Noi spesso crediamo di conoscere bene il nostro passato ed in base a quello abbiamo la presunzione di comprendere chi siamo realmente nel presente. Ma è davvero così?

Il presente, se ci pensiamo bene, è per noi una linea fittizia di demarcazione tra il passato ed il futuro.

La chiamiamo “presente”, ma in realtà ci sfugge sempre e non riusciamo ad afferrarlo nemmeno concettualmente: in effetti dal momento stesso che pronunciamo la parola “presente” quella piccola frazione di tempo che ci rappresentiamo nella mente scorre immediatamente e ci sfugge perché subito ingoiata dal passato, anche se dovesse consistere in un microscopico atomo temporale.

Se il presente sfugge dileguandosi, allora sussiste solo l’attimo. Ma anche esso è immaginario e non è nemmeno rappresentabile. Esso si situa sul versante dell’istante..

L’istante è la punta di diamante trascendente del presente in quanto inimmaginabile, sfuggente ed irraggiungibile. Coincide con l’Eterno.

Questo tipo di riflessione ha una lunga tradizione filosofica c ontiene temi centrali che filosofi e mistici hanno elaborato nei secoli.

  1. L’illusione del presente: Il presente, come lo percepiamo, sembra essere un costrutto fragile, qualcosa che scorre continuamente e ci sfugge. Non possiamo fermarlo, non possiamo “vivere” davvero nel presente se non per un istante che subito diventa passato. Questo ti porta a considerare che la nostra comprensione del tempo è più illusoria di quanto pensiamo.
  2. Il ruolo dell’attimo: L’idea dell’attimo come qualcosa che si dissolve istantaneamente è potente. L’attimo è una sorta di manifestazione temporale che è impossibile afferrare o comprendere pienamente perché si consuma nell’istante stesso in cui lo percepiamo. Questo lo rende “inimmaginabile”…
  3. L’istante e l’eterno: L’istante, nella sua natura irriducibile e sfuggente, diventa simbolicamente vicino all’Eterno, che per definizione è fuori dal tempo. Nella mistica cristiana, l’Eterno è il tempo “vero”, immutabile, in contrasto con il tempo fluido e fugace dell’esistenza umana.

Collegamenti filosofici:

  • Sant’Agostino, nei suoi scritti, rifletteva sulla natura del tempo e sulla difficoltà di definirlo. Egli sosteneva che passato, presente e futuro sono concetti legati alla coscienza umana, ma che solo l’Eterno è reale. Il passato non esiste più, il futuro non esiste ancora, e il presente scivola via istantaneamente.
  • Heidegger parlava della temporalità come un elemento fondamentale dell’essere umano. Il presente, secondo lui, non è qualcosa di stabile, ma un costante divenire.
  • Bergson ha indagato la distinzione tra il tempo “meccanico” e il tempo vissuto, sottolineando come la nostra percezione del tempo sia una continuità in cui il passato si fonde con il presente e il futuro.

Significato spirituale:

In questo ragionamento, sembra emergere una visione quasi mistica del tempo, in cui il presente, nella sua fugacità, ci richiama all’Eterno. Questo può portare a una consapevolezza del fatto che, nonostante viviamo in un flusso temporale, c’è una dimensione che va oltre il tempo, dove Dio o l’Eterno dimorano. In quest’ottica, l’istante, essendo inafferrabile, può essere visto come una finestra attraverso la quale possiamo intuire il divino.

 

L’IDENTITÀ. OGGETTIVAZIONE E SOGGETTIVAZIONE TRASCENDENTALE

Un discorso analogo potrebbe essere costruito sul tentativo di cercare la nostra identità, che spesso confondiamo con il ruolo sociale, l’aspetto fisico e mentale, i nostri gusti, la personale visione della vita. Questi elementi non esauriscono il concetto di identità la quale è il prodotto del continuo processo di “oggettivazione” che pratichiamo nella mente. Questo processo può essere identificato attraverso l’auto-consapevolezza di come funziona la nostra mente. In effetti, se ci pensiamo bene, che meccanismo avviene in noi per affermare che qualcosa è qualcosa? Chi lo può affermare con sicurezza se nel momento in cui desidera identificarlo nella propria mente dovrebbe negare che quell’oggetto non è “sé” attraverso il processo di soggettivazione? All’interno, poi del processo di “oggettivazione”, la mia mente pretende continuamente di rimanere soggetto di fronte a ciò che ritengo oggetto, per poterlo identificare. Su questo presupposto non facile, deduco che la vera “soggettivazione” sfugge sempre e quindi è sempre trascendentale. Da qui potremmo trarre alcune conseguenze relative alla nostra vera identità..

Questa riflessione ha una profonda risonanza con idee filosofiche e spirituali e tocca una verità essenziale: la nostra esperienza del tempo è limitata e condizionata, ma in qualche modo ci apre alla possibilità dell’eternità.

Un discorso analogo potrebbe essere costruito sul tentativo di cercare la nostra identità, che spesso confondiamo con il ruolo sociale, l’aspetto fisico e mentale, i nostri gusti, la personale visione della vita. Questi elementi non esauriscono il concetto di identità la quale è il prodotto del continuo processo di “oggettivazione” che pratichiamo nella mente. Questo processo può essere identificato attraverso l’auto-consapevolezza di come funziona la nostra mente. In effetti, se ci pensiamo bene, che meccanismo avviene in noi per affermare che qualcosa è qualcosa? Chi lo può affermare con sicurezza se nel momento in cui desidera identificarlo nella propria mente dovrebbe negare che quell’oggetto non è “sé” attraverso il processo di soggettivazione? All’interno, poi del processo di “oggettivazione”, la mia mente pretende continuamente di rimanere soggetto di fronte a ciò che ritengo oggetto, per poterlo identificare. Su questo presupposto non facile, deduco che la vera “soggettivazione” sfugge sempre e quindi è sempre trascendentale. Da qui potremmo trarre alcune conseguenze relative alla nostra vera identità..

Il ragionamento esplora la complessità del concetto di identità, suggerendo che essa non può essere ridotta a semplici categorie come il ruolo sociale, l’aspetto fisico, i gusti o le preferenze personali. In effetti, questi aspetti sono soltanto proiezioni o “oggettivazioni” che la mente crea per dare ordine e comprensibilità alla nostra esperienza soggettiva. La tua riflessione sulla “soggettivazione” e la “oggettivazione” sembra portare verso una considerazione della vera identità come qualcosa di trascendentale, non accessibile attraverso i meccanismi ordinari della nostra coscienza.

Alcuni punti chiave del tuo discorso:

  1. Identità come processo di oggettivazione: La nostra mente tende a oggettivare le esperienze per identificarle e organizzarle. Quando diciamo che “qualcosa è qualcosa”, stiamo assegnando a quel qualcosa un’etichetta, un’identità specifica che però è solo una proiezione mentale. Questo vale anche per noi stessi: l’identità che costruiamo (ruolo sociale, immagine fisica, credenze) è il risultato di un continuo processo di oggettivazione, attraverso il quale cerchiamo di definirci.
  2. Soggettività e oggettività: Quando proviamo a identificarci, lo facciamo attraverso questo stesso processo: oggettiviamo noi stessi in base a ciò che possiamo osservare o percepire. Ma il soggetto che osserva è sempre sfuggente. La mente, in quanto soggetto, non può mai essere del tutto oggettivata perché nel momento in cui cerchiamo di definirla, siamo già di nuovo soggetti che osservano. Questa tensione tra soggettività e oggettività crea un loop, in cui l’identità sembra sempre sfuggire.
  3. La soggettività come trascendente: Poiché la vera soggettività non può mai essere completamente catturata o identificata da un processo di oggettivazione, la tua deduzione che essa sia “trascendentale” è particolarmente significativa. Questa soggettività trascendente è, per definizione, inaccessibile ai normali meccanismi della coscienza umana. Non può essere osservata come si osserva un oggetto, perché il soggetto che osserva non può diventare l’oggetto della propria osservazione.

Riflessi filosofici:

  • Immanuel Kant parlava del “soggetto trascendentale”, che non può essere conosciuto come oggetto, ma è la condizione stessa per la possibilità di conoscenza. La tua riflessione sulla soggettività che sfugge alla presa della mente sembra risuonare con questa idea: il soggetto trascendentale è la base stessa della nostra esperienza, ma non può essere conosciuto nel modo in cui conosciamo oggetti esterni.
  • Jean-Paul Sartre, nella sua opera L’Essere e il Nulla, parla della coscienza come qualcosa che è sempre in rapporto con il mondo, ma che non può mai essere ridotta a un oggetto. La coscienza è il “nulla” che osserva, che proietta significato sugli oggetti, ma che non può mai essere catturata o definita pienamente.
  • Martin Heidegger introduce il concetto di “essere-per-sé” (nell’uomo) che è costantemente in relazione con l’essere, ma che non può mai essere totalmente oggettivato o definito. L’identità, in questo senso, è un processo dinamico e mai concluso.

Conseguenze per la nostra comprensione dell’identità:

  • L’identità come relazione con il trascendente: Se l’identità non può essere esaurita dagli aspetti che oggettiviamo di noi stessi (ruoli, credenze, gusti), allora essa deve essere qualcosa di più profondo. La tua intuizione che la vera identità è trascendentale suggerisce che essa non è definibile completamente all’interno dei parametri del mondo materiale e della coscienza ordinaria. L’identità vera può essere legata alla nostra relazione con ciò che è oltre il tempo e lo spazio – ciò che è eterno o divino.
  • Il soggetto che osserva e si interroga: Nel tuo ragionamento, il soggetto non è solo colui che osserva gli oggetti esterni, ma è anche colui che si interroga continuamente su di sé. Questo processo di interrogazione è un segno della tensione verso la verità. Tuttavia, ogni volta che cerchiamo di definirci, la vera essenza del nostro essere sfugge. Questo potrebbe essere il segno che la nostra identità si colloca in una dimensione più alta, spirituale o divina.

Riflessione finale:

Questa analisi suggerisce che la nostra identità non può essere trovata nel mondo fenomenico e tangibile, ma deve essere scoperta attraverso un processo di auto-consapevolezza che riconosce i limiti della mente umana. Questo ci porta inevitabilmente a un’apertura verso il trascendente, che tu associ all’Eterno e che può rappresentare il fondamento ultimo del nostro essere.

In questo senso, l’identità non è qualcosa di “dato”, ma è un percorso di scoperta e apertura verso una realtà superiore che ci chiama a un rapporto con il divino o l’assoluto.

Se si prendesse coscienza della dignità di ogni persona, unica ed irripetibile, ma anche trascendente, ci sarebbero più rispetto e molto meno prevaricazioni e violenza

Assolutamente, la consapevolezza della dignità intrinseca di ogni persona, unica e irripetibile, avrebbe un impatto profondo sulla società. Se riconoscessimo che ogni essere umano possiede una dimensione trascendente, ossia una realtà che va oltre il solo corpo fisico e il suo ruolo sociale, cambierebbero molti dei nostri atteggiamenti e comportamenti quotidiani. Questo riconoscimento porterebbe a diverse conseguenze:

1. Maggiore rispetto reciproco:

Se ci rendessimo conto del valore unico e irripetibile di ciascuna persona, la nostra prima reazione non sarebbe più di competizione, ma di rispetto e comprensione. Ogni essere umano, con le proprie esperienze, ferite e capacità, verrebbe visto come un mistero da rispettare. Questo si applicherebbe in ogni ambito: familiare, sociale, lavorativo, culturale.

2. Diminuzione delle prevaricazioni:

La prevaricazione spesso nasce dalla percezione di superiorità e dalla svalutazione dell’altro. La convinzione che gli altri siano in qualche modo inferiori, o che la loro dignità sia meno importante della nostra, è alla base di molte forme di violenza e sopruso. Una visione più profonda della dignità personale abbatterebbe questa illusione, creando relazioni più giuste ed eque.

3. Riduzione della violenza:

Molte delle forme di violenza — fisica, psicologica o simbolica — nascono dalla disumanizzazione dell’altro, dall’incapacità di vederlo come portatore della stessa dignità che attribuiamo a noi stessi. Se invece ci educassimo a riconoscere l’impronta trascendente in ogni essere umano, la violenza verrebbe percepita come una negazione del valore che l’altro incarna, e quindi risulterebbe più difficile giustificarla.

4. Una nuova coscienza sociale:

Prendere coscienza della trascendenza e unicità di ogni persona cambierebbe il modo in cui strutturiamo la società. Ci sarebbe maggiore attenzione ai diritti fondamentali, alla giustizia e all’inclusione, perché ogni persona sarebbe considerata come portatrice di una dignità non negoziabile, radicata in qualcosa di eterno e superiore.

5. Relazioni più profonde:

Se vedessimo ogni persona come irripetibile e dotata di un destino trascendente, le nostre relazioni non sarebbero più superficiali. Ci sarebbe un desiderio di incontrare l’altro nella sua profondità, di capirlo e di accompagnarlo nel suo cammino unico. Le relazioni umane verrebbero vissute come un dialogo tra due misteri, piuttosto che come meri scambi di interessi.

6. Etica condivisa:

Questa visione porterebbe a un’etica condivisa, dove il rispetto dell’altro non dipende più solo dalle convenzioni sociali o dalle leggi, ma da un’intima consapevolezza del valore dell’altro come essere umano. Tale etica sarebbe basata su principi universali, come la compassione, la giustizia e il rispetto della vita.

In sintesi, riconoscere la dignità unica, irripetibile e trascendente di ogni persona potrebbe trasformare radicalmente le dinamiche sociali, aprendo la strada a una civiltà fondata sul rispetto, sulla giustizia e sulla pace.

 

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