destefanofoto picture

IL CURRICULUM DI MARCELLO DE STEFANO

fileDBicn_doc picture
curriculumde stefano.doc

LINKS SU QUESTO SITO:

MARCELLO DE STEFANO (di Lara Meroi)
INCONTRO CON UN’INFANZIA RIFIUTATA
EUCARISTIA E SEGNO
DA UN PUGNO D’ERBA
IN UN LINGUAGGIO IL FUTURO
IN VERITA’, IN VERITA’ VI DICO
CONTROLETTURA
LA PRIMA PIETRA (UNA LINFA CHE SCORRE)
UOMO, MACCHINA, UOMO
UNO, DUE…E UDINE POI – SEGMENTI DI STORIA IN UN MILLENARIO
“GRAFIZ ‘TUN ORIZONT – IL FURLAN PRE LUIS SCROSOP” :
http://www.friulicrea.it/itartisti/story$num=208&sec=21
CUINTRILETURE PART PRIME, SECONDE, TIARCE
IL PROSSIMO – IERI, OGGI, DOMANI (EMIGRAZIONE VECCHIA E NUOVA)
IL MISTERO MEDJUGORJE IN PUNTI QUATTRO
PAR CONDICIO (UN SPETACUL FURLAN DI UE)
“LA PACE: VARIAZIONI SUL TEMA” :
http://www.friulicrea.it/itartisti/story$num=216&sec=21
STILE E POETICA DI MARCELLO DE STEFANO
INTERVISTA CON MARCELLO DE STEFANO
CONCLUSIONE E BIBLIOGRAFIA SU MARCELLO DE STEFANO

Marcello De Stefano si diploma in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, dopo importanti esperienze sul set con autori come Alessandro Blasetti, Luigi Zampa, Vittorio De Sica, Michelangelo Antonioni.
Alle successive esperienze di aiuto regia (Crimen di Mario Camerini, con Vittorio Gassman, Alberto Sordi e Nino Manfredi e Il segugio di Bernard Rolland), si aggiunge la realizzazione di due documentari religiosi, Sentieri verso Dio (1961) e Le vie di Gesù (1962-1963) che evidenziano un forte impegno umanitario e il senso del sacro.

Nel 1963 torna in Friuli dove la rivendicazione dell’identità linguistica accompagna un risveglio culturale cui partecipa dando voce ai friulani e ai loro problemi. Da allora, Marcello De Stefano scrive e dirige, con successo di pubblico e di critica, svariati film-saggio, esempio di “un cinema particolare che si colloca a metà strada tra il documentario e il film a soggetto”, per documentare la realtà e per stimolare la discussione e la riflessione… proponendo la questione friulana.

Cuintrileture part prime è il primo capitolo della versione friulana di Controlettura, una trilogia sul senso e sui valori dell’ “essere friulani” e su ciò che di positivo questa può dare al mondo d’oggi. Protagonista è il Friuli e il suo fervido paesaggio di monumenti, opere d’arte e documenti filtrato dallo sguardo di tre giovani turiste. Il film, quale “controlettura” della storia e dell’arte del Friuli, suggerisce un modo nuovo di guardare la realtà, a partire dalla specificità del popolo friulano e della sua lingua.

I dipinti di Marcello De Stefano, in arte dal 1945, non sono stesi nel consueto telaio di forma, più o meno, rettangolare, ma in spazi vari strutturati di volta in volta in base all’articolarsi cromatico/formale degli elaborati pittorici (per cui questi risultano composti in telai a cerchio, a ovale, a esse a tronco di piramide rovesciata, ecc.).
Stando alla loro data di realizzazione – 1945/1953 – gli elaborati si profilano come indiscusse anticipazioni rispetto al divenire dell’arte moderna.

Ciò si deve ripetere anche per le composizioni poetiche di De Stefano le quali, in una decisa originalità espressiva ricca di innovazioni linguistiche, risultano anticipazioni del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, della contestazione sessantottesca – sociale ed ecclesiale – e della crisi dell’ideologia marxista.
Passando da queste attività artistiche rimaste private a quella pubblica – il cinema – di Marcello De Stefano, si continua a rinvenire il suo modo di essere anticipatorio.

Così nelle sue esercitazioni di sceneggiatura / regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma – da dove uscì con il diploma in regia nel 1956 – in quegli anni cinquanta di operaismo marxista egli sceneggiava momenti di vita operaia, ma considerando la persona e l’etica e non lo scontato concetto di classe allora imperante come ineludibile assoluto politico ed oggi smentito nella sua rivalutazione proprio della persona e dell’etica (si considerino gli attuali avvenimenti – 1989- nell’Europa dell’Est).

E ne “Il voto” (1956), con cui De Stefano, già laureato in giurisprudenza nel 1953 si diplomava in regia, tratto da “I dialoghi delle Carmelitane” di G. Bernanos e trasposti come racconto dalla Francia della rivoluzione del 1789 alla Spagna della guerra civile (ai nostri anni trenta) la sua regia si articolava nel clima di un sereno distacco, quasi che ognuno – il rivoluzionario e le suore – avesse un suo ruolo obbligato, come un destino da subire, fosse parte cioè di una logica globale posta oltre tutti; un’atmosfera in fondo di accettazione comunque dell’altro, oggi normale ma impensabile allora, in quegli anni di netta contrapposizione, di esclusivi blocchi contrapposti; o democrazia borghese o comunismo proletario.

Abbandonare poi Roma, nonostante la vincita di un concorso alla TV nazionale, ritornare in Friuli – 1963 – e contribuire quivi al sorgere di una cinematografia nascente, quella delle minoranze etnico-linguistiche, risulta conseguente, essendo sempre nella logica delle anticipazioni.
Pubblicizzate dalla presenza dei film, con consensi di critica e di pubblico, sia in Festival Cinematografici nazionali ed internazionali sia in sedi alternative.
(Roberto Iacovissi)

                                    
LIBRI SU MARCELLO DE STEFANO

Dalla liberazione dell’uomo alla liberazione dei popoli- (l’opera cinematografica friulana di Marcello De Stefano) di Roberto Iacovissi/Sergio Cragnolini editore
destefanolibro2 picture

Copertina del libro Il cinema friulano di Marcello De Stefano – (dieci saggi) di Mario Quargnolo, A.S.Macor editori

DE STEFANO E ALBERTO SORDI
(da un articolo della Vita Cattolica del 01/03/03)


Ho conosciuto Alberto Sordi nel1960, quando era parte dell’equipe del film “Crimen” di Mario Camerini e ove svolgeva il ruolo del commendatore Alberto Franzetti.
Quando mi vide mi puntò gli occhi addosso come se dicesse a se stesso: «Chi è costui?».

Avendo constatato che io avevo avvertito quel senso «grifagno» del suo sguardo, subito mi disse in romanesco: «Non è che te vojo magnà, ma vojo sapè chissei, non te ho mai visto».

Gli spiegai che ero assistente alla regia in quel film assieme a Maffei e a Ricci, aiuti registi.

Allora lui sorrise e mi disse che quei nomi gli erano ben familiari e che d’ora in poi avrebbe guardato anche me con lo stesso sguardo con cui solitamente guardava loro.

Era molto serio nel suo lavoro, aveva un impegno fortissimo, divideva le ore secondo un prestabilito piano di riposo e di lavoro e vi era un segretario che aveva il compito di chiamarlo quando dormiva secondo gli orari stabiliti da lui.
Quando mangiavamo, la produzione ci forniva dei «cestini» e notai che per lui vi era un cestino particolare, dove predominava il mangiare in bianco e capii così che curava molto la resistenza del suo fisico.

Mi permisi anche di dirglielo e lui ridendo mi disse che l’avevo capito bene.
La sua personalità emergeva meravigliosamente nella recitazione.
Camerini, come ogni regista, ripeteva i ciak più volte e Sordi ripeteva la situazione con esattezza di tempo ritmico anche se alle volte vi aggiungeva qualche innovazione comica, molto legata alla recitazione del fatto.

Proprio durante un ciak ripetuto, una sua innovazione fece scoppiare in grossa risata tutti coloro che partecipavano alle riprese. La situazione era consistita nel dire che il personaggio in campo era un vigliacco pieno di paura e contemporaneamente nel nascondersi dietro ad una persona quasi ad essere protetto per sua strutturale viltà.

Contraddiceva l’enfasi di una denuncia con un comportamento da meschino, attuando quindi nel linguaggio filmico il corrispettivo di quello che nella letteratura corrisponde all’«ossimoro».

Ho anche assistito a momenti di sua impazienza nei confronti della produzione, quando, benché avesse terminato di recitare, si vedeva costretto a restare in attesa di un eventuale richiamo da parte della regia per nuove invenzioni di racconto che poi non venivano realizzate in quanto – e lui lo sapeva – aveva già dato il massimo di sé.

Non ebbi molti colloqui con lui perché, benché sembrasse e fosse pronto alla battuta, era come chiuso in un atteggiamento psicologico di difesa.
Un giorno gli dissi che lo avevo veduto a Udine, agli inizi quasi degli anni ’50, camminare a braccetto di un udinese, e che sentii che parlava di Annarella.

Lui mi disse che allora rivedeva un suo amico degli anni di guerra e che Annarella era Anna Magnani, ma subito, guardando l’orologio, disse che doveva andarsene.

Non permetteva a nessuno di entrare più di tanto nella sua privacy.
Un grande attore, che trova in Carlo Verdone un discepolo per sua stessa ammissione.

Marcello de Stefano