LA BIBBIA
La Bibbia non presenta Dio come un essere che “scherza” nel senso moderno di fare battute o umorismo leggero. Tuttavia, ci sono episodi in cui le azioni di Dio o i suoi modi di interagire con le creature umane possono essere interpretati come provocatori, ironici o volutamente sorprendenti, in un modo che potrebbe somigliare a uno scherzo divino. Questi momenti rivelano spesso una profonda verità o una lezione importante, più che un’intenzione di divertire. Ecco alcuni esempi:
Antico Testamento
La torre di Babele (Genesi 11:1-9)
Gli uomini decidono di costruire una torre per raggiungere il cielo e “farsi un nome”. Dio interviene “scherzosamente” confondendo le loro lingue, costringendoli a disperdersi sulla terra. L’ironia sta nel contrasto tra l’ambizione umana e la semplicità con cui Dio smonta i loro piani.
Abramo e Sara (Genesi 18:10-15)
Quando Dio annuncia che Sara, nonostante la sua vecchiaia, avrà un figlio, lei ride incredula. Dio risponde: “Perché Sara ha riso? (…) C’è forse qualcosa di impossibile per il Signore?” Qui c’è una sorta di ironia divina: Dio promette qualcosa di apparentemente assurdo, che si realizza, suscitando alla fine un riso di gioia con la nascita di Isacco (il cui nome significa proprio “egli riderà”).
L’episodio di Balaam e l’asina parlante (Numeri 22:21-35)
Balaam, un profeta ingaggiato per maledire Israele, viene fermato da un angelo invisibile e ammonito da un’asina parlante. La scena è insolita e quasi comica: Dio usa un animale per mostrare la cecità spirituale di Balaam.
4) Una scena dell’AT: 2 persone che vengono in aiuto di Mosè mentre prega con le mani alzate
Il brano relativo si trova nel Libro dell’Esodo 17:8-13 e riguarda l’episodio in cui Mosè, con l’aiuto di Aronne e Cur, intercede per il popolo durante una battaglia contro gli Amaleciti. Questo momento, oltre a essere drammatico e significativo, contiene anche elementi visivi e simbolici che rendono la scena unica.
Il contesto
Gli Amaleciti attaccano gli Israeliti durante il loro cammino nel deserto. Mosè ordina a Giosuè di guidare gli uomini in battaglia, mentre lui stesso si reca su una collina con il bastone di Dio.
La scena: Mosè, Aronne e Cur
Mosè prega con le mani alzate:
Mentre Mosè tiene le mani alzate con il bastone, Israele prevale sulla battaglia; quando le mani di Mosè si abbassano per la stanchezza, gli Amaleciti guadagnano terreno.
L’intervento di Aronne e Cur:
Poiché Mosè non riesce a mantenere le mani sollevate da solo, Aronne e Cur intervengono. Gli fanno sedere su una pietra e sostengono le sue braccia, uno da un lato e l’altro dall’altro. Grazie al loro aiuto, le mani di Mosè rimangono sollevate fino al tramonto, consentendo agli Israeliti di vincere la battaglia.
Significato e simbolismo
La preghiera come arma spirituale:
La scena illustra il potere della preghiera e della fede. La vittoria non dipende solo dalla forza militare, ma dalla fiducia in Dio e nella sua guida.
Il sostegno comunitario:
Mosè, pur essendo il leader e il mediatore, non può compiere il suo compito da solo. Ha bisogno di aiuto, e Aronne e Cur rappresentano il sostegno che una comunità può offrire nei momenti di difficoltà.
Un simbolo di perseveranza:
Le mani alzate di Mosè sono un segno di perseveranza nella preghiera e nella fiducia in Dio, anche quando le forze fisiche vengono meno.
Il bastone di Dio:
Il bastone, che Mosè usa anche per dividere il Mar Rosso e compiere miracoli, simboleggia la presenza e il potere di Dio che opera attraverso di lui.
Un tocco di “umanità” nella scena
C’è un elemento quasi tenero e umano in questa storia: un grande leader, noto per la sua forza spirituale, si trova a essere stanco e vulnerabile. La sua debolezza non è motivo di biasimo, ma di cooperazione. Il bisogno di essere aiutato rende Mosè più vicino a noi, mostrando che anche i più grandi servitori di Dio non sono autosufficienti.
Un’immagine potente
La scena è densa di potere simbolico e visivo:
Mosè, con le mani alzate al cielo, è un’immagine di intercessione e comunione con Dio.
Aronne e Cur, che lo sostengono, sono il simbolo della solidarietà e del lavoro di squadra nella fede.
Sullo sfondo, la battaglia che si svolge, dipendente da ciò che accade sulla collina, collega il piano umano e quello divino.
Questo episodio ci ricorda che:
La forza nella vita spirituale non è mai un affare individuale; abbiamo bisogno del sostegno reciproco.
La perseveranza nella fede e nella preghiera è fondamentale, anche nei momenti di stanchezza e difficoltà.
C’è un pizzico di umorismo divino in questa scena! Se la guardiamo con occhi un po’ più leggeri, emergono alcuni aspetti che possono far sorridere, pur mantenendo il profondo significato spirituale:
Il dettaglio “fisico” del leader stanco
Immaginiamo la scena: Mosè, il grande condottiero e mediatore con Dio, sta lì con le mani alzate, ma alla lunga si stanca! È un dettaglio molto umano: anche chi è scelto da Dio ha i suoi limiti fisici. Questo contrasto tra il sublime (la preghiera che determina l’esito di una battaglia) e il quotidiano (la stanchezza che lo porta a sedersi su una pietra) aggiunge una nota quasi comica.
La solidarietà pratica di Aronne e Cur
Il fatto che due persone sostengano le braccia di Mosè come fossero due cavalletti crea un’immagine che, se rappresentata visivamente, ha un tocco di ironia. È come se Dio dicesse:
“Vediamo come fate a gestire questa situazione…”
E la soluzione è così semplice e pragmatica: “Ok, Mosè non ce la fa? Bene, fatelo sedere su una pietra e reggetegli le braccia.” È un mix tra il divino e il terribilmente umano, che non può non strappare un sorriso.
Il paradosso della battaglia “a distanza”
Il legame diretto tra le mani alzate di Mosè e l’andamento della battaglia è di per sé un elemento che, a una seconda lettura, potrebbe far sorridere. È come se gli Israeliti in prima linea fossero pedine in un gioco controllato dalla collina:
Mani su → vinciamo.
Mani giù → perdiamo.
Immagina la frustrazione e l’incredulità di chi combatte: “Perché stiamo perdendo? Ah, Mosè si è stancato di nuovo!” Questo dettaglio evidenzia la dipendenza totale da Dio e aggiunge un tocco ironico al tutto.
Un Dio che gioca con l’assurdo
L’umorismo divino si rivela spesso nella Bibbia attraverso situazioni paradossali, come questa. Dio sembra voler dire:
“Non c’è bisogno di piani elaborati o grandi strategie militari. Basta tenere le mani alzate. Semplice, no? Oh, certo, anche un po’ faticoso.”
C’è una sorta di sorriso divino dietro questa scena: un Dio che invita i suoi figli a fidarsi di Lui e a collaborare tra loro in un modo apparentemente buffo, ma profondamente significativo.
Messaggio con umorismo incluso
L’episodio ci ricorda che:
Anche nelle situazioni più serie, Dio usa mezzi semplici e a volte ironici per mostrare la sua potenza.
Non è una debolezza accettare aiuto, e il modo in cui arriva l’aiuto può essere sorprendente e inaspettato.
L’umorismo divino ci insegna a non prenderci troppo sul serio: persino il grande Mosè ha avuto bisogno di una pietra per sedersi e di due amici per reggere le braccia.
In fondo, sembra che Dio ci dica: “La mia opera è grandiosa, ma non dimenticare di sorridere anche delle tue debolezze.”
5)L’episodio di Esaù che perde la primogenitura per un piatto di lenticchie, potrebbe avere in sé dell’humour?
Sì, l’episodio di Esaù che cede la sua primogenitura a Giacobbe per un piatto di lenticchie (Genesi 25:29-34) ha senz’altro un elemento di ironia e potenziale humour, soprattutto se osservato con una certa leggerezza. È una storia che combina drammaticità, simbolismo e un tocco di assurdità. L’apparente sproporzione tra il valore della primogenitura e il prezzo pagato (un semplice piatto di cibo) dà luogo a una situazione che può essere vista come grottesca, se non addirittura comica.
La dinamica dell’episodio
Esaù torna stanco e affamato dalla caccia:
È descritto come un uomo impulsivo e guidato dai bisogni primari. Arriva a casa e vede il profumo del “piatto rosso” preparato da Giacobbe.
La trattativa assurda:
Esaù, affamato, esclama: “Fammi mangiare un po’ di questa minestra rossa, perché sono sfinito!”
Giacobbe, astuto e calcolatore, coglie l’occasione e gli chiede in cambio la primogenitura. Esaù accetta senza esitazione, dicendo: “Tanto, sto per morire, a cosa mi serve la primogenitura?”
Il giuramento e il piatto di lenticchie:
Esaù giura e poi mangia. Il testo sottolinea il suo comportamento con una chiusura secca: “Così Esaù disprezzò la primogenitura.”
L’elemento umoristico
L’enorme sproporzione:
L’ironia sta tutta nella sproporzione: Esaù scambia qualcosa di incalcolabile valore (la primogenitura, che implica un’eredità spirituale e materiale) per un piatto di lenticchie. È come se oggi qualcuno vendesse un intero impero per un panino! Questo paradosso può far sorridere, ma è anche un ammonimento sulla stoltezza dell’impulsività.
Esaù come uomo “semplice”:
Esaù appare come l’archetipo della persona guidata dagli istinti, quasi caricaturale. Non riflette, non valuta: ha fame, e quindi cede. Questa descrizione, così diretta, lo rende un personaggio che sfiora il comico, specie in contrapposizione al fratello Giacobbe, calcolatore e strategico.
La scena del “baratto”:
La contrattazione tra i due fratelli ha un che di teatrale. Giacobbe non si limita a dare da mangiare al fratello affamato; lo costringe a giurare. È come se la sua astuzia fosse spinta al limite, trasformando un gesto che poteva essere di generosità in una manovra opportunistica. La serietà di Esaù nel giurare qualcosa di tanto importante per un piatto di lenticchie è, per certi versi, surreale.
L’elemento del “piatto rosso”:
Il dettaglio del colore rosso della minestra, che Esaù sembra notare con insistenza, aggiunge un tocco di ironia visiva. Non si tratta nemmeno di un banchetto sontuoso, ma di un piatto di lenticchie che diventa protagonista della storia.
L’humour divino
Dio, che permette che tutto questo avvenga, sembra quasi giocare con il contrasto tra il sublime e il banale:
La primogenitura, simbolo di benedizione divina e continuità della promessa fatta ad Abramo, finisce legata a un evento così triviale.
Esaù diventa un esempio del rischio di perdere cose preziose per soddisfare desideri immediati, ma lo fa in un modo che sembra quasi caricaturale.
Questa situazione è una dimostrazione di come Dio utilizzi anche le debolezze umane e le circostanze più ridicole per portare avanti i suoi piani. È come se ci dicesse: “Guardate cosa siete capaci di fare, ma ricordate: anche nei vostri errori c’è la mia mano.”
Una lezione con ironia
Dietro l’apparente comicità della scena, c’è un profondo insegnamento:
L’impulsività può portarci a decisioni disastrose.
Esaù rappresenta l’uomo incapace di guardare al futuro e dominato dai bisogni immediati.
L’astuzia può avere successo, ma con conseguenze morali.
Giacobbe ottiene ciò che vuole, ma con mezzi discutibili, e questo tornerà a perseguitarlo in seguito.
Insomma, l’episodio è un perfetto esempio dell’ironia biblica: un evento apparentemente banale, quasi ridicolo, diventa il catalizzatore di un destino grandioso. E in questo, l’humour divino si manifesta in tutta la sua sottile profondità!
6) E nella storia di Sansone la cui forza risiedeva nei capelli?
La storia di Sansone, e in particolare il fatto che la sua forza sovrumana risieda nei suoi capelli (Giudici 13-16), contiene sicuramente elementi che possono essere letti come ironici o persino comici. Anche in questo caso, il contrasto tra il sublime (la forza di Sansone come dono divino) e il banale (i suoi capelli come fonte di potere) crea un terreno fertile per individuare tracce di humour, sebbene il racconto mantenga anche una forte carica drammatica.
Elementi potenzialmente umoristici nella storia di Sansone
1. Il paradosso del potere nei capelli
La forza di Sansone, dono straordinario di Dio, dipende da qualcosa che sembra quasi ridicolo nella sua semplicità: i capelli.
Ci si aspetterebbe che il potere di un eroe biblico derivi da qualità spirituali o simboliche, ma in questo caso il segreto risiede in una caratteristica fisica specifica.
La scena in cui Sansone viene privato della sua forza semplicemente perché Dalila gli taglia i capelli è di per sé assurda. La fonte del potere è così “banale” che sembra uno scherzo divino. “Davvero basta una forbice per distruggere un eroe?”
2. Sansone e Dalila: una dinamica quasi farsesca
La relazione tra Sansone e Dalila ha toni che sfiorano la commedia, soprattutto nel modo in cui Dalila riesce a ingannarlo:
Dalila chiede ripetutamente a Sansone di rivelarle il segreto della sua forza, e lui ogni volta la prende in giro (ad esempio, legandomi con corde nuove o con nervi freschi).
Tuttavia, alla fine, Sansone si lascia convincere e le rivela la verità, nonostante le sue ovvie intenzioni. C’è un’ironia evidente nel fatto che il più forte degli uomini cada in un tranello così semplice. Come può un uomo così potente essere così ingenuo?
3. Sansone che combatte con armi improbabili
Alcuni episodi della sua vita hanno un che di epico, ma anche grottesco:
La mascella d’asino: Sansone uccide mille uomini armati con una mascella di asino. Questo dettaglio è talmente strano da sembrare quasi una scena di una commedia eroica. Immagina la scena: un esercito che cade sotto i colpi di un’arma così improbabile!
Il leone squarciato: Quando Sansone uccide il leone a mani nude e successivamente trova miele nella sua carcassa, è una situazione al limite dell’assurdo: una lotta epica che si conclude con uno spuntino dolce!
4. L’umorismo del vendicatore esasperato
Quando Sansone si vendica dei Filistei, lo fa spesso in modi che sembrano al limite del teatrale:
Lega fiaccole alle code di 300 volpi per incendiare i campi dei Filistei (Giudici 15:4-5). È una trovata tanto crudele quanto elaborata e… strana! Chi penserebbe a qualcosa di simile?
Dopo essere stato tradito e legato, Sansone si libera e uccide con furia sproporzionata. La sua tendenza a reagire con esagerazioni enormi potrebbe essere vista come un elemento grottesco.
5. La scena finale del tempio
La morte di Sansone, sebbene tragica e grandiosa, contiene un’ironia sottile:
I Filistei si prendono gioco di lui, pensando che il grande eroe sia stato ridotto a uno schiavo cieco. Tuttavia, è proprio attraverso la loro derisione che Sansone ritrova la sua forza per compiere la sua vendetta finale.
L’immagine di un uomo privo di vista che, con una preghiera, abbatte un intero tempio e si porta dietro migliaia di nemici ha una potenza epica, ma anche un tocco teatrale che sfiora il grottesco.
L’humour divino nella storia di Sansone
La forza risiede nell’apparenza banale:
Dio, con ironia sottile, dimostra che il potere può risiedere in qualcosa di così “fragile” come i capelli, come a dire: “La tua forza non è tua, ma mia, e posso legarla a ciò che voglio.”
La debolezza dell’eroe:
Il contrasto tra la forza fisica sovrumana di Sansone e la sua fragilità emotiva (soprattutto con le donne) aggiunge una dimensione tragicomica. Dio sembra sottolineare che persino il più potente degli uomini è vulnerabile.
La vendetta creativa:
Le azioni di Sansone sono così estreme e imprevedibili che sembrano a volte una dimostrazione dell’humour divino: anche nei suoi eccessi, Dio usa le sue stranezze per portare avanti i suoi piani.
Un messaggio che fa riflettere e sorridere
La storia di Sansone ci invita a riconoscere che Dio può usare anche i nostri lati più ridicoli o grotteschi per realizzare i suoi piani. E, forse, ci ricorda di non prenderci troppo sul serio, perché persino un uomo con una forza straordinaria può essere legato al banale… come i capelli!
Nuovo Testamento
Gesù e Natanaele (Giovanni 1:45-51)
Quando Natanaele si domanda se “da Nazaret possa mai venire qualcosa di buono”, Gesù lo sorprende dichiarandolo “un vero israelita, in cui non c’è inganno”. Questo commento potrebbe essere visto come ironico e giocoso, un modo per accogliere Natanaele nonostante il suo scetticismo.
La moltiplicazione del pane e del pesce (Giovanni 6:1-13)
Gesù chiede a Filippo: “Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?” Sapendo già cosa avrebbe fatto. È una domanda retorica che mette alla prova i discepoli e sottolinea la sproporzione tra i mezzi umani e il potere divino.
Gesù e i farisei (Matteo 23:24)
Gesù accusa i farisei di “filtrare il moscerino e ingoiare il cammello”. L’immagine è volutamente iperbolica e ironica, usata per evidenziare la loro ipocrisia.
La resurrezione di Gesù (Luca 24:13-35)
Sulla strada per Emmaus, Gesù si presenta ai discepoli senza rivelare subito la sua identità, discutendo con loro e spiegando le Scritture. È solo durante la frazione del pane che si manifesta. Questo episodio ha un tono giocoso: Gesù li sorprende, come a dire “Non vi siete ancora accorti?”
Un Dio che sorprende
Gli esempi biblici in cui Dio sembra “giocare” con le sue creature non sono mai fini a sé stessi: hanno uno scopo educativo, profetico o rivelatorio. La Bibbia ci presenta un Dio che usa l’ironia, il paradosso e a volte il ribaltamento delle aspettative per portare le persone alla verità, all’umiltà o alla fede.
5) Durante la forte tempesta Gesù dorme profondamente sulla barca e i discepoli, terrorizzati, hanno dovuto svegliarlo. Di per sé, se ci pensi bene, la situazione è davvero strana, al limite del tragi-comico
Hai assolutamente ragione! L’episodio della tempesta placata (ad esempio in Matteo 8:23-27, Marco 4:35-41 e Luca 8:22-25) ha un aspetto che, se osservato da una certa prospettiva, può risultare tragi-comico e persino paradossale. La scena combina elementi di tensione drammatica e ironia che, se considerati, rivelano qualcosa di profondo sulla natura di Gesù e sul rapporto tra Dio e l’uomo.
Una situazione paradossale
Immagina la scena:
La barca è nel mezzo di una tempesta furiosa. Onde alte e venti violenti minacciano di rovesciarla.
I discepoli, molti dei quali esperti pescatori abituati al mare, sono terrorizzati: segno che la situazione è realmente grave.
Eppure, Gesù dorme profondamente nella barca.
Questo contrasto è quasi surreale:
Da un lato, gli uomini gridano e lottano per la loro vita.
Dall’altro, il Figlio di Dio, in pace assoluta, riposa come se nulla fosse.
La reazione dei discepoli aumenta il tono tragico e comico allo stesso tempo:
“Maestro, non ti importa che stiamo per morire?” (Marco 4:38). È un’accusa che mescola disperazione, incredulità e forse un po’ di frustrazione. Sembra quasi che dicano: “Come fai a dormire in un momento simile?”
Il gesto di Gesù
Gesù si sveglia, e la sua reazione è sorprendentemente calma:
Rimprovera il vento e il mare, che si placano immediatamente.
L’immagine di un uomo che parla con autorevolezza agli elementi naturali potrebbe sembrare assurda… se non fosse che il mare obbedisce!
Poi si volta verso i discepoli e li rimprovera:
“Perché avete paura? Non avete ancora fede?”
Qui si percepisce una sottile ironia. Gesù, che pochi istanti prima dormiva, rimprovera coloro che erano svegli e in preda al panico.
L’aspetto tragi-comico
Comico: La situazione sfiora l’assurdo. Gesù dorme in piena tempesta, mentre i discepoli – pur avendolo visto compiere miracoli – si agitano come se fossero abbandonati al loro destino. È una scena che gioca sul contrasto tra la divina tranquillità e l’umana frenesia.
Tragico: Il terrore dei discepoli è reale e rappresenta la fragilità della fede umana. Essi non hanno ancora compreso chi è davvero Gesù, nonostante la sua presenza fisica con loro.
Un messaggio profondo
Questo episodio ci offre una lezione:
La pace di Gesù nella tempesta è simbolo della sua fiducia totale nel Padre. Anche in mezzo al caos, Gesù sa che tutto è sotto il controllo divino.
La paura dei discepoli riflette la nostra natura umana: anche di fronte alla presenza di Dio, ci lasciamo sopraffare dall’ansia e dal dubbio.
Il rimprovero di Gesù è quasi scherzoso nella sua ironia: “Avete visto cosa posso fare, e ancora dubitate?” Ma è anche un invito a crescere nella fede.
Un Dio che riposa, ma non si dimentica
In ultima analisi, questa scena ci mostra un Dio che non è agitato o sconvolto dalle tempeste della vita. E mentre per noi può sembrare strano o addirittura ironico che Egli riposi mentre noi lottiamo, la sua presenza nella barca è una promessa: non importa quanto la tempesta sia violenta, Egli è sempre con noi, pronto a intervenire al momento opportuno.
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7) E quando Gesù dice a Zaccheo di averlo visto sopra un sicomoro e per questo Zaccheo lo riconosce come Messia?
La storia di Zaccheo, narrata in Luca 19:1-10, ha sicuramente un elemento che può strappare un sorriso, soprattutto per l’immagine vivida e quasi surreale di un uomo ricco e rispettato (anche se malvisto) che si arrampica su un albero per vedere Gesù. Se letta con una certa leggerezza, la scena ha un tocco di umorismo e profondità, che mette in luce l’umiltà e il desiderio di Zaccheo, ma anche l’ironia amorevole di Gesù.
Gli elementi “divertenti” o ironici della scena
1. Un uomo ricco che si arrampica su un albero
Zaccheo era il capo dei pubblicani, una figura di potere e ricchezza, ma anche di disprezzo da parte della gente per il suo ruolo di esattore delle tasse. L’immagine di questo uomo influente che si arrampica su un albero come un bambino curioso è di per sé inaspettata e un po’ buffa:
La scena rompe completamente con la dignità che ci si aspetterebbe da un uomo della sua posizione.
Zaccheo sembra disposto a tutto pur di vedere Gesù, anche a esporsi al ridicolo. Questo atteggiamento, sebbene ammirevole, è anche teneramente ironico.
2. Gesù lo nota subito
La reazione di Gesù è altrettanto sorprendente e, in un certo senso, giocosa. Non solo vede Zaccheo tra la folla, ma lo chiama per nome e lo invita a scendere:
“Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua.”
C’è qualcosa di teatrale e quasi comico nel momento in cui Gesù alza lo sguardo e lo sorprende sul sicomoro.
È come se Gesù gli dicesse: “Ti vedo, Zaccheo! Sì, proprio tu lassù, che cerchi di passare inosservato su quel ramo.”
3. La reazione di Zaccheo
Zaccheo, colto di sorpresa e forse un po’ imbarazzato, scende dall’albero in fretta e accoglie Gesù con gioia. L’intera scena potrebbe sembrare una sorta di commedia divina, in cui Gesù, con la sua ironia amorevole, rompe ogni convenzione sociale:
Non solo parla a Zaccheo, il pubblicano disprezzato, ma si autoinvita a casa sua.
Gli spettatori mormorano per questo, aumentando l’aspetto paradossale della situazione. Come può un Messia frequentare un uomo del genere?
L’humour divino nella storia di Zaccheo
Dio, attraverso Gesù, sembra mettere in scena una lezione potente con un tocco di leggerezza:
L’uomo piccolo, ma grande nel desiderio:
Zaccheo è descritto come “piccolo di statura,” un dettaglio fisico che contribuisce all’immagine quasi caricaturale di lui che si arrampica su un albero. Ma è proprio il suo cuore grande, pronto a riconoscere i propri errori e cambiare, che lo rende grande agli occhi di Gesù.
L’ironia della visibilità:
Zaccheo si arrampica su un sicomoro per vedere Gesù senza essere visto, ma finisce per diventare il protagonista dell’intera scena. È come se Dio stesse dicendo: “Non puoi nasconderti da me, e non devi neanche provarci: ti vedo, ti chiamo, e voglio stare con te.”
Il ribaltamento delle aspettative:
Gesù, scegliendo Zaccheo come ospite, rovescia ogni aspettativa sociale e religiosa. Il piccolo pubblicano diventa un esempio di redenzione e gioia per tutti. Il suo gesto di arrampicarsi sull’albero, che poteva sembrare ridicolo, si trasforma in un simbolo di fede e umiltà.
Un messaggio che fa sorridere e riflettere
La scena di Zaccheo sul sicomoro è un meraviglioso esempio di come Dio usi l’ironia e il paradosso per comunicare le sue verità. È una storia che ci invita a non prenderci troppo sul serio:
Zaccheo, con il suo gesto quasi infantile, ci ricorda che bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco e cercare Dio senza preoccuparsi di come appariamo.
Gesù, con il suo sguardo amorevole e la sua battuta diretta, ci insegna che Dio ci vede sempre, anche quando cerchiamo di “nasconderci” in mezzo alla folla o sopra un albero.
In fondo, la storia di Zaccheo è un esempio di come Dio possa usare momenti semplici e situazioni quasi comiche per rivelare il suo amore e la sua grazia. E forse, mentre Zaccheo scendeva dal sicomoro, anche Gesù avrà sorriso. 😊
Perché nei 4 Vangeli non c’è alcuna pericope che faccia riferimento ad almeno un sorriso di Gesù?
Il fatto che nei Vangeli non si faccia mai esplicito riferimento a un sorriso di Gesù non implica necessariamente che non abbia mai sorriso, ma piuttosto che il sorriso, come atto fisico, non è stato ritenuto essenziale per il messaggio che gli evangelisti volevano trasmettere. Esploriamo alcune possibili spiegazioni.
1. La finalità teologica dei Vangeli
I Vangeli non sono biografie nel senso moderno del termine. Sono piuttosto narrazioni teologiche, scritte per trasmettere un messaggio salvifico. Gli evangelisti si concentrano su:
Le azioni e le parole di Gesù come rivelazione di Dio.
Gli eventi centrali della sua missione: insegnamenti, miracoli, passione, morte e risurrezione.
Descrivere i gesti quotidiani come sorridere o ridere non era considerato necessario per la proclamazione del Vangelo. Gli evangelisti puntavano a mostrare chi fosse Gesù e il significato del suo ministero, più che a dare un ritratto completo della sua personalità o delle sue emozioni quotidiane.
2. Il contesto culturale e letterario
Nel mondo ebraico del I secolo, il sorriso o il riso non erano associati necessariamente alla profondità spirituale o alla santità:
La tradizione sapienziale ebraica, come nel libro dei Proverbi o dell’Ecclesiaste, sottolinea l’importanza della serietà nella relazione con Dio. Per esempio, Ecclesiaste 7:3 afferma: “Meglio il pianto che il riso, perché il cuore è reso migliore dalla tristezza.”
La letteratura biblica tende a mettere in risalto le emozioni più legate alla compassione, alla giustizia, alla misericordia o all’indignazione profetica. Il sorriso, come espressione di leggerezza, non rientrava necessariamente nel linguaggio simbolico della scrittura sacra.
3. Il ritratto di Gesù nei Vangeli
Gesù è spesso presentato come una figura di grande serietà e intensità, profondamente consapevole della sua missione e del suo destino:
La sua attenzione è rivolta all’annuncio del Regno di Dio e alla salvezza dell’umanità. Questo tono grave e urgente potrebbe aver portato gli evangelisti a evitare riferimenti a gesti o atteggiamenti considerati troppo “umani” o “quotidiani.”
Anche le emozioni di Gesù che emergono dai Vangeli — compassione, dolore, indignazione — sono funzionali al suo insegnamento e alla narrazione.
4. Gesù e la gioia
Pur non menzionando direttamente un sorriso o una risata, i Vangeli parlano spesso di Gesù come portatore di gioia:
Gesù stesso promette ai suoi discepoli: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Giovanni 15:11).
Le parabole del Regno spesso dipingono immagini di gioia (la festa per il figlio prodigo, il banchetto di nozze, il pastore che trova la pecora smarrita).
Gesù partecipava a momenti di convivialità, come il matrimonio di Cana, e veniva accusato dai suoi avversari di essere “un mangione e un beone” (Luca 7:34). Questo suggerisce che il suo comportamento non era alieno a momenti di leggerezza.
5. Una scelta narrativa?
Gli evangelisti potrebbero aver evitato di descrivere Gesù sorridente o ridente per mantenere il suo ruolo di Messia in una dimensione più solenne e trascendente. In un contesto in cui si sottolineava la sacralità della sua persona e della sua missione, un gesto come il sorriso poteva essere percepito come troppo ordinario.
Possibili implicazioni
Il fatto che i Vangeli non descrivano esplicitamente un sorriso di Gesù non significa che egli non fosse capace di esprimere gioia o affetto con un sorriso. Anzi:
Gesù era pienamente umano e, come tale, avrebbe certamente sorriso in momenti di gioia, affetto o condivisione.
La mancanza di un riferimento diretto al suo sorriso potrebbe anche essere una sfida per il lettore: immaginare e umanizzare Gesù oltre i confini del testo.
Una riflessione spirituale
Un Gesù che sorride, anche se non descritto nei Vangeli, può essere una rappresentazione potente:
Il sorriso di Gesù è spesso evocato nell’arte sacra e nella meditazione spirituale come espressione del suo amore e accoglienza.
La sua gioia interiore, anche non esplicitamente descritta, traspare dai suoi insegnamenti e dalla sua missione.
In conclusione, i Vangeli non menzionano un sorriso di Gesù non per negarlo, ma perché non era rilevante ai fini del loro scopo teologico. Tuttavia, possiamo immaginare che il Figlio di Dio, che accoglie i bambini e partecipa a feste, abbia sicuramente sorriso, forse molte volte, come espressione della sua gioia divina e umana.
Un altro evento un po’ strano.Sappiamo che durante il Battesimo, Giovanni ha riconosciuto Gesù come il Messia. Più avanti Giovanni Battista manda dei discepoli a chiedere a Gesù se fosse proprio Lui il Messia..
L’episodio citato è effettivamente interessante e apparentemente contraddittorio, tanto da suscitare molte riflessioni tra i teologi e gli studiosi della Bibbia. Si tratta di un momento che può sembrare “strano,” ma che, se analizzato attentamente, rivela profonde dinamiche umane e teologiche. Vediamo i dettagli:
1. Il Battesimo: Giovanni riconosce Gesù come il Messia
Durante il Battesimo di Gesù nel Giordano (Matteo 3:13-17; Marco 1:9-11; Luca 3:21-22; Giovanni 1:29-34), Giovanni Battista sembra riconoscerlo chiaramente come il Messia:
In Giovanni 1:29, Giovanni lo presenta come “l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo.”
Al Battesimo, si verificano segni straordinari: il cielo si apre, lo Spirito Santo scende su Gesù come una colomba, e si ode una voce dal cielo: “Questi è il Figlio mio prediletto.”
Giovanni sembra consapevole del fatto che Gesù sia colui che deve venire, tanto che afferma: “Io non sono degno di sciogliere il legaccio dei suoi sandali.”
2. Il dubbio di Giovanni in prigione
Più avanti, però, in Matteo 11:2-6 e Luca 7:18-23, troviamo Giovanni Battista in prigione che manda alcuni dei suoi discepoli da Gesù con questa domanda:
“Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?”
Questa domanda può sembrare sorprendente, dato che Giovanni sembrava così sicuro al momento del Battesimo. Cosa è cambiato? E perché questo dubbio?
3. Possibili spiegazioni del dubbio di Giovanni
A. Giovanni si aspettava un Messia diverso
L’attesa di un Messia giudice e liberatore:
Giovanni potrebbe aver immaginato il Messia come un giudice potente e un liberatore politico, qualcuno che avrebbe portato rapidamente la giustizia divina sulla terra. La sua predicazione era intrisa di immagini forti, come l’albero tagliato alla radice e il fuoco che consuma la pula (Matteo 3:10-12).
Tuttavia, Gesù si presenta come un Messia umile, che guarisce, perdona e annuncia la misericordia. Questo potrebbe aver causato in Giovanni una certa perplessità: “Perché non sta agendo come il Messia che mi aspettavo?”
B. Il contesto di prigionia e sofferenza
Giovanni si trova imprigionato da Erode Antipa, in una situazione di grande difficoltà e isolamento. La prigionia potrebbe aver intensificato dubbi e domande:
“Se Gesù è davvero il Messia, perché non interviene per liberare il suo popolo (e magari anche me)?”
Questo momento di crisi personale potrebbe aver portato Giovanni a interrogarsi su ciò che aveva annunciato con tanta certezza.
C. Una domanda per i suoi discepoli
Alcuni studiosi suggeriscono che Giovanni non stesse realmente dubitando, ma che la sua domanda fosse un modo per aiutare i suoi discepoli a incontrare Gesù e riconoscerlo come il Messia.
Giovanni sapeva di dover diminuire affinché Gesù aumentasse (Giovanni 3:30) e potrebbe aver voluto indirizzare i suoi discepoli verso di lui.
D. Un momento umano di dubbio
Giovanni, nonostante la sua grande fede, era pur sempre umano. La Bibbia non nasconde i momenti di crisi delle grandi figure spirituali (ad esempio, Mosè, Elia, o perfino Maria nei momenti di incomprensione).
Questo episodio potrebbe essere un segno della profonda umanità di Giovanni, che, come chiunque, ha avuto bisogno di conferme e rassicurazioni.
4. La risposta di Gesù
Gesù risponde ai discepoli di Giovanni con queste parole:
“Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non si scandalizza di me” (Matteo 11:4-6).
A. Gesù richiama le profezie messianiche
Gesù non risponde con un sì o un no diretto, ma cita le profezie di Isaia (Isaia 35:5-6; 61:1-2), che descrivono l’opera del Messia. In sostanza, sta dicendo: “Guarda ciò che sto facendo. È proprio questo che il Messia deve fare.”
B. Un invito alla fede
L’ultima frase, “Beato è colui che non si scandalizza di me,” sembra un invito a Giovanni e ai suoi discepoli a superare ogni dubbio e accettare Gesù per chi realmente è, anche se non corrisponde alle loro aspettative.
5. Un messaggio profondo
Questo episodio, pur nella sua apparente stranezza, ha un valore teologico e spirituale significativo:
La natura del Messia: Gesù non è il Messia che interviene con potenza politica, ma il servo sofferente che porta guarigione, speranza e redenzione.
La fede nei momenti di dubbio: Anche i più grandi uomini di fede, come Giovanni, possono avere momenti di incertezza. Ma il dubbio non è un fallimento: è un’opportunità per cercare e incontrare Dio in modo più profondo.
La conferma della missione di Gesù: Attraverso la sua risposta, Gesù conferma che il Regno di Dio è presente, anche se si manifesta in modi inattesi.
Un tocco di humour divino?
Potremmo intravedere un sottile humour divino nella risposta di Gesù. Invece di rispondere in modo diretto, invita Giovanni a riflettere: “Guarda ciò che accade. Non è evidente?”
Gesù, con amore e saggezza, sembra dirgli: “Il Regno è qui, anche se non arriva come pensavi. Fidati, Giovanni!”