14 Gennaio 2023

IL COMANDO FONTALE (p.Ermes Ronchi)

Fb 15 gennaio 2023
Gv 1,29-34
Il comando fontale (di p.Ermes Ronchi)

«Viene uno che era prima di me». Vedo, con gli occhi di Giovanni, il venire infaticato di Dio, incamminato lungo il fiume dei giorni, carico di ogni lontananza; viene negli occhi di tutti gli uccisi come agnelli, viene nei luoghi dove ancora si gioca il mio destino e quello del mondo.
Giovanni vedendo Gesù venire… Avere, come lui, occhi di profeta è possibile, perché «vi è un pizzico di profeta nei recessi di ogni esistenza umana» (A.J. Heschel).
Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Ecco il piccolo animale sacrificato, il sangue sparso, la vittima. Ma di cosa è vittima Gesù?
Dell’ira di Dio da placare con il sangue? Ma Dio aveva già detto per bocca di Isaia: sono stanco dei tuoi sacrifici senza numero. Io non bevo il sangue dei tuoi agnelli, io non mangio la loro carne (cf. Isaia 1, 11).
Ecco apparire invece il capovolgimento di Gesù: in ogni religione l’uomo sacrifica qualcosa per Dio, ora è Dio che sacrifica se stesso per l’uomo, e non chiede in cambio la vita del peccatore, ma dà la sua anche a chi gliela toglie. Di cosa è vittima allora l’Agnello di Dio?
Gesù è vittima d’amore. Scrive Origene: «Dio prima ha sofferto, poi si è incarnato. Ha sofferto perché ‘caritas est passio’». Gesù è vittima della violenza, padrona e signora della terra, che lui ha smascherato con l’amore. E la violenza non ha sopportato l’unico che ne era totalmente libero, e, convocati i suoi adepti, ha ucciso l’agnello, il mite, voce e sogno di Dio.
Il peccato del mondo è scegliere la morte: «io ti ho posto davanti la vita e la morte: scegli. Ma scegli la vita!» (Deut 30,19). È questo il comando originario, fontale, sorgente di tutti i comandi. Legge di Dio è che l’uomo scelga. Dio è un imperativo di libertà. Legge di Dio è che l’uomo viva. Dio è addizione di vita, supplemento d’umano.
Nel Vangelo il peccato è presente e insieme assente; Gesù ne parla solo per dirci: è perdonato, è tolto, è perdonabile sempre. E il cristiano testimonia il Dio capace di dimenticarsi dietro una pecora smarrita, un bambino, un’adultera, capace d’amare fino a morire, fino a risorgere. Testimonia il Dio che per vincere la notte soffia sulla luce del giorno, per vincere il gelo accende il suo sole, per demolire la menzogna passa libero e disarmato fra le creature.
Ecco Colui che toglie. Il verbo è al declinato al presente: instancabilmente, giorno per giorno, continua a togliere, a raschiare via, il male dell’uomo, il disamore che ci minaccia tutti, che è incapacità di amare bene, chiusure, fratture, vite spente. Gesù, che sapeva amare come nessuno, guarisce il disamore del mondo.
Ecco vi mando come agnelli… a togliere, con mitezza, il male: braccia aperte donate al mondo. Agnelli in mezzo a lupi, inermi e più forti di ogni Erode.

AVVENIRE

III domenica A

Il mondo ci prova, ha tentato, ma non ce la fa a fiorire secondo il sogno di Dio: gli uomini non ce la fanno a raggiungere la felicità. Dio ha guardato l’umanità, l’ha trovata smarrita, malata, sperduta e se n’è preso cura. È venuto, e invece del ripudio o del castigo, ha portato liberazione e guarigione.
Lo afferma il profeta roccioso e selvatico, Giovanni delle acque, quando dichiara: ecco l’agnello che toglie il peccato del mondo. Sono parole di guarigione, eco della profezia di Isaia, rilanciata dalla prima Lettura: ecco il mio servo, per restaurare le tribù di Giacobbe. Anzi, è troppo poco: per portare la mia salvezza fino all’estremità della terra.
Giovanni parlava in lingua aramaica, come Gesù, come la gente del popolo, e per dire “ecco l’agnello” ha certamente usato il termine “taljah”, che indica al tempo stesso “agnello” e “servo”. E la gente capiva che quel giovane uomo Gesù, più che un predestinato a finire sgozzato come un agnello nell’ora dei sacrifici nel cortile del tempio, tra l’ora sesta e l’ora nona, era invece colui che avrebbe messo tutte le sue energie al servizio del sogno di Dio per l’umanità, con la sua vita buona, bella e felice.
Servo-agnello, che toglie il peccato del mondo. Al singolare. Non i peccati, ma piuttosto la loro matrice e radice, la linfa vitale, il grembo che partorisce azioni che sono il contrario della vita, quel pensiero strisciante che si insinua dovunque, per cui mi importa solo di me, e non mi toccano le lacrime o la gioia contagiosa degli altri, non mi importano, non esistono, non ci sono, non li vedo.
Servo-agnello, guaritore dell’unico peccato che è il disamore.
Non è venuto come leone, non come aquila, ma come agnello, l’ultimo nato del gregge, a liberarci da una idea terribile e sbagliata di Dio, su cui prosperavano le istituzioni di potere in Israele. Gesù prende le radici del potere, le strappa, le capovolge al sole e all’aria, capovolge quella logica che metteva in cima a tutto un Dio dal potere assoluto, compreso quello di decretare la tua morte; e sotto di lui uomini che applicavano a loro volta questo potere, ritenuto divino, su altri uomini, più deboli di loro, in una scala infinita, giù fino all’ultimo gradino.
L’agnello-servo, il senza potere, è un ‘no!’ gridato in faccia alla logica del mondo, dove ha ragione sempre il più forte, il più ricco, il più astuto, il più crudele. E l’istituzione non l’ha sopportato e ha tolto di mezzo la voce pura, il sogno di Dio.
Ecco l’agnello, mitezza e tenerezza di Dio che entrano nelle vene del mondo, e non andranno perdute, e porteranno frutto; se non qui altrove, se non oggi nel terzo giorno di un mondo che sta nascendo.