Padre Albino Candido, monaco dall’intelligenza integrale
Padre Albino Maria Candido nacque in Carnia, a Ludaria di Rigolato, il 4 aprile 1916, da Luzi, mugnaio, e Antonina Puschiasis, terzultimo di sette figli. A 13 anni, lasciato il paese, prosegue gli studi come probando all’Istituto Missioni dell’Ordine dei Frati Servi di Santa Maria a Monteberico – Vicenza.
Terminato il ginnasio, trascorre l’anno di noviziato a Isola Vicentina, frequenta in seguito il liceo a Venezia e il quadriennio di studi teologici a Monte Berico-Vicenza.
Ordinato sacerdote il 18 agosto 1940, gli viene affidato l’insegnamento delle materie letterarie, che proseguirà per circa 35 anni, nei seminari dell’Ordine a Follina (Treviso), Udine, Isola Vicentina, Monte Berico, Asiago. Missionario per alcuni anni in Argentina e bolivia, ultimamente apparteneva alla comunità dei Servi nel convento della B.V. delle Grazie di Udine, impegnato nel ministero della Confessione e nella collaborazione al Bollettino del Santuario.
Morì a Udine il 16 agosto del 1992.
Amico e ispiratore di padre Davide M. Turoldo .
Non tutti sanno che il carnico Padre Albino Candido è stato un grande poeta e un grande mistico.
Lo conobbi più di vent’anni fa e diventammo molto amici. Padre Albino mi raccontava spesso dell’infanzia passata assieme a Padre Turoldo. Erano molto esuberanti, insieme. Gli confidava della sua situazione familiare, della povertà in cui viveva, degli usi sobri, dell’essenzialità quotidiana. Non hanno mai smesso di frequentarsi. Quando P.Turoldo arrivava al convento delle Grazie di Udine, per prima cosa cercava p.Albino. Ne sono testimone di persona. Stavano insieme delle ore.
Secondo me, Padre Albino ha avuto un ruolo molto importante nella produzione poetica di Padre Turoldo : ne era il principale ispiratore.
Grande amico, Padre Albino mi ha insegnato molte cose sia in vita che in morte. In vita mi ha trasmesso, tramite il suo esempio, l’amore per il Creatore, la continua ricerca e il fascino per il mistero. Durante i lunghi dialoghi mi ha rivelato tante cose sulla vera umiltà e sulla grandezza del destino di ogni uomo che il Signore ama infinitamente. Mi lasciava anche leggere le pagine del suo diario che io trovavo meravigliose per la ricchezza spirituale in esse nascosta. Ho sempre insistito per la loro pubblicazione. P.Albino era, invece, molto restìo perché aveva paura di cadere nella vanagloria. L’avevo messo seriamente in crisi quando gli dissi che il diario avrebbe potuto fare del bene spirituale a molte persone, ed alla fine cedette.
Un libro scritto nella preghiera.
“Il respiro della tua preghiera, Pier Angelo, trovi ala e volo in queste pagine”
Rileggendo questa dedica di Padre Albino scritta nel 1990 sulla prima pagina del libro DIARIO DI UN PELLEGRINO CARNICO intuisco la carica profetica di questo grande amico. Molto spesso mi ritrovo a meditare con il suo diario e sento che per me è davvero una guida spirituale, come se fosse presente in carne ed ossa. Certo, se lo fosse gli chiederei tante cose. Ma sovente io apro casualmente il libro e vi ritrovo osservazioni, raccomandazioni, appunti, sfoghi adatti proprio a quel momento ed a quel preciso stato d’animo. Allora la mia preghiera trova “ala e volo” .
Vi leggo una accorata esortazione : “la preghiera deve essere come il respiro dell’anima, di cui non si può fare a meno e non deve mai cessare.”
In tutto il suo diario noto questo meraviglioso respiro.
Il diario è disseminato di annotazioni, riferimenti, esperienze, desideri, nostalgie che sono radicati profondamente nella Carnia della sua fanciullezza e del periodo di solitudine a Culzei.
A pag. 16 scrive:
“Vivo come in un mondo sconosciuto in cui una presenza è insostituibile : quella di Dio a quella di una creatura. Ora sembra chiarirsi il motivo del mio venire in Carnia. Sembra chiarirsi il discorso che ci sia un motivo, e se un motivo c’è, la mia non è una fuga.
La Carnia, quindi, è per P.Albino la quercia di Mamre, una forte e irripetibile esperienza del Dio vivente.
“Con amore vi penso, con amore. Con amore alle mie montagne, a Colui che le ha fatte; con amore alle mie vallate e a Colui che le ha scavate; con amore ai miei boschi e a Colui che li ha stesi così morbidi.”(p.121)
“Fine Novembre Taia! Sono stato a Chialina, a Ovaro, a Clavais, a Ludaria, a Illegio. Ho fatto molti chilometri a piedi, sulle strade della nostra Carnia. Il Degano era gelato, le montagne rabbrividite nel manto rugginoso degli alberi spogli; i larici erano fortemente gialli un mese fa, ora sono spogli; i faggi erano rosso scarlatto un mese fa, ora sono mezzi spogli e lo strato di foglie che hanno steso è marrone opaco. Ho pensato lungo la strada, e ho pregato. Ho seguito il tracciato che percorreva, un tempo, il treno che da Comeglians scendeva a Villa e a Tolmezzo. Un’ondata di nostalgia e rimpianto franava da mezzo gli abeti e i cespugli che in tanti anni hanno invaso la carreggiata del treno: sono cose antiche, antichissime. Mi meraviglio di essere ancora qui a considerarle”.(p.230)
“Il Signore si ritrova sempre tra le realtà più scabrose, più impervie, appunto perché in questa realtà si riflette l’immagine dell’anima che intende superare gli ostacoli e affrontare con coraggio le salite che portano a Lui che è alto e sublime (p.257)
La Carnia, rappresenta per P.Albino l’innocenza perduta, la purezza ritrovata, il simbolo dell’impervio cammino che porta alle silenziose vette della contemplazione, contemplazione del mistero di un Dio presente ma che si fa cercare e non si lascia catturare dalla nostra logica razionale. I monti, i boschi selvaggi, i torrenti gagliardi e impetuosi dal letto irregolare, richiamano alla sua anima l’infinita creatività di Dio che ama il creato così com’è e lascia che ognuno diventi se stesso nel rispetto della sua libertà.
Di suo padre, diceva :
“Le figure a cui mi sento unito e derivato, in cui mi ritrovo sono: il mugnaio (mio padre era mugnaio); lo spaccapietre solitario sullo stradone assolato, che picchia, seduto accanto al mucchio di ghiaia; l’arrotino all’ombra d’una casa, solitario anche lui. Di mio padre ricordo e sento, risento i suoi silenzi, le sue ore trascorse nel polverio del mulino, con lo sguardo fisso sui grani del granoturco che, esitanti, si lasciavano cadere sulla mola, gli spruzzi dell’acqua sulle pale della ruota, e il polverio d’acqua. Finito il noviziato, come era costume, si cambiava il nome. Mio padre mi scrisse: vogliono cambiarti il nome? Vieni a casa ché io voglio vederti con il nome che io ti ho dato.”
P. Albino era un uomo di Dio dallo sguardo puro e spirituale: dal Diario emergono diverse figure di amici, confratelli e conoscenti descritti spesso con pennellate vivaci ricche di analogie poetiche, che ricordano a volte lo stile pirandelliano. Ogni singola descrizione di personaggi realmente esistiti è soffusa della luce della carità : vengono sempre messi in risalto gli aspetti più positivi.
Si può apprezzare e comprendere queste pagine autobiografiche partendo da una chiave di lettura: l’umiltà. Essa è il vero propellente della santificazione, e padre Albino questo lo sapeva molto bene. Ricordo che quando entravo nella sua cella lo sorprendevo spesso a leggere un libretto molto consunto : “l’Umiltà di Dio”, di Francois Varillon. Temeva l’orgoglio più di ogni altro veleno spirituale. Sosteneva che chi è soddisfatto di se stesso corre un grave pericolo. Per questo non voleva appropriarsi della sua “vocazione”: mi confidava che essa apparteneva a sua madre, la quale pregava spesso affinché potesse diventare religioso.
Da una attenta lettura del Diario si intuisce la forte evoluzione spirituale del padre. I suoi dubbi derivavano da una reale presa di coscienza della sua fragilità umana che confessa in diverse pagine. (“Questa solidità è in contrasto con l’insolidità della mia vita”, p.19)
Non teme di confessare i suoi difetti, le sue paure e le sue angosce. E quando nota i difetti degli altri scrive:
“Dio vi perdoni, gente, e vi benedica, il vostro egoismo è un motivo che mi fa riflettere sopra il mio egoismo. (p.46)”
Nei rapporti con i confratelli e gli amici sapeva mettersi in discussione, ma qualche volta veniva frainteso e lui ne soffriva molto, come si evince da questo sfogo :
“Quando tu ti disarmi, ti spogli, e metti in discussione te stesso invece di mettere in discussione gli altri, tutti ti saltano addosso, anche gli indifesi e i deboli, i quali, trovando uno che è incerto e in discussione con se stesso, trovano l’occasione per farsi valere, per competere con qualcuno. Mettere in discussione me stesso è un fatto troppo noto, ma sofferto da me stesso ” (p.43)
L’umiltà traspare da ogni pagina, da ogni riga del diario. Basta aprirlo a caso:
” Il regno di Dio entra solo nell’animo semplice perché il regno di Dio è una meraviglia che soltanto il semplice può accettare, è disposto ad accettare come realtà possibile.”(p.173)
Tutto il diario è un elogio all’umiltà : dalle piccole cose della vita quotidiana poeticamente descritte, alle meraviglie dello Spirito. P.Albino amava la semplicità ed era un attento osservatore di ogni più piccolo evento. La pioggia, un paesaggio, un albero, un volto comune, un gesto, uno stato d’animo, il dolore del prossimo. Particolari che per noi potrebbero sembrare quasi banali, per lui non lo erano ma diventavano oggetto di meditazione e preghiera.
Padre Albino era veramente un “uomo di Dio”.
Egli era affascinato dal mistero di Dio e della sua Creazione. Più di qualche volta l’ho sentito dire che Dio “gioca” nel senso più profondamente rispettoso del termine e lo diceva convinto, sorridendo, come se avesse intuito qualcosa sul misterioso intervento di Dio nella storia di ogni uomo.
Il Natale è la festa che la rappresenta di più e il mistero dell’Incarnazione viene accennato molto spesso alla luce dell’Umiltà di Dio, che contemplava spesso in molte occasioni. Confessa anche il suo orgoglio (il vero umile lo sa ben riconoscere)
” L’orgoglio è come un tuono lontano che
fa da sfondo a tutto il mio operare, al mio pensare. Sono troppo presente a me stesso. Nel senso di ricerca di me stesso, quasi fossi il perno del mondo e dell’esistere. L’orgoglio; quel tuono ora cupo, ora morbido posa le sue ali taglienti sui pensieri, sui sentimenti che intossica con le sue punture d’insetto. La fame di me”. (p.225)
Padre Albino è stato un vero contemplativo, lo si deduce da ogni frase del diario che non è mai casuale. La parola “silenzio” è disseminata centinaia di volte. La stessa esperienza eremitica di “Culzei (Prato Carnico-Udine)” descritta nelle prime pagine fa trasparire il suo profondo desiderio di solitudine per incontrarsi con il divino. E lui sapeva intravedere la presenza attiva di Dio anche nei particolari più impensabili della sua vita.
“Non ti grido aiutami, ma rivelati. Rivela il gioco che i santi presentano o fingono dramma. Rivela. Non ti costa nulla. E’ un gioco. E’ un gioco per Te. E Ti dico che lo so. E’ un gioco per Te” (p.284)
Era un attento osservatore di tutto ciò che accadeva attorno e dentro di lui. Nei volti e nelle espressioni del prossimo, nel variare del tempo, negli avvenimenti più assurdi o, a prima vista banali, egli sapeva “ascoltare” attentamente ciò che Dio voleva trasmettergli.
E tutto sfociava in poesia, in osservazioni umoristiche, in considerazioni filosofiche e teologiche, in profonda contemplazione, in un canto di lode interiore Amore verso Dio e amore di Dio verso noi.
Durante i numerosissimi incontri che ho avuto l’occasione di intraprendere con Lui, l’oggetto fondamentale dei suoi discorsi era Dio nelle sue multiformi manifestazioni. Mentre parlava il suo volto si accendeva ed esprimeva vera gioia. Ciò che più rimarcava era il sentirsi amato da Dio per quello che era.
A pag. 67 dice :
“Persuaderci di essere amati è più importante e più vitale che amare”.
In effetti la sua spiritualità riecheggiava quella di Giovanni della Croce e Teresa di Lisieux : più ci si sente piccoli e peccatori, più ci attiriamo lo sguardo amorevole del Padre.
A p.281 esclama :
“L’amore di Dio per me non ha intermittenze. Egli non parte, non mi lascia.”
Si lamentava, a volte, del fatto che non riusciva a comunicare certe cose ad alto contenuto spirituale con la sua stessa comunità.
A pag. 80 dice : “Ci affatichiamo a fa re e a strafare, mentre basterebbe amare.”
Al termine del dialogo esclamava, come al solito, :
“dopo questo “bicchierino” di pneuma, ora vado a compiere i miei doveri comunitari.”
Non ho mai incontrato in vita mia un uomo così innamorato del Mistero di Dio come P.Albino. Lui sapeva bene che la vita è come un gioco per prepararci all’aldilà. Amava l’ironia, pur nel profondo rispetto del dolore degli altri. Eppure aveva un’abilità nel pennellare ogni evento che induceva ad un spontaneo sorriso per la vita, anche nelle sue tinte più drammatiche.
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Osservava le persone da un punto di vista tutto particolare cogliendo aspetti quasi caricaturali, pirandelliani che pochi sanno fare. Il suo sguardo era spesso un misto di compassione e di rispettoso divertimento : sapeva cogliere il lato assurdo per ogni evento.
“Anche la mia vita inutile può aver termine in giugno”(p.313) Padre Albino si sentiva inutile.
Un contemplativo si sente sempre inutile. Ma è proprio la sua esistenza, la sua continua e spasmodica ricerca, il suo sentirsi nullità anche dal punto di vista umano, che fanno del monaco un punto di riferimento che conduce a Dio. La sua esistenza terrena poteva sembrare inutile ad occhi carnali, ma aveva il fine di additarci lo scopo fondamentale della nostra vita, l’essenziale (Maria si è scelta la parte migliore).
Ogni volta che lo incontravo non potevo fare a meno di pensare al mistero di Dio e del suo immenso amore. L’espressione del suo volto richiamava in me il paradosso sofferenza-fragilità-amore-onnipotenza. P.Albino era un uomo molto riflessivo e acuto, fortemente attratto dall’amore di Dio. Questo provocava in Lui una sofferenza interiore che pochi sapevano rettamente interpretare, e lui per questo ne soffriva molto.
“Vedermi veramente come sono nell’anima, è una cosa da far tremare. Infatti tremo.” (p.308)
Vedi di non fissare quello che fai perché ti trovi in luogo troppo adatto a mostrarti. Dio non si vede, eppure fa tutto Lui…Guardati da quello che fai di bene, è più pericoloso per te godere della tua rettitudine, è più pericoloso questo che aver commesso qualcosa che dimostri la tua nullità. Prova a godere della disistima, dei pregiudizi degli altri. Sei capace? Prova.” (p.309)
“La vita ora mi appare inondata di parole, di ripetizione. Tutto si ripete, in forme nuove, in forme vecchie che si presentano come nuove perché dimenticate : rispolverate, si presentano come nuove. (p.310)
Padre Albino sostiene a p. 327 :
“Cosa vuol dire “arricchirsi” davanti a Dio? Se volgo lo sguardo al passato, mi sono arricchito? Sono arricchito di povertà, perché una volta non avevo la percezione di essere lontano, invece ora mi sento lontano da LUI nel senso che c’è una immensa sproporzione tra me e Lui. Forse la ricchezza consiste nel sentire e soffrire questa sproporzione che cresce a misura che Egli si fa conoscere
In effetti la situazione è paradossale : più si cerca di conoscerlo più ci si scopre lontani. Lontani nella virtù. Ma forse è questo l’arricchimento che Egli vuole, secondo Padre Albino. Scoprire realmente quello che siamo, la nostra povertà, per dar spazio a Lui, nostra ricchezza. Egli deve diventare alla fine” tutto in noi”. Egli deve penetrare “come una spada” nel nostro animo iniziando dalla mente e dalla volontà. Non si può fare a meno di scoprirci “polvere”, perché più percepiamo l’Unicità e la Realtà del suo Essere, più prendiamo coscienza della nostra situazione di “creaturalità”. Siamo sempre sospesi nel vuoto e non ce ne accorgiamo. Crediamo di essere “solidi”, ma la vera solidità è in Lui.
Perché si presenta “bambino”? Lui, per mezzo del quale tutte le cose sono state create, si presenta quasi insignificante bambino! Perché? Una fragilità così sconvolgente sempre presente tra di noi, in noi. Siamo un soffio, una nuvola di vapore che si forma, passa, si dirada e poi…nulla dal punto di vista dei sensi terreni. Dio può in ogni momento staccare la foglia dal ramo. E’ padrone assoluto della nostra vita e noi non lo vogliamo capire! Conosce le altezze e le profondità del creato, ma anche le altezze e le profondità del nostro mondo pensante.
“Forse la ricchezza consiste nel sentire e soffrire questa sproporzione che cresce a misura che Egli si fa conoscere” (p.327)
La vera gioia si cela dietro questo dolore che accompagna la conoscenza di Dio: più si conosce il Creatore, più si
diventa piccoli e più si diventa piccoli più si conosce il Creatore. Ma Dio non ci ha creati per umiliarci. Vuole la nostra gioia che si acquisisce nella Verità. Se dimentichiamo la nostra povertà rischiamo di dimenticare Dio e ci allontaniamo sempre di più dalla Verità. Dio ha inventato le cose più assurde ed inimmaginabili per farcelo capire : Incarnazione, passione e morte sono l’estrema autospogliazione di suo Figlio che ai suoi occhi diventano “arricchimento” d’amore.
Il Figlio dona tutto se stesso al Padre per aiutarci ad essere anche noi così : donare al Padre Celeste tutto il nostro essere attraverso la volontà. Scoprire giorno dopo giorno che ogni cosa ci è donata e che nulla è realmente nostro, se non la volontà. Ed è proprio quella che Egli ci chiede per la sua gloria e per la nostra felicità. Forse si intuisce perché siamo così immersi in questa fragilità.
“Non sarà tutto troncato il rapporto con i vivi? Però i viventi sono quelli che vivono felici nell’Eterno, i vivi siamo noi qui nel mondo. Ci sarà dato di dire una parola buona a coloro che restano? Ci sarà dato di udire una parola buona da coloro che restano? Io credo che sì.” (p.300)
Padre Albino ci ha lasciato questi interrogativi nel suo diario, che per me sono profetici. Essi indicano che il suo stesso diario é il testamento spirituale. Egli ci mette in contatto con le cose celesti perché in tutto ciò che scrive c’è l’anelito verso il mistero e l’Assoluto ed ogni rapporto umano ha senso in Lui. “Ci sarà dato di dire una parola buona a coloro che restano?”
P.Albino mi sta trasmettendo molto più di qualche “parola buona” sempre al momento giusto.
L’ultima frase del diario è molto significativa :
UN’ULTIMA FOGLIA SULLA PUNTA DEL RAMO.
Padre Albino sintetizza molto poeticamente il suo stato d’animo. Essere “foglia” significa sentirsi fragile, alla mercé degli agenti atmosferici che sono le perturbazioni interiori ed esteriori. Comunque è una foglia attaccata al ramo dell’albero della vita che ha una sua funzione ben precisa assorbendo l’energia solare ( attraverso la sintesi clorofilliana). Ma è situata sulla punta del ramo.
Qui viene espressa la sua indole contemplativa, quella spasmodica ricerca della verità che lo hanno portato alla solitudine, pur essendo in mezzo a tante altre “foglie”.
Se questa non è intelligenza integrale….