Fb 8 maggio – IV di Pasqua
Il mio posto fra le mani di Dio (di p.Ermes Ronchi)
Le mie pecore ascoltano la mia voce. L’ascolto è il primo lavoro di ogni mattino, il primo servizio da rendere a Dio e al prossimo, il primo modo per dare all’altro l’evidenza che esiste, che è importante per me.
Amare è ascoltare, tendere l’orecchio per percepire l’acqua del ruscello, nel bosco di Dio.
Ma come riconoscere la sua voce? Come faceva Maria, custodendola e meditandola nel cuore. «Gli uomini si chiamano da un silenzio all’altro, si cercano da una solitudine all’altra. E ogni voce viene da fuori. Ma Tu, Tu sei una Voce che suona in mezzo all’anima» (G. Von Le Fort).
Le vicende di Galilea, la tragedia del Golgota, le parole di Cristo, che vengono come fiamma e come manna, non hanno altro scopo che questo: darci una vita piena di cose di una qualità e consistenza capaci di attraversare l’eternità. “Io do la vita eterna”, al presente, adesso, non alla fine del tempo. Senza condizioni, prima di qualsiasi risposta, senza paletti e confini. È salute dell’anima respirare queste parole. La vita di Dio è seminata in me come seme potente, seme di fuoco nella mia terra nera. Come linfa che risale senza stancarsi, giorno e notte, e si dirama dentro tutte le gemme.
Una parola assoluta: nessuno. Subito raddoppiata, come se avessimo dei dubbi; nessuno può strapparle dalla mano del Padre.
Nessuno mai, dalla mia mano… Mani che hanno dispiegato i cieli e gettato le fondamenta della terra, mani di vasaio sull’argilla dell’Eden, mani di creatore su Adamo addormentato, e nasce Eva; mani inchiodate alla croce per un abbraccio che non può più terminare.
Io sono vita indissolubile dalle mani di Dio, legame che non si strappa, nodo che non si scioglie. L’eternità è un posto fra le mani di Dio, come passeri che vi hanno posto il nido, rassicurati dalla sua voce che scalda il freddo della solitudine.
Qui inizia l’avventura di coloro che vogliono, sulla terra, custodire e lottare, camminare e liberare. Anche a noi l’uomo importa, oggi, in questo tempo malato, con le sue passioni tristi. Ciascuno è pastore di un minimo gregge: hanno nomi e cognomi i miei agnelli, a partire dalla mia famiglia, e per ciascuno di loro posso essere mano inviolabile. Poter dire a coloro che amo, tu non andrai perduto; mai nessuno ti strapperà dal mio cuore. Resta questa fiammella viva, anche in questa storia di notti che non finiscono.
E come bambini ci aggrappiamo tutti a quella mano che non ci lascerà cadere. Come crocifissi ripetiamo: nelle tue mani affido la mia vita. Dalla vigorosa certezza, da non svendere mai, che per Dio io sono prezioso e indimenticabile, prende avvio la mia strada nella vita, per essere anch’io, per quanti sono affidati al mio amore, cuore da cui non si strappa, mano da cui non si rapisce, voce da ospita i mondi.
Avvenire IV Pasqua Giovanni 10,27-30
Le mie pecore ascoltano la mia voce. Non comandi da eseguire, ma voce amica da ospitare. L’ascolto è l’ospitalità della vita.
Per farlo, devi “aprire l’orecchio del cuore”, raccomanda la Regola di san Benedetto. La voce di chi ti vuole bene giunge ai sensi del cuore prima del contenuto delle parole, lo avvolge e lo penetra, perché pronuncia il tuo nome e la tua vita come nessuno. È l’esperienza di Maria di Magdala al mattino di Pasqua, di ogni bambino che, prima di conoscere il senso delle parole, riconosce la voce della madre, e smette di piangere e sorride e si sporge alla carezza.
La voce è il canto amoroso dell’essere: Una voce! L’amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline (Ct 2,8). E prima ancora di giungere, l’amato chiede a sua volta il canto della voce dell’amata: la tua voce fammi sentire (Ct 2,14)…
Perché le pecore ascoltano? Non per costrizione, ma perché la voce è bellissima e ospita il futuro. Io do loro la vita eterna!(v.28). La vita è data, senza condizioni, senza paletti e confini, prima ancora della mia risposta; è data come un seme potente, seme di fuoco nella mia terra nera. Linfa che giorno e notte risale il labirinto infinito delle mie gemme, per la fioritura dell’essere.
Due generi di persone si disputano il nostro ascolto: i seduttori e i maestri. I seduttori, sono quelli che promettono vita facile, piaceri facili; i maestri veri sono quelli che donano ali e fecondità alla tua vita, orizzonti e un grembo ospitale.
Il vangelo ci sorprende con una immagine di lotta: Nessuno le strapperà dalla mia mano (v.28). Ben lontano dal pastore sdolcinato e languido di tanti nostri santini, dentro un quadro bucolico di agnellini, prati e ruscelli. Le sue sono le mani forti di un lottatore contro lupi e ladri, mani vigorose che stringono un bastone da cammino e da lotta.
E se abbiamo capito male e restano dei dubbi, Gesù coinvolge il Padre: nessuno può strapparle dalla mano del Padre (v.29). Nessuno, mai (v.28). Due parole perfette, assolute, senza crepe, che convocano tutte le creature (nessuno), tutti i secoli e i giorni (mai): nessuno ti scioglierà più dall’abbraccio e dalla presa delle mani di Dio. Legame forte, non lacerabile. Nodo amoroso, che nulla scioglie.
L’eternità è la sua mano che ti prende per mano. Come passeri abbiamo il nido nelle sue mani; come un bambino stringo forte la mano che non mi lascerà cadere.
E noi, a sua immagine piccoli pastori di un minimo gregge, prendiamo schegge di parole dalla voce del Pastore grande, e le offriamo a quelli che contano per noi: nessuno mai ti strapperà dalla mia mano.
E beato chi sa farle volare via verso tutti gli agnellini del mondo.
Il vangelo raddoppia questa parola totale, assoluta: nessuno può strapparle, nessuno le strapperà.
Una parola assoluta: nessuno. Subito raddoppiata, come se avessimo dei dubbi: nessuno può strapparle dalla mano del Padre.
Io sono vita indissolubile dalle mani di Dio. Legame che non si strappa, nodo che non si scioglie. L’eternità è un posto fra le mani di Dio. Siamo passeri che hanno il nido nelle sue mani. E nella sua voce, che scalda il freddo della solitudine.
Non andremo mai perduti. Gesù si lega al nostro futuro, lega noi al suo, con una immagine di lotta: Nessuno strapperà le mie pecore dalla mia mano.
ci si sente conosciuti, e la voce è entrata nel cuore
Pastore e agnelli: una relazione non basata sulle regole, sui precetti, ma sulla conoscenza. Non un obbligo, ma una voce che fa sentire conosciuti. Non perché si deve, ma perché la voce è bellissima.
Se mettiamo in pratica la parabola del pastore, se la estendiamo a una porzione di mondo, oltre il perimetro breve del cortile di casa, allora la religione diventerà ciò che è davvero: non l’oppio dei popoli, ma l’adrenalina dei popoli (B. Borsato).
Omelia
Un Vangelo così breve che si può seguirlo parola per parola.
Le mie pecore ascoltano la mia voce. Prima grande sorpresa. Una voce attraversa le distanze, un io si rivolge a un tu, sopra di me c’è uno sguardo, che si interessa di me.
La prima delle caratteristiche dei discepoli è quella di ascoltare la voce, dare attenzione, tempo e cuore, a una voce.
Non ascoltano i comandi, ma la voce. Non gli ordini, con il loro tono intimidatorio e impositivo, ma la voce. Ubbidiscono alla sua bellezza di una voce amica da ospitare. Ascolto è ospitalità della vita.
La voce giunge all’orecchio del cuore prima delle cose che dice. È l’esperienza con cui il bambino piccolo, quando sente la voce della madre, la riconosce, si emoziona, tende le braccia e il cuore verso di lei, ed è già felice ben prima di arrivare a comprendere il significato delle parole.
Nella nostra formazione prima di tutte venivano le regole, le strutture, l’inquadramento, stare al passo con il gregge. Non funziona così. È inutile tutto se quella parola non arriva nel cuore,
La sua voce sa toccare, perché conosce cosa c’è nel cuore. Io conosco le mie pecore: La samaritana al pozzo aveva detto: venite, c’è uno che mi ha detto tutto di me. Una bellissima definizione del Signore, colui che dice il tutto dell’uomo, che risponde alle domande più profonde del cuore, alla sete.
Poi viene la seconda caratteristica del gregge. Io do loro la vita eterna. Un dono, al presente, di adesso, non un tfr alla fine del nostro lavoro nel mondo.
Che cos’è la vita eterna? Non è la vita dalla durata indefinita, ma è la qualità della vita, vita eterna è la vita dell’Eterno in noi, quel pezzetto di Dio in te, che spesso neppure cerchiamo: bellissimo sant’Agostino, tu eri in me più intimo a me di me stesso e io fuori di me ti cercavo…
Come linfa che non vedo ma che risale la vite senza stancarsi mai, giorno e notte, e si dirama per tutti i tralci, dentro tutte le mie gemme. Ogni volta che sfiori Gesù o la parola un po’ più da vicino, prende a vibrare, a muoversi questo seme vivo. Il nostro male è che non sappiamo quanto siamo ricchi. S. Basilio: o uomo considera la tua dignità regale: tu porti Dio in te!
E poi la terza caratteristica: Non andranno mai perdute. La mia fede cristiana è dilatazione, cuore grande, accrescimento d’umano e di cose che meritano di non morire. Gesù lo dice con una immagine di lotta, di combattiva tenerezza: Nessuno le strapperà dalla mia mano. Una parola assoluta: nessuno. E un’altra parola infinita: in eterno.
Una promessa subito raddoppiata, come se avessimo dei dubbi: nessuno può strapparle dalla mano del Padre.
Io sono vita indissolubile dalle mani di Dio. Legame che non si strappa, nodo che non si scioglie. L’eternità è un posto fra le mani di Dio. Siamo passeri che hanno il nido nelle sue mani. E nella sua voce, che scalda il freddo della solitudine.
Io sono vita, che nessuno strapperà. Amato che nessuno porterà via, legame non lacerabile.
Come agnelli abbiamo un ovile un posto nelle sue mani, come bambini ci aggrappiamo forte a quella mano che non ci lascerà cadere, come innamorati cerchiamo quella mano che scalda la solitudine, come crocefissi ripetiamo: nelle tue mani affido la mia vita.
E ad alcuni possiamo dire anche noi parole copiate da Dio: nessuno ti strapperà dalla mia mano. Coloro che amiamo, meritano queste parole divine.
Beati noi se potremo dire a qualcuno: tu sei inseparabile dalle mie mani.
l’avventura di coloro che vogliono, sulla terra, custodire e lottare, camminare e liberare, ed essere donatori di vita, inizia da qui, dalla certezza che per Dio tu sei importante. E io dovrei ripetere e rilanciare quersto, io a sua immagine, io pastore di anche solo un minimo gregge, dovrei dire parole di Dio: mi importa, ai care, diceva don Milani, del fratello dello Sri Lanka, agnelli uccisi a centinaia come pecore al macello mentre celebrano il Risorto a Pasqua; mi importa dell’annegato nel mediterraneo, dell’uomo o della donna sola, vicini di casa.
L’uomo mi importa. Altro che religione oppio dei popoli, voi capite che questa immagine del pastore, le sue parole se le mettiamo in pratica sono l’adrenalina dei popoli, e del cuore mai indifferente (don Borsato).
Le mie pecore mi seguono. Seguire Cristo vuol dire vivere una vita come la sua. Significa, in qualche modo, diventare pastori. Ciascuno voce e parola e mano di un discorso amoroso. Di più, ciascuno mano da cui non si rapisce il mio piccolo gregge non sarà mai rapito.
Oggi Dio mi rassicura: Nessuno mai ti strapperà dalle mie mani. Nessuno, mai.
Preghiera alla Comunione
Signore, nessuno mai ci rapirà dalle tue mani.
Nessuno mai ci separerà dall’amore.
Nessuno mai ci strapperà da quelle mani
che hanno dispiegato i cieli,
gettato le fondamenta della terra.
Mani di vasaio sull’argilla dell’Eden,
come una infinita carezza.
Mani di Creatore sull’Adamo addormentato
e nasce, estasi dell’uomo: Eva.
Mani inchiodate alla Croce
per un abbraccio senza fine,
che non rifiuterà nessuno mai, estasi della storia.
Nessuno mai ci strapperà da queste mani.
Come passeri abbiamo in esse il nido,
come bambini ci aggrappiamo forte
a quella mano che non ci lascerà cadere,
come innamorati cerchiamo la tua mano
che scalda la solitudine, annulla la lontananza.
Come crocifissi ripetiamo:
nelle tue mani, Signore, affido la mia vita.
A Te, il solo Pastore
che pei cieli ci fai camminare.
Avvenire IV di Pasqua
Tra la voce del pastore buono e i suoi agnelli corre un’intima fiducia.
questa relazione fidente, amorevole, feconda. Infatti perché le pecore dovrebbero ascoltare la sua voce?
Due generi di persone si disputano il nostro ascolto: i seduttori, quelli che promettono piaceri, e i maestri veri, quelli che danno ali e fecondità alla vita.
Gesù risponde offrendo la più grande delle motivazioni: perché io do loro la vita eterna. Ascolterò la sua voce non per ossequio od obbedienza, non per seduzione o paura, ma perché come una madre, lui mi fa vivere.
Io do loro la vita. Il pastore buono mette al centro della religione non quello che io faccio per lui, ma quello che lui fa per me.
Al cuore del cristianesimo non è posto il mio comportamento o la mia etica, ma l’azione di Dio. La vita cristiana non si fonda sul dovere, ma sul dono: vita autentica, vita per sempre, vita di Dio riversata dentro di me, prima ancora che io faccia niente. Prima ancora che io dica sì, lui ha seminato germi vitali, semi di luce che possono guidare me, disorientato nella vita, al paese della vita.
La mia fede cristiana è incremento, accrescimento, intensificazione d’umano e di cose che meritano di non morire.