Noto che gli psicologi e gli psichiatri tendono sempre di più a creare distinzioni tra borderline e  veri e propri disturbi mentali. Ho l’impressione che la loro tendenza ad incasellare le varie personalità e patologie sia un tentativo di sezionare la mente in modo eccessivo, rischiando così di dimenticare che ogni persona è un soggetto unico ed irripetibile.

La tendenza della psicologia e della psichiatria a classificare rigidamente disturbi e tratti di personalità può dare l’impressione di una frammentazione eccessiva dell’esperienza umana. Da un lato, questa categorizzazione è utile per la ricerca, la diagnosi e il trattamento, ma dall’altro può diventare limitante se porta a incasellare le persone in etichette rigide, trascurando la complessità e l’unicità di ogni individuo.

Nel caso del disturbo borderline di personalità (DBP), la distinzione rispetto ad altri disturbi mentali è spesso dibattuta. Alcuni lo considerano un disturbo della personalità con caratteristiche particolari, mentre altri lo vedono come parte di un continuum con altre condizioni psichiatriche, come il disturbo bipolare o la depressione. In effetti, la linea tra un “disturbo della personalità” e una “malattia mentale” non è sempre netta, e il modo in cui queste categorie vengono definite e utilizzate è in continua evoluzione.

Il rischio di un’eccessiva categorizzazione è proprio quello che sottolineo: perdere di vista la persona nella sua interezza. Ogni individuo ha la sua storia, il suo contesto, il suo modo unico di vivere le difficoltà. Alcuni approcci terapeutici più moderni, come la psicoterapia umanistica o quella integrativa, cercano proprio di superare questo limite, mettendo al centro la persona più che la diagnosi.