29 Ottobre 2022

DEVO FERMARMI A CASA TUA (di p.Ermes Ronchi)

Fb 30 ottobre

Lc 19,1-10
Devo fermarmi a casa tua  (di p.Ermes Ronchi)

C’è un rabbi che riempie le strade di gente, e un piccolo uomo curioso «cercava di vedere Gesù».
Quello di Zaccheo si direbbe un caso disperato. C’è il muro della folla e lui è basso. Gli basta solo vederlo, di parlargli non spera. Ma poi per dirgli cosa, il ladro di Gerico, impuro, esattore delle tasse, ricco di bustarelle, favori, furti? Cosa s’entra lui con l’amico dei poveri?
Zaccheo, piccolo uomo, conosce i propri limiti ma non si piange addosso, piuttosto si inventa una soluzione: l’albero! E quell’albero diventa la sua libertà.
All’avvicinarsi di Cristo si deve sempre sentire aria di libertà.
«Corse avanti e salì su un sicomoro». Tre pennellate precise: corre, sale sull’albero, cambia prospettiva. Ed ecco che la bassa statura diventa la sua fortuna, l’uomo piccolo di valori diventa un gigante di intraprendenza del bene.
Anche Gesù sa cambiare prospettiva: passa e alza lo sguardo. Ed è subito sintonia, tenerezza chiamata per nome: Zaccheo, scendi. Tra l’albero e la strada uno scambio di sguardi centra il cuore del piccolo uomo, raggiungendone la parte migliore.
Poi, la sorpresa delle parole: devo fermarmi a casa tua.
A Dio manca qualcosa, manca Zaccheo, manca l’ultima pecora, manco io.
Zaccheo cerca di vedere Gesù e scopre che Gesù cerca di vedere lui. Il cercatore si sente cercato, l’amante si scopre amato, ed è subito festa.
Se Gesù avesse detto: “Zaccheo ti conosco, so che sei un ladro, ma se restituisci il maltolto oggi verrò a casa tua”, il pubblicano sarebbe sicuramente rimasto sull’albero.
Invece dice: “devo fermarmi”, per stare con te. Anche Zaccheo come un discepolo (li scelse perché stessero con lui Mc 3, 14). Dio «deve», ma non per la mia buona condotta, il suo sguardo si posa su ciò che mi manca per una vita piena. Parola che interpella la mia parte migliore, che nessun peccato potrà cancellare.
Zaccheo, solito alla legge dello sfruttamento, capisce da Gesù che la vita è altro, e fa più di ciò che esigeva la legge, forse meno di quello che Gesù vorrebbe, ma in totale libertà. Cuore nuovo, cuore libero, vangelo.
Gesù non gli elenca gli errori, non lo giudica, non punta il dito. Il rabbi lo conquista con la sorpresa dell’amicizia, che ripara le vite in frantumi.
Allora scese “in fretta” e lo accolse pieno di gioia. Sono poche parole: fretta, accogliere, gioia, ma che dicono sulla conversione più di tanti trattati. E mentre la casa si riempie di amici, Zaccheo si libera delle cose: «Metà di tutto è per i poveri e se ho rubato…». Ora può abbracciare l’intera sua vita di difetti e generosità, può coprire il male di bene.
Così oggi Dio viene a casa mia, a tavola con me. E Gerico diventa ogni strada del mondo dove per ognuno c’è un albero, per ognuno uno sguardo. La casa di Zaccheo è la mia, e sulla soglia ti attendo: vieni!

 

Avvenire XXXI
Il Vangelo è un libro di strade e di vento. E di incontri. Gesù conosceva l’arte dell’incontro, questo gesto povero e disarmato, potente e generativo. Siamo a Gerico, forse la più antica città del mondo. Gesù va alle radici del mondo, raggiunge le radici dell’umano. Gerico: simbolo di tutte le città che verranno dopo.
C’è un uomo, piccolo di statura, ladro come ammette lui stesso alla fine, impuro e pubblicano (cioè un venduto) che riscuoteva le tasse per i romani: soldi, bustarelle, favori, un disonesto per definizione. E in più ricco, ladro e capo dei ladri di Gerico: è quello che si dice un caso disperato. Ma non ci sono casi disperati per il Signore. Zaccheo sarebbe l’insalvabile, e Gesù non solo lo salva, ma lo fa modello del discepolo.
Gesù giunto sul luogo, alza lo sguardo verso il ramo su cui è seduto Zaccheo. Guarda dal basso verso l’alto, come quando si inginocchia a lavare i piedi ai discepoli. Il suo è uno sguardo che alza la vita, che ci innalza! Dio non ci guarda mai dall’alto in basso, ma sempre dal basso verso l’alto, con infinito rispetto. Noi lo cerchiamo nell’alto dei cieli e lui è inginocchiato ai nostri piedi.
«Zaccheo, scendi subito, devo fermarmi a casa tua». Il nome proprio, prima di tutto. La misericordia è tenerezza che chiama ognuno per nome.
“Devo”, dice Gesù. Dio deve venire: a cercarmi, a stare con me. È un suo intimo bisogno. Lui desidera me più di quanto io desideri lui. Verrà per un suo bisogno che gli urge nel cuore, perché lo spinge un fuoco e un’ansia. A Dio manca qualcosa, manca Zaccheo, manca l’ultima pecora, manco io.
“Devo fermarmi”, non un semplice passaggio, non una visita di cortesia, e poi via di nuovo sulle strade; bensì “fermarmi”, prendendomi tutto il tempo che serve, perché quella casa non è una tappa del viaggio, ma la meta.
“A casa tua”, Il vangelo è cominciato in una casa, a Nazaret, e ricomincerà ancora dalle case, anche per noi, oggi. L’infinito è sceso alla latitudine di casa: il luogo dove siamo più veri e più vivi, dove accadono le cose più importanti, la nascita, la morte, l’amore.
«Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia». Accogliere Gesù è ciò che purifica Zaccheo: non deve prima cambiare vita, dare la metà ai poveri, e solo dopo il Signore entrerà nella sua casa. No. Gesù entra, ed entrando in quella casa la trasforma, la benedice, la purifica. Il tempo della misericordia è l’anticipo. La misericordia è la capacità che ha Dio di anticiparti. Incontrare uno come Gesù fa credere nell’uomo; un uomo così libero crea libertà; il suo amore senza condizioni crea amanti senza condizioni; incontrare un Dio che non fa prediche ma si fa amico, fa rinascere.