valente picturedal Messaggero Veneto del 8/03/2002

I suoi vivaci racconti hanno scandito la vita del capoluogo del Friuli per quasi mezzo secolo
E’ morto Valente, cantore di Udine
Giornalista e scrittore, si è spento a 86 anni, dopo una banale caduta in casa


di MARIO BLASONI
E’ stato l’ultimo, inimitabile, cantore della vecchia Udine. Renzo Valente ci ha lasciati l’altra sera, poco dopo che la campana del castello (per lui era l’“orologio” che chiudeva serenamente le sue giornate), con i rintocchi delle 22 aveva dato la buona notte agli udinesi. L’autore di Udine 16 millimetri e di Un paese col tram, collaboratore di questo giornale fin dal 1955, è spirato nella Rsa di via Sant’Agostino, non lontano dalla torre dell’Angelo e neppure dalla sua casa di via D’Azeglio, alle spalle del Giardin Grande (del quale ormai non vedrà il tanto paventato sventramento per costruirvi il maxiparcheggio sotterraneo…) Gli sono stati fatali i postumi d’una caduta in casa, il 27 dicembre, che lo aveva costretto a lunghe e dolorose degenze, prima all’ospedale di Udine e poi in quello di San Daniele. Lunedì scorso, infine, il trasporto alla Rsa udinese dopo un illusorio miglioramento, ma mercoledì sera il cuore ha ceduto all’improvviso.

NUOVO SITO DEDICATO A RENZO VALENTE
http://www.zring.it/valente.htm


Renzo Valente aveva 86 anni, compiuti il 14 gennaio scorso, purtroppo nell’isolamento della terapia intensiva. Nel 1996, per l’ottantesimo traguardo, c’era stata una grande festa che aveva visto insieme Circolo della Stampa, Amministrazione provinciale e Messaggero Veneto. E nel Natale di quell’anno il giornale aveva raccolto gli articoli dell’ultima serie, Il piccolo mondo di Valente, in un volume strenna (Udine, un paese col tram) bissato nel 1998, a grandissima richiesta, con una seconda carrellata. Fino a pochissimi anni fa Renzo aveva continuato a “vigilare” sulla città, pronto ai rimbrotti davanti a brutture e scempi urbanistici. Qualche volta sembrava scoraggiato e demotivato («Sono stufo di scrivere: in fondo dico sempre le stesse cose!»), ma poi nelle sue passeggiate incontrava questo o quel patito della vecchia Udine che si complimentava («Bravissimo, hai scritto bene: demolire il cinema Eden è stato un vero crimine!»; oppure: «Eh, il Fornaretto, quello sì era un locale, prima che i cinesi…») e gli ridava la carica. Certo, gli argomenti erano sempre quelli (le rogge coperte per far posto ai parcheggi, il traffico invadente, il degrado del Giardin Grande) ma lui sapeva riproporli al momento giusto.

Valente ha sempre fatto, nel suo stile colorito e personalissimo, il cronista della città. Prima al Popolo del Friuli, del quale è stato redattore dal 1939 al 1945 (con la parentesi della guerra, nell’Aeronautica, in Tripolitania), poi alla direzione della rivista Il Friuli dell’Ept, infine con la sua rubrica al Punto di Piero Fortuna. Ma il miracolo sempreverde di Renzo si chiama Udine 16 millimetri, il fortunato collage di cinquant’anni di racconti e raccontini. Un titolo cinematografico che rende perfettamente il suo lavoro: ricostruire con esattezza fotografica la vita della città attraverso momenti, fatti, figure, ambienti (a passo ridotto, visto che si tratta di piccoli, seppur significativi eventi). I racconti cominciò a pubblicarli nel 1955, quando nacque il Messaggero del lunedì, che istituì una pagina di cultura locale. La prima raccolta uscì nel 1962; seguirono altre dieci edizioni, l’ultima nel 1991. Volumi impreziositi dalle “storiche” prefazioni di Dino Menichini, Tiziano Tessitori e Arturo Manzano, dai disegni d’epoca di Pittino, Caucigh, Merlo e Mitri, dalle foto-documento di Tino da Udine.

«Valente ha la rara, oggi miracolosa, capacità – scriveva Menichini – di saper sorridere di sè prima che degli altri». Persino dei suoi familiari, come le famose zie di via Manin, che lo portavano alla tombola di Ferragosto in Giardin Grande («ogni anno andavano per uno, come era stato per tutta la vita con i mariti: più di una volta furono lì lì per prenderne uno e non vi riuscirono mai…»). E sorride della Udine anni ’30 che difinisce «una città pacioccona, credulona, indolente, indulgente, conciliante». Con i suoi personaggi: il maestro Garzoni «in cilindro, coda di rondine e patacche sul petto»; la maschera del campo Moretti, “Fortunello”, che chiudeva un occhio lasciando passare i ragazzi senza biglietto (ma lui non osava: «E alora te movistu, mona?»); la maestra Lavarini, il giardiniere Giosuè, il poeta Emilio Girardini, ormai cieco, che Renzo accompagnava nelle passeggiate.

La città, le persone, il linguaggio parlato. Dopo la scomparsa della poetessa Nadia Pauluzzo, Valente era rimasto l’ultimo a difendere quel tanto bistrattato dialetto veneto-udinese che ormai va scomparendo. E anche in questo stava la sua orginalità, la sua forza di presa sul lettore. Nel 1995, su questo giornale, a un lettore che gli suggeriva di sostituire con il friulano «quella specie di dialetto lasciato dai mercanti veneti nella loro ex colonia», rispose piccato: «commetterei un falso». E aggiunse: «continuerò ad adoperare i vustu, i gastu, i distu i sastu e i fastu, cinque bestemmie che anche il Signore comprende e assolve e che per me costituiscono i colori di una bandiera che non ammainerò mai».

dal Messaggero Veneto del 15/03/2002

Addio Renzo Valente


Nel giro di pochi giorni sono scomparsi due emblematici friulani: Renzo Valente e Riedo Puppo. Il primo, cantore di Udine, il secondo del Friuli e della sua lingua. Con loro è senz’altro scomparsa un’epoca che essi hanno saputo ricordare e rinvigorire, un’epoca di cui lasciano l’eredità di un profondo amore per la propria terra.
Renzo Valente ha ricordato fino all’ultimo, con il suo caratteristico dialetto udinese, quella che era Udine col tram; Riedo Puppo ha anche lui, fino all’ultimo, resa viva la parlata friulana.

A loro è doveroso rivolgere un pensiero di riconoscenza, un vivo ringraziamento per essere stati fautori della meravigliosa storia del Friuli e della sua capitale.
A me però è particolarmente caro ricordare Renzo Valente che conobbi nel lontano 1939 nella redazione del “Popolo del Friuli” ove mi recavo a recapitare gli articoli di Luigi Comuzzi. In quelle occasioni conobbi pure vari giornalisti: Arturo Manzano, Giorgio Provini, Plinio Palmano, Lino Pilotti, Carlo Serafini, Giuseppe Grinovero e, nei loro incontri tra colleghi, pure Giovanni Maria Coiutti, Riccardo Filipponi, Paolo Rippa tra cui, e mi esalto di averlo conosciuto e più volte incontrato alla “Buona vite” di via Treppo, Chino Ermacora. Certo che quei nomi per i giovani di oggi non vorranno dir nulla, ma per noi anziani fanno parte di una vita vissuta in un periodo di pace, di valori morali, di ideali, di guerra e di rinascita.

Divenni comunque amico di Valente venti anni or sono quando venne nel mio ufficio a ritirare la tessera di ex combattente. «Ora – mi disse – dobbiamo darci del tu perché portiamo lo stesso nome». Gli dicevo che ero nato in via del Pozzo e che a sei anni, prima che la mia famiglia fosse trasferita a Cussignacco, correvo più volte al giorno, con il mio triciclo, a vedere passare il tram in via Aquileia. Naturalmente i nostri discorsi comprendevano il periodo della guerra e lui mi parlava della sua Arma dell’Aeronautica, di via Grazzano e della Libia, io della Grecia e della mia prigionia in Germania.
Un giorno ci incontrammo in piazza San Giacomo e lui, guardando verso via del Monte ove un tempo era la sua casa, mi diceva che lì era il museo della sua infanzia e che lì, proprio lì, aveva vissuto i migliori anni della sua giovinezza. Mi accennò a un incendio in quella via e io gli dissi che a quell’incendio intervenne mio papà, civico pompiere. Insomma, la nostra amicizia si concretizzò sempre più e il mio più grande dispiacere è ora quello di non aver potuto partecipare ai suoi funerali perché impegnato in un’importante cerimonia.

Gli dissi un giorno che i suoi scritti pubblicati sul Messaggero Veneto li mandavo regolarmente a mio fratello a Buenos Aires e che lui faceva decine di fotocopie per distribuirle ai connazionali friulani. Mi fissò senza proferir parola e dai suoi occhi vidi spuntare le lacrime stringendomi in un forte abbraccio. Quando vado in piazza San Giacomo, e ci vado due volte alla settimana, rivolgo lo sguardo verso via del Monte e penso a Renzo Valente mentre da via Mercatovecchio sento sferragliare il tram di Udine, come in un sogno.
Addio Riedo Puppo, addio Renzo Valente, chi canterà ora come avete saputo fare voi, la nostra cara Udine, il nostro Friuli e la sua lingua?

Renzo Flaibani /Campoformido

Dal Messaggero Veneto del 05/04/2002
Lettera a Renzo Valente


Ti conobbi sulla metà degli anni Trenta, durante la stagione estiva, quando accompagnavi il poeta Emilio Girardini nelle sue passeggiate nel centro di Tricesimo e nei dintorni. Eri un giovanotto bruno che veniva dalla città, che parlava veneto, i capelli lisci alla Ramon Novarro e le ragazze del paese che ti guardavano con interesse. È un giornalista, dicevano, un intellettuale, e fantasticavano.

A sera, finite le tue mansioni con il poeta, lasciavi la villa di Borgobello e scendevi in paese a prendere il tram che ti portava a Udine. Metodico, riservato, si capiva da lontano che eri quello che dicevano loro, le ragazze.

Nell’estate del ’37 ebbi la fortuna di sostituirti presso il poeta Girardini nelle passeggiate, nelle letture, nello scrivere sotto dettatura le ultime sue poesie. Mancato ai vivi il poeta nel ’46, all’età di 88 anni, tu, Renzo, continuavi a frequentare la villa allora abitata dall’avvocato Umberto Zanfagnini e dalla sua famiglia, ogni domenica puntualmente invitato a pranzo, alle passeggiate, a continuare insomma le consuetudini dettate dal poeta Girardini durante la sua lunga, esemplare esistenza.

Una consuetudine che continuò anche dopo la scomparsa dell’onorevole Umberto Zanfagnini la cui famiglia volle ancora godere della compagnia del caro Renzo come ti chiamavano, per la tua pacata, ma acuta conversazione che emergeva malgrado la modestia del tuo carattere fino a penalizzarla.
Ti ricordo a una gita in bicicletta al lago di Cavazzo in compagnia di due graziose ma energiche fanciulle, dove ti mettesti ai remi di una grossa barca che si chiamava Rita.

Una faticaccia per le tue mani abituate alla macchina per scrivere, uno strapazzo quella cinquantina di chilometri in bicicletta per un cittadino abituato al tram e alla sedia del tavolo da lavoro.
Ti ricordo direttore della rivista “Il Friuli Turistico” quando ti portavo quegli articoli che illustravano i nostri paesi e che tu li valutavi con brevi e incisivi commenti nel tuo positivo veneto udinese. Poi gli incontri occasionali a Udine lungo quelle vie che tanto amavi, sempre garbato, sorridente, un gentiluomo. E gli ultimi anni provato dai lutti, sofferente per gli acciacchi dell’età che incombeva, deluso dal presente, nostalgico sempre. Sempre con il ricordo proteso ai bei tempi del sodalizio con il poeta Girardini: sior Emilio come lo chiamavi tu, che a me sembrava una grande confidenza.
E infine ti ricordo com’eri spesso al tempietto di San Pietro di Tricesimo a commemorare il 25 aprile, assieme ai giovani e ai reduci di tutte le guerre: tu aviere combattente negli anni 40 in terra di Libia.
Anche quest’anno saremo lassù a commemorare i Caduti e la nostra Liberazione. E ti assicuro, amico caro, che come tante volte, sarai ancora con noi.

Alan Brusini
Tricesimo
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