16 Febbraio 2003

La poesia della vita

E’ molto meglio stare un’ora con il Signore che mille anni altrove.
Il Signore è dolce. La sua presenza soave. Egli mi dona uno sguardo diverso, sguardo che sa intravedere il lato poetico della vita, delle cose.

Cos’è la vita se non c’è poesia? E chi mi può donare il gusto estetico?
La poesia è come un supplemento d’anima a tutto quello che mi circonda. Essa mi permette di proiettare l’energia interiore all’esterno. Mi svela l’eternità del Creatore attraverso la fugacità delle creature. Mi fa alzare lo sguardo oltre la materialità, verso l’unità delle cose, figura di quella dell’Onnipotente.
Ma se cerchiamo di meditare con attenzione la vita di Gesù, essa rivela momenti altamente poetici, in stretta unione con il Padre.

Gesù rispose: “Il primo Comandamento è “Ascolta Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; Amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza..”(Mc.12;29)
Quanta carica poetica ha l’intera scena preceduta dalla frase “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe…! Non è un Dio dei morti, ma dei viventi!

Dio, l’Onnipotente Creatore di tutto ciò che esiste, vuole un rapporto personalissmo con me, misera creatura. Perché non stupirci di questa incredibile opportunità? Ma proprio perché è “incredibile”, noi crediamo e pensiamo che Dio abbia ben altre cose da fare che curarsi particolarmente di noi,di me.
Invece si cura e ci tiene moltissimo perché ci ama di un amore sviscerato. Se potessimo solo conoscere l’amore personale che Dio nutre per ognuno di noi, saremmo tutti molto, ma molto diversi. Dio non vede l’ora di rivelarsi ad ognuno di noi, ma attende la nostra preparazione.

Per poter capire a fondo quanto ci ami, bisogna sensibilizzare le nostre antenne interiori: i doni di Dio non vanno accolti superficialmente. Vanno gustati e richiedono impegno personale.
La sensibilità poetica ci aiuta a gustare i suoi doni. Dio ci invita continuamente a gustarli (gustate e vedete quanto è buono il Signore), invece trova in noi tanta superficialità, assuefazione, grossolaneria.

Gesù si ritirava spesso con il Padre da solo in preghiera. Sapeva che umanamente il pericolo poteva essere la dispersione nella folla. Nel Padre Egli ritrovava l’unità, la poesia dell’unità, quindi l’irradiazione dell’amore.
Mi piace pensare all’infinita tenerezza paterna di Dio. Il suo sguardo sul mio volto, sulla mia indegnità, non per umiliarmi, ma per vedermi crescere nell’amore.

E non perde mai la fiducia nel nostro ripensamento, nel nostro desiderio di voler essere uniti a Lui, nonostante gli infiniti errori che commettiamo.
Immagino la sua infinita tenerezza quando sbagliamo. Come Egli sia pronto a curare le nostre ferite, soprattutto le ferite dell’orgoglio.


Pier Angelo Piai