dal Messaggero Veneto del 22/03/2002
La sua posizione nei confronti del terrorismo acquista grande importanza in questi frangenti
Monsignor Nonis e Sergio Zavoli oggi alla conclusione del ciclo su padre David
di GIANPAOLO CARBONETTO
Nuovi significati si sono purtroppo aggiunti alla serata conclusiva del progetto David Maria Turoldo, che vedrà protagonisti questa sera, alle 20.30, nella sala Paolino d’Aquileia di via Treppo, a Udine, il vescovo di Vicenza, monsignor Pietro Nonis, e il giornalista e scrittore Sergio Zavoli.
Sarebbe stato comunque l’appuntamento più significativo dell’articolato programma ideato dal Forum di Aquileia e coordinato da Renato Stroili Gurisatti, perché non ci si soffermerà settorialmente soltanto sul Turoldo sacerdote, o poeta, o regista, ma si parlerà del cristiano Turoldo, cioè dell’uomo di fede, che mai parlava ex cathedra, ma che sempre affermava con forza le proprie idee e che sapeva resistere alle accuse impietose che gli venivano rivolte per la sua “non obbedienza”.
Ma l’omicidio terroristico di Marco Biagi, oltre che velare anche questa occasione di tristezza, ha fatto rivivere un clima avvelenato da indiscriminate e irresponsabili accuse che non possono non richiamare alla mente che negli anni Settanta sullo stesso padre Davide da alcuni fu gettato il folle sospetto che egli fosse addirittura il cappellano delle Brigate rosse. Turoldo seppe reagire con la consueta fermezza e dignità: «Ecco che per via di quel viscerale e forsennato anticomunismo che sappiamo – scrisse – io da sempre fui costretto a pagare fino all’ultimo centesimo, fino alla vergogna e al ludibrio pubblico.
Ed era, invece, il mio, un credito (non un debito in questo caso) sia da parte della società che della Chiesa. Di me si cominciò a dire di tutto e in tutti i toni, e da molte parti. A me interessava non una scelta di partito e neanche di schieramento, ma una scelta ben più coinvolgente: la scelta di stare dalla parte dell’“uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico”, capitato in una società di ladri, caricato di ferite, spogliato e lasciato mezzo morto ai margini della strada».
In quei terribili frangenti, davanti all’infamia che gli veniva vomitata contro per meschini calcoli politici, egli fece l’unica cosa possibile: andò avanti coerentemente per la sua strada di solidarietà e di amore per il prossimo, di lotta personale per arrivare a una società più giusta. Se si fosse fermato, cedendo alle accuse, piegandosi alle richieste falsamente ragionevoli di mediazioni aprioristiche e non dibattute, ragionate e concordate, egli avrebbe perduto e con la sua sconfitta si sarebbe indebolita l’intera società che non avrebbe avuto un esempio prezioso.
La mediazione, infatti, va cercata, come andava cercata prima; ma né andando frettolosamente a indicare una specie di media aritmetica tra le due posizioni contrapposte, né rinunciando alle proprie idee perché qualche delinquente ha gettato nel lutto una famiglia e una nazione uccidendo un uomo che aveva le proprie idee, per alcuni non condivisibili, ma obbligatoriamente rispettabili.
La mediazione deve essere raggiunta con la forza del ragionamento e con la chiarezza delle regole della democrazia, senza continuare a istigare facendo finta di ragionevolezza. Nessun ministro, insomma, e tantomeno quello del lavoro, può permettersi di tentare di indebolire – con immotivati sospetti di non condanna del terrorismo – la posizione dei sindacati e dei lavoratori che sempre sono stati i più netti e limpidi oppositori della strategia della tensione e che domani invaderanno pacificamente Roma proprio per riaffermare le proprie convinzioni sindacali, ma soprattutto democratiche.
Oggi parlare di Turoldo sarà sicuramente bello e utile anche in quest’ottica perché proprio seguendo il suo modo di essere si potrebbe spezzare il dubbio che attanaglia molti uomini e che padre David splendidamente sintetizzò con queste parole: «Sperare sarà sempre uno scandalo?».
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