ANNO: 1996
Regia: Marcello De Stefano
Soggetto: Marcello De Stefano
Sceneggiatura: Marcello De Stefano
Conduttrice: Simona Sau
Scenografia: Arrigo Poz e Maria Grazia Renier
Speaker: Eddy Bortolussi e Graziella Ricci Polini
Musica: Maria
Teresa Bazzaro (arpa), Claudio Zinutti, Germano Stocco, Monica Di
Stefano, Fabio Cappelli (pianoforte), Gianni Fassetta (fisarmonica)
Con la Partecipazione Vocale: Gruppo Corale Gjviano diretto da Massimo Persic
Cantanti: Sabrina Michelini, Chiara Minca, Paola Nilgessi, Laura Pozzetto
Balletto: Katia Cumini
Fotografia: Carlo Della Vedova
Operatori: Carlo Della Vedova, Lorenzo Cescutti, Gianpietro Nadalutti
Montaggio: Carlo Della Vedova e Marcello De Stefano
Consulenza artistica: Gabriella Bucco, Leonardo Miani
Consulenza storica: Maurizio Buora, Giancarlo Menis
Interpreti: Gruppo
Teatrale della Loggia: Enrico Ferrante, Daniela Zorzini, Dolores
Miotto, Anna Pia Bernardis, Gino Anastasia, Paolo Rota, Luca Pressacco,
Eliana Sponza, Flavia Del Torre, Danilo D’Olivo
Partecipazioni recitative: Gilberto
Pressacco, Gianfranco Ellero, Enrico Castello, Ignazio Modugno, Dante
Blasut, Euro Carnevali, Ennio Totis, Luciana Ghiani Picci, Patrizia
Cantaruzzi, Mah Aissata Fofana
Produzione: Indipendentifilm, Udine, 1996
Durata: 107’
Il film, realizzato da Marcello De Stefano, esce nel 1996, con il
titolo Par condicio (un spetacul furlan di ué) – Controlettura anni
Novanta. Lungo il suo iter cinematografico, portato avanti e
sviluppatosi in Friuli, il regista aveva sempre cercato, con le sue
opere e la sua attività culturale, di porre delle solide basi per la
nascita di una vera e propria cinematografia friulana, che fosse tesa a
conseguire, tra l’altro, anche il riconoscimento dell’identità e della
cultura friulana pure da parte dell’autorità costituita, secondo il
dettato costituzionale dell’art. 6, ma senza mai aver constatato
avverato appieno il suo obbiettivo.
Con questo film-saggio, perciò,
egli decide di cambiare registro: non vi è più in esso, come nei
precedenti, la “richiesta del riconoscimento dell’identità, ma
affermazione di un’identità già raggiunta, conquistata, autoaffermatasi
per un atto di profonda coscientizzazione” (167).
Affermazione di
un’identità con un gesto di arrabbiata autoconclusione, con uno scoppio
di rabbia avendo la pazienza (dote del friulano) raggiunto il limite di
guardia; gesto di rabbia rovesciato in riso, in balletti, in momenti di
letteratura, e ciò in uno show perché in esso niente è da conquistare ma
tutto è già noto, e, come tale, “presentato”, per cui il Friuli è un se
stesso già attuato.
Le origini della ormai conclamata identità, dice De
Stefano in questo suo film, risalgono ad un sacro
che trova le proprie radici nella tradizione giudaico-cristiana,
un’identità da sempre dinamica, cioè atta a recepire gli apporti delle
più svariate culture, per introiettarli facendoli propri, e col
risultato di riproporli, quindi, in maniera diversa. Un’identità che da
sempre, come specifica Iacovissi, si “apre ecumenicamente
all’universale, per mezzo di una vera e propria «teologia delle
diversità»” (168), e che ha trovato il suo momento unificatore al tempo
dell’Aquileia cristiana.
Anche oggi, come allora, l’identità
culturale friulana si dimostra capace di confrontarsi, in un dialogo
alla pari, con le altre realtà comunitarie presenti in regione, dando
vita ad un dialogo di arricchimento reciproco e realizzando così quella
“par condicio” che dà titolo al film.
Par condicio viene girato, in
presa diretta (e questo al fine di mettere a fuoco più i contenuti che
la forma), all’interno del Caffè Contarena, uno dei locali storici di
Udine, nel quale, nel corso di due serate si svolge uno
“spettacolo-cabaret” condotto da Simona Sau, su copione scritto dal
regista.
Questo “spettacolo-cabaret” si svolge su una piccola
pedanina allestita all’interno del Caffè e si articola in vari momenti
nei quali si esibiscono persone, alcune artisti professionisti, altre –
la maggior parte- dilettanti, le quali sono accompagnate anche dal
puntuale commento della voce fuori campo del poeta e attore Eddy
Bortolussi.
A proposito della presa diretta, la pellicola si apre
proprio con una polemica dicitura che illustra i motivi di questa
scelta: «Lo spettacolo d’oggi privilegia lo “strabiliante” con
sofisticati trucchi e il non pensare. Per contrapposizione in questo
“video film-saggio” si privilegia la presa diretta con le sue “impurità”
in omaggio alle “purificatrici” umane verità».
Appare
poi sullo schermo l’immagine di via Cavour, nelle vicinanze di piazza
Libertà ad Udine, e lo speaker presenta la contrapposizione tra
l’attuale nome della via e l’antico toponimo della stessa, Borc dal Fen
(Borgo del Fieno), che meglio testimoniava «l’autenticità e l’essenza
della vita rurale friulana».
L’antica denominazione di quella che, dal
secondo dopoguerra si chiama piazza Libertà, era piazza Contarena, in
memoria dei luogotenenti veneti Girolamo Contarini e Marcantonio
Contarini i quali sistemarono ed ampliarono la piazza nel XVI secolo.
Si
passa ad analizzare poi la dominazione veneta in Friuli, dominazione
che puntava a instaurare il primato omologante di Venezia e alla quale
gli autoctoni resistevano tramite l’arma di difesa loro congeniale
“dell’estraneità”, e del loro modo di sentire e fare arte, e cercando
sempre di mantenere i propri costumi e i modi di esistere
consuetudinari.
Ha inizio lo spettacolo-cabaret all’interno del
Contarena, non prima di una dovuta summa di quella che è stata la storia
e la ristrutturazione del locale, situato all’interno del Palazzo
D’Aronco, dal nome dell’architetto che lo ha progettato, omaggiando così
l’operato (ignorato ai più) d’arte di tre artisti friulani del primo
Novecento (169).
«Il Friuli ha una sua tradizione letteraria» afferma
Simona Sau, introducendo quello che sarà il primo momento culturale
della serata. Viene, infatti, letto da due attori un «sonetto furlan»,
probabilmente opera di un notaio cividalese di cui non si conosce il
nome, la cui datazione è molto discussa; lo schema della poesia è quello
dell’amor cortese, ma in questo caso si tratta di un amor cortese alla
rovescia dato che è la donna a fare la corte all’uomo in maniera
maliziosa.
Vediamo ora di tracciare brevemente quello che è l’itinerario dello spettacolo, elencando quelle che ne costituiscono le tappe.
Abbiamo
subito dopo la poesia “Mare de Cristo”, tratta dal più antico laudario
patriarcale udinese, che risale alla seconda metà XIV secolo
interpretata dagli attori della compagnia de “La Loggia”; e la stessa
compagnia dà vita alla lettura della poesia che si riferisce alla
sanguinosa battaglia di Lepanto del 1571, nella quale persero la vita
molti friulani.
Si passa ad un balletto di Katia Cumini dedicato
all’artigianato come richiamo al passato; il coro friulano “Grop corâl
Gjviano” diretto da Massimo Persic interpreta intensamente alcune
villotte friulane che possono essere considerate anche come invito ad un
ripensamento “positivo” sul fenomeno del decentramento.
Ma nel
film-saggio non ci si limita a proporre momenti artistici prodotti dalla
sola cultura friulana, poiché “la dinamica spettacolarizzata del
confronto si attua con l’accoglienza della cultura dell’altro, come
viene testimoniato dagli intermezzi poetici e musicali” (170), concernenti
le altre regioni d’Italia e presentati da persone provenienti da esse
regioni, che, su invito trascinante del Friuli, offrono il loro
contributo alla costruzione di un’Italia come ideale mosaico di
identità.
Par condicio perciò vuole promuovere la “condivisione del
diritto di ciascuno a far valere la sua personalità, a rivendicare la
sua dignità” e al fine di significare la valenza politica del discorso
De Stefano utilizza con proiezione fotografie tratte dal film La terra
trema di Luchino Visconti, ricostruendolo in un’estrema sintesi.
Il
Friuli, in questo film, presentandosi pienamente cosciente della propria
dimensione plurilinguistica e pluriculturale, si propone quale realtà
geopolitica di carattere europeo, anticipatrice del modo di essere di
una regione – ospitale verso la diversità e custode della propria
identità- che deve venire a far parte di un’Europa per una modifica di
essa nel senso di una realtà – in divenire- data dai suoi popoli e loro
tradizioni, e non dal solo fatto di vantaggio – qualora anche
ci sia – di natura economica.
Perciò il film è un discorso sul tema
dell’Europa Unita, della quale si preannunciava l’avvento in quegli
anni.
Ma la “par condicio” non può essere intesa solamente come la
pari dignità tra le diverse lingue e culture della regione e dell’intera
Italia, essa cioè non può essere considerata solo nella sua dimensione
socio-antropologica territoriale.
Non possono essere ignorati i grandi
temi del dibattito culturale del mondo moderno (che ritroviamo – nel
film-saggio – nelle citazioni: Fellini, Totò, Visconti e Guttuso) e
soprattutto, perché la “par condicio” sia completa e definitiva, non può
essere messa da parte la rivendicazione dell’uguaglianza tra uomo e
donna, e quella tra persone di razze diverse (rappresentate entrambe
dalla presenza sul palco-pedanina della poetessa di colore Mah Aissatà
Fofana, la quale può essere considerata come il “momento poetico” che
realizza “l’universalità dei sentimenti” (171) e nel quale si completa la
sintesi tra i diversi piani di lettura del film con “fusione di
identità, culture, razze e condizioni umane” (172).
Ma Par condicio,
oltre ad essere portatore dei messaggi di accettazione e convivenza con
l’altro, è anche una sottile denuncia del disinteressamento, in
sostanza, del dato Friuli-minoranza, nei confronti della sua identità
culturale, da parte di “tanta” classe politica. Questa ha “sempre
disatteso questa identità”, per cui il film è “una denuncia di che cosa
sarebbe potuto essere il Friuli se il mondo politico ne avesse
assecondato i valori”173. Ed ancora, questa pellicola può essere vista
anche come “simbolo di una raggiunta consapevolezza in termini di
identità che vuole affermarsi come tale nella storia, proponendo il suo vero autonomismo” cioè “contro ogni tentativo di omologazione e/o di secessione” (174).
Il
film-saggio di De Stefano viene presentato per la prima volta al
«Cinema-Teatro Ristori» di Cividale (in provincia di Udine) il 25 luglio
1996 alle ore 20.30, all’interno della manifestazione internazionale
che va sotto il nome di Mittelfest, interamente dedicata quell’anno al
tema dell’identità.
Inoltre, viene mandato in onda con un servizio
televisivo sulla Terza Rete Rai alle ore 19.30 e 20.45 il giorno sabato
27 luglio 1996.
In seguito, grazie anche all’interessamento della
rivista culturale «La Panarie», che ha curato l’organizzazione e la
promozione della serata, viene proiettato il 22 febbraio del 1997
nell’aula sette dell’Università di Udine, la quale ha patrocinato
l’evento con la collaborazione dell’Università della Terza Età.
Alla
serata, inaugurata dal saluto del Rettore dell’Università udinese
portato dal dott. Alberto Travain, partecipano, oltre al regista stesso,
anche Roberto Iacovissi e Mario Quargnolo, che da sempre seguono da
vicino l’opera di De Stefano e che tengono, con leggerezza di tocco e
agilità di passaggi, delle brevi relazioni introduttive.
Inoltre, tra
le varie proiezioni seguite negli anni, natura pubblica ha avuto
nuovamente quella effettuata il 10 febbraio 2001 a Coderno di Sedegliano
(Udine), organizzata dall’Associazione Culturale P. David Maria
Turoldo, e di cui si è detto all’inizio delle presenti note.
NOTE
167 Roberto Iacovissi, Par condicio (un spetacul furlan
di ué) – Controlettura anni Novanta, Estratto da “La Panarie” n.111,
dicembre 1996. pag. 3.
168 art. cit., pag. 4.
169 Raimondo D’Aronco, Carlo Someda De Marco, Cesare Miani.
170 Roberto Iacovissi, art. cit., pag. 4.
171 Art. cit., pag. 5.
172 Ibidem.
173 Ibidem.
174 Ibidem.