[embedyt] https://www.youtube.com/watch?v=TbmCbayiA6g[/embedyt]

II domenica di quaresima(Mt 17, 1-9)

(a cura di p. Ermes Ronchi)

La quaresima ci sorprende, ci spiazza con un vangelo pieno di sole e di luce, che mette energia, dona ali alla nostra speranza.

Gesù prese con sé tre discepoli e salì su di un alto monte. I monti sono come indici puntati verso il mistero e le profondità del cosmo, raccontano che la vita è un ascendere verso più luce, più cielo: e là si trasfigurò davanti a loro, il suo volto brillò come il sole.

Non è che Gesù si toglie la maschera Gesù, e mostra chi è davvero, ma indica un percorso, una esperienza possibile anche a noi.

Guardiamo Pietro e la sua esclamazione stupita: è bello qui, è bellissimo, non andiamo via… gli occhi sgranati come bambino… è bello, ma non è definitivo.

Può essere successo anche a noi in una giornata particolare, un pellegrinaggio, un ritiro, o in montagna, o nell’abbraccio amoroso con la persona che si ama, momenti di gioia pura, momenti perfetti, in cui fai l’esperienza che così dovrebbe essere Dio,

ti pare di aver potuto sbriciare per un attimo dentro il Regno.

Eppure non è la condizione definitiva, c’è un cammino da percorrere, talvolta un deserto, certamente una pianura alla quale ritornare.

Dei giovani chiesero un giorno al card Marini: “padre, quando partecipiamo a un momento forte, una preghiera intensa, a un ritiro bello, ci sentiamo carichi e pronti, c’è entusiasmo. Poi si torna a casa e pian piano quella energia, quel sentimento si spegne. Come si può fare per mantenere acceso il cuore, più a lungo?”

Il cardinale rispose così: non sempre si può avere l’incandescenza del cuore, ma sempre possiamo avere la memoria dell’incandescenza. Si può rivivere il ricordo di quei momenti.

Noi tutti abbiamo archivi interiori colmi di momenti belli, ma che non sappiamo sfruttare, non sappiamo gustare la nostra storia, trascuriamo le nostre piccole trasfigurazioni. Abbiamo vissuto fatti e persone, parole e gesti bellissimi, che però abbandoniamo, lasciamo languire nella memoria, fino a che si dissolvono e scompaiono.

La più bella penitenza che io ho ricevuto andando a confessarmi? Adesso fermati un momento, cerca dentro di te quale è stata la gioia più bella che hai provato in questo mese, la tiri fuori, la rivivi davanti a Dio e lo ringrazi…

Dobbiamo imparare da santa Maria: per due volte è detto che custodiva e meditava tutto ciò che le era accaduto: angeli e pastori, Giuseppe e i magi, quel dodicenne ribelle…e cercava il filo d’oro che tutto avrebbe cucito insieme e spiegato.

È quello che accade per i tre apostoli sul monte: quella visione dovrà restare viva e pronta nel cuore. Gesù con il volto di sole è una immagine da conservare e custodire per il giorno più buio, quando il suo volto sarà colpito, oltraggiato, umiliato, non più trasfigurato, ma sfigurato. Nel colmo della prova, un filo terrà legati i due volti di Gesù. Il Volto che gronda di luce, e quello che stillerà sangue.

Ma anche allora, ricordiamo: ‘sulla croce già respira, nuda, la risurrezione’ (A. Casati).

 

L’entusiasmo di Pietro ci fa inoltre capire che la fede per essere forte e viva deve discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un ‘che bello!’ gridato a pieno cuore.

Perché io credo? Perché Dio è la cosa più bella che ho incontrato, Perché credere è acquisire bellezza del vivere. Che è bello amare, avere amici, esplorare, creare, seminare, perché la vita ha senso, va verso un esito buono, che comincia qui e scorre nell’eternità.

 

«È bello per noi stare qui»: in quel momento ogni cosa è illuminata.

Vorrei per me la fede per ripetere queste parole:

è bello stare su questa terra, su questo pianeta minuscolo e bellissimo;

è bello in questo nostro tempo, che è unico e pieno di potenzialità.

È bello essere uomini: non è la tristezza, non è la delusione la nostra verità.

È bello stare con Cristo, che è luce da luce, come dice il Credo. E se Cristo è in me, se ho il suo cromosoma nel sangue, il suo DNA, allora anch’io sono in qualche misura luce da luce.

Il nostro lavoro più importante è liberare tutta la luce sepolta in noi. E in quelli accanto a noi. Liberare bontà, generosità, talenti, speranze.

“Il vostro male, fratelli, è che non sapete quanto siete belli!” (Dostoiewski).

 

Paolo oggi scrive al suo amico Timoteo una frase di emozionante bellezza: «Cristo Gesù ha fatto risplendere la vita» (2 Tm 1,10).

Gesù ha fatto splendida l’esistenza, non solo il suo volto e le sue vesti, non solo il futuro o i desideri, ma la vita qui e adesso, la vita di tutti, la vita segreta di ogni creatura.

Ha riacceso la fiamma delle cose, ha fatto risplendere l’amore, ha dato splendore agli incontri e bellezza alle vite, sogni nuovi e bellissime canzoni al nostro sangue. «E i sensi sono divine tastiere» (D.M. Turoldo) che provano gli accordi di una sinfonia che parla di alleanza gioiosa con tutto ciò che vive.

 

Se di questa domenica potessimo portare con noi una parola, sia questa: «Il Signore ha fatto risplendere la vita».

Ripeterla come un’eco di speranza e di bontà: la trasfigurazione è già iniziata; nelle vene del mondo già corrono frantumi di stelle.

E seminare i segni della bontà e della luce, seminare occhi nuovi che sappiano vedere e ringraziare

e gustare le creature, che sono buone e luminose, che hanno passione di giustizia e che danno la vita.

E beati coloro che hanno il coraggio di essere ingenuamente luminosi nello sguardo, nel giudizio, nel sorriso.

Davanti a loro puoi dire «è bello per me stare qui», accanto a te, insieme a voi.

Basterebbe ripetere senza stancarci: ha fatto risplendere la vita, per ritrovare la gioia di credere in questo Dio, fonte di canto e di luce. Forza mite e possente che preme sulla nostra vita per aprirvi finestre di cielo.

Un filo di luce collega il monte della trasfigurazione all’orto degli Ulivi: la sfida dell’amore. E’ la sfida di Gesù che Pietro, Giacomo e Giovanni debbono raccogliere.

Essi sono chiamati a cucire di fede e di speranza, quella distanza lunghissima tra Tabor e Gerusalemme, tra la luce ed il buio, fra quel volto bellissimo di Gesù sul Tabor e il volto sfigurato di un crocefisso.

E’ la sfida che ogni credente oggi è chiamato ed è costretto a raccogliere quando dinanzi a ciò che è brutto e inaccettabile come la malattia, la solitudine, la violenza, l’impotenza del corpo, la morte, il credente è chiamato a credere e ad “amare sino alla fine”, a consegnare se stesso, a non aver paura di perdere la propria vita consegnandola all’amore, contraendo legami di amore che vadano sino in fondo. Poi, ultima, verrà la luce!

p. Ermes Ronchi