18 Febbraio 2022

ASPETTANDO ABELE (p. Ermes Ronchi)

Fb 20 febbraio

Lc 6,27-38

Aspettando Abele (di p. Ermes Ronchi)

Amate i vostri nemici. «È impossibile amare i nemici», assicura Freud. A questa sapienza del mondo, il discepolo ribatte: è impossibile, quindi lo farò. Perché nulla è impossibile presso Dio (Lc 1,37).
Lo farai subito, senza aspettare; non perché così vanno le cose, ma per cambiarle. Amerai senza aspettarti null’altro che l’amore stesso. Amerai perfino l’inamabile. Come fa Dio.
Nell’equilibrio del dare e avere, Gesù introduce il disequilibrio: date; magnificamente, dissennatamente date; porgete, benedite, prestate per primi, ad amici e nemici. Amatevi, altrimenti vi distruggerete.
«Porgi l’altra guancia»: abbassa le difese, disàrmati, mostra che non hai da difendere neppure te stesso, e l’altro sentirà l’assurdo di esserti nemico. Non chiudere, riallaccia il legame, fai tu il primo passo. Ricomincia, senza voltarti indietro. Amore di mani, quello di Gesù, di tuniche, di prestiti, di verbi concreti.
Se tutti porgessero l’altra guancia, non ci sarebbero più guance da colpire. Perché la notte non si vince aggiungendo la tenebra di altre armi, perché l’odio non si spezza inventandosi altro odio.
L’umano dentro noi dice: fuggi da Caino, allontanalo, rendilo innocuo. Poi viene Gesù e ci spiazza chiedendoci di convertire la paura in cura e custodia. Perché la paura non libera dal male.
All’inizio della storia, Dio disse a Caino: cosa hai fatto di tuo fratello Abele? Nell’ultimo giorno, dirà ad Abele: cosa hai fatto di tuo fratello Caino? (Berdiaev). Abele risorgerà non per la vendetta, ma per custodire quello che sarà ancora e per sempre suo fratello. Quando le vittime si prenderanno cura dei loro carnefici, allora la terra sarà nuova, sarà viva. Quando Abele si farà prossimo al suo uccisore, allora il Regno di Dio sarà davvero nel cuore d’ogni uomo.
Gesù non cerca eroi di fuoco e roccia, ma uomini: ciò che volete per voi, fatelo voi agli altri. E indica otto semplici gradini dell’amore, fatti di azioni concrete; quattro rivolti a tutti: amate, fate, benedite, pregate; e quattro indirizzate al singolo, a me: offri, non rifiutare, da’, non chiedere indietro.
Grande semplificazione della legge: io saprò ciò che devo fare ascoltando il mio desiderio. E ciò che voglio è questo: essere amato, e che qualcuno mi benedica e preghi per me; che mi sia reso bene per male, e poter contare sul mantello di un amico; che si abbia fiducia in me e mi si perdoni ancora; che mi si incoraggi, si abbia in stima ciò che ho di buono e come cosa di poco conto ciò che non lo è. Questo voglio per me! Questo cercherò di dare agli altri.
Legge che allarga il cuore, misura pigiata, colma e traboccante, che versa gioia nel grembo della vita.
«Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo» (Gandhi). La salvezza viene dal basso, e vive nella penombra.

 

VII domenica C Luca 6,26-37

Domenica scorsa Gesù aveva proiettato nel cielo della pianura umana un sogno: beati voi poveri, guai a voi ricchi; oggi sgrana un rosario di verbi esplosivi. Amate è il primo; e poi fate del bene, benedite, pregate.
E noi pensiamo: fin qui va bene, sono cose buone, ci sta. Ma quello che mi scarnifica, i quattro chiodi della crocifissione, è l’elenco dei destinatari: amate i vostri nemici, i vostri odiatori, gli infamanti, gli sparlatori. Gli inamabili.
Poi Gesù, per sgombrare il campo da ogni equivoco, mi guarda negli occhi, si rivolge a me, dice al singolare: “tu”, dopo il “voi” generico. E sono altre quattro cicatrici da togliere il fiato: porgi l’altra guancia, non rifiutare, da’, non chiedere indietro. Amore di mani, di tuniche, di pelle, di pane, di gesti. E di nuovo ti costringe a guardare, a cercare chi non vuoi: chi ti colpisce, chi ruba il tuo, il petulante furbo che chiede sempre e non dà mai.
Nell’equilibrio mondano del dare e dell’avere, Gesù introduce il disequilibrio divino: date; magnificamente, dissennatamente, illogicamente date; porgete, benedite, prestate, ad amici e nemici, fate il primo passo. Come fa Dio.
Questo vangelo rischia di essere un supplizio, la nostra tortura, una coercizione a tentare cose impossibili. E così si apre la strada a quell’ipocrisia che ci demolisce. Nessuno vivrà questo vangelo a colpi di volontà, neppure i più bravi tra noi. Ma solo attingendo alla sorgente: siamo nel cuore di Dio, questa è la vita di Dio. In cui radicarsi. Di cui essere figli.
Poi Gesù indica la seconda origine di tutti questi verbi di fuoco: ciò che volete che gli uomini facciano a voi, fatelo voi a loro. Come una capriola logica, rispetto a ciò che ha appena detto, ma che è bellissima: non volare lontano, torna al cuore, al desiderio, a tutto ciò che vuoi per te: abbiamo tutti un disperato bisogno di essere abbracciati, di essere perdonati, di uno almeno che ci benedica, di una casa dove sentirci a casa, di contare sul mantello di un amico. Ho bisogno di aprire le braccia senza paura e senza misura. Ciò che desideri per te, donalo all’altro. Altrimenti saprai solo prendere, possedere, violare, distruggere.
L’amore non è un optional. È necessario per vivere, e per farlo insieme. In quelle parole, penetranti come chiodi, è nascosta la possibilità perché un futuro ci sia per il mondo.
Nell’ultimo giorno il Padre domanderà ad Abele: cosa hai fatto di tuo fratello Caino?
Ho perdonato, gli ho dato il mantello, ho spezzato il mio pane.
La vittima che si prende cura del violento e insieme forzano l’aurora del Regno. Solo un sogno? Vedrai, verranno a mangiare dalle tue mani il pane dei sogni di Dio. È già accaduto. Accadrà ancora.