Fb 27 febbraio
Gli alberi lo sanno  (di p.Ermes Ronchi)
Lc 6,39

Dal buon tesoro del suo cuore, l’uomo buono non può che trarne il bene.
Il buon tesoro del cuore: definizione così bella e piena di speranza, di ciò che siamo nel nostro intimo mistero. Abbiamo tutti un tesoro buono custodito in vasi d’argilla; tutti, oro fino da distribuire. E il primo tesoro è il nostro cuore stesso: «un uomo vale quanto vale il suo cuore» (Gandhi).
Il cuore è tesoro da coltivare e custodire. La nostra esistenza è viva se abbiamo coltivato tesori di speranza e di passione per il bene possibile, per una buona politica possibile, per una casa comune dove sia possibile stare meglio tutti. La nostra realtà è viva quando è vivo il cuore. Infatti Gesù porta a compimento la sua rivoluzione su due direttrici: la linea della persona, che viene prima della legge e della stessa fede, e la linea del cuore, che muove tutto in noi.
Accade come per gli alberi. Gesù ci conduce oggi alla loro scuola: un albero buono non produce frutti guasti.
La legge dell’albero è semplice: vivere, crescere, dare frutto. La legge perfetta è quella della fecondità. Ed è la stessa legge che ispira la morale evangelica: un’etica del frutto buono, della fecondità creativa, del gesto che fa bene davvero, della parola che consola guarendo, del sorriso autentico.
Il giudizio finale (Matteo 25) non sarà l’aula di un tribunale, ma la rivelazione della verità ultima del vivere; il dramma non saranno le nostre mani sporche, ma le mani desolatamente vuote, senza frutti buoni offerti alla fame d’altri.
Invece gli alberi sanno, nella loro natura, che non si vive in funzione di se stessi, ma al servizio della vita. Ed ecco che ad ogni autunno ci incanta lo spettacolo dei rami gonfi di frutti, un eccesso, uno scialo, uno spreco di semi, che sono per gli uccelli del cielo, per gli animali della terra, per gli insetti brulicanti, per i figli dell’uomo.
Le leggi profonde che reggono la vita sono le stesse della realtà spirituale. Il cuore del cosmo non dice sopravvivenza; la legge che orienta tutto ciò che vive è dare, crescere e fiorire, creare e donare. Come alberi buoni.
Ma abbiamo anche una radice di male in noi. Perché guardi la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello? Perché ti perdi a cercare fuscelli, a sprecare energia guardando l’ombra anziché la luce di quel volto?
Non è così lo sguardo di Dio, lui non si spreca così. Il Creatore vide che l’uomo e la donna erano cosa molto buona! È lui il primo che trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore di luce, e lo proietta sulle creature.
L’occhio buono non cerca travi o pagliuzze, occhi feriti o cattivi tesori, ma si posa su un Eden di cui nessuno è privo. Invece l’occhio cattivo trae fuori dal proprio cuore oscurità ed emana ombre.
«Con ogni cura veglia sul tuo cuore, perché è la sorgente della vita» (Proverbi 4,23).

 

Avvenire VIII C Luca 6,39-42

Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello? Notiamo la precisione del verbo: perché ‘guardi’, e non semplicemente ‘vedi’; perché osservi, fissi lo sguardo su pagliuzze, sciocchezze, piccole cose storte, scruti l’ombra anziché la luce di quell’occhio? Con una sorta di piacere maligno a ricercare ed evidenziare il punto debole dell’altro, a godere dei suoi difetti. Quasi a giustificare i tuoi.
Un motivo c’è: chi non vuole bene a se stesso, vede solo male attorno a sé;
chi non sta bene con sé, sta male anche con gli altri.
Invece colui che è riconciliato con il suo profondo,
guarda l’altro con benedizione. Con sguardo benedicente.
Dio guardò e vide che tutto era cosa molto buona (Gen 1,31). Il Dio biblico è un Dio felice, che non solo vede il bene, ma lo emana, perché ha un cuore di luce e il suo occhio buono è come una lampada, dove si posa diffonde luce (Mt. 6,22). Un occhio cattivo invece emana oscurità, moltiplica pagliuzze, diffonde amore per l’ombra. Alza una trave davanti al sole.

Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi. La morale evangelica è un’etica della fecondità, di frutti buoni, di sterilità vinta e non di perfezione. Dio non cerca alberi senza difetti, con nessun ramo spezzato dalla bufera o contorto di fatica o bucato dal picchio o dall’insetto. L’albero ultimato, giunto a perfezione, non è quello senza difetti, ma quello piegato dal peso di tanti frutti gonfi di sole e di succhi buoni.
Così, nell’ultimo giorno, quello della verità di ogni cuore (Mt 25), lo sguardo del Signore non si poserà sul male ma sul bene; non sulle mani pulite o no, ma sui frutti di cui saranno cariche, spighe e pane, grappoli, sorrisi, lacrime asciugate.
La legge della vita è dare. È scritto negli alberi: non crescono tra terra e cielo per decine d’anni per se stessi, semplicemente per riprodursi: alla quercia e al castagno basterebbe una ghianda, un riccio ogni 30 anni. Invece ad ogni autunno offrono lo spettacolo di uno scialo di frutti, uno spreco di semi, un eccesso di raccolto, ben più che riprodursi. È vita a servizio della vita, degli uccelli del cielo, degli insetti affamati, dei figli dell’uomo, di madre terra.
Le leggi della realtà fisica e quelle dello spirito coincidono. Anche la persona, per star bene, deve dare, è la legge della vita: deve farlo il figlio, il marito, la moglie, la mamma con il suo bambino, l’anziano con i suoi ricordi. Ogni uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore. Noi tutti abbiamo un tesoro, è il cuore: da coltivare come un Eden; da spendere come un pane, da custodire con ogni cura perché è la fonte della vita (Proverbi, 4, 23). Allora, non essere avaro del tuo cuore: donalo.