Fb 24 luglio
Lc 11,1-13

Busseremo e troveremo (di p.Ermes Ronchi)

«Signore, insegnaci a pregare». E Gesù racconta due parabole che cominciano così: «Se uno di voi ha un amico…se un figlio chiede al padre…».
Una storia d’amicizia ci insegna come pregare, una vicenda di affetti è il segreto della preghiera. Amico, prestami tre pani. Non per me, ma per un amico.
Un uomo è uscito nella notte, ha camminato fino alla casa dell’amico, bussa e non chiede per sé, ma per un altro amico che a sua volta ha camminato nella notte, come in un girotondo.
Siamo così: povera gente ricca solo di amici, che, per avere ciò che fa vivere, trova il coraggio di uscire nel colmo della notte, di bussare a porte chiuse, di chiedere e tornare a chiedere.
Il pane e gli amici sono necessari e sufficienti per vivere bene. E allora le notti del mondo si coprono di una rete di strade che ci portano di casa in casa, di cuore in cuore. Il mondo si copre di un fittissimo reticolo di fiducia per far circolare il pane d’amicizia nelle sue vene più profonde. Pregare è instaurare in questa storia diffidente un tessuto di fiducia.
Donaci un pane che sia “nostro” e non solo “mio”, pane condiviso, perché se uno è sazio e uno muore di fame, quello non è il pane tuo. E se il pane che ci attende sulla tavola è dono troppo grande, donaci buon seme per la nostra terra; e se un pane già pronto non è cosa da figli adulti, fornisci lievito buono per la dura pasta dei giorni.
Da duemila anni ripetiamo il Padre Nostro, ma non siamo diventati fratelli e il pane continua a mancare. Una domanda enorme corrode le nostre preghiere: Dio esaudisce?
Sì, ma non le mie preghiere, bensì le Sue promesse, perché egli si coinvolge, intreccia il suo respiro, mescola le sue lacrime con le mie. Dio vive con me, mi ama, e proprio per questo perdona i miei errori, toglie ciò che mi pesa sul cuore e lo imbruttisce, ciò che di me ha fatto male agli altri, ciò che degli altri ha fatto male a me. Chiude le ferite che io ostinatamente mantengo aperte.
Il perdono non è un colpo di spugna sul passato, è un vento che spiana il futuro, insegna respiri. E noi che ora lo conosciamo, facciamo lo stesso con gli altri e con noi stessi, per tornare a vivere di pace.
Non abbandonarci alla tentazione. Non chiediamo l’esenzione dalla prova, ma di non essere lasciati soli a lottare nel giorno del buio. E dalla sfiducia e dalla paura tiraci fuori; e da ogni caduta rialzaci.
Tra i due amici della prima parabola sta in mezzo una porta chiusa. Anche nel percorso indicato da Gesù c’è una porta chiusa: «Chiedete, cercate, bussate».
Anche se la porta è chiusa, anche se Dio sembra muto, anche se la fiducia si fa difficile, oltre la porta inizia il canto dell’amicizia. Quella porta non è lontana, è alla latitudine del cuore.

 

 

AVVENIRE XVII Luca 11
fb La grammatica di Dio

Da sempre i cristiani hanno cercato di definire il contenuto essenziale della loro fede. Gesù stesso ce lo consegna: lo fa con una preghiera, non con un dogma.
Insegnaci a pregare, gli hanno chiesto. Non per domandare cose, ma per essere trasformati. Pregare è riattaccarci a Dio, come si attacca la bocca alla fontana; è aprire canali dove può scorrere cielo; è dare a Dio del padre, del papà innamorato dei suoi figli, è chiamare vicino un Dio che sa di abbracci, e con lui custodire le poche cose indispensabili per vivere bene. Ma custodirle da fratelli, dimenticando le parole “io e mio”, perché fuori dalla grammatica di Dio, fuori dal Padre Nostro, dove mai si dice “io”, mai “mio”, ma sempre Tu, tuo e nostro. Parole che stanno lì come braccia aperte: il tuo Nome, il nostro pane, Tu dona, Tu perdona.
La prima cosa da custodire: che il Tuo nome sia santificato. Il nome contiene, nella lingua della bibbia, tutta la persona: è come chiedere Dio a Dio, chiedere che Dio ci doni Dio. E il nome di Dio è amore: che l’amore sia santificato sulla terra, da tutti. Se c’è qualcosa di santo e di eterno in noi, è la capacità di amare e di essere amati.
Venga il tuo regno, nasca la terra nuova come tu la sogni, una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani.
Dacci il pane nostro quotidiano. Il Padre Nostro mi vieta di chiedere solo per me: “il pane per me è un fatto materiale, il pane per mio fratello è un fatto spirituale” (N. Berdiaev). Dona a noi tutti ciò che ci fa vivere, il pane e l’amore, entrambi necessari, donaceli per oggi e per domani.
E perdona i nostri peccati, togli tutto ciò che invecchia il cuore e lo fa pesante; dona la forza per sciogliere le vele e salpare ad ogni alba verso terre intatte. Libera il futuro.
E noi, che conosciamo come il perdono potenzia la vita, lo doneremo ai nostri fratelli e a noi stessi, per tornare leggeri a costruire di nuovo la pace.
Non abbandonarci alla tentazione. Non ti chiediamo di essere esentati dalla prova, ma di non essere lasciati soli a lottare contro il male. E dalla sfiducia e dalla paura tiraci fuori; e da ogni ferita o caduta rialzaci tu, Samaritano buono delle nostre vite.
Il Padre Nostro non va solo recitato, va sillabato ogni giorno di nuovo, sulle ginocchia della vita: nelle carezze della gioia, nel graffio delle spine, nella fame dei fratelli. Bisogna avere molta fame di vita per pregare bene. Fame di Dio, perché nella preghiera non ottengo delle cose, ottengo Dio stesso. Un Dio che non signoreggia ma si coinvolge, che intreccia il suo respiro con il mio, che mescola le sue lacrime con le mie, che chiede solo di lasciarlo essere amico. Non potevo pensare avventura migliore.