sono come la pianticella di senapa che si è venuta a trovare improvvisamente nella vastità dell’universo. Un immenso sviluppo meccanico e un non corrispondente sviluppo mentale e morale. L’uomo è ammalato nel profondo del suo essere, colpito da angosce, paure, disperazione. Non potrebbe essere un valido rimedio il pensiero dell’eternità dell’anima?

Chi si sente eterno diventa come il mare verso il quale tutto confluisce, e come il mare non tollera cose morte, le rigurgita.(G.Vannucci, Verso la luce, p.133) Ogni cristiano autentico dovrebbe essere il testimone vivente dell’eternità. Eternità intesa come trascendenza dal tempo e dallo spazio. Eternità coincidente ad ogni istante a cui non possono essere posti limiti.

Dal momento che pongo questi limiti, non vivo autenticamente l’eternità. E’ vero: nella nostra dimensione spazio-temporale dobbiamo basarci sul tempo cronologico che scandisce i ritmi vitali. Ma interiormente sappiamo che essi non ci riguardano, non intaccano la nostra essenza immortale, non scalfiscono l’anima. Riflettiamo su Gesù Cristo risorto: in Lui sono state assorbite anche la passione e la morte che fanno parte integrante della sua pienezza di vita. Le stigmate che lascia toccare all’incredulo Tommaso non ne sono forse la prova?

Che senso ha, allora, accumulare tanti beni materiali o lasciarsi sommergere da molteplici affanni e preoccupazioni? L’autentico cristianesimo richiede il distacco dalla vita e da se stessi per un motivo molto valido e profondo: la vera vita inizia sì da quella terrena, ma prosegue in modo superiore e nella pienezza in quella extra-temporale ed extra-spaziale.

Una super-vita coincidente con la coscienza cosmica, dove la vera gioia consiste nel lodare e glorificare il vero artefice dell’opera di salvezza, nel vivere in pienezza la vita trinitaria in modo ineffabile. In questa prospettiva, che gran parte di noi si acquista solo in determinati momenti di auto-consapevolezza, il prima, l’ora, il dopo hanno un senso relativo. Il cristiano non perde la calma interiore di fronte a nessun evento esterno: vede tutto come un fluire che non intacca la sua sostanza.

Il Cristo che pativa non proferiva parole inutili. Inchiodato su quella croce tra immensi dolori fisici e psicologici, la sua volontà era strettamente unita a quella del Padre in una continua preghiera di abbandono. L’uomo dei dolori era già proiettato nell’eternità: il suo immenso amore manifestato in modo così drammatico avrebbe attirato tutti a sè, verso il Padre, mediante l’opera dello Spirito Santo.