La famiglia ieri e oggi : cause e caratteristiche del passaggio
A che cosa è dovuto il passaggio dalla famiglia tradizionale a quella moderna ?
Com’è caratterizzata la famiglia estesa o patriarcale?
Perché ora la famiglia è un istituto fragile?
Cosa significa ” la famiglia è diventata soprattutto una specie di rifugio” ?

A che cosa è dovuto, nella storia della nostra società, il passaggio dalla famiglia tradizionale a quella moderna?

La rivoluzione nel modo di produzione, l’industrializzazione, la concentrazione delle attività produttive nei grandi centri urbani hanno distrutto le condizioni in cui la famiglia tradizionale poteva sussistere. Di questa famiglia del buon tempo antico circolano elogi e rievocazioni, che riampiangono le sue qualità di unione e di solidarietà interna.

Non bisogna però dimenticare la realtà permanente di miseria, sottoalimentazione, mortalità infantile, insicurezza, che costituiva la condizione normale di esistenza per gran parte delle famiglie dell’Italia (preindustriale). Differenti sono oggi le ragioni per cui, nella società industriale, la famiglia subisce minacce alla propria integrità e deve registrare frequenti fallimenti.

La famiglia estesa è una comunità di produzione e di lavoro: la coltivazione dei campi, la lavorazione dei prodotti, la filatura e la tessitura, la fabbricazione delle suppellettili e degli strumenti di lavoro sono la ragione stessa della sua unità. In questa comunità vivono insieme parecchie generazioni: la proprietà è comune, l’individuo si confonde in questo gruppo e ne riceve sicurezza.
Il gruppo è sottoposto all’autorità di un capo, che di solito (ma non senza eccezioni) è il più anziano, il capostipite: ed è il capo che rappresenta la famiglia all’esterno e ne cura le relazioni. All’interno della famiglia la divisione del lavoro assegna a ciascuno (uomo, donna, fanciullo) un compito: e sono l’interesse comune e il lavoro comune a cementare il gruppo, che è, in misura diversa a seconda delle epoche e dell’organizzazione (sociale), un mondo autosufficiente.

Si nasceva in famiglie numerose; si cresceva insieme a una schiera di fratelli, di sorelle, di cugini, di zii, di nonni; ci si sposava molto giovani, quando spesso non si era lasciato neppure per un’ora il villaggio nativo; si lavorava, si stentava la vita, si moriva nell’età in cui oggi gli uomini sacrificano l’appetito alle esigenze della linea e le signore prendono l’abitudine di affidare le gambe alle cure sapienti della massaggiatrice.
Ma soprattutto si mettevano a mondo tanti bambini>> (G. Forte).

Ciascuno trascorre l’intera esistenza in famiglia: gli uomini si allontanano soltanto per andare soldati; le donne passano dalla famiglia paterna a quella del marito. L’esperienza dei vecchi è preziosa per questa famiglia, così come la fresca energia dei giovani. Tutto concorre al bene domestico: anche i matrimoni vi concorrono, e per questo sono organizzati e decisi dalla famiglia. Che cosa sconvolse questo ordine, se non lo svilupparsi dell’industria, cioè di una nuova, incessantemente nuova divisione del lavoro nella società?

Il sistema delle fabbriche portò la produzione fuori dalle mura domestiche, per sempre, e così tolse alla famiglia ogni funzione produttiva.
Con lo sviluppo del capitalismo e il diffondersi rapidissimo del lavoro (salariato), l’individuo acquistò sempre di più la possibilità di esistere al di fuori della famiglia: anzi, questa possibilità si trasformò in necessità.

L’individuo contrattava la sua forza lavoro e la vendeva: la società, che era stata per lungo tempo quasi immobile, diventò sempre più mobile – e anche questo contribuì a spezzare la struttura della famiglia “estesa”. Gli individui cominciarono a contare in quanto tali, ad avere legami diretti – anche se sempre più casuali – tra loro e con la società al di fuori della famiglia: il figlio e il padre, il capofamiglia e il discendente ,la moglie e il marito, dinanzi alla società cominciarono ad avere una propria autonomia e una propria indipendenza, sol che trovassero da vendere la propria forza lavoro. Fu un terremoto che sconvolse la famiglia estesa e ne mutò tutti i valori: ognuno cominciò a pensare a sé e al proprio bene, piuttosto che al bene domestico.

La distruzione della base economica della comunità domestica, provocata dai nuovi modi di produzione, e la spinta centrifuga che obbliga gli individui a crearsi un’esistenza fuori dalle mura domestiche, disgrega la famiglia estesa .

Ma la disgregazione si arresta alla famiglia nucleare (padre-madre-figli), perché a questo gruppo, ridotto a proporzioni minime, la società assegna ancora importanti funzioni. Non si arresta, tuttavia, la crisi, né si risolvono le contraddizioni: esse si aggravano sempre di più, perché la famiglia nucleare non tollera gli oneri di cui é gravata, non è capace di assolvere i compiti che le sono assegnati, a cominciare da quello di garantire l’esistenza dei suoi membri.

La famiglia di tipo coniugale ha ereditato le vecchie funzioni di solidarietà, di assistenza reciproca, di educazione dei figli; ma le sue dimensioni ristrette e gli impegni lavorativi dei coniugi rendono spesso difficile assolverle in maniera efficace.

Così la solidarietà familiare è messa a dura prova nei momenti di crisi economica, ai quali non casualmente corrisponde un forte aumento nel tasso delle matrimoniali; l’assistenza ai malati, agli inabili, agli anziani si è trasformata in un peso gravissimo, talvolta insopportabile; l’educazione dei figli è affidata prevalentemente alla scuola, non viene lasciata in balia del caso.

D’altra parte, queste varie funzioni sono oggi diventate scopo specifico di altre istituzioni sociali; e la famiglia indebolita tende sempre più ad addossarle ad esse.
In questa situazione la famiglia è diventata soprattutto una specie di rifugio , un luogo in cui l’individuo cerca riparo dalla oppressione e dai conflitti della società circostante.

Questo riparo non è però immune dalle tensioni che la società circostante scarica sui membri della famiglia, e che tendono a trasferirsi all’interno di essa. L’individuo che lavora porta a casa le preoccupazioni della fabbrica, dell’ufficio, dell’azienda; le condizioni alinanti in cui si svolge la sua attività lavorativa lo rendono insofferente anche nei confronti dell’ambiente nel quale pur cerca una base stabile alla propria esistenza; e nei periodi ricorrenti di crisi economica si aggiunge l’ansia per la possibile perdita del posto, il dramma del sostentamento della famiglia.

Ed è inevitabile che queste tensioni si scarichino sul punto centrale – il più delicato – della struttura della famiglia coniugale, ossia sul rapporto tra i due coniugi.
Alla base di questo c’è infatti una contraddizione di fondo, in cui si manifesta l’equivocità dell’istituto matrimoniale quale si è venuto configurando nella nostra società: la contraddizione tra una scelta del coniuge compiuta su base prevalentemente romantica e la realtà quotidiana della vita familiare.

Le aspettative che entrambi i coniugi avevano all’inizio della convivenza si scontrano con i ruoli imposti loro dalla struttura della famiglia, e che sono condizionati soprattutto economicamente.
In una società tradizonale, dove la scelta del coniuge era largamente influenzata da motivazioni economico-sociali e controllata dalle famiglie di appartenenza, il divario tra aspettative e realtà era ben minore; quando la base del matrimonio è invece un passeggero innamoramento , magari una semplice infatuazione, questo contrasto assume un’importanza decisiva.

A questa ragione di ordine generale se ne aggiunge un’altra più specifica, costituita dalla disparità di ruolo dei due coniugi. Nella famiglia patriarcale la divisione del lavoro tra uomo e donna si realizzava pur sempre nell’ambito di una fondamentale cooperazione produttive, nella famiglia coniugale questa è venuta a mancare, e la distanza tra i due coniugi si è approfondita.

Il marito svolge di solito la propria attività fuori casa ed è sollevato dalle cure domestiche, o almeno dalla maggior parte di esse. Invece la moglie che va in fabbrica o all’ufficio svolge, in realtà, un doppio lavoro, soltanto in parte alleviato dalla diffusione degli elettrodomestici e dalla industria alimentare; mentre la moglie che rimane in casa non vede riconosciuta la sua fatica perché economicamente improduttiva, e ciò è per lei fonte costante di frustrazione.

Così la famiglia appare tutt’altro che quel > tranquillo che in essa si cerca.
Talvolta può anche diventarlo, in circostanze favorevoli e attraverso un impegno consapevole, ma il mondo circostante preme a ogni passo alle sue porte mettendone in pericolo la stabilità. Soprattutto, esso mette in pericolo la base di questa struttura familiare, il legame tra i coniugi.

Perciò il matrimonio si presenta ai nostri occhi come il più fragile fra gli istituti fondamentali della società contemporanea. E non c’è da illudersi che questa precarietà sia transitoria, o che si possa porvi riparo soltanto riaffermando i tanto conclamati valori della famiglia.

E’ la struttura stessa della società industriale urbana che mina il matrimonio alla base, e che ne rende più facile il fallimento anziché la riuscita …
Una vivace testimonianza del rapporto genitori-figli, a cui si fa riferimento nel brano,è offerta da uno schizzo di vita famigliare, scritto da uno studente del biennio:
“La cena serale, che dovrebbe essere il momento di ritrovo, si trasforma in una corsa contro il tempo, perché chi oggi non guarda la televisione, alla sera? Solo uno che non è aggiornato; perciò tutti fermi senza fiatare davanti al televisione, finché non è ora di dormire. Di domenica però, dopo una settimana tanto intensa, l’amato genitore, non riuscendo a riequilibrare la stanchezza e la tensione emotiva accumulata, si aggiusta urlando con figli, brontolando con la moglie, ecc.
Se non si sfoga in famiglia, dove lo può fare ? Poi, naturalmente, la domenica pomeriggio porta i figli con la macchina a vedere i cartoni animati, o va alla partita di calcio”.

(da un articolo di P. Rossi, ne ” Il Giorno” , 21-2-1973, riduzione )