9 Dicembre 2003

Riflessione sul Natale 2003

Sono molto rare le azioni completamente gratuite della nostra vita, quelle, per intenderci, che facciamo senza aspettarci dagli altri alcuna forma di riconoscenza.
Chi può realmente dire di amare in modo incondizionato, senza aspettarsi il contraccambio od ottenere una qualche gratificazione personale od una qualsiasi forma di reciprocità?

Il compianto Padre Elia, da poco scomparso, sosteneva sempre che Dio avrebbe potuto crearci più belli e virtuosi, ma ha voluto proprio “noi” così come siamo: fragili, ma unici ed irrepetibili!
Amare se stessi e gli altri significa accettare profondamente quello che siamo e volere che gli altri diventino se stessi, per raggiungere la propria pienezza secondo il progetto stabilito per ognuno di noi da Dio. Significa avere anche un profondo rispetto per le diverse evoluzioni che constatiamo in noi e negli altri sul nostro cammino terreno fatto di meschinità, ricadute, superficialità, ma anche di tentativi per risalire la china e vincere la materialità.

Ora qui ci troviamo di fronte ad un evento incredibile: Colui che ha creato tutto e che sorregge l’Universo, si è fatto bambino indifeso partecipando della dimensione spazio-temporale umana.
Dio in sé è onnipotente e onnisciente. E’ Essenza pura, il Fondamento di ogni entità e tutto in Lui sussiste. Ha in sè anche la pienezza di ogni gioia.
Ma ha voluto aggiungere un’ulteriore gioia: quella di nascere Uomo, umile, fragile, indifeso.

Il suo amore è talmente traboccante che si è immerso nei limiti spazio-temporali tramite suo Figlio per farsi uomo tra gli uomini, fragile tra i fragili, sofferente tra i sofferenti, umile tra gli umili.
Perché questo? C’è una frase evangelica molto importante che Gesù pronunzia: Chi vede me vede il Padre. In questa nascita, dunque, dobbiamo vedere l’azione del Padre verso noi uomini.
Egli ha una passione talmente forte per ognuno di noi che si è fatto come noi nella discrezione più assoluta. Si è scelto una comunissima famiglia, così pura perché doveva ospitare anche la sua natura divina. Il divino si è innestato nell’umano, proprio perché l’umano diventi divino.

Lo sfondo di tutta questa dinamica è l’umiltà di Dio che non finisce mai di sbalordire.
Diceva F. Varillon: “Inchinarsi dinanzi alla grandezza altrui non è, a rigore di termini, umiltà. E’ soltanto lealtà, onestà, verità, “educazione dello spirito”. Che uno più piccolo renda omaggio ad uno più grande, non è un fatto che testimoni di una eccezionale nobiltà d’animo. Ma che il più grande si pieghi “rispettosamente” dinanzi al più piccolo, è un fatto che significa l’amore nella pienezza della sua libertà.”

Dio, incarnandosi, fa proprio così: attua il suo amore per noi attraverso la sua infinita umiltà.
Si è fatto uno di noi con profondo rispetto per dimostrarci l’incommensurabile amore per ogni sua creatura, affinché comprenda che ai suoi occhi ha un immenso valore esistenziale, perché ha un destino che pochi di noi immaginiamo, quello di diventare, cioè, figli di Dio.

Pier Angelo Piai